Skip to main content
Racconti Erotici Etero

La soglia di Shangri là

By 12 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Lasciate che sia fatta la volontà del Signore.’

Don Paolo avrebbe voluto concludere così la conversazione, come le solite chiacchierate che quotidianamente faceva coi parrocchiani. Quella volta, però, il dialogo era teso, difficile da gestire, e aveva assunto toni drammatici, soprattutto per l’atteggiamento della donna.

‘Don Paolo, ma non venite a farmi la predica. Cercate di essere logico. E non dico in buona fede per non provocarvi. Voi lo sapete meglio di me che il vostro Dio non ha lasciato gli uomini effettivamente liberi di fare quello che vogliono, perché quando Adamo ed Eva hanno agito di testa loro sono stati cacciati dall’Eden. Se quel Dio li avesse veramente amati non avrebbe permesso loro di comportarsi in modo da soffrirne le conseguenze. Un padre ‘deve’ impedire, con tutte le sue forze, che i figli commettano degli errori che poi piangeranno per il resto della vita. Non può limitarsi ad avvertirli, per poi scacciarli dalla casa che nella sua mente aveva preparato per loro. Ma come si può chiamare ‘amore paterno’ quello di chi si limita a dire al proprio figlio di stare attento a non mangiare quella roba lì perché é avvelenata e può farlo morire. Il figlio la mangia e muore. Bella roba. Perché, invece, non ha rimosso il pericolo, non lo ha allontanato dal figlio?

Libero arbitrio, direte. Lasciamo il pozzo scoperto, lasciamo che il figlio vi precipiti dentro e poi diamo la colpa al libero arbitrio.

E’ questo tutto l’aiuto che potete darmi?’

Il prete la guardava fissamente, faceva crocchiare nervosamente le nocche della dita, aveva un gran desiderio di troncare bruscamente l’incontro e di mandarla…

‘La vostra agitazione’ -disse con tutta la calma che riusciva a imporsi- ‘non vi consente di esaminare obiettivamente le cose. Voi volete decidere per gli altri, vi ritenete la sola ad essere nel giusto, a non sbagliare, ad essere infallibile. Per restare nella vostra personale e originale interpretazione della Bibbia, vi sentite superiore a Dio. Lui avrebbe sbagliato, mentre voi non credete di fare errori.

La situazione é questa: Luisa e Mario si vogliono bene, si amano, hanno deciso di sposarsi, di costituire una famiglia. Sono entrambi battezzati, vostra figlia é diligentemente praticante. Mario lo é un po’ meno, ma si sa che i giovani assumono atteggiamenti di malintesa indipendenza. In fondo é un ottimo ragazzo, lo conosco bene. Sono in età matrimoniabile. Io non ho notizia di impedimenti, se voi ne avete vi corre l’obbligo di dirmelo. Quale motivo potrei addurre per rifiutare loro la benedizione delle nozze? E se loro si rivolgessero al Vescovo, cosa dovrei dire al capo della Diocesi? Che la madre della sposa si oppone al matrimonio senza motivi obiettivamente validi?’

Marta lo interruppe.

‘Ma di quale amore andate parlando, Don Paolo, quelli vogliono solo andare a letto insieme… scusate…’

Lui non la lasciò proseguire.

‘E non é meglio che lo facciano nell’ambito del sacro matrimonio? O preferireste sapere che ci vanno di nascosto? E’ meglio sposare che ardere, insegna San Paolo. Allora, se ardono che si sposino. E voi, Marta, non vi siete forse sposata? Non avete avuto Luisa? E per averla…, ma non fatemi scendere in particolari che un prete deve sfuggire per non apparire volgare, anche se, quando c’é l’amore, nel matrimonio nulla é volgare,’

La donna era pallidissima.

‘Quando c’&egrave l’amore, Don Paolo, quando c’é l’amore. Ma non sempre amore e matrimonio sono uniti e dipendenti. Io non ho scelto di sposarmi, ne sono stata costretta dai miei genitori. Da tutti e due, mio padre e mia madre, che non vedevano l’ora di scaricarmi per tema che restassi zitella. Mi hanno ceduta all’uomo che non amavo e che non ho mai desiderato, che mi ha fatto sua moglie con la stessa grazia del toro che… Scusatemi, ma queste sono cose che dovete sapere prima di giudicare. Io non mi sono mai sentita donna con l’uomo che mi hanno fatto sposare. Non riesco neppure a capire che nel matrimonio possa esserci un piacere. Il ‘piacere della carne’, dite voi preti, qualche cosa che é peccato al di fuori del sacramento matrimoniale. E cos’é il dolore, l’umiliazione della carne in un matrimonio non desiderato? Dovevo premermi la mano sulla bocca per non urlare lo schifo, il ribrezzo, il dolore. Non era solo violenza, era una violazione. Avevo meno di diciotto anni, e questo ‘supplizio sacramentale’ é durato ben quindici anni. Non fate gesti d’insofferenza. Ho detto e ripeto supplizio sacramentale, perché quando ho chiesto l’aiuto del vostro predecessore anche lui ha citato San Paolo: la moglie non ha la potestà sul proprio corpo, ma l’uomo. San Paolo, un santo per tutte le stagioni.’

Don Paolo scuoteva la testa.

‘Marta, anzitutto io non giudico, non devo, non voglio giudicare. Comprendo cosa provate, ma voi stessa, inconsapevolmente, mi date ragione. Luisa e Mario voglio sposarsi, voi non lo volevate. Voi non ardevate. Si potrebbe perfino dire che non eravate validamente sposata a vostro marito. Lo avete accettato perché ve lo hanno imposto, contro la vostra volontà. Lo avete subìto.

Adesso comprendo anche, ma non giustifico, quel vostro stare in disparte, la vostra frequentazione puramente esteriore della Messa domenicale. Dev’essere stata dura, per voi, allevare una figlia non concepita nell’amore, non voluta…’

‘Luisa é mia figlia’ -urlò la donna- ‘solo mia. L’ho tenuta nel mio grembo, l’ho messa la mondo, l’ho allattata, l’ho curata, assistita, vegliata. Ho palpitato e sofferto, per lei. E’ solo mia. Il padre non ha mai saputo il significato di ‘sangue del mio sangue, carne della mia carne’. L’ha accettata come naturale conseguenza del suo comportamento. E quando é morto non é cambiato niente per Luisa. Era già completamente mia, non poteva divenirlo ancora di più. Adesso dovrei perderla perché lei ritiene di poter chiamare amore un semplice momento di sensualità. Quando s’accorgerà dello squallore del matrimonio sarà troppo tardi: Ma io l’avrò perduta, per sempre.’

Marta era cerea in volto, i tratti tirati, le nari dilatate, le labbra sottili, esangui, secche, una piccola schiuma bianca ai lati della bocca.

Don Paolo non le toglieva gli occhi da dosso. Deglutì, si schiarì appena la voce.

‘Marta, una madre come voi, la Madre di tutti noi, é col figlio, morto crocifisso, sulle sue ginocchia, lo mostra con un muto invito, che é anche un’interrogazione, negli occhi: ‘venite a vedere se il vostro dolore é come il mio’. Ma il suo dolore é un dolore ‘buono’. Anche lei, come il figlio, ha perdonato ai crocifissori perché sa che quel sacrificio é avvenuto per la salvezza degli uomini. Allora, il sacrificio della vostra vita coniugale, perché voi così l’avete vissuta, forse senza sforzarvi di metterci un po’ di buona volontà, offritelo al Signore per il bene di Luisa. Comprendo il motivo del vostro dolore, ma non riesco a condividerlo perché non é un dolore ‘buono’. Mi sembra che lo coltiviate, lo alimentiate per tema che possa attenuarsi, che finisca con lo spegnersi.

Fate un attento esame del passato, anche del vostro comportamento. Vi accorgerete che i torti, le colpe, non sono sempre e solo tutti da una parte. A volte basta un po’ di dolcezza per mutare il corso degli eventi. Con una sola goccia di miele si prendono più mosche che con barili di aceto.

La vostra esperienza, il vostro sacrificio, il vostro dolore, sono preziosi. Sono il tesoro dal quale potete e dovete attingere per dare a Luisa saggi consigli. Consigli di dolcezza, di bontà, di comprensione, e se serve anche di umiltà. Si, anche di umiltà, non di sottomissione, perché il ponte che unisce i coniugi é sottilissimo, di vetro, ma resistentissimo, che sopporta tutte le sollecitazioni, tutti i pesi, meno che l’orgoglio e la superbia. Parlate con amore, a Luisa, esponetele il vostro pensiero, fatele comprendere le preoccupazioni di una madre. Spiegatele che desiderate solo la sua felicità, per sempre. Aiutatela a interrogarsi.

Anch’io farò la mia parte. Ma non abbandonatela, non contrastatela nei suoi sentimenti quando sono sani e sereni.’

Marta lo seguiva con attenzione, fece un cenno affermativo col capo, tirò su col naso, piano. Si alzò, ancora un lieve chinare della testa in segno di saluto, e s’avviò lentamente all’uscita.

* * *

Mario Benetti fissava il libro, senza leggere. Pensava alla domanda inviata alla Cassa, rispondendo al bando di concorso, pubblicato sul giornale locale, per tre diplomati in ragioneria. Chissà quanti aspiranti a quei posti, anche laureati, e chissà quante raccomandazioni.

Ne avrebbe parlato col padre.

Andò a trovarlo ‘in ditta’, nella moderna costruzione alla periferia della città, dalla parte opposta a quella dove abitavano. Era stata una scelta precisa del padre: casa e lavoro devono stare agli antipodi, come il paradiso e l’inferno, anche se, a volte, tanto la casa che il lavoro divenivano l’una e l’altra cosa. Del resto, l’ingegner Benetti sapeva essere sia diavolo che angelo, a seconda della necessità. Non era lui, però, ad assumere la parte richiesta dal luogo, ma era il luogo a divenire la scena adatta al personaggio di quel momento. Quella che chiamavano la sua imprevedibilità sarebbe stata prevedibilissima se avessero conosciuto e compreso le vere motivazioni del suo comportamento.

Per Lorella era più facile e meno impegnativo criticare l’umore variabile del marito che sforzarsi di comprenderne le cause. Del resto, le piaceva parlare, non conversare, e aveva tante cose da fare che non poteva perdere tempo in sciocchezze. Cura della persona, compere, rapporti con le amiche, assorbono totalmente la giornata che arrivi alla sera senza accorgertene, e spesso col mal di testa.

Michele frequentava il Politecnico e la madre sentiva che sarebbe stato anche più ‘strano’ del padre. Tornava a casa di rado, parlava poco, era tutto preso dallo studio. Quando aveva un periodo di vacanza andava a visitare impianti e centri di ricerca in tutto il mondo. Non si sapeva neppure se avesse una ragazza. Per lui tutte erano carissima. Niente altro.

Mario era molto diverso. Parlava spesso con la madre, a volte anche col padre. Aveva ascoltato con attenzione e senza sollevare obiezioni la pianificazione dei suoi studi, propostagli dal padre. Era appena un ragazzo, ma lo aveva seguito con molta attenzione. D’accordo: doveva diplomarsi ragioniere col massimo dei voti per essere ammesso alla Bocconi. E anche qui bisognava puntare alla lode per poi andare a conseguire uno o più master. A questo punto, la ‘Benetti S.p.A.’ avrebbe avuto solide basi manageriali, presto rinforzate dall’ingresso di Liana, destinata al Marketing.

Anche se nel diploma aveva riportato sessanta, Mario chiese al padre di non farlo allontanare da casa. A Milano si sarebbe sentito solo e triste. A Bologna, inoltre, c’era la foresteria della loro società per quelle poche volte che non fosse riuscito a tornare a casa la sera. Anche col treno se era necessario. Gli piaceva ritrovarsi coi suoi, con gli amici, con la ragazza con la quale si trovava particolarmente bene.

Liana non aveva mai bisticciato con Mario. Gli anni che la separavano dal fratello le sembravano un’eternità. Per lei Mario era ‘grande’. Si rivolgeva a lui, sempre di più, con infinita fiducia mai tradita. Mario era ‘grande’ perché sapeva consigliarla, coccolarla, ma anche farle considerare tutti i lati della questione, insistendo, con garbo ma decisamente, nell’ evidenziare quanto di pericoloso e di male potevano nascondere cose e persone.

Aveva molte amiche, Liana, ma Luisa Roncato, con la quale formava il ‘duo’ delle più brave, era la preferita. Luisa era un vero ‘fenomeno’: a meno di diciotto anni aveva terminato le secondarie superiori. La più giovane della classe ma la più matura ed equilibrata. Intelligenza superiore a tutte le altre compagne, memoria e volontà di ferro, imparava facilmente e rapidamente. Sempre pronta ad aiutare le altre, col sorriso sulle labbra, senza darsi arie, senza superbia. Alla maturità, Athena Ronky, come la chiamavano, aveva riscosso il plauso della commissione. Le amiche furono d’accordo nell’indire una festa in suo onore. Non s’era tirata indietro nessuna, tutte avevano contribuito al regalino, anche chi aveva dovuto rinunciare al cine o al gelato.

Una festa per soli giovani, la sezione femminile al completo e amici delle altre sezioni. Una sera indimenticabile, intorno alla piscina dei Benetti, insieme a Liana. Palloncini multicolori, buffet preparato dal ‘San Domenico’, il DJ della più famosa discoteca.

Quella sera le ragazze erano tutte belle.

Come se fossero d’accordo (o forse lo erano) tutti indossavano eleganti abiti tradizionali, freschi, estivi, anche chi, di solito, ostentava eccentriche tenute.

L’acqua della piscina era illuminata, verde smeraldo.

Mario aveva assicurato a Liana che non sarebbe stato ‘invasivo’, avrebbe assistito, non partecipato, alla festa in onore di Luisa.

‘Una volta che si festeggia una tua amica carina’ -aveva detto- ‘devo essere presente. Anche l’occhio vuole la sua parte. Ti prometto che rimarrò lo stretto tempo necessario per ammirare le più carine, poi andrò via.’

* * *

Renato Benetti era alle prese con uno studio di fattibilità. Fidarsi o meno, dei Paesi dell’est?

Fece cenno a Mario, che era rimasto sulla porta, di entrare. Gli tese il fascicolo che stava leggendo.

‘Tu cosa faresti?’

‘Dovrei studiarlo attentamente. Il mio parere, però, sarebbe puramente teorico, scolastico, non fondato sull’esperienza.’

Bene’ -disse il padre- ‘fammi sapere cosa ne pensi, ci tengo. Adesso, però, dimmi qual’é il motivo della tua visita. A proposito, e la tesi?’

‘Quasi pronta e approvata.’ – Rispose Mario.- ‘In quanto alla mia visita, é presto detto. Ho bisogno del tuo consiglio e del tuo aiuto. La Cassa amplia gli organici, ha bandito un concorso per ragionieri e io vorrei farlo. Sarebbe un’esperienza molto interessante, un lavoro in banca, ma credo che i raccomandati di ferro siano più dei posti disponibili. Puoi aiutarmi?’

Il padre aveva preso una matita, dal mucchio nel bicchiere di cristallo, e andava tracciando segni incomprensibili sul foglio bianco che aveva dinanzi a sé. Senza alzare gli occhi dal foglio, lentamente, con voce serena, disse:

‘Ma non sarebbe più interessante un’esperienza qui? Lavoreresti per te e guadagneresti almeno il doppio di quello che può darti la banca.’

‘E’ vero’ -rispose Mario- ‘ma non conoscerei mai la vita d’un dipendente da terzi, da estranei, com’é trattato, se e come può legare coi colleghi e coi superiori. Sarei un Benetti e basta. In quanto alla retribuzione, é anche bene sapere quanto si deve sgobbare per portare a casa la metà di quanto… tuo padre é disposto a darti per averti in ditta.’

‘Mario, sai bene che ho sempre lasciato la massima libertà a tutti. Se ti interessa questa esperienza non mi opporrò. Hai voluto fare il servizio militare prima di terminare l’Università, per conoscere ‘una certa realtà’, hai scelto di prestare servizio lontano da casa, tu così legato al tuo nido, non mi hai mai chiesto soldi quando era ufficiale di complemento, e mi chiedo come facevi a campare. Tutto questo ha portato a cinque gli anni di frequenza universitaria. Ma non ti rimprovero nulla, anche perché stai per laurearti brillantemente. Ora vuoi fare l’impiegato di banca, se credi di fare il concorso fallo, io ti aiuterò, certo, ma solo dopo che avrai vinto il concorso.’

* * *

La commissione esaminatrice stava compilando la graduatoria dei candidati.

Non c’erano dubbi: i migliori elaborati erano quelli di Mario Benetti, che agli orali aveva dimostrato un’ottima preparazione scolastica nelle materie stabilite per il concorso, e piena padronanza della lingua straniera, facoltativa, lasciando alla commissione di scegliere tra inglese, francese e tedesco. Si presentava bene, era spigliato, buon parlatore, simpatico. Non lo raccomandava nessuno, ma del resto non ne aveva bisogno perché la ‘Benetti’ era tra i clienti più ambiti dalla Cassa. Non riuscivano a comprendere, però, il motivo della partecipazione al concorso. Un posto in banca non era certo quello cui un Benetti poteva aspirare. Si era laureato alla viglia del concorso, col massimo dei voti e lode, discutendo una tesi interessantissima sul ‘costo del denaro e investimenti internazionali’. Lo avevano notato alla ‘Fondazione Roncato’ in occasione della consegna delle borse di studio. Era con la vedova Roncato e con la figlia, Luisa.

Amedeo Roncato, uno dei maggiori azionisti, era stato Presidente della Cassa per moltissimi anni, fino all’ictus che lo aveva portato via.

Marta, la moglie, gli era subentrata nel consiglio d’amministrazione e in consiglio direttivo, per voto unanime, dato il pacchetto che controllava per quota propria e per conto della figlia. Non mancava mai alle riunioni. Studiava attentamente quanto era all’ordine del giorno, interveniva quasi sempre per ultima, con argomenti fondati e determinanti. Era sempre sobriamente elegante. Non aveva quarant’anni e ne mostrava molti meno. Non sorrideva mai, per lei tutto era estremamente serio.

Baldini, il Presidente, diceva che Marta aveva ereditato le ‘palle’ del marito.

II

Marta e Luisa erano rientrate più tardi del solito.

Avevano trascorso l’intero pomeriggio a Bologna, per acquisti. Sulla strada del ritorno avevano deciso di fermarsi a mangiare un boccone, in un locale tipico, accolte con la cortese cordialità riservata ai clienti più desiderati. Quelli che danno un tocco di distinzione al locale, che fanno essere ‘in’.

Erano in salotto.

Luisa sfogliava una rivista di arredamenti. Marta saltellava da un canale all’altro della televisione.

Senza smettere di tormentare il telecomando, chiese alla figlia: ‘Allora, sempre fermamente decisa a sposare Mario? a rinunciare all’Università, a un’attività professionale che potrebbe certamente farti realizzare in pieno? Sei sicura che valga la pena di perdere la libertà a diciotto anni? Sei certa che si tratti di amore o…’

‘Mamma’ -la interruppe Luisa- ‘vuoi una serie di risposte motivata o ti accontenti di un solo ‘sì’? Farmi ancora e sempre le stesse domande quasi alla viglia delle nozze, a preparativi ultimati, dopo che hai speso una fortuna per arredare un’ala della casa in modo squisitamente delizioso!

Credo che sia l’oggetto dell’ultima domanda a tormentarti. Sarei tentata di essere brutale, anche volgare, ma non voglio farti del male. Non lo meriti. Sei sempre stata e sei tutto per me, ma questo non significa che nella mia vita non vi sia posto per un sentimento altrettanto forte, anche se molto diverso. La tua domanda me la sono già posta io, da tempo e più volte, prima di te, prima di don Paolo.

Come posso mettere su un piatto della bilancia Mario e sull’altro tutto il resto? Non ha senso. Perché sposarsi a solo diciotto anni? Per avere più vita da trascorrere con lui e per lui. Se in questo amore, in questa parola che sembra spaventarti, c’é anche il desiderio di andare a letto con lui? Sicuramente, e sarebbe innaturale il contrario. Ma non mi affretto a sposare Mario per appagare i miei sensi. L’ho detto chiaramente a Don Paolo. Se si trattasse solo di sensi avrei mille possibilità di soddisfarli. Voglio ascoltare i palpiti del mio cuore, non il vellichìo del grembo. E gli ho anche detto che se non sposassi Mario dovrei attendere di provare le stesse sensazioni che mi dà la sua sola vicinanza, per pensare di mettere su famiglia. E’ questo ciò che voglio, mamma, avere figli da Mario. Non avere figli e basta. Che bello poterlo volere e fare a solo diciotto anni, vero mamma?’

‘Non lo so.’ Rispose Marta, e spense il televisore. ‘Non lo so. Le opinioni possono non coincidere perché una differente interpretazione dei sentimenti e delle sensazioni può condurre a una diversa valutazione degli scopi e dei mezzi per raggiungerli. Nella vita si sceglie una strada per conquistare la meta cui aspiriamo, ma può accadere, a volte, che a un certo punto ci accorgiamo di temere di raggiungerla, pur desiderandola. Allora diveniamo insicuri, ci assalgono incertezze, dubbi e scrupoli che ci spingono alla rinuncia. Eppure, quello che vogliamo é lì, basta tendere la mano per coglierlo, ma temiamo di farlo a costo della nostra infelicità. Tristi e sconfitti, imbocchiamo la via del ritorno. E’ a questo punto che dobbiamo effettuare la scelta, decisiva, irrevocabile. Prima del ritorno.’

Si alzò lentamente. scosse la testa facendo ondeggiare i lunghi capelli, nerissimi, si avvicinò a Luisa e cercò di abbozzare un sorriso.

‘Sono un po’ stanca, buonanotte.’

E salì verso la sua camera da letto.

* * *

Alla morte di Amedeo ‘Villa Marta’ aveva subito alcune modifiche.

Il piano inferiore era stato lasciato com’era. Il piano superiore, invece, era stato suddiviso in modo che ogni ‘quarto’ costituisse un vero e proprio appartamento, con molta privacy e una certa autonomia.

Dal pianterreno partivano due rampe semiarcuate che convergevano nel vasto ballatoio, con al centro la porta dell’ascensore che scendeva fino alla rimessa. Dalla balaustrata di marmo si dominava il vasto ingresso-salone. Ai lati, due grosse porte conducevano ai larghi corridoi, con ampi balconi terminali, sui quali si aprivano le porte degli appartamentini. Ognuno comprendeva un ingresso spazioso dal quale si accedeva al salotto-studio, munito di servizi, e alla camera da letto, con annesso spogliatoio e bagno.

Per distinguerli, li avevano chiamati Nora, Silvia, Ester, Olga. Le iniziali indicavano nord, sud, est, ovest.

Marta entrò nella sua camera, accese tutte le luci, si fermò di fronte alla parete a specchi interrogandosi con lo sguardo. Andò nel bagno, regolò il miscelatore, aprì il rubinetto dell’acqua, gettò nella vasca una manciata di sali presi dalla scatola d’opaline verde. Tornò nella camera a spogliarsi. Rientrò nel bagno e sedette di fronte allo specchio. Raccolse i capelli in una grossa crocchia, sul capo. Chiuse il rubinetto, si sdraiò nella vasca, con gli occhi socchiusi.

Vi rimase a lungo.

Sentiva la tensione allentarsi lentamente, i muscoli del collo, delle spalle, dell’addome, delle gambe, si rilassavano. Respirava profondamente. Apriva e chiudeva le dita delle mani, muoveva i piedi. Prese una spugna, morbida, che sembrava di velluto, e la passò intorno al seno, sull’addome, sul pube, sulle cosce. Lentamente.

Uscì dalla vasca e avvolse il lenzuolino intorno ai fianchi. Il seno era forte, sodo, ben modellato; i capezzoli, scuri, s’ergevano spavaldi. Sedette, così, ancora una volta allo specchio. Fu percorsa da un brivido. Si alzò di nuovo, lasciò cadere il lenzuolino e indossò l’accappatoio bianco. Tornò a sedersi, sciolse i capelli e cominciò a spazzolarsi fissandolo specchio ma senza vedersi, come se assistesse allo svolgersi d’eventi trascorsi, proiettati dalla mente in quello schermo che ripeteva immagini del passato, mai dimenticate. Quella donna nello specchio non era lei, era più giovane, era Luisa. Indugiava pigramente per non entrare in camera da letto, per restare ancora con sé stessa, con quel corpo solamente suo.

Indossò la camicia da notte -non era mai andata d’accordo col pigiama- mise la vestaglia e andò nello studio.

La Cassa aveva mandato una grossa busta con copia dei documenti relativi agli argomenti che sarebbero stati discussi l’indomani. Aprì la busta, ne trasse un fascicolo con l’intestazione ‘Ipotesi di partecipazione finanziaria indiretta nella SKW GMBH’ a cura del dottor Mario Benetti.

Inforcò gli occhiali, più decorativi che necessari, e iniziò a leggere.

* * *

Luisa dormiva ancora, quando Marta scese nella rimessa dove Ines, puntualissima, l’attendeva. Motore acceso e climatizzatore regolato.

Un breve saluto, un accenno al tempo, alla nebbiolina che avvolgeva e ovattava tutto, al traffico sempre intenso, specialmente a quell’ora.

Marta mise la borsa dei documenti sul sedile posteriore e sedette a fianco della sua autista.

Ines sapeva di dover evitare le strade più affollate. Girò fino a imboccare il Viale D’Agostino, poi prese Via Saffi, costeggiando la Rocca attraversò Piazza Montanara, voltò a sinistra, raggiunse l’altra piazza ed entrò nel vasto cortile della Cassa.

Mancavano due minuti alle nove quando Marta entrò nello studio di Gaspare Boldini.

Il Presidente si alzò, le andò incontro chinandosi a baciarle la mano. ‘Posso offrirle un caff&egrave, Marta?’

‘Forse faremmo tardi alla riunione’ -rispose la donna guardando l’orologio- ‘é per le nove, vero?’

‘Si’ -replicò Boldini, indicandole il salottino nell’angolo e invitandola a sedere con un gesto della mano- ‘ma un incidente ha bloccato la strada e il Bogi, che viene da fuori, tarderà qualche minuto.’

Un cameriere, intanto, era entrato con un vassoio d’argento che mise sul tavolino del salotto. Versò il caff&egrave nelle tazzine, prese la zuccheriera e chiese a Marta quanto zucchero desiderava. Marta fece segno che non ne voleva. Lo stesso per Boldini.

‘Profitto di questa attesa per dirle qualcosa di molto personale.’ Cominciò Marta. ‘Lei, caro Gaspare, sa bene che fra non molto mia figlia Luisa sposerà Mario Benetti. Ora, io ho letto attentamente lo studio del Benetti e lo trovo accurato e interessante. Vorrei pregarla, però, di comprendere perché desidero di astenermi dal formulare un parere ufficiale in proposito. Chi leggesse i verbali della riunione sarebbe indotto a sorridere se vi trovasse un mio giudizio positivo in merito. Non crede?’

Boldini aveva ascoltato in silenzio.

‘Cara Marta, chi la conosce non sorriderebbe. E se qualche altro lo facesse indicherebbe i limiti della propria intelligenza. In ogni modo, si comporti come meglio crede. Io stimo molto Benetti e mi dispiace che prima o poi ci lascerà per curare gli interessi della società paterna. E’ un ragazzo veramente in gamba e, come può notare, gli vengono affidati compiti ben superiori alla qualifica assegnatagli dopo il concorso.

Avevo notato ‘qualcosa’ tra Luisa e Mario, ma non sapendolo ufficialmente mi sono sempre astenuto dal porgere a lei i miei complimenti e gli auguri ai futuri sposi. Li accetti adesso. Penso che il giorno delle nozze sarà ben difficile distinguere tra la sposa e la sua splendida mamma. Me lo lasci dire senza adulazione e senza galanteria. Potrei essere il nonno della Luisa.’

Marta sorrise, pose la sua mano su quella dell’uomo.

‘Non si butti giù, Gaspare, chissà quanti nonni la invidiano. Lei ha la stessa età che oggi avrebbe Amedeo se fosse ancora con noi, e Luisa l’ha sempre considerato un padre. Io le sono grata per quel suo consigliare senza apparire, sostenere senza farsi notare, per aver compreso il mio comportamento, per non avermi mai fatto domande.

Ho cercato di essere padre e madre, per Luisa, ma forse non ci sono riuscita del tutto. Del resto é naturale, i figli, specie le femmine, hanno bisogno del padre, di un vero padre in tutto il significato del termine.

Amedeo, e lei lo conosceva bene, era generoso con la famiglia e le dava tutto quello che aveva… soprattutto se a lui non serviva.

Spiritualità, affetto, amore non ne ha mai dato perché non poteva darne: non ne aveva.

Lui non ne faceva mistero, lo sa anche lei, diceva sempre che ‘viveva per la bocca e per la gnocca’. Scusi la crudezza del linguaggio, ma é solo per non dimenticare.

Tornando a Luisa, grazie per gli auguri e sono certa che sarà presente, con la sua bella famiglia, il giorno delle nozze. Saremo in pochi, solo i più intimi. Io, per parte mia, non ho nessuno. Posso dire, senza essere melodrammatica, che non ho mai avuto nessuno.’

‘Non dica così’ -la interruppe Boldini- ‘Lei ha tanti amici che le vogliono bene, ha noi, ha me…’

Marta lo fissò intensamente.

‘Gaspare, vuole condurre Luisa all’altare? Ne parli con sua moglie.’

L’uomo la guardò commosso, le prese le mani.

‘Marta’ -la voce stentava a uscirgli dalla gola- ‘devo essere io a fare un regalo alla sposa e invece é lei che mi fa il più bel dono che io abbia mai ricevuto. Agnese ne sarà felice quanto me.’

In quel momento entrò Luigi Bogi, scusandosi del ritardo del ritardo causato da una deviazione che gli aveva fatto perdere molto tempo. Sedette sull’altra poltrona e, vedendo le tazzine del caff&egrave chiese se ne fosse avanzato anche per lui.

‘Siamo tutti’ -disse Boldini- ‘invito il Direttore generale e ti faccio portare il caff&egrave, così possiamo cominciare.’

Giulio Sensi era Direttore generale sin dai tempi di Amedeo Roncato. Per l’invidiabile esperienza e professionalità aveva ricevuto numerose lusinghiere offerte da parte di istituti ben più importanti, ma il desiderio di non cambiare residenza e un trattamento economico di tutto rispetto lo legavano sempre più alla Cassa.

Sensi espose rapidamente e chiaramente com’erano iniziati i primi contatti con la SKW. Lo studio di fattibilità era stato affidato al Benetti, che lo aveva condotto con perizia e diligenza, anche avvalendosi, in via del tutto riservata e personale, di consulenze ad altissimo livello nel campo multinazionale. La conclusione era che, senza violare leggi nazionali e comunitarie e rispettando lo Statuto della Cassa, l’operazione non solo si presentava proficua per loro ma apriva interessanti sbocchi alla banca.

Sensi aggiunse che se il consiglio direttivo desiderava chiedere ulteriori chiarimenti direttamente al dottor Benetti, lo avrebbe chiamato.

* * *

Mario entrò con una voluminosa cartella. Salutò Marta, Boldini e Bogi, sorrise a Sensi col quale s’era già incontrato quella stessa mattina.

Il Presidente lo invitò a sedere.

‘Caro Benetti,’ -cominciò con tono molto serio- a nome del direttivo le confermo il compiacimento già espressole dal dottor Sensi per il suo studio sulla SKW. Abbiamo convocato per domani il consiglio d’amministrazione, e siamo certi che condividerà il nostro parere. Per cui, l’approvazione é da considerarsi scontata. Dobbiamo provvedere, ora, alla stesura e firma del contratto e, come previsto, alla fase operativa, dopo centoventi giorni dalla firma degli accordi. Lei deve dirci di quanto tempo ritiene di aver bisogno perché tutto sia pronto per la firma, anche tenendo conto che, come ho saputo oggi,’ – proseguì col sorriso sulle labbra- ‘ tra non molto ci chiederà un periodo di ferie per… matrimonio.’

Sensi e Bogi ebbero un moto di sorpresa.

Mario guardò Marta e chinò la testa sorridendo.

‘Allora, dottor Benetti?’ Concluse Boldini.

Mario mostrò la cartella.

‘Qui vi sono i contratti già esaminati dai nostri legali e da quelli della SKW. Li ho ricevuti in restituzione ieri sera, tanto che non ne ho ancora informato il Direttore generale. Noi avevamo preparato la bozza e non vi é stata apportata alcuna variazione significativa. Qualche piccolo ritocco nella stesura in tedesco, ma a tutti gli effetti ci si deve richiamare al testo in italiano. E’ stata anche stabilita la competenza del foro della nostra città e l’applicazione della legge del nostro Paese. Francoforte ha già designato le persone che verranno per la firma, munite di regolare e valida procura. Quindi, é a lei, signor Presidente, di stabilire la data per la firma.’

Boldini sorrise soddisfatto.

‘Se siamo d’accordo, potremmo firmare giovedì della prossima settimana. La sera potremmo solennizzare l’evento con una cena di gala e nei giorni successivi potremmo offrire un ‘week-end italiano’ ai nostri ospiti. Crede di farcela, Benetti?’

‘Certamente, signor Presidente. Ho intese di massima in tal senso, ma credo che gli amici di Francoforte preferiscano rientrare in sede al più presto. Anzi, se mi permette, non proporrei loro il week-end anche perché quando sono stato a Francoforte e ho detto che avrei volentieri visitato Heidelberg, si sono limitati ad approvare la mia intelligente scelta!’

‘D’accordo, vada per la reciprocità.’ Concluse Boldini.

La riunione era terminata. Boldini disse a Sensi che avrebbe voluto rivederlo di lì a poco, dopo aver accompagnato all’auto la signora Roncato. Si rivolse a Bogi: ‘Vorrei parlare anche con te, Gigi, se non ti dispiace.’

Aiutò Marta a indossare la pelliccia.

L’ascensore li portò fino alla rimessa interna, dove il commesso aveva telefonato preannunciandone l’arrivo.

Ines attendeva con lo sportello aperto, prese la borsa di Marta e la mise nell’interno dell’auto.

Marta tese la mano a Boldini, lui la trattenne tra le sue: ‘Lei, Marta, mi ha fatto un gran regalo mostrandomi non solo di aver compreso, ma anche di aver accettato, la mia devota e affettuosa amicizia per lei e per Luisa. Ho già accompagnato all’altare la mia figliola e sarò felice di fare altrettanto per Luisa che, se mi consente, vorrei considerare la mia seconda figlia. Grazie.’

Si chinò a baciarle la mano.

Lei salì in auto.

Boldini chiuse lo sportello.

Ines girò intorno e salì al posto di guida. Mise in moto.

Marta era con la testa appoggiata al vetro del finestrino, guardava Boldini con gli occhi pieni di lacrime. Portò la mano alle labbra e gli lanciò un bacio, mentre l’auto usciva nel cortile.

III

Marta avrebbe trascorso qualche giorno al Forte. La Villa era sempre pronta, anche d’inverno, ad ospitare chi voleva vivere un periodo di serena pace. Bastava telefonare prima di partire per trovare tutto in ordine.

Quella metà di giugno era abbastanza calda.

Il verde intenso del prato e l’ombra dei pini invitavano alla pigrizia, al dolce far niente. L’acqua della piscina, malgrado la diligente cura del custode, era cosparsa d’infiniti aghi che il vento staccava dagli alberi. La notte portava la voce del mare. Ninna-nanna con accompagnamento di lieve stormir di fronde.

Marta, distesa sul lettino, a pancia sotto, prendeva il sole. Non si era accorta del giungere di Mario, né che il giovane s’era seduto sulla sdraio, poco discosto e, sorseggiando dal bicchiere semipieno d’aranciata, la stava osservando da qualche minuto.

Quella, dunque, era la madre di Luisa, sua suocera. Splendore che oscurava quello delle statue di Fidia, di Prassitele, di Canova, e di tutti gli altri. Non credeva possibile tanta bellezza in una donna, e non più giovanissima. Il due pezzi evidenziava, non nascondeva, lasciando poco all’immaginazione. Sbrigliava altre fantasticherie, sollecitava il desiderio.

Avrebbe detto a Luisa di non mettersi mai vicino alla madre quando entrambe erano in costume da bagno. Anzi, no, non doveva dirle niente.

Non aveva mai pensato che la suocera potesse turbarlo con tale violenza. Attrazione che sconvolgeva i sensi, eccitazione, desiderio travolgente che non ammetteva rinvio.

Sempre col bicchiere in mano, si avvicinò a Marta e rimase in piedi, carezzandola con lo sguardo, immaginando di afferrare quella cascata di capelli neri, di tenerla, forte tra le sue dita, mentre la possedeva.

Marta aprì gli occhi e sollevò appena la testa.

‘Ciao, cosa fai li?’

‘Ti ammiravo.’

Lei sorrise.

‘Penso che per prendere meglio il sole’ -continuò lui- ‘dovresti slacciare il reggiseno. Ti aiuto?’

Lei annuì col capo.

‘Si, grazie.’

Mario poggiò il bicchiere per terra e le si inginocchiò vicino. Slacciò il nodo poggiando le mani sulla calda schiena di lei, lasciò cadere le stringhe ai lati del lettino scoprendo in parte l’alabastro, azzurrato di vene, del seno.

‘Avevo ragione’ -disse- ‘si vede il segno del nodo e dei lacci. Se mi dai l’abbronzante lo passo lì, per l’omogeneità della tintarella.’

Marta tese il braccio, per prendere dal tavolinetto il flacone dell’olio solare, mostrando la soda rotondità del petto, con un capezzolo bruno che occhieggiava provocante, e dette la bottiglietta al genero.

Mario versò un po’ del liquido scuro nel palmo della mano e cominciò a spalmarlo lentamente sulle piccole zone della pelle non dorate dal sole. Con un tocco lieve, appena una carezza, insisté con le dita sui piccoli solchi pallidi; passò e ripassò la mano, verso le spalle, al collo, scese verso il bordo dellE mutandine e lo spinse appena verso il basso, risalì al fianco, al biancore del seno poggiato sul materassino spugnoso. Lo sfiorò delicatamente. Anche dall’altra parte. A lungo.

Marta, con gli occhi chiusi e le sopracciglia lievemente corrugate, si mordeva piano il labbro inferiore. S’accorse di stringere le gambe, premere il grembo contro il lettino, irrigidire le cosce, i fianchi. Senza muoversi, sussurrò:

‘Grazie, sei molto gentile.’

Allacciò il reggiseno, si voltò, alzò una parte del lettino e si mise seduta con le ginocchia sotto il mento.

‘Allora’ -proseguì inforcando gli occhiali da sole- ‘dov’é Luisa? Non mi avete ancora raccontato il vostro misterioso viaggio di nozze. Ogni volta che ve lo chiedo rimandate a dopo. Sì, per me é stato un viaggio misterioso. Quando telefonavate non dicevate mai dove eravate. Dopo due settimane siete tornati senza preavvertire. Non sapevo cosa pensare, anche perché, di questi tempi, ci sono coppie che si dividono proprio durante la luna di miele. Chiama Luisa, per favore, desidero sapere come sono andate le cose.’

‘Posso?’ Disse Mario, e, senza attendere risposta, sedette in fondo al lettino della suocera, a cavalcioni, dirimpetto.

‘Luisa é andata dal parrucchiere, poi sarebbe passata in centro per acquisti. Ha detto che se non la vediamo tornare per l’ora di pranzo possiamo cominciare anche senza lei.

* * *

Subito dopo la cerimonia nuziale, Marta aveva detto a Mario di chiamarla per nome. Se alcune suocere, specie senza figli maschi, gradivano sentirsi chiamate ‘mamma’, per lei la madre era una sola; suocera era un appellativo tradizionalmente antipatico; il ‘lei’ teneva a distanza.

Insomma, si chiamava Marta e voleva che gli desse del ‘tu’.

Mario s’era chinato per baciarle la mano. Lei lo aveva attirato a sé per baciarlo sulle guance, ma maldestramente, però: gli sfiorò le labbra e gli sbaffò di rossetto il collo della camicia.

Scoppiò a ridere. Chiamò: ‘Luisa, vieni a vedere tuo marito, ha già la camicia sporca di rossetto, e non é del colore di quello che adoperi tu.’

Si voltò a Mario: ‘Scusa, caro, non so neppure baciare il marito di mia figlia. Pàssati il fazzoletto sulle labbra. Ho combinato un pasticcio. Scusa.’

Mario sorrise e si passò la lingua sulle labbra.

Il viaggio ni nozze aveva tutta una storia a sé.

La Cassa avrebbe voluto offrire agli sposi, oltre al prezioso servizio di posate in argento inglese, anche un incantevole viaggio. I genitori avevano la stessa idea. Per Luisa e Mario, invece, quel viaggio doveva essere un loro segreto. Comunque, fecero sapere maliziosamente che presso la Cassa avevano un conto corrente intestato ad entrambi.

Egisto Zanti, vecchio amico di famiglia, aveva messo a disposizione uno dei suoi elicotteri e il jet presidenziale.

Grazie ancora, dissero gli sposi, ma fino all’aeroporto sarebbero andati con la nuova auto di Mario.

Quale aeroporto?

Anche questo era avvolto dal mistero.

Quando gli sposi, dopo l’ultimo brindisi, erano riapparsi in abiti da viaggio, era abbastanza tardi. A quell’ora, da Bologna c’erano solo due voli: per Catania e per Roma. Forse, pensarono alcuni, partiranno da Milano. Ma a che ora? Per dove?

Dopo circa mezz’ora, Mario fermò in via dell’Indipendenza, dinanzi al Baglioni. Consegnò le chiavi dell’auto al portiere pregandolo di fargli avere i bagagli nell’appartamento che aveva prenotato da qualche giorno e di mandargli una cameriera per far sistemare gli abiti negli armadi. Avvertì che la loro presenza nell’albergo doveva restare riservata, per tutti.

L’appartamento era una serra di rose, di tutti i colori, dappertutto. Sul letto, sul cuscino candido, una sola rosa rossa e un astuccio vermiglio.

Luisa sembrava aver perduto la sicurezza di sempre. Guardava intorno soffermandosi su ogni particolare. Si avvicinò al letto, prese la rosa e ne aspirò il profumo. Aprì l’astuccio. Sul velluto bianco, una spilla di diamanti: un ghirigoro delicato ed elegante che formava una ‘L’.

Alzò gli occhi, interrogativamente, verso il marito. Poi scorse, nella parte interna del coperchio, il biglietto: ‘A Luisa, Mario’. Gli tese la mano. Lui l’attirò a sé, la prese tra le braccia, forte, quasi a farle male. L’astuccio cadde sul letto.

Sentì la lingua del giovane frugarle nel tepore della bocca, il desiderio prepotente di lui premerle tra le gambe mentre con le mani le aveva afferrato le natiche e la stringeva freneticamente a s&egrave.

Si staccò a fatica. ‘Mario’ -sussurrò ansante- ‘lo sai che per me é la prima volta…’

Avevano bussato alla porta: i bagagli e la cameriera.

‘Bene’ -disse Mario, quasi disinvolto- ‘mentre lei mette in ordine noi saremo al bar. Torneremo tra mezz’ora.’

Luisa tolse la spilla dall’astuccio e la sistemò sul risvolto dell’abito.

Nella penombra del bar, sedettero in un angolo. Luisa gli sorrise. ‘Sai’ -disse- ‘non ho mangiato nulla e ho bevuto una sola coppa di champagne, ma non ho appetito.’

‘Anche per me é la stessa cosa,’ -osservò Mario- ‘ma ci rifaremo. Ora, intanto, brinderemo a noi due.’

Si rivolse al cameriere: ‘Due coppe di champagne e, per favore, faccia venire qualcuno del ristorante.’

‘Ancora champagne, Mario, a digiuno, potrebbe farmi male.’

‘Al massimo ti renderà un po’ più allegra…’

‘Ma più allegra di così, Mario, non posso…’

Il cameriere aveva portato le due coppe e il Maitre era comparso silenziosamente.

‘Vorremo cenare nella nostra suite’ -disse Mario- ‘qualcosa di leggero. Direi, ‘vol-au-vent’, filetti di sogliola al burro, fragoline ‘nature’.’

Il Maitre chinò la testa. ‘Perfetto, signore. Vuole la lista dei vini?’

‘Si, grazie.’

Scelse dell’ottimo champagne d’annata.

‘Ottima scelta, signore, fra quanto farò servire?’

‘Faccia apparecchiare tra un’ora. Al resto penseremo noi.’

Ancora un lieve cenno d’inchino e via.

Mario si rivolse alla moglie.

‘Adesso, signora Benetti, ci cambiamo per la cena e mettiamo termine al nostro digiuno. Poi, se vuoi,’ -seguitò sorridendo e calcando le parole- ‘potremo… vedere la televisione centellinando lo champagne.’

Luisa l’interruppe mettendogli la mano sulle labbra, lo guardò intensamente, le narici leggermente frementi.

‘Poi terminerà il mio digiuno, e… potrai chiamarmi ‘signora Benetti’.’

Fecero il giro della hall e delle gallerie, guardando i gioielli esposti nelle vetrine, presero l’ascensore, tornarono nell’appartamento.

Era tutto in ordine. Sul letto la vaporosa camicia da notte di Luisa e il pigiama di Mario. Sulle poltroncine, le vestaglie.

‘Faccio la doccia prima io?’ Chiese Mario.

‘Si, meglio, io sono più lenta.’

‘Senti, Luisa, che ne dici se invece di indossare austeri e tradizionali abiti, per la cena, ci mettiamo in vestaglia? E’ poco elegante, certo, ma molto più comodo.’

‘D’accordo.’

Mario prese pigiama, pantofole e vestaglia e andò nel bagno.

Luisa s’accostò al letto, sollevò la camicia da notte e la carezzò. Col volto ne sentì la morbidezza, la baciò. Sedette sulla piccola poltrona, ai piedi del letto, liberò le calze dai fermagli, le sfilò lentamente, si alzò e slacciò il reggicalze, lo fece cadere sul tappeto. Infilò le pantofole, raccolse il reggicalze ed entrò nello spogliatoio, dov’erano appesi i vestiti tolti dal bagaglio. Levò la spilla dal risvolto dell’abito, tornò vicino al comodino e la ripose nell’astuccio. Continuò a svestirsi, indossò la vestaglia su reggiseno e slip, portò gli abiti nello spogliatoio. Andò a sedere di fronte al televisore. Lo accese col telecomando. Una lunga fila di carri procedeva lentamente verso l’Eldorado. Nel volto della gente c’era ansia, speranza, attesa, desiderio di scacciare il dubbio della delusione. Nelle loro menti tornava il ricordo dei racconti di chi aveva già percorso quel cammino. Ognuno la sua storia. Una storia per ognuno. Per qualcuno l’oro. Per tanti solo arida sabbia.

* * *

Mario raccontava a Marta qualcosa del loro viaggio, senza indugiare in particolari.

Il giorno successivo lo trascorsero goliardicamente in città. Poi il volo per Catania, Taormina, lo splendido appartamento sul mare, l’Etna alle spalle, le piccole scaglie luminescenti della spiaggia di Mazarò. Il giro in elicottero sull’Etna, gli scogli dei Ciclopi, i papiri di Siracusa, le latomie, l’orecchio di Dioniso, Archimede…

Parlava sottovoce, con gli occhi bassi, come se rivedesse i luoghi, rivivesse gli avvenimenti.

Marta, poggiata la schiena alla spalliera del lettino e distese le gambe, ascoltava attentamente.

Mario, con naturalezza, quasi distrattamente, allungò la mano verso la caviglia della donna, le sfiorò la gamba. Fino al ginocchio. Poi tornò indietro. Sentì il polpaccio irrigidirsi. Oltrepassò, piano, il ginocchio. Ora era il palmo della mano a carezzare la coscia, le dita stringevano ritmicamente tentando di ammorbidire la tensione che percepivano.

Marta era immobile, le mascelle serrate, le mani avvinghiate alle sponde del lettino. Stava accadendo qualcosa di sconvolgente. O era la sua fantasia ad attribuire particolare significato a gesti spontanei e ingenui? Soprattutto la turbava profondamente quello che lei provava. Era come nei sogni d’un tempo, nei quali si sentiva carezzata così, con dolcezza, e dai quali si svegliava eccitata, smarrita nel desiderio voluttuoso di realizzarli.

Poi la realtà di Amedeo, per cui aveva giurato a sé stessa che non avrebbe mai più permesso a un uomo di sfiorarla, per nessuna ragione.

Adesso, il buio del quale s’era circondata, s’era improvvisamente squarciato. Un bagliore l’aveva folgorata: una luce che credeva spenta per sempre. Tornava il sogno dell’adolescenza. Ma non era un sogno, era realtà, eccitante ma torbida, perché quelle sensazioni gliele procurava il marito di sua figlia. O un maschio? Comunque, doveva farlo smettere, subito. Ma cosa pensava la sua mente contorta, che vi fosse della malizia in Mario?

O, Dio, la mano s’era fermata.

Si sorprese a muoversi, inavvertitamente. Gli andava incontro, lo sollecitava. Sentì imperiosa la necessità di carezze più intime. Avrebbe voluto allargare le gambe, strappare il reggiseno, sentire i capezzoli stretti tra quelle splendide labbra.

Le dita ripresero a salire con lentezza esasperante.

‘Ah, siete lì?’

Luisa era apparsa dall’altro lato della piscina.

Marta balzò a sedere sul lettino.

Mario rimase immobile, voltò appena la testa verso la moglie.

‘Si’ -disse- ‘stavo raccontando a tua madre il nostro viaggio di nozze, per dissipare quello che per lei era un mistero.’

‘Spero che le avrai risparmiato… qualche dettaglio…’

‘Stia sicura, signora Benetti, dicevo il motivo per cui eravamo tornati prima del previsto: il piacere di stare a casa senza far niente.’

‘Vado a mettermi in costume per una nuotata. Mi accompagni, Mario?’

Il giovane strinse il cordone dell’accappatoio e raggiunse la moglie che s’era avviata verso la villa. Salirono insieme le scale, entrarono nella loro ampia e luminosa camera.

Luisa si spogliò in un attimo, andò verso l’attaccapanni dov’era il costume da bagno.

‘Luisa’

Chiamò il marito, nudo sul letto, col sesso eretto, paonazzo.

Luisa lo guardò, golosa. A lei piaceva da morire, fin dalla prima volta, non se ne sarebbe staccata mai. Mario era stato delicatamente delizioso, l’aveva baciata, carezzata, fin quando lei sentì l’imperiosa urgenza di riceverlo in sé. Un breve istante d’inavvertito dolore, ampiamente compesato dall’infinito piacere che l’aveva fatta precipitare nel nulla. Ed ogni volta era così. Anche allora.

Giacquero pienamente soddisfatti. Era stato bellissimo, Mario s’era mostrato particolarmente appassionato. Più della prima volta.

‘Gea, e la nuotata?’ Le chiese mentre le baciava il seno.

L’aveva chiamata Gea dalla prima notte.

‘Sei tu la Dea Terra’ -le aveva detto- ‘sei tu che accogli il seme e lo fai germogliare.’

Quello che Mario non sapeva é che Gea prendeva regolarmente la pillola.

Prima di mettere al mondo un figlio, pensava Luisa, bisogna essere ben sicuri che tutto funziona bene. Un fidanzamento, specie se ‘bianco’ come il loro, non é sufficiente per stabilire come sarebbe stata la vita insieme. Solo dopo aver superato il ‘periodo di prova’ il ‘programma famiglia’ sarebbe passato alla fase operativa.

Nella testolina di Gea era tutto organizzato minuziosamente. Non perdeva mai il controllo della situazione. Questo non le riusciva, però, quando lo sentiva entrare in lei, quando il seme della vita irrompeva nel solco della Dea Terra.

Decisero di fare la doccia insieme.

Lui le insaponò la schiena, il seno. Scese nella ‘seteria’, come la chiamava, e v’indugiò sapientemente.

‘Come sta?’ Chiese.

‘Dopo il pasto ha più fame che pria’ -gli rispose portando la sua manina tra le gambe di lui- ‘ma sento che non sono la sola a non essere sazia.’ Un piccolo balzo, incrociò le gambe intorno ai fianchi di lui. Con una mano si sorresse al collo di Mario, con l’altra aiutò a farsi penetrare. Ancora

IV

Desidero il maschio. E’ così.

Mario ha improvvisamente rimosso il blocco che m’imprigionava.

Amedeo aveva violato la mia sessualità, sconvolto le mie attese, creato in me il terrore che m’assaliva al solo pensiero di intimità con un uomo.

Avevo sempre creduto che il maschio avrebbe avuto con me un rapporto d’amore e non dipendente dalla sua forza o dal suo diritto. Lui, Amedeo, era di tutt’altro avviso, ma non potevo immaginarlo. Da fidanzato non aveva mai fatto avances, anche se il suo modo di agire non era privo di volgarità. Mi dava qualche bacetto, di sfuggita, poi, nell’andar via, col dorso della mano mi dava una leggera pacca tra le gambe e, ‘conservala bene’, mi diceva ammiccando.

Dopo la cerimonia, aveva appena salutato gli amici.

‘Viaggio di nozze?’ -rispondeva- ‘Ma lo faccio in camera da letto, io, in camera da letto.’

Fece fermare l’auto all’ingresso della villa.

‘Vedi’ – mi disse- ‘c’é scritto ‘Villa Marta’, cio&egrave che la villa é mia perché tu, Marta, adesso sei mia.’

Appena entrati in camera, mi riversò sul letto, alzò la gonna, mi strappò le mutandine si sbottonò i pantaloni e premette violentemente per entrare in me. Il mio bacino, la mia vagina, erano contratti. Urlavo. E lui spingeva, imprecava, bestemmiava.

‘Apri, bagascia’ -gridava roco- ‘apri, non fare la troia.’

Credevo d’impazzire. Mi schiaffeggiò con violenza, riuscì a entrare, come una furia. Uno stantuffo infuocato che distruggeva tutto al suo passare, un torrente di lava incandescente.

Quando ebbe finito, si tirò su e lasciò cadere per terra i pantaloni.

‘Vatti a lavare’ -urlò- ‘e torna presto, nuda. Ti voglio nuda, senza niente addosso. Ti devo far sentire il seguito dell’assolo di tromba. Vedrai, ora fai la schizzinosa ma poi mi pregherai di trombarti, con la gnocca che ti gocciola di desiderio. Va, fa presto.’

E fu sempre così brutale.

Il medico disse che poteva trattarsi di frigidità derivante dalla mia invidia per il pene. Non accettavo il maschio, secondo lui, perché avrei voluto io stessa essere un maschio e penetrare negli altri.

Ho cercato di credergli, ma non vi sono mai riuscita.

Era vero, però, che al solo pensiero che un uomo potesse sfiorarmi, sentivo come se una mano mi tormentasse il grembo, m’irrigidivo.

Tutto inutile, di fronte ai ceffoni di Amedeo.

Dopo la sua morte, a mala pena ho sopportato la vicinanza d’un uomo, la sua stretta di mano, fredda o cordiale che fosse, il baciamano,

A ben pensarci, Mario non mi ha mai provocato reazioni spiacevoli. Ho ballato con lui, mi ha preso sottobraccio, ci siamo baciati sulle guance, nel salutarci. Era il marito di mia figlia. Era naturale.

Ma é anche naturale quello che la sua mano mi ha fatto provare? E la dolorosa contrazione per l’improvviso cessare di quella carezza, all’apparire di Luisa?

Ero in preda a una sensazione nuova, mai provata: non il timore di essere invasa, ma lo sgomento di restare vuota.

Avrei voluto che quella mano avesse percorso ogni centimetro della mia pelle, e non solo quello.

Sì, erano istinti naturali, pulsioni fisiologiche, normali, ma la morale corrente non mi consentiva di appagarli in tal modo.

Se era ‘naturale’, allora, significava che tutto ciò era sempre esistito in me, che non lo aveva provocato ‘lui’, ma solo risvegliato, scongelato, tolto dal freezer. Questo, quindi, l’avrebbe potuto fare chiunque altro.

Dovevo concludere che si trattava del ‘desiderio di un maschio’ per soddisfare le mie risorte necessità fisiologiche? La cosa migliore, di conseguenza, era di provvedervi senza coinvolgimenti sentimentali.

Se hai fame, vai a mangiare. E cosa cerchi? Cibo buono, locale pulito, servizio confortevole. Non ci metti di mezzo, certo, il cuore. Quindi, bagnino, giardiniere, o altro giovane di sana e robusta costituzione sarebbe stato atto alla bisogna, purché non puzzasse e sapesse usare bene… l’attrezzo. No problema.

Il bagnino, aitante, giovane, bello e gentile, era a due passi

Marta lo guardò, ma ebbe un brivido di repulsione pensando di ‘andare a letto’ con lui. Gli disse di avvicinarsi. Lo ringraziò per come aveva sistemato il capanno degli attrezzi, addirittura gli tese la mano, gliela strinse con molta cordialità, la trattenne un po’ nella sua, ringraziandolo ancora. Non sentiva più la nausea che avrebbe provato in precedenza. Tutto qui.

Rientrando, si soffermò a guardare il giardiniere, il robusto ragazzo che aiutava a pulire la piscina. Nulla. Non si sarebbe sfamata con loro.

* * *

Mario le andò incontro sorridendo. Le prese entrambe le mani e, tenendola un po’ discosta la guardò con insistenza, con qualcosa che non gli aveva mai visto negli occhi.

‘Sei stupenda’ -disse- ‘una visione che incanta.’

E la baciò sulle guance, vicino agli angoli della bocca, più a lungo del solito. Lei rabbrividì di piacere, avrebbe voluto lambire quelle labbra che la sfioravano, provocanti.

Dunque era proprio vero, disgelo dei sensi, violento risveglio, ma decisamente e violentemente orientato.

La prese sottobraccio, e la condusse verso il divano di vimini, sotto il porticato. La stringeva a sé, sfiorandole il seno con le dita aperte.

Sedettero vicini.

‘Ho fatto l’amore con Luisa’ -disse con naturalezza, fissandola- ‘ma tra le mie braccia c’eri tu.’

Lei lo guardò, sgomenta, sperduta, ma pur invasa da un’ansiosa felicità che non aveva mai conosciuto.

Mario proseguì, implacabile, impietoso.

‘Si, c’eri tu, ma non é la stessa cosa, perché quello che puoi darmi tu é unico. Lo sai bene. Ti voglio, Marta. Vorrei averti qui, subito, in questo momento. Farei tutto per averti. Farò di tutto.’

Lei si sentì invadere da un tremore irrefrenabile. Non erano state ingenue carezze occasionali, ma un messaggio, chiaro e forte, con la certezza che sarebbe stato compreso, con la presunzione che sarebbe stato accettato. E un messaggio era stato anche il balcone che, ieri, lui aveva lasciato aperto. Per farsi vedere nudo, sul letto, con Luisa..

L’aveva visto, infatti, nella frenetica danza che l’aveva ubriacata, eccitata.

Il medico le aveva detto: ‘Il sesso é strano, può perfino sembrarti una cosa sporca, ma più spesso ti avvince e domina come e peggio d’una droga, e ti svincola da qualsiasi inibizione alla ricerca del piacere, della voluttà.’

Osservando Mario e Luisa dimenarsi avvinghiati, si sentiva invasa dal furente desiderio di fare l’amore, dal bisogno irrefrenabile d’un maschio. Poi, più tardi, aveva compreso che non era proprio così. Non voleva un uomo, ma quell’uomo. Era decisa a tutto per averlo, non c’erano ostacoli che la spaventavano.

Ripeteva mentalmente le parole di Mario. Non se le aspettava. Temeva di aver frainteso, di aver udito quello che lei voleva sentire, e non quello che era stato effettivamente detto. Il pallore aveva ingrigito la sua abbronzatura.

‘Mario’ -e la voce era roca, insicura- ‘ non prenderti giuoco di me, non credo di meritarlo. Non puoi parlarmi così… e poi ridere di me coi tuoi amici, forse anche con Luisa. Io credo…’

Non la lasciò terminare.

‘Marta, lascio Luisa e andiamo via insieme, lontano, senza tornare mai più in questi luoghi. Lo sai anche tu che sei tu la mia ‘donna’ e sono io il tuo ‘uomo’. E’ così. Siamo solamente un uomo e una donna. Io voglio solamente te. E’ strano e non dovrei dirtelo, perché può sembrare una contraddizione, ma non sento che quanto sta accadendomi mi allontana da Luisa. mi sembra di poter vivere una delle antiche leggende, un racconto d’oriente: …divisero lo stesso pane, la stessa acqua, la stessa tenda, lo stesso giaciglio. Felicemente, in serena pace e amore. I figli, e i figli dei loro figli, benedissero sempre le loro radici, lodando e ringraziando il Signore clemente e misericordioso…’

‘Adesso fammi andare’ -disse lei, alzandosi- ‘non riesco a capire nulla.’

Entrò in casa.

Mario andò a tuffarsi nella piscina. Nuotò furiosamente, a lungo, fino a quando Luisa, in camicia da notte e con gli occhi ancora pieni di sonno, lo chiamò dal balcone.

‘Mario, é tardi. Io mi sono riaddormentata, dopo. Aspettami, che vengo giù a fare qualche vasca.’

* * *

Marta decise di tornare a casa. Disse che doveva partecipare a delle riunioni alle quali non poteva assolutamente mancare. Sarebbe partita nel pomeriggio, ma contava di essere di nuovo al Forte dopo un paio di giorni.

‘Domani devo essere in sede anch’io’ -disse Mario- ‘partiamo insieme domattina molto presto.’

‘Devo essere a casa questa sera’ -rispose Marta- ‘per consultare i documenti, altrimenti domani, in consiglio, non saprei cosa dire.’

Luisa ci pensò un po’, perché le dispiaceva passare la notte senza il marito, ma poi intervenne: ‘Mario, perché non vai insieme alla mamma, oggi, invece d’una alzataccia domani? Potrai fare un bel sonno, questa notte, senza me… e ti farà bene.’

‘Se per Marta non é un disturbo viaggiare con me, sono d’accordo. A che ora si parte?’ Chiese il giovane.

‘Subito dopo il caff&egrave,’ -disse Marta- ‘ed ho apprezzato molto la tua… finezza, Mario. Temi di disturbare tua suocera, viaggiando con lei. In effetti é un modo gentile per farmi capire che, se possibile, tu con me non viaggeresti, ma quella guastafeste di Luisa ti ha messo nei guai. Se ti fa piacere posso anche dirti che… é un disturbo, ma lo sopporto molto volentieri perché sarai tu a guidare. Ines sarà in ferie fino a lunedì. Si parte dopo il caff&egrave, d’accordo?’

Mario s’alzò e fece un profondo inchino: ‘Si, badrona, dobo caf&egrave, sghiavo negro brondo.’

‘Dopo aver visto Drum, il Mandingo, io mi guarderei dagli schiavi neri.’ Disse ridendo Luisa.

‘Forse sono gli schiavi a doversi guardare dalle padrone.’ Osservò Marta.

* * *

Uscirono lentamente dalla villa, imboccando la strada, semideserta a quell’ora.

Mario guidava lentamente.

Marta indossava una gonna ampia, molto leggera, stretta in vita da una fascia piuttosto alta, e una camiciola color pesca, con una vertiginosa scollatura che aveva strappato un fischio d’ammirazione a Luisa.

‘Certo che così, mamma, povero Drum.’

Imboccarono l’autostrada al casello della Versilia.

‘Vuoi che corra?’ Chiese Mario.

‘Come ritieni opportuno.’ Rispose la donna.

‘Opportuno?’

Lui annuì con la testa.

‘Va bene il climatizzatore o hai freddo?’

‘Non sono fredda.’

‘Devo controllare…’ e le mise una mano sulla coscia, sentendo il tepore della carne attraverso la stoffa.

‘Controllo, certo, ma dell’auto, se vogliamo arrivare a casa sani e salvi.’ Disse lei, senza muoversi.

La mano sparì sotto la gonna. Lei si sistemò meglio nel comodo sedile. Tirò un po’ avanti il bacino.

Le dita, alla ricerca di qualcosa, non trovarono ostacolo, furono accolte da una massa di riccioli morbidi e setosi che si schiusero accoglienti.

Mario si voltò di scatto, interrogandola con lo sguardo, ma la donna, col capo sul poggiatesta, gli occhi chiusi, respirava affannosamente. La camicetta, semiaperta, mostrava il seno, nudo, palpitante.

La carezza voluttuosa divenne insistente. Lei vibrava come un’arpa, e con la mano frugò tra le gambe di lui, strinse forte. Di colpo s’abbandonò completamente, come svenuta, seguitando, però, a carezzarlo. Era la prima volta che aveva desiderato toccare il sesso maschile. Avrebbe voluto baciarlo, lambirlo, mangiarlo, ingoiarlo, per farne carne della sua carne.

‘Marta’ -le sussurrò- ‘é la più bella risposta che potevi darmi, la promessa che non osavo sperare. Sto per diventare l’uomo più felice del creato.’

Mise entrambe le mani sul volante e fece salire rapidamente il tachimetro. Al diavolo i limiti di velocità.

Entrarono nel Grand Hotel & la Pace come se avessero varcato la soglia di Shangri Là.

‘La signora non sta molto bene. Non é una cosa grave. Un semplice malore. Ha bisogno di riposare un poco e bere qualcosa che la tiri su. Spero che si rimetta presto per riprendere il viaggio. Comunque ci penso io, é una mia paziente. Per favore, una bottiglia di Dom Perignon e molta quiete. Non ha bagaglio perché non prevedeva di fermarsi.’

Il Receptionist assentì con professionale indifferenza. Il suo volto non esprimeva nulla. Chiamò per far accompagnare i signori nella Suite Imperiale.

‘Quanto richiesto le sarà portato tra qualche minuto. Alla sua auto pensiamo noi, dottore, lei si occupi della signora senza altra preoccupazione. Auguri.’

* * *

Era la prima volta che, di propria volontà, stava sola con un uomo in una camera d’albergo.

La prima volta che voleva spogliarsi per un uomo.

La prima volta che voleva ammirare il suo uomo nudo, in tutta la sua bellezza.

La prima volta che tutto ciò non le ripugnava, non la nauseava, non l’angosciava, non la terrorizzava.

La prima volta che, vicina a un uomo, non sentiva contrarsi dolorosamente il grembo.

La prima volta che bramava schiudersi, offrirsi, sentirsi riempita e svuotata nello stesso tempo.

Si avvicinò a Mario e cominciò a sbottonargli la camicia. La tolse, la poggiò con cura su una sedia. S’inginocchiò dinanzi a lui, slacciò la cintura dei pantaloni, fece scorrere la chiusura lampo. Prima di sfilarli del tutto, gli levò i sandali. Con le due mani tirò giù lo slip. Gettò tutto verso la camicia.

Restò così, con le mani giunte, incantata da quello spettacolo di virile potenza che l’inebriava, dal sesso che s’ergeva turgido e fremente.

Lo toccò leggermente, quasi temesse di fargli male. Lo baciò, lo avvolse con la lingua, lo accolse tra le labbra.

Sempre in ginocchio, si liberò della camicetta, sciolse la fascia della gonna. Si alzò con estrema lentezza, facendosi scivolare il sesso del compagno tra i seni, lungo l’addome, sul pube. Oltre. Prendendolo delicatamente con due dita lo premette contro il clitoride, lo strofinò piano. Poggiò le mani sulle spalle di lui e lo spinse verso il basso. Gli passò i capezzoli sugli occhi, sulle labbra. Sentì il succhio che si ripercuoteva in lei, che la faceva fremere, implorare, pretendere.

Adesso era lui in ginocchio, il volto nel suo grembo, e la spinse dolcemente sul letto. Stringeva dolcemente il clitoride tra le labbra, la penetrava con la lingua, la frugava, raccoglieva le stille del piacere di quella splendida creatura che gemeva per la prima volta nella sua vita.

Si alzò in piedi, col fallo eretto. E’ enorme, pensò lei, mi squarcerà.

La fece scivolare un po’, col bacino sulla sponda, e le si mise tra le gambe. Poggiò il sesso vicino quella rosea e vibrante apertura. Cominciò a entrare, lentamente, inesorabilmente. Sembrava non dovesse mai finire. E lei conobbe il suo primo orgasmo, prima ancora di accoglierlo completamente.

Fremiti deliziosi, incantevoli, che si rinnovavano travolgendola in un turbine sconfinato, del quale temeva la fine, ma nel contempo la implorava, per non sprofondare, smarrirsi, nel nulla, per sempre.

Lo sentì spingere, fermarsi un istante, tornare a carezzarla, palpitare violentemente, poi l’irrompere d’un torrente voluttuoso che succhiò con la voracità della terra riarsa.

Giacque così. Gambe e braccia divaricate, occhi chiusi, labbra semiaperte, respiro affannoso. Allungò la mano, cercandolo.

Lui stava tornando dal bagno, col lenzuolino intorno ai fianchi. Andò verso il tavolo sul quale era la bottiglia di champagne, nel portaghiaccio, la prese, e andò a sedersi accanto a lei. Marta si voltò appena, aprì gli occhi, abbozzò un sorriso, deliziosamente affranta.

‘Ti ho atteso da sempre… da sempre…’

Richiuse gli occhi.

Mario stappò la bottiglia, tenendola molto inclinata e accompagnando il tappo con la mano, la portò alle labbra, fece un lungo sorso, senza deglutire. Accostò la sua bocca a quella di Marta, vi travasò il liquido frizzante. Lei l’ingoiò. Fece un cenno di assenso con la testa. Ancora… ancora… Lui le fece cadere dello champagne sull’ombelico, provocandole un lungo brivido. Si chinò a raccogliere le gocce, con la lingua. Lei, sempre con gli occhi chiusi, supina, mosse le labbra, appena, come se bevesse.

Le bagnò il seno, i capezzoli, li deterse con la lingua. Ne versò tra le labbra di lei e bevve da quella coppa vivente.

Marta sussultò. si levò a sedere sul letto, strappò il lenzuolino dai fianchi di lui, scosse la testa, corse verso il bagno.

Quando rientrò, Mario era seduto sulla poltrona ai piedi del letto, ancora svestito, e guardava fuori, dal balcone, il cielo senza nuvole che s’avviava al tramonto.

Lei si chinò per raccogliere gli abiti che aveva lasciato per terra.

Lo sentì dietro di sé, con le mani che le stringevano il seno e quel qualcosa che la faceva impazzire di piacere che cercava di nuovo rifugio in lei. Cadde in ginocchio, spinse indietro il bacino. Una mano la carezzò tra le gambe. Poi lui, maestoso, solenne, imponente, entrò da conquistatore, vittorioso guerriero, forte e invincibile, attraversò l’arco di trionfo che l’attendeva, la portò con sé, in alto, verso la luce, verso la gloria, in paradiso.

Quando riemerse da quell’oceano di voluttà, tutto le girava intorno. Si lascio cadere sul tappeto. Guardò Mario con stupore, con adorazione, con gratitudine, con timore. Dio meraviglioso e potente, poteva distruggerla, annientarla, deliziosamente fonderla nel godimento.

Gli tese la mano, implorandone protezione, sostegno. Voleva rialzarsi. Da sola non vi sarebbe riuscita.

Mario la sostenne, fino alla doccia, aprì l’acqua al massimo. E lei si lasciò flagellare da quel getto che lentamente la riportava alla realtà.

V

Uscendo dall’albergo, Marta lesse ad alta voce le lettere dorate: ‘Grand Hotel & la Pace’.

Si strinse a Mario.

‘Per me’ -sussurrò- ‘é stata e rimarrà per sempre ‘Grand Hotel: é la Pace.’

E salì in auto.

Mario sedette a sua volta, la baciò sulla bocca, partì sgommando.

Parlarono pochissimo, durante il viaggio. Lui le carezzava il fianco e lei gli ricambiava la carezza, sul dorso della mano. La leva, un sorpasso, obbligavano Mario, di quando in quando, a interrompere quel delizioso contatto che, nel ricordo, rinnovava un desiderio non sopìto.

Giunti a Villa Marta, Giovanni e Lucia si precipitarono a riceverli.

‘Ha telefonato la signora Luisa’ -disse Giovanni- ‘si é meravigliata che non foste ancora arrivati. Lei stava uscendo con le amiche, ritelefonerà a ora di cena.’

Lucia aveva preso la borsa dal portabagagli ed era ferma sull’uscio, ad attendere la signora.

‘Sa che le ha fatto molto bene il riposo, signora, ha un aspetto splendido, soddisfatto. Le ci voleva proprio un cambiamento d’aria.’

Marta sorrise e s’avviò allo scalone. Si fermò un momento, e si voltò verso l’ingresso, dove Mario era appena entrato.

‘Mario, se non hai nulla in contrario, Giovanni e Lucia potrebbero prepararci una cena fredda, così sarebbero liberi di andare al cine. Se tu, però, vuoi uscire, fa pure. Io devo consultare dei documenti.’

‘Per me va benissimo’ -rispose il genero- ‘anch’io ho qualcosa che mi trattiene a casa.’

‘Allora’ -concluse Marta, rivolgendosi a Giovanni- ‘intesi. Tra un’ora scenderemo per la cena fredda, preparate sotto gli archi. Voi siete liberi. Grazie.’

Riprese a salire, voltò a destra, entrò nella sua camera.

Mario andò dall’altra parte.

* * *

Marta si gettò sul letto, senza spogliarsi. Era agitata.

Non aveva mai immaginato di covare in sé il tremendo vulcano che era esploso improvvisamente, inaspettatamente, travolgendola, sconvolgendola. Il fuoco le era restato dentro per anni, bloccato dai macigni gettativi da Amedeo, soffocato dalla cenere della nausea, sì che lei lo aveva considerato definitivamente spento, ove mai fosse esistito.

Ora, questo tremendo cataclisma poteva distruggere tutto.

Il risveglio d’un vulcano può anche prevedersi, ma non si può mai impedire. Si può cercare di contenerne gli effetti, ma fino a un certo punto. La terra trema, sussulta, il fuoco divampa, invade, brucia, travolge. Ma anche distrugge. L’unica difesa é la fuga, andare lontano. Ma lontano da chi, se il vulcano era in lei?

Mario, il marito di Luisa, di sua figlia.

Aveva pensato, tornando in auto, dopo i momenti del Grande Hotel, che sarebbe stato difficile vivere senza lui. Ora sapeva che non avrebbe potuto esistere senza averlo.

Allora?

Scandalo senza precedenti?

Fuga in una terra lontana, lasciando Luisa in balìa di sé stessa? Che ne sarebbe stato di sua figlia? Avrebbe odiato per sempre la madre? Mario? Gli uomini? Come lei?

‘Per sempre’, che affermazione ipocrita!

Mario aveva detto la verità, al Forte? Era veramente pronto ad andare con lei, a fuggire lontano? O per lui si trattava solo di un capriccio, per vantarsi con gli amici che s’era fatta la vecchia? Ma lo avrebbe detto? E sarebbe stato motivo di vanto?

Sentiva la testa scoppiarle.

S’alzò, fece una rapida doccia, indossò un leggero vestito di cotone, scese per la cena.

Giovanni e Lucia erano usciti.

Mario l’attendeva ai piedi dello scalone. Le baciò la mano, poi la bocca.

‘Mi permetti di restare senza giacca?’

Lei sorrise, lo prese per mano e s’avviò verso la veranda, dov’era stato imbandito il tavolo.

Lui spostò la sedia, per farla sedere e le si mise di fronte.

‘Marta, ho riflettuto a lungo, durante il nostro silenzioso viaggio, mentre ti carezzavo e tu ricambiavi la mia tenerezza. Ho valutato bene quello che desidero dirti. Ne sono sicuro, Marta, io ti amo. E non immaginavo che si potesse amare tanto e in questo modo. Forse, ti ho amato sempre, questo amore per te é sempre esistito in me, ma ora é divampato senza possibilità di controllo. Se per te, invece, é solo un’avventura, ti prego, dimmelo. Uscirò dalla tua vita, in silenzio e per sempre. Andrò agli antipodi, anche se sono certo che non riuscirò mai a dimenticarti. Non sono melodrammatico, sono concreto. So affrontare la realtà, qualunque essa sia, a qualsiasi costo, anche di me stesso.’

Marta aveva poggiato i gomiti sul tavolo, il mento tra le mani, lo sguardo sereno, rilassata. Quando lui ebbe finito di parlare, si ricompose, aprì il tovagliolo e lo pose sulle gambe.

‘Un po’ di pollo, amore, per favore. Mangerò solo quello. Attendo solo il momento che per la prima volta potrò dormire tra le tue braccia, la prima volta che desidero dormire tra le braccia d’un uomo, dell’uomo che desidero. E parleremo di noi, dei nostri problemi che sono gravissimi, ma non disperati. Che in ogni caso non mi spaventano, e a te? Un po’ di vino, grazie.’

Mario tese la mano attraverso la tavola, per mescerle il vino, sfiorando quella di Marta.

‘Basta il tepore della tua mano’ -proseguì la donna- ‘per sentirmi svuotata. Spero che non sarà sempre così… anzi, no, desidero che sia sempre così. Il nostro dev’essere un segreto tutto e solo per noi. Non per falsità, ipocrisia, tema della gente, ma perché tu ed io dobbiamo distinguere quando siamo ‘noi’ e quando ‘stiamo con gli altri’. Non so se riesco ad esprimere quella che definirei una profonda ‘gelosia da camera’. Una gelosia, però, che non include Luisa: &egrave mia figlia, é tua moglie. E non deve perdere nulla di ciò che per tali motivi le spetta. Non sono cinica, Mario, e non considerarmi amorale. E’ il prezzo che sono disposta a pagare, serenamente, per saperti mio, anche mio, perché sento che non mendicherò i resti del banchetto ma vi parteciperò a parità di condizione. Ti voglio, Mario, a qualsiasi condizione, ma so che non mi chiederai di rinunciare alla mia dignità di donna. Comunque, sarei pronta a farlo pur di non intraprendere la via del ritorno senza speranza.’

Mario la guardava senza parlare.

‘Mangia qualcosa, tesoro, fammi compagnia anche in questo.’

Disse Marta.

Mario si servì distrattamente, mangiò pochissimo, a fatica. Mille pensieri gli rimuginavano nella mente. Non sapeva se aveva compreso bene le parole di Marta. Luisa cosa avrebbe detto? Ma era indispensabile informarla? E se tutto fosse proseguito nella massima riservatezza, non lasciando trapelare nulla? Lui sentiva di amarla quella piccola bimba così appassionata. La desiderava. Più o meno di Marta? Non riusciva a stabilirlo. Erano due cose diverse, ma della stessa intensità? Ma era possibile questo? E gli era più piaciuto fare l’amore con Marta o con la moglie? Erano meravigliosamente deliziose entrambe. Se fosse stato possibile, avrebbe desiderato possederle contemporaneamente. Forse c’era qualcosa di contorto nella sua mente, perché si sentiva padre di Luisa e figlio di Marta. Cercò di scacciare questi pensieri. Che avesse bisogno d’uno psicologo?

Marta era andata a sedersi sul divano, sotto il porticato. Lui sedette per terra poggiandole il capo in grembo Le dita di lei gli carezzavano i capelli, giravano intorno al volto, si soffermavano sugli occhi, sulle labbra.

Il telefono che era sul piccolo tavolo, lì accanto, squillò importuno. Marta lo prese, alzò l’antenna, lo portò all’orecchio.

‘Ah, sei tu Luisa? Ci siamo fermati a Montecatini per un mio vecchio problema, sempre trascurato, che Mario ha risolto in modo del tutto inaspettato ma con mia piena soddisfazione. Mario? No, non credo che si sia annoiato, a me non é sembrato. No, non é un orso, come dici tu. Si é dimostrato gentile, affettuoso, premuroso, disponibilissimo. Mi ha riempita, di attenzioni, ha prevenuto ogni mio desiderio. Sì, abbiamo già cenato. Solo qualcosa di freddo. Adesso andremo a letto. Sì, certo, anche tutti andremo a letto.’

Intanto passava e ripassava le sue dita sulle labbra di lui, gli dischiudeva i denti, gli toccava la lingua, tornava a carezzarlo.

‘No, cara, non posso passartelo. Credo che sia sotto la doccia. No, non l’ha fatta prima di cena. Va bene, gli darò un bacione da parte tua. Non temere, non gli farò mancare nulla, lo tratterò bene, come avresti fatto tu e, spero, anche meglio. Lo so, é un maritino che merita ogni attenzione. Ciao cara, buona notte anche a te.’

Riabbassò l’antenna, mise il telefono sul tavolino.

Quando fu in piedi lo guardò con aria sicura, trionfante, con una sicurezza che non temeva confronti.

‘Vieni, amore’ -disse a Mario- ‘vieni con me, devo mantenere la promessa fatta a Luisa, non devo farti mancare nulla.’

Leave a Reply