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L’alibi perfetto

By 2 Ottobre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Il cuore iniziò rapidamente ad accelerare i battiti quando vide Stefano poggiato di schiena al portone del palazzo nel quale abitava. Lui, però, non la notò subito, intento ad armeggiare col suo smartphone. Fu solo dopo qualche secondo che l’inatteso ospite alzò gli occhi per incrociare quelli della donna.
Continuò a guardarla seguendo i suoi movimenti, passo dopo passo, senza muovere un muscolo. Ammirò i lunghi capelli corvini accarezzarle le spalle, lasciate nude da una canotta che stentava a coprire un seno sodo e abbondante. Una figura snella e due gambe lunghe e agili fasciate da jeans attillati completavano la figura di una donna decisamente attraente, che probabilmente aveva superato da qualche anno la quarantina, ma continuava a dimostrare un’età di parecchio inferiore a quella reale. Per rivolgerle la parola, aspettò che lei gli fosse accanto.
‘Buongiorno Francesca’, disse, tenendo sempre gli occhi fissi nei suoi.
‘Ciao’, replicò lei, con un sospiro irritato e rassegnato mentre cercava le chiavi nella borsa.
‘Posso salire?’.
‘Ho scelta, forse?’.
‘C’è sempre una scelta’.
Francesca aprì il portone, rivolgendo all’ennesimo aguzzino un sorriso amaro, seguito da un cenno della mano, per indicargli di precederla.
Non si dissero altro per lunghi, imbarazzanti minuti. Neppure durante il tragitto in ascensore.
Lei teneva gli occhi bassi. Quel giovane uomo la inquietava più di tutti gli altri. Non aveva saltato un solo incontro, era sempre stato presente, a scrutarla, a studiarla quasi come fosse una cavia da laboratorio. Eppure, era stato l’unico a non averle mai messo un solo dito addosso, a non aver mai approfittato di lei mentre veniva umiliata e usata nei modi più perversi e impensabili. Se ne stava in un angolo, guardando il tutto con apparente distacco. Non agiva, non parlava. Salutava con gelida cortesia all’arrivo e al momento di andarsene. Per il resto, era poco più che un fantasma.
Solo quando furono nell’appartamento e la padrona di casa richiuse la porta, il suo ospite prese nuovamente ad alimentare il discorso.
‘Che giornata’ fa un tale caldo oggi!’, disse, prendendo posto sul confortevole divano in ecopelle bianca addossato a una parete dell’ingresso-salone.
Francesca quasi lanciò sul tavolo le chiavi e la borsa, rispondendo con un tono rabbioso. ‘Falla finita con queste cazzate! Cosa vuoi da me, scoparmi? Allora forza, sbrigati, fai quello che devi fare e lasciami in pace! Lasciatemi in pace tutti!’.
‘Vieni qui. Voglio solo parlare con te, per adesso’, rispose lui, senza scomporsi.
‘Cosa c’è’, replicò la donna, avvicinandosi, ancora col volto paonazzo.
‘Mi interessa conoscere la vera Francesca’, disse, fissandola nuovamente negli occhi.
‘Vuoi conoscere la vera me? Davvero? Te lo dico io chi è la vera me, brutto pezzo di merda. La vera me era la Francesca serena e felice di un mese fa. Prima che quello stronzo di mio nipote trovasse le mie foto. Prima che decidesse di approfittare della situazione. Prima che coinvolgesse te e quegli altri bastardi pervertiti dei suoi amici! Ecco chi è la vera me! Ora smettila di torturarmi, fai quello che vuoi e sparisci, così lui sarà soddisfatto del resoconto’.
‘Tuo nipote non sa che sono qui. Nessuno lo sa. E nessuno lo saprà, indipendentemente da ciò che accadrà oggi’.
A quelle parole, la donna restò di sasso.
‘Cosa vuoi da me”, ripeté poi, con voce spezzata.
‘Voglio che getti via la maschera’.
‘Che vuoi dire?’.
‘Ti ho osservata bene, sai? Tu non sei la vittima di tutto questo, tu sei l’unica vera carnefice’.
‘Non capisco’.
‘A te piacciono certe attenzioni. Non subisci quei soprusi, tu li brami. Adori sentire tutte quelle mani addosso. Ami avere a disposizione tutti quei”.
‘Zitto, zitto, zitto! No! Non potete ricattarmi, umiliarmi in questo modo e farmi anche passare per la troia di turno, non funziona così! Non te lo permetto!’, rispose la donna, quasi urlando.
L’ospite, ancora una volta, non si scompose. ‘Credi che alzare la voce o imprecare possa intimidirmi? Be’, non è così, sprechi solo fiato e parole’.
Francesca serrò la mascella, mentre mille pensieri le affollavano la mente, senza tramutarsi in frasi di senso compiuto con le quali poter replicare a quell’affronto.
‘Tu non ti limiti a succhiare i loro cazzi. Tu li guardi, li ammiri, ti piace vederli eretti, duri, saperli eccitati grazie a te, al pensiero di approfittare del tuo corpo. E quando ti spogliano, per prendere completamente possesso di te, i tuoi capezzoli turgidi, le macchie umide sulle mutandine che ti vengono strappate, il tuo respiro accelerato, tradiscono quello che è il tuo vero stato d’animo’.
Francesca abbassò gli occhi al pavimento durante quelle parole. Avvertiva le guance e le orecchie in fiamme, mentre sembrava una scolaretta sgridata di fronte a tutta la classe.
‘Guardami’.
Nessuna reazione.
‘Guardami’, ripeté ancora Stefano, più lentamente e quasi scandendo le sillabe.
La donna alzò gli occhi fino ad incontrare quelli nocciola di lui.
‘Non è forse vero quello che ho appena detto?’.
‘Si”, replicò con un filo di voce e abbassando ancora lo sguardo a terra.
‘Non ti ho sentita. Guardami negli occhi e alza la voce. Non è forse vero che ti eccita essere oggetto di quelle attenzioni? Non è forse vero che ti piace essere scopata e venerata da tutti quei ragazzini?’.
Lei lo guardò. ‘Si, va bene. Hai ragione, sei contento? Sapere che mi desiderano, che sono tutti lì per me, se da un lato è umiliante, dall’altro mi eccita. Va bene, stronzo? Ciò non toglie che questa situazione mi faccia schifo, e volontariamente non avrei mai acconsentito!’.
‘Perché?’.
‘Come sarebbe a dire perché! Sei stupido, forse? Lo vedi anche tu a cosa vengo costretta ogni maledetta volta!’.
‘Ma hai appena detto che ti eccita’.
La donna restò in silenzio per un istante di troppo.
‘Vuoi sapere cosa penso?’, incalzò il ragazzo.
‘Non me ne”.
‘Io credo’, continuò senza curarsi di quell’accenno di obiezione, ‘che tu abbia trovato l’alibi perfetto. Hai trovato ciò che desideravi da sempre ma non riuscivi ad ammettere neppure a te stessa. Uomini che pendono dalle tue labbra. Che sognano di averti. Che la notte, nei loro letti, restano svegli ed eccitati a pensare a come poter godere di te il giorno successivo. Non aspettavi altro che essere una sorta di dea per così tanti ragazzi. Ma non avresti mai fatto nulla per realizzare questo tuo desiderio, sarebbe rimasto solo un pensiero che, al più, ti avrebbe portata qualche orgasmo solitario. Ti sarebbe mancato il coraggio di agire per realizzare una simile fantasia’.
Francesca inspirò e aprì la bocca per tentare di replicare, ma non ne uscì alcun suono.
‘Non sono loro ad usare te, sei tu ad usare loro. Ti scarichi del senso di colpa dettato dal perbenismo ingannando anche te stessa, crogiolandoti nel rassicurante ruolo della vittima, quando in realtà sei più pervertita di tutti loro messi insieme’.
‘Ma’ io”, balbettò la donna, guardandosi intorno con aria smarrita, come se si trovasse in un luogo mai visto prima di allora.
‘Spogliati’, la interruppe lui.
‘Perché dovrei farlo’, rispose Francesca, incrociando le braccia in grembo, come a volersi proteggere.
‘Perché alla tua collezione di ragazzini arrapati manca un pezzo. Non hai ancora usato me come hai fatto con loro. L’ho notato che con gli occhi mi cerchi spesso. Ti manda ai pazzi che uno stronzetto non cada ai tuoi piedi come tutti gli altri, vero?’.
‘Chi diavolo credi di essere, ragazzino. Pensi bastino quattro paroline a convincermi che tu abbia ragione?’, disse Francesca. ‘Vediamo se così la pianti di fare il professorino’, concluse, sfilandosi senza pathos ognuno degli indumenti indossati e non tentando minimamente di nascondere il grosso seno sormontato da capezzoli scuri e un pube ricoperto da un grazioso triangolo di peli.
Senza toglierle gli occhi di dosso, l’ospite sbottonò i pantaloni, estraendo un membro in parziale erezione. ‘Avvicinati e inginocchiati’, le disse nel suo consueto tono glaciale.
Francesca sorrise con la stessa aria di sufficienza di una maestra che guarda un bambino svolgere con difficoltà la sua prima, elementare, addizione. Si avvicinò a lui ancheggiando, per poi accucciarsi tra le sue gambe. Impugnò alla base un pene che, attimo dopo attimo, continuava vistosamente ad aumentare la sua consistenza e lo avvicinò alle labbra per imboccarlo.
Appena prima di poter assaggiare quella giovane carne, però, avvertì una mano afferrare i suoi capelli, impedendole di colmare i pochi centimetri che la separavano da essa. La donna alzò gli occhi, ad incontrare quelli del ragazzo. ‘Ti ho detto di inginocchiarti, non di farmi un pompino’.
Lei restò con le labbra appena schiuse, aspettando l’inevitabile seguito di quella provocazione.
‘A meno che tu non lo voglia, e non me lo chieda come si deve’, continuò Stefano, adagiandole su una guancia quel palo di carne ormai duro.
La donna sospirò come a mascherare un sorriso sdegnato, ma non poté fare a meno di chiudere gli occhi quando il membro del suo ospite le accarezzò la guancia sinistra, fino a portarle a contatto col labbro inferiore il glande completamente esposto e gonfio d’eccitazione. Francesca aprì la bocca, ma riuscì soltanto a saggiare la consistenza della carne turgida e calda, senza poter allungare il collo per riempirsi la bocca di quell’invitante scettro.
Le sfuggì un gemito appena accennato quando il grosso pene del ragazzo le scivolò sul mento. D’istinto, la donna aprì gli occhi, tentando, ora in maniera meno celata, di protendersi per recuperarlo.
Stefano, però, le tirò appena i capelli, costringendola a tenere lo sguardo rivolto a lui mentre avvicinava impercettibilmente l’asta al viso di Francesca, adagiandola contro le labbra e il naso. Nello stesso momento, colse il leggero movimento della mano di lei, che si insinuò tra le sue cosce a sfiorare il suo sesso.
‘Piantala di fare la sostenuta ora. Guardati. Non aspetti altro che assaggiarmi. Sei talmente eccitata che non riesci neppure a non massaggiarti la figa’.
A quelle parole, la lenta masturbazione iniziata da Francesca poco prima iniziò a farsi appena più intensa. Le sue dita, dopo aver allargato e giocato intorno alle grandi labbra, presero ad entrare e uscire lentamente dalla sua vagina già umida.
‘Vedi. Io e te siamo molto simili, in fondo. Anche a me piace essere desiderato. Ed è questo che voglio da te. Che accetti la vera te stessa, e mi chieda cosa realmente cerchi da me. Muovi più forte quelle dita, fammi sentire quanto ti eccita il pensiero di avere la tua bocca piena del mio cazzo’.
Senza quasi più controllo, la donna non poté fare a meno di aumentare il ritmo della masturbazione iniziata poco prima, riempiendo la stanza dei suoi sospiri e dei suoi gemiti sempre più evidenti, oltre che dello sciacquettio del suo sesso, stimolato con sempre maggior vigore e rapidità.
‘E ora chiedimelo, troia. Dimmi cosa vuoi’, incalzò il ragazzo, sempre tenendola per i capelli.
‘Si’ sono una troia’ la tua’ fammi assaggiare il tuo cazzo’ lo voglio’ ti prego”, implorò lei, biascicando per via del glande che, nuovamente, le occupava le labbra.
Stava ancora parlando quando il suo ospite le spinse la testa con violenza verso il suo membro, forzandole la bocca fino a farne entrare poco più della metà. Successivamente lo tirò fuori, inserendolo ancora una volta. E ripeté la medesima operazione più volte, con sempre maggior foga e rapidità, mimando un brutale amplesso mentre Francesca, ormai completamente fuori di testa, tormentava con tre dita e a folle velocità una vagina ridotta a un lago.
Vennero all’unisono, lei irrigidendosi e lasciandosi cadere sul pavimento, lui piantandole il suo membro quanto più a fondo possibile e quasi soffocandola col suo abbondante seme. Quando rivoli bianchi fluirono fuori dalla sua bocca, Francesca, invasata e in debito d’ossigeno, li raccolse con le dita ingoiando fino all’ultima goccia.
‘Ti voglio ancora’ voglio che mi scopi’ la tua troia ha ancora voglia di te’ per favore”, disse, senza ancora essere in grado di rialzarsi né di smettere di accarezzarsi tra le cosce.
Lui sfilò rapidamente i jeans e, una volta in piedi, imboccò il corridoio per dirigersi verso la stanza da letto liberandosi, al contempo, anche della maglietta. ‘Va bene. Però datti una mossa, non ho tutto il giorno’, le disse, senza neppure voltarsi a guardarla.

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