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Tu sei saldamente legato, la sedia è attigua al letto, non hai l’autogestione né la libertà di manovra né il potere di movimento se non per le gambe, però questa mossa non ti serve a nulla, perché puoi unicamente ispezionare e fissare lo sguardo, soltanto questo. Sì, certo, guardare ed esaminare però che cosa? Vediamo, se ti dicessi di me? Uno scenario magari, accompagnato da uno sfondo un po’ particolare quello di seguito, poiché è probabile che non ti piaccia, ma è soltanto percezione, in quanto non deve conseguentemente né logicamente né coerentemente piacerti. Io ho solamente una camicia di colore rosso molto stretta, peraltro sbottonata per una buona parte fino all’attaccatura del seno, se io fossi seduta davanti a te potresti vedere il mio reggiseno nero a balconcino, però non m’avvicino tanto e poi indosso una gonna nera piuttosto stretta e corta. Non troppo però, non così corta, perché tu possa vedere il bordo in pizzo delle mie calze nere, per il semplice fatto che sarebbe intenzionalmente anticipare e appositamente comunicare troppo.

Nel tempo in cui tu non eri in camera io ho portato un palo, è pur vero che l’immaginazione permette acconsentendo tante cose, quindi non ti fai domande. Esso è al centro della stanza, il tuo sguardo si muove dal palo nella mia direzione, tu vorresti parlare invece il mio sguardo ti blocca inibendoti. Se tu parlassi ora morirei, non andrei oltre, scapperei via, per l’idea stessa che tu possa avere di me in quell’istante, se per qualche motivo anche soltanto sorridessi. Tu sei fermo su quella sedia, io mi muovo con lentezza intorno al palo, avverto che c’è della musica nella stanza. In quella musica ci sono io, così al presente m’ascolti anche in altri suoni, mi distingui scrutandomi anche in un altro modo. La mia mano s’afferra al palo, sopra la mia testa, quasi con la forza che non sento d’avere in quel momento, in tal modo con quella mano m’aggrappo girando attorno al palo, che è attualmente il centro di me, dal momento che non stacco gli occhi dal tuo sguardo, che d’altra parte non so ordinatamente comprendere né decifrare.

Io vorrei sapere che cosa pensi, eppure non voglio che tu ripeta nulla, preferirei soltanto sedermi su di te, ora. E’ ancora troppo presto, sennonché continuo a girare lentamente intorno a quel palo, mi volto fino a poggiarmi contro con la schiena, m’inarco fino ai piedi, non mi stacco e schiaccio le mie natiche coperte dalla gonna contro di esso. Seguo il ritmo di quella musica ondeggiando contro senza smettere di muovermi, a rilento slaccio la gonna allontanandola da me, ho gli occhi nei tuoi mentre li vedo soffermarsi sulle mie calze, sul mio perizoma piccolissimo e sulla mia camicia un po’ sbottonata. Proseguo frattanto a mettermi in azione fino a intrecciare una gamba intorno portandolo fra le mie gambe, m’aggrappo così fino a stringerlo contro di me e divarico le gambe ora distese. Adesso sono davanti a te, mi slaccio anche la camicia e resto unicamente con l’intimo, m’inarco ancora muovendomi lentamente sopra di esso, divaricando le gambe e poi con due dita sfilo lentamente il perizoma. Mi volto rivolgendoti la schiena, abbraccio il palo e poi porto le mani sulla schiena per slacciarmi il reggiseno, con una tale lentezza da non sopportarlo neanch’io, sono in pratica nuda a parte le calze autoreggenti e le scarpe.

Io continuo lascivamente a guardarti, scostumatamente a squadrarti, vorrei arrivarti in fondo all’anima e sfiorare ogni piccola sfumatura delle sensazioni che ti procuro, anche se il non poterlo mettere in pratica mi cagiona quell’ansia, mi produce quell’insicurezza e mi confeziona quella consapevolezza misteriosa, tenuto conto che una parte peculiare di te mi risulta davvero inesplorata e sconosciuta. Così, mentre continuo a muovermi ballando senza fretta intorno al palo, allontanandomi e avvicinandomi in maniera sprovveduta, mi porto davanti portando le mani dietro di me allacciandole dietro e schiacciandole fra le mie natiche, in quella circostanza mi fermo un attimo guardandoti giacché non posso non emettere un gemito di gusto. Dopo socchiudo le labbra guardandoti, vorrei che fossi tu dietro di me, in quel momento solo tu nello stringermi i polsi per bloccarmi davanti a te, ad essere tu appoggiato dietro di me avvertendoti caldo, voglioso e pulsante. Duro contro di me, passo quasi senz’accorgermene, la mia lingua sulle labbra per cominciare a sentire il sapore del mio stesso piacere, però ho voglia d’altro, perché senza di te questo non mi basta. Io mi rannicchio poggiandomi all’asta allargando le gambe, stando di fronte a te, i tuoi occhi hanno voglia di me, io ho desiderio di te, quasi una situazione di parità. Finalmente così accovacciata mi piego a quattro zampe e comincio carponi a muovermi sulla moquette della camera verso di te ancora legato:

Dovrei slegarti? Neanche per sogno, ho appena cominciato”.

Così dicendo m’accovaccio davanti a te seduto cominciando nel far scorrere le dita sul petto, la giacca e la camicia sono indumenti talmente inutili, perché mi separano dalla tua pelle calda sempre così accovacciata a gambe aperte. Successivamente inizio a slacciarti la giacca, la camicia, la cravatta e insinuo le dita sotto la tua maglietta, finalmente capto la tua pelle, soltanto il contatto con le mie dita m’inebria. Passo il viso sul tuo petto senza toccarlo annusandone il profumo, ci passo il naso sopra carezzandoti, poi non resisto, tiro fuori la lingua e con la punta ti bagno un po’ il petto, i capezzoli. Sento solo qualche tuo sospiro, con una mano ti tocco attraverso i pantaloni e ti sento duro pronto per me. Il divulgare e precisare, che non ho fatto tutto questo, se non per arrivare a questo momento di piacere sarebbe stupido, ma il piacere per noi non è soltanto questo, perciò le mie dita ti stringono dolcemente attraverso i pantaloni, ti toccano tra le gambe, mi sembra quasi di sentirlo pulsare tra le mani, mi stacco con il viso da te e guardandoti ti sbottono i pantaloni. T’abbasso sennonché i boxer e li sfilo, il calore delle mie mani si mescola con il calore del tuo sesso, pulsa, io comincio a stringerlo e a scoprirlo, i tuoi gemiti aumentano, abbasso la mia testa e apro le labbra. In quel momento non vorrei in altro modo se non quello di renderti improbabile il muoverti mentre sei tra le mie labbra, chissà se almeno lontanamente puoi immaginare la sensazione d’assoluto piacere che sto provando. Ci passo sopra la punta della lingua, sulla sua punta e ti sento gemere, il tuo gemito si confonde lussuriosamente con il mio, intanto che agguanto la punta tra le labbra il tuo gemito aumenta:

Slegami, non capita spesso di poterti avere così per me”.

Dammi un ragionevole e giudizioso motivo per cui dovrei slegarti, ora e non fra un secolo”.

Perché fra un secolo saremo ormai totalmente ammattiti, mattacchioni e finanche guasti, direi distrutti, completamente abbattuti e sciupati”.

Non importa, corro il rischio ancora per un po’ di tempo, cerca di resistere ancora un poco, su fai il bravo, opponiti, trattieniti e non te ne pentirai”.

Intanto avevo ripreso il tuo sesso per farlo affondare d’un colpo tra le mie labbra, nella mia bocca, coprendolo con la mia lingua per muovermi intorno ad esso fino a farlo inabissare alla mia gola, sì, ti stavi comportando da bravo, in fondo dovevo dartene atto, alla fine avrei dovuto dispensartela come ricompensa, però continuavo senza potermi staccare da te. La mia bocca assieme alla gola golose di te non riuscivano a lasciarlo andare, incuranti dei tuoi gemiti che continuavano a renderlo sempre più duro, io lo sentivo crescere dentro la mia bocca fino a non saperlo contenere, perché mentre ti stringevo nella bocca facendoti uscire ed entrare e muovendomi con le mie labbra come avresti fatto dentro di me, io stessa facevo scivolare due delle dita d’una mano dentro di me. Le dita affondavano senza lasciarmi un solo respiro, mi riempivo del tuo piacere attraverso me stessa, una sensazione quest’ultima tutta nuova e incoerente, a momenti prodigiosa.

Non potevo essere io, pensavo questo, durante il tempo in cui le dita affondavano simulando quanto le mie labbra ti stavano facendo. E continuavo, mentre ti sentivo trepidante su quella sedia completamente mio senza poterti muovere, senza sapere se t’avrei opportunamente slegato oppure no. In realtà ero molto combattuta e tesa, perché l’immagine successiva che avevo davanti era ancora di puro piacere, mentre m’immaginavo salire sopra di te sulla sedia senza lasciarti nessun movimento libero, salirti sopra e infilarti dentro di me allargandomi io stessa efficacemente per te. Oppure avrei dovuto slegarti e permetterti di prendermi per i fianchi ed entrare mentre eri tu a guidarmi? Che cosa avrei preferito? Chi può dirlo, inutili decisioni, sempre scelte in qualunque modo. Io t’ho guardato negli occhi, vedevo il buio profondo in quegli occhi e pensavo che ancora una volta comportandomi da egoista e d’accentratrice, avrei lasciato che fosse quello stesso egoismo a guidarmi, in quella circostanza mi sono allontanata da te passandoti dietro e t’ho slegato le mani.

In realtà non avrei saputo resistere tenendo lontane le tue mani dalla tua pelle, perché avrei dovuto farlo? Troppo piacevole sentirne la forza, il calore sui miei fianchi, mentre tu mi entravi dentro, peraltro irrinunciabile e vitale come piacere, sicché sono ritornata davanti a te e ho cominciato a spogliarti quasi in maniera impaziente, velocemente, perché adesso ero io a non poter resistere, giacché non avrei resistito oltre se tu con le mani slegate non m’avessi afferrato in quel momento e avessi voluto prolungare quell’afflizione. Pertanto era il tuo turno. Io invece volevo placare quel patimento, permettendo a quel desiderio che io stessa avevo contribuito a far esplodere senza ritegno, senza freni, di placare quello che era diventato un bisogno, il mio reale bisogno di te, paragonato al bere, al mangiare e al dormire, ma nessun altro bisogno in quel preciso momento valeva quello di averti dentro, dentro di me. Tu avevi accuratamente interpretato e diligentemente decodificato quel mio connaturato bisogno, perché una volta slegato m’hai guardato un attimo e mentre lo facevi eravamo entrambi in piedi, perché mi spingevi contro il tavolo poco distante. Tenendomi per i fianchi e poggiando il tuo cazzo contro mi spingevi contro il tavolo fino al bordo, sollevandomi appena per farmi salire. Era freddo e impersonale, ma io quel freddo non lo sentivo, in quanto era completamente abolito e in ultimo annullato dal calore che il mio corpo sprigionava nella mia libidinosa attesa di te.

Unicamente i miei seni tradivano l’effetto che quel freddo procuravano loro, un solo brivido e in quel fremito ho sentito le tue labbra sui capezzoli, niente resistenze, soltanto un mio gemito più alto degli altri a tradirmi, a raggirare il mio bisogno estremo svelando la mia completa resa nei tuoi confronti. Chi si stava arrendendo prima in quel momento? La risposta era assolutamente inutile. In seguito sul tavolo, con le gambe completamente aperte alla tua vista t’ho visto poggiarti a me, senz’entrare neppure d’un centimetro, perché eri appoggiato a me sentendo il calore e il pulsare contro le mie labbra umide e gonfie. Con le dita tu le hai aperte appena per permettere al tuo cazzo di poggiarsi meglio a me senza ancora entrare. Io non voglio entrare, voglio esclusivamente captare la tua pelle, ma io invece interpretavo tutto quello come il tuo volermi uccidere lentamente con quell’assillo. L’effetto del corpo che desidera senza sosta, dopo aver annullato e invalidato ogni difesa è la tortura peggiore, quella che invero conduce al dolore certo e al piacere estremo in quel momento, io nondimeno sentivo solamente l’effetto del dolore del non poterti avere:

Ti prego, tortura per tortura, occhio per occhio, dente per dente”.

Era giustappunto il rovescio della medaglia, esattamente la parte opposta, il segmento messo di fronte, l’aumento del tuo piacere, per favorire e nutrire il mio portandomi alla mia successiva tortura, mentre tu ne eri l’artefice, il geniale ed estroso ideatore. Dopo t’ho guardato, non volendomi perdere neppure un istante dell’espressione del tuo sguardo, dal momento che avevo le labbra socchiuse, quasi incapace di controllare almeno quelle, ero in quel completo abbandono che precede la resa totale, fino a che non hai messo le tue mani sotto le mie natiche e m’hai spinto verso di te, dopo in modo graduale sei entrato fino a sentire il tuo cazzo introdursi dentro di me, trovandomi ormai umida e in attesa soltanto di te. Io ho allacciato le mie gambe intorno ai tuoi fianchi e con te ho iniziato quella danza che procura soltanto piacere e puro diletto, fino a che quella danza più veloce non m’ha quasi fatto farneticare, fino a inondare il tuo cazzo dei miei fluidi stringendolo e poi rilasciandolo, fino a non avere più forze abbandonandomi in ultimo interamente svigorita sopra il tavolo.

Tu hai perseverato, hai tenuto i miei fianchi e m’hai spinto contro di te, io ti restituivo ogni passo di quella danza cercando di stare diligentemente al tuo passo, sentendo il tuo piacere venire insieme con il mio, leggere per un attimo nel tuo sguardo, non più attualmente soltanto il buio né l’impenetrabile, bensì il piacere e il benessere più profondo e radicato, fino a rilassarci insieme distendendo il ritmo, recuperando e ritrovando noi stessi.

Dopo, ho accarezzato la tua testa amorevolmente distesa sul mio seno, impegnato nel baciarmi gentilmente.

{Idraulico anno 1999} 

 

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