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Racconti di DominazioneRacconti Erotici Etero

Lalla(e).

By 2 Luglio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

La storia &egrave quasi scontata, nella sua banalità.

Io sono io, e come me ne hai conosciute molte.
Ci incrociamo tutti i giorni in metropolitana, sull’autobus, sul tram.

Sono io, quella che &egrave in giro negli orari in cui gli altri sono a lavorare.
Sono io, la studentessa universitaria di letteratura, di storia, di arte.
Sono io che vado a lezione alle dieci ed esco di casa alle nove e mezza, vestita come si deve vestire una studentessa di letteratura, con le scarpe da tennis tipo all star, ma non di marca, i jeans sbiaditi e un po’ larghi, la tshirt di una taglia troppo larga e la felpa che scende da una spalla.
I capelli, neri, sono legati in una coda.

Indosso le cuffie di un iphone vecchio di almeno due generazioni, e se potessi sentire cosa ascolto non lo riconosceresti, perché la musica che sento io non la conosce quasi nessuno.

D’altronde, sono una studentessa universitaria fuori sede, vivo in un appartamento da studenti universitari fuori sede, che condivido con una coinquilina e un coinquilino, che sopporto a malapena e che mi sopportano a malapena, e sto preparando un esame di letteratura russa (una gioia dietro l’altra…).

Non sono di qua.
Non vengo da lontano, la mia famiglia abita a’ ci vuole solo un’ora di treno, ma abbiamo deciso che per me sarebbe stato meglio così.

Sono un po’ una privilegiata, alla mia età vivo quasi da sola, in un appartamento in una zona tranquilla, e i miei mi passano abbastanza soldi per tirare avanti.

Poi, tra un esame e l’altro mi invento qualche lavoretto, cameriera, traduttrice, correttrice di bozze, ho anche fatto un po’ di call center e distribuito volantini in centro.

No, niente di quelle cose tipo PR di discoteche o locali per universitari, quelle sono cose per quelle che fanno quelli di giurisprudenza, economia o, meglio ancora, scienza delle comunicazioni’

Ed &egrave così che &egrave incominciata.

Una compagna di corso mi segnala che c’&egrave uno studio di professionisti che cerca una centralinista part time, per un paio di mesi.

Ho appena dato un esame, e prima di dedicarmi alla preparazione degli esami della prossima sessione ho tempo per dedicare ad un lavoro part time.

Mi presento al colloquio, vestendomi per una volta non da studentessa ma da brava ragazza, come piacerebbe a mia madre, per capirci.

Il colloquio va bene, in poche parole mi prendono.
Il lavoro comincia subito, ed &egrave facile, pagato decentemente e l’ambiente sufficientemente informale da farmi quasi dimenticare che questi uomini e donne in giacca e cravatta e tailleur rappresentano quel tipo di mondo e di visione della vita che mi sono giurata di non accettare mai.

Se no, avrei fatto legge o economia.

Uno dei soci anziani dello studio avrà quaranta, quarantacinque anni, ben portati.
Fisico asciutto, barba scura spruzzata di bianco, sempre molto formale.
Mi dai del lei, io lo chiamo ‘dottore’.

Ogni tanto lo scopro che mi guarda di sfuggita il seno, se ho una maglietta sottile o stretta, o il culo quando indosso i pantaloni, ma lo fa sempre con discrezione.

Tutto tranquillo, tutto normale fino alla settimana scorsa.

Quando una sera esco con il mio ex ragazzo ‘ &egrave una storia complicata, ci siamo presi e lasciati un po’ di volte, adesso siamo in un ‘periodo di riflessione’, ma siamo sempre amici e condividiamo le stesse compagnie’ vabb&egrave te l’ho detto che &egrave complicata ‘ e altra gente.

Tra gli altri mi presentano uno che ha qualche anno più di noi, diciamo tra i trenta e i trentacinque anni.
Ha finito gli studi anni fa e adesso lavora in una banca.
Già per questo mi sta molto sul cazzo, e decido di ignorarlo.

Però noto che quando lui mi parla, il mio ex ragazzo mi guarda di nascosto e, come dicono a Roma, rosica.

E’ geloso.
Strano, non lo &egrave mai stato degli altri.
Forse con questo &egrave diverso, perché &egrave più grande, perché non fa parte del nostro solito giro di studenti, alternativi, animalisti, sinistroidi, e quindi il mio ex lo vede come un avversario che non conosce.
La cosa mi intriga, e anche se mi sta sulle palle mi impongo di dedicarmi a questo tipo.

Insomma, la serata prosegue, io bevo qualche birra e un paio di chupiti ‘ lo so lo so che sono cose da ragazzina, che dovrei smettere, che fanno male etc., lo so lo so’ ‘ e parliamo anche del mio lavoro part time.

Quando gli dico il nome dello studio per cui lavoro mi dice che lo conosce, mi chiede
– ma &egrave lo studio che sta seguendo l’acquisizione della Robert Mitchum Ltd. da parte della Williams & Robbie Intl.? –
– sì!! ‘ rispondo io ‘ &egrave proprio la pratica che uno dei senior segue in questo periodo’ e io gli do una mano ‘ rispondo, esagerando il mio ruolo che, in realtà, si limita a scannerizzare, fotocopiare e archiviare mail e documenti.

La serata prosegue poi in tranquillità, ma al momento dei saluti lui mi prende da parte e si fa serio.

– senti, ma a te interesserebbe guadagnare un po’ di soldi, extra, diciamo diecimila euro? –
– che cazzo dici? Per chi mi hai preso? ‘ rispondo, mentre penso se sia meglio dargli un calcio nelle palle o uno schiaffo in faccia
– no, cos’hai capito??? ‘ si schermisce lui ‘ aspetta, ti spiego’ –

In poche parole, la banca per cui lavora &egrave coinvolta nell’acquisizione.
Hanno il dubbio che le informazioni che ricevono non siano corrette, e sanno che lo studio dove lavoro ha i file di tutta la documentazione.

Vorrebbero solo verificare che le informazioni che hanno sono corrette, mi spiega.
Non sarebbe un vero e proprio furto, perché in teoria loro quelle informazioni le hanno già’ sarebbe solo un modo per essere certi che non li stiano fregando, mi spiega.

Io ci penso.
Fanculo, mi dico.
Fanculo le banche, fanculo commercialisti, avvocati, consulenti.
Fanculo il sistema.
Io non ne faccio parte, io il sistema lo voglio combattere, cambiare, distruggere.
Se posso mettere un granello di sabbia nei loro fottuti ingranaggi e prenderci anche dei soli, allora ok.

– ventimila – dico
– devo chiedere, ma ti dico già che va bene. Però ci serve tutto entro tre giorni, che entro quindici giorni &egrave previsto il closing –

‘ma comecazzo parlate’, penso tra me, e poi dico ‘ non c’&egrave problema –
Col senno di poi, potrei dire che questa frase &egrave la versione 2.0 de ‘la sventurata rispose”

In realtà fu facile.

Da quando avevo iniziato a collaborare con il senior sull’acquisizione, mi avevano dato accesso a tutti i file relativi all’operazione, perché potessi essere operativa nel caso in cui il senior fosse fuori studio e avesse bisogno urgente di informazioni o documenti.

In pausa pranzo, mentre lo studio era semivuoto, inserii una chiavetta usb e copiai due intere cartelle di documenti.

Alla sera, incontrai l’amico, quello della banca.
Infilò nel portatile la chiavetta, e diede una scorsa rapida ai file, ne aprì un paio e sorrise.

– c’&egrave tutto, tutto’ –

Io non risposi, cercando di non far trasparire il mio disprezzo per lui e tutti quelli come lui.
Almeno, non finch&egrave non mi avesse pagato.

Lui chiuse il portatile, e prese una busta dalla tasca della giacca.
– ventimila. In cinquanta e cento, facili da spendere –
– grazie ‘ risposi io, fredda.

Me ne andai.
Un po’ mi sentivo come la protagonista di un brutto film americano, e un po’ pensavo a cosa avrei fatto di quei soldi.

Il week end passò, e io uscii e mi comprai dei vestiti, un nuovo lettore mp3, scarpe, e invitai le mie amiche in pizzeria, pagando io spiegando che al lavoro mi avevano dato un premio di qualche centinaio di euro.

Il lunedì tornai in ufficio.
Avevo deciso di restare ancora per qualche tempo, anche se non avevo più bisogno di soldi.

Alla sera, alle sei e mezza, il senior mi chiamò.

– Lalla –
Lalla non &egrave il mio vero nome, ma &egrave il modo in cui mi chiamano da sempre, e anche in ufficio avevano iniziato a chiamarmi così
‘ a che ora stacchi? –

– alle sette, come sempre –
– mi servirebbe un favore’ puoi restare qui fino alle otto, o in ogni caso, puoi tornare qui alle otto? Devo sistemare una cosa e mi serve una mano’ il tempo in più lo puoi segnare come straordinario –

Non c’era nulla di strano, avevo già visto che ogni tanto ad alcuni collaboratori era richiesto di restare oltre l’orario di ufficio, per dare un supporto su pratiche urgenti.

Rimasi alla mia postazione fino alle otto, e l’ufficio si svuotò.
Tutti i dipendenti erano usciti, e i professionisti erano tutti fuori per impegni e riunioni.

– Lalla? ‘ mi chiamò dal suo ufficio il senior
– eccomi –

Entrai nel suo ufficio, e mi fece cenno di sedermi in una delle sedie davanti alla scrivania, mentre lui finiva di leggere qualcosa sullo schermo del computer.

– Lalla, tu non sei un’appassionata di romanzi gialli, vero? ‘ mi chiese serio
Che domanda strana, pensai ‘ no, non proprio’ –
– certo, studi lettere’ probabilmente hai gusti, diciamo così, più’ raffinati –
Io non risposi.

– e non leggi nemmeno romanzi di spionaggio, quindi –
Sentii un piccolo brivido dietro la nuca, ma rimasi impassibile.
– no, non sono il mio genere –

– peccato ‘ sospirò lui ‘ peccato. Perché se avessi letto qualche libro di spionaggio, sapresti cos’&egrave la ‘trappola canarino’, e io mi risparmierei la spiegazione’ –

Io rimasi zitta.

Lui si alzò e camminando per la stanza iniziò a spiegare.
– cercherò di essere conciso. Allora, durante la guerra fredda, la CIA e il KGB inventarono un modo per incastrare eventuali spie. Ogni volta che di un documento o un dossier particolarmente delicato veniva data una copia a qualcuno, in questa copia erano ineriti degli errori, dei ‘marker’, diciamo così, che distinguevano questa copia da tutte le altre. Esisteva poi un registro con l’elenco dei marker associati alle singole persone. Così, quando per esempio la CIA scopriva che qualcuno aveva passato al KGB un documento segreto, doveva solo verificare quali marker fossero presenti su quello specifico documento, per capire chi fosse la ‘talpa’. &egrave chiaro, fin qui? –

Io annuii. Cominciavo a essere preoccupata.
Stai tranquilla, mi dissi.
Non succederà nulla.

– negli ultimi trent’anni ‘ proseguì lui ‘ molti ex funzionari dell’intelligence si sono messi in proprio, fornendo sistemi di protezione contro lo spionaggio industriale a multinazionali’. –

Mi guardò, poi continuò ‘ tu non lo sai, ma il nostro sistema di archiviazione dei file ha un algoritmo che inserisce dei ‘marker’ specifici nello script del file ogni volta che un file viene copiato, così siamo in grado di sapere dove, quando e da chi ogni singolo file &egrave stato utilizzato –

– Lalla ‘ mi disse ‘ sai perché ti racconto questo? –

Io scossi la testa.
Avevo paura che se avessi provato a parlare, non avrei fatto altro che balbettare.

Lui sospirò, stanco.
– va bene, come vuoi, andiamo avanti. L’acquisizione tra la Robert Mitchum e la Williams & Robbie &egrave saltata. Questo week end. La controparte ha contestato i dati su cui era stato articolato il deal. E soprattutto, quando noi abbiamo protestato, ci hanno trasmesso tutta una serie di documenti che, secondo loro, dimostrano la malafede dei nostri clienti –

Mi guardò.
Io rimasi ferma, zitta. Non mossi un muscolo.

Lui continuò a camminare per la stanza.
Mi passò dietro.
Io non mi girai, sentivo la sua voce dietro la mia testa.

– li hai presi tu. I file, li hai copiati tu –
– no io –
– no, zitta. Non dire nulla. Il controllo &egrave stato ripetuto tre volte da tre aziende di consulenza informatica indipendenti. Non ci sono dubbi –
– non sono stata io ‘ ripetei, alzando la voce.

Lui tornò davanti a me, e si sedette alla scrivania.
– lascia che ti spieghi cosa succede adesso. La nostra cliente ha perso un’operazione il cui valore, a spanne, era valutato di poco inferiore a one billion di dollari. Siccome sono americani, vogliono il sangue. Vogliono qualcuno a cui dare la colpa. Siccome i documenti vengono da questo studio, hanno detto che siamo stati noi. Quando gli abbiamo fatto vedere i dati, abbiamo discusso. A loro non interessa fare la guerra a noi, come studio: lavoriamo insieme da anni, e conosciamo tutti i reciproci scheletri nell’armadio: ci faremmo male tutti e due. Ma serve qualcuno, anche solo una persona, da sacrificare. Una testa da far cadere –

Mi guardò.

– mi licenziate? – chiesi

Lui spalancò gli occhi, stupito.
Poi, scoppiò a ridere.

– licenziarti? No, certo che no’ cio&egrave anche, ma non solo. Vediamo’ – disse, ed iniziò ad elencare, spuntando ogni volta un dito dalla mano aperta ‘ verrai licenziata, certo; poi, ci sarà una denuncia penale, per tutti i reati che qualche decina dei più incazzati avvocati del paese riusciranno a trovare: per ora, sono arrivati a circa dieci anni di carcere, ma stanno lavorandoci da solo due giorni’ poi, il risarcimento danni’ vediamo, diciamo che il danno &egrave di un miliardo di dollari, che in euro fa circa ottocento milioni’ quanto hai preso, per quei file? Spero almeno cinquecento milioni di euro’ per quella cifra forse accetteranno di non chiederti altri soldi’ e infine convocheremo il rettore della tua università’ lo sai che &egrave amico di almeno tre dei nostri soci’ la tua carriera universitaria, in qualsiasi ateneo italiano, ma direi anche del mondo civilizzato, &egrave finita, da oggi –

Io rimasi ferma, in silenzio.
L’enormità di quello che mi aveva detto mi stava lentamente colpendo.
– ma io’ –
e non trovai nulla da dire.

Lui mi guardò.
– tu sei una stronza. Una stronza arrogante. Una stronza arrogante, viziata e superficiale. Che pensa di essere furba, intelligente e decide di fottere qualcuno per il gusto di farlo, senza pensare alle conseguenze. Ecco cosa sei –

– cosa faccio? ‘ gli chiesi, quasi senza pensare
– niente. Dici addio alla tua vita, come l’hai conosciuta fino ad oggi. Da domani, la tua vita sarà un’infinta, lunga ed interminabile battaglia contro avvocati, decine di avvocati, tribunali, carte bollate, combatterai contro un avversario che impiega centinaia di migliaia di persone nel mondo, e buona parte di queste persone utilizzerà un po’ del suo tempo per rovinarti. E alla fine, andrai in prigione, e non potrai mai più vivere una vita normale –

Sospirò
– benvenuta nel mondo reale. E adesso vattene –

Passai una notte orribile.
Ero come persa, mi rigiravo nei miei pensieri senza nessuna logica, saltavo dalla paura alla negazione, alla rabbia, alla speranza.
Trovavo soluzioni improvvise, folli, pensai di ucciderlo, di dare fuoco allo studio.
Pensai di fuggire, in Africa o sud America, magari su internet c’era modo di trovare qualcuno che vendesse dei documenti falsi, in fondo avevo ventimila euro in contanti’

Mi addormentai.

Mi svegliai al mattino, con una consapevolezza.
Non potevo arrendermi.
Dovevo trovare una soluzione.
La prima idea che mi venne in mente fu quella di andare da un avvocato, ma la scartai.
Mi avrebbe piano piano succhiato tutti i soldi che avevo e alla fine mi avrebbe mollata, quando avessi finito i soldi per pagarlo.

Dovevo tornare in ufficio, parlare con il senior e trovare una soluzione.
Lui, forse, poteva ancora aiutarmi.

Andai in ufficio, e bussai alla sua porta.
Entrai.
Lui mi guardò, stupito. Certo non si aspettava che venissi al lavoro, oggi.

– dobbiamo parlare ‘ gli dissi
– no ‘ rispose ‘ anzi, &egrave proprio il caso che io non parli con te’ gli avvocati mi ucciderebbero solo perché ti sto rispondendo –

– cinque minuti. Dammi cinque minuti – insistetti
– non cambierebbe nulla – rispose
Sentii un nodo alla gola, e gli occhi mi si inumidirono.

Sto per piangere, pensai. Cazzo, sto davvero per mettermi a piangere davanti a questo stronzo.
Strinsi i denti e mi diedi un pizzicotto sul braccio, senza farmi vedere.
Il dolore mi calmò.

– ti prego. Cinque minuti – sussurrai
Lui sospirò.
– non adesso. Sono incasinatissimo. Anzi, sono incasinatissimo per colpa tua. Stasera, alle otto’ no, alle nove, tanto mi sa che resterò in ufficio fino a notte. Vieni alle nove –

Il tempo non passava.

Rimasi nell’appartamento, mentre la mia coinquilina fingeva di studiare ma giocava a un cazzo di rompicapo sul telefono, e l’altro coinquilino si fumava la terza canna del giorno.

– cazzo! ‘ sbottai ‘ non si respira qui dentro!!! ‘ e mi chiusi in camera, sbattendo la porta.

Cosa posso fare cosa posso fare cosa posso fare, mi ripetevo come un mantra.

Aprii l’armadio per buttar dentro due magliette che avevo lasciato sul letto, e mi vidi riflessa nello specchio dell’anta.
La tshirt da casa che indossavo era stretta, e poiché per stare comoda mi ero tolta il reggiseno, si vedevano i capezzoli attraverso il cotone sottile.

Mi fermai.
Mi guardai di nuovo.

Non pensarci nemmeno, mi dissi.
E chiusi l’anta dell’armadio, sbattendola.
Mi sdraiai sul letto.
Mi addormentai.

Mi svegliai che era sera, e decisi di prepararmi.
Mi tolsi maglietta e pantaloni.
Aprii l’armadio.
Di nuovo, mi guardai nello specchio.
Un po’ piccolina, e con i seni piccoli.
Ma magra, atletica, con un bel culo e delle belle gambe.

Non. Pensarci. Nemmeno.
Mi ripetei.

Ma poi, invece dei jeans e della tshirt e della felpa, scelsi una gonna nera al ginocchio, una camicia color terra, una giacca morbida e le scarpe col tacco, che avevo comprato l’anno scorso per il matrimonio di mia cugina.

I capelli raccolti.

Quando uscii dalla camera, l’inquilino dormiva, russando, sul divano mezzo sfondato.
La mia coinquilina mi guardò, fece un piccolo fischio e chiese ‘ serata importante? –
– non immagini quanto’ – risposi. E uscii.

Alle nove l’intero building era quasi vuoto, tutti erano fuggiti dai rispettivi uffici.
Entrai nell’ufficio, avevo ancora le chiavi.
Tutto il piano era deserto. Tutte le luci spente,
Solo la luce dell’ufficio del senior illuminava il corridoio.

– permesso? ‘ chiesi, battendo con le nocche sullo stipite.
– ah, sei tu ‘ disse lui, senza alzare gli occhi dal monitor ‘ entra –

Poi alzò la testa, e per un attimo mi squadrò, non abituato a vedermi vestita così, immaginai.
Ma durò un secondo, poi riprese l’espressione neutra di prima.

– cinque minuti ‘ disse, guardandomi con aria severa, e indicando l’orologio che aveva appoggiato sulla scrivania.

– senti’ – incominciai ‘ io non so cosa fare’ non so’ –

E all’improvviso la diga si ruppe.
Non ressi più.
Incominciai a piangere.
Così forte che non riuscivo più a parlare.

Lui aprì un cassetto e mi porse un fazzolettino di carta.

– io’ io’ – balbettavo, cazzo, sto balbettando, mi dissi, dì qualcosa, non puoi piangere e frignare e basta ‘ io’ io non voglio che succeda tutto quello che hai detto’ –

Di nuovo, una crisi di pianto.
Non riuscii a fermarmi, e andai avanti.
Finalmente, mi calmai un po’.

– senti’ – gli dissi ‘ senti, io’ chi decide? –

La domanda mi venne così, spontanea.
Non ci avevo pensato, mi usci dal nulla.

– in che senso? ‘ chiese lui
– la corporation, la multinazionale, gli avvocati, tutti’ tutti contro di me’ ma ci sarà, alla fine’ uno’ una’ una persona, una persona da cui dipende la decisione finale, qualcuno che abbia la parola definitiva su tutto questo casino’ –

Lui mi guardò, con un’espressione dubbiosa.
– una persona, dici? Non ci ho mai pensato, in realtà’ &egrave vero, sai, noi consideriamo le multinazionali come un ‘qualcuno’, ma poi alla fine di ogni processo decisionale c’&egrave sempre una singola persona’ perché vuoi sapere chi sia, nel tuo caso, questa persona? –

– per parlargli – risposi
– e cosa gli diresti, che non sa già? –

La domanda mi prese alla sprovvista.
Non avevo pensato a nulla di tutto questo, la mia domanda di prima era venuta fuori dalla disperazione, e quando lui mi aveva dato retta mi ci ero buttata’ non avevo idea di cosa dire.
Ero disperata.
Vedevo che si era aperto un piccolo spiraglio, ma si stava chiudendo.
Lui guardò l’orologio e buttò un occhio allo schermo del computer.

– gli chiederei cosa vuole per lasciarmi stare –
– dai, non farmi ridere’ – sbuffò lui
– ti ho già detto ‘ aggiunse ‘ che hai causato un danno da centinaia di milioni’ cosa pensi di poter offrire al gruppo perché ti lascino stare’? –

– non al gruppo’ a lui –
– a lui? –
– a lui’ alla persona’ a chi ha il potere di decidere’ –
– ah’ – disse, e rimase fermo, perplesso
– lo so che non ho nulla che interessi ad una multinazionale ma’ magari’ –

Lo sto facendo.
Lo sto per dire.
Cazzo, lo sto per fare, lo sto per dire.

– ‘magari ho qualcosa che interessa ad una singola persona –

L’ho detto.
Cazzo, l’ho detto.
Cazzo cazzo cazzo, l’ho detto.

Non &egrave stato difficile.

Non &egrave stato terribile.

Sì, &egrave stato terribile.

E’ così, che si sente una troia, la prima volta?

Ma guarda che pensieri del cazzo che mi vengono.

– &egrave un’offerta strana ‘ rispose lui, pensieroso ‘ sei sicura di quello che hai detto? –

Io non riuscii a rispondere.
Annuii.

– voglio capire ‘ disse, pensieroso.
– voglio capire se davvero esiste la persona che pensi. Se esiste, a quel punto sarà, diciamo così, mio obbligo professionale riferirgli della tua’ offerta? Posso definirla così? –

Un altro impercettibile cenno del capo.

– in tutti questi anni, sono stato portatore di offerte di corruzione, mazzette, minacce, regali, ricatti’ &egrave un mondo così’ per questo, ti dico che non credo che nessuno si stupirà più di tato dell’offerta. Devo solo capire se ci sia, qualcuno a cui riferirla –

– facciamo così ‘ aggiunse ‘ dammi tempo fino a domani sera. Di nuovo alle nove, qui. Non prometto nulla –

Io rimasi ferma.

– vattene –

Non sapevo cosa dire.
Cosa si dice, quando hai appena offerto’ non so nemmeno cosa, in fondo, avessi appena offerto.

– senti, io’ –
– a domani ‘ e riprese a digitare sulla tastiera.

Arrivai a casa che erano le dieci e mezza.
Ero stanca, stravolta.
Mi girava la testa, come se fossi ubriaca.
Mi sembrava di vivere circondata da una nebbia sottile.
Mi pesava ogni respiro.

In casa, la mia coinquilina era uscita.
Il coinquilino, era sdraiato in pantaloncini e maglietta sul solito divano.
Fumava l’ennesima canna della giornata.

– ”ao ‘ mi salutò, senza alzare gli occhi dalla tv

Andai in camera, mi tolsi le scarpe, la gonna, la giacca e la camicia.
Rimasi con l’intimo nero, semplice.

Una troia, mi dissi.
Come una troia.

Vaffanculo, mi dissi.

Sono una troia?
E va bene, sono una troia.
E allora, tanto vale esserlo fino in fondo.

Andai in soggiorno.
– dammi! ‘ gli dissi, allungando la mano.
Lui mi porse la canna, poi si bloccò quando mi vide, in piedi, con addosso solo mutande e reggiseno.

Presi un lungo, interminabile tiro dalla canna.
Trattenni il fiato, con gli occhi socchiusi, mentre lui non mi staccava gli occhi di dosso.

– vieni –
e mi girai, tornando in camera.

Lo feci sdraiare, gli tolsi i pantaloncini, la maglietta e le mutande.
Non gli guardai nemmeno il cazzo, notai solo che era già duro.
Mi tolsi mutande e reggiseno, e gli salii sopra.
Lo sentii gemere quando me lo infilai dentro.
Non ero ancora pronta, ma lo feci lo stesso, quasi con rabbia.
Sentii dolore, e mi concentrai su quello, spingendo ancora di più col bacino, fino a quando non lo sentii arrivare in fondo.

Poi cominciai a muovermi.

Venni dopo poco, o almeno così mi sembrò.
Scivolai via da lui, di fianco, nel piccolo letto.
Lui provò ad avvicinarsi, ad accostarsi, ma io non mi mossi, ignorandolo, con gli occhi chiusi.
Lo sentii muoversi, mettersi in ginocchio.
Dai movimenti e dai sospiri capii che stava masturbandosi mentre mi guardava.

Trattenne il respiro, si fermò e poi disse qualcosa tipo ‘oooooooh’.
Io socchiusi per un attimo gli occhi, e vidi che si premeva le sue mutande sulla punta del cazzo.
Bravo, pensai.
Non so cosa avrei fatto, se mi fosse venuto addosso.
Mi girai e tirai su le lenzuola.

Lui rimase fermo per qualche secondo, poi si alzò e lo sentii uscire e chiudere la porta.

Mi addormentai. Il mattino dopo mi svegliai tardi, e quando uscii dalla camera in casa non c’era nessuno.
Meglio così, non avrei saputo come affrontare il coinquilino.

Girovagai per la città, persi tempo in facoltà, finsi addirittura di seguire un paio di lezioni.
Il tempo sembrò non passare mai.

Poi furono di nuovo le nove, e fui di nuovo seduta davanti alla sua scrivania.

– la questione &egrave complicata – esordì

Io rimasi ferma, e zitta.

– ho passato la mattina la telefono, poi ho pranzato con due della corporation, e poi ancora sono stato in videoconference con gli americani –

Io annuii, non perché quello che diceva significasse qualcosa, per me, ma per non restare lì come una statua.

– sai, questa cosa &egrave una specie di, scusa il termine, bomba di merda. Nessuno vuole non dico toccarla, ma nemmeno avvicinarcisi –

– e poi, sei fortunata ‘ aggiunse ‘ davvero. Perché ho scoperto che in realtà l’acquisizione era stata decisa solo per far guadagnare dei soldi ad un parente di uno degli amministratori americani: quindi, quando la cosa &egrave saltata, in pubblico tutti si sono disperati, ma in realtà sono tutti felici di aver risparmiato i soldi’ –

Io rimasi zitta, e ferma.
Non volevo illudermi che le cose stessero andando bene, ma dentro di me sentivo crescere una piccola speranza.

– però, dall’altra parte, da un punto di vista formale il casino c’&egrave stato, e qualcuno deve decidere cosa fare. Solo che nessuno vuole prendersi la responsabilità di decidere –

Restò fermo, guardandomi negli occhi.
Io non riuscii a trattenermi ‘ e allora ?-

– e allora’ allora mi hai messo in un bel casino’ –
– perché? –
– perché’ perché’ perché hanno detto che quello che deve decidere sono io –

Io rimasi di sasso.
Dopo tutto, alla fine il mio destino era in mano alla persona che era qui, davanti a me.
Lo conoscevo, potevo parlargli, spiegare, convincerlo.

Era anche quello che avevo, in definitiva, tradito e ingannato.

– hanno detto che se io mi prendo la responsabilità di scrivere alla corporation che per motivi di immagine e altra inutile fuffa non &egrave il caso di proseguire nei tuoi confronti, la cosa si può chiudere così –

Non ci posso credere.
&egrave fatta.
Dai, cazzo, dai.
&egrave fatta.
Sono viva.
Sono salva.
Mi alzerei e lo abbraccerei.
Oh grazie, grazie, grazie cazzo, grazie.

– e io non so cosa fare –

Rimasi di sasso.

– in che senso? –

– non so cosa fare – ripeté

– come, non sai cosa fare??? –
– non so cosa fare. Lalla, cazzo, spiegami perché mai io dovrei mettere in gioco la mia faccia per salvare il tuo culo, e scusami se divento volgare. Perché io dovrei darti una mano? Cazzo, ho una tentazione enorme di lasciarti affogare nella tempesta di merda che hai scatenato’ –
– no!!! –
– e perché? Perché no? Ho praticamente passato l’ultima settimana chiuso qui, a cercare di salvare l’intera baracca dalle tue cazzate’ dammi un motivo, un solo, un unico, maledetto motivo per non lasciarti affondare, cazzo’ –

Sospirò, e scosse la testa.

– tu sei una brava persona’ ‘ gli dissi
– no, tu non mi conosci. Io sono educato. Gentile. Rispettoso. Formale. Ma non confondere questo con l’esser una brava persona. Se sono seduto da questa parte di questo tavolo, per metà &egrave perché sono bravo nel mio lavoro, ma per l’altra metà &egrave perché non ho mai fatto niente per niente, e ho sempre valutato i pro e i contro di ogni decisione, e non ho mai fatto niente da cui non avessi un guadagno maggiore della spesa’ –

– e quando penso a questa storia ‘ aggiunse, pensieroso ‘ non vedo nessun vantaggio, neppure minimo, ad aiutarti –

Il suo tono era cambiato.
Mentre parlava, era diventato via via più duro, distante, secco.
Quasi che si stesse convincendo da solo.

Dovevo fare qualcosa, stavo perdendo la sola occasione che avevo per salvarmi.

Lui scosse la testa, sospirò.
– mi spiace ‘ disse ‘ ma non credo che ci sia un solo motivo per cui io ti debba aiutare. Ho deciso. Questa conversazione &egrave finita –

Io mi alzai.
Mi tremavano le gambe.
Mi mancava il fiato.
Mi misi dietro alla sedia, mi appoggiai con una mano alla spalliera.
Presi un lungo respiro.

– l’offerta &egrave sempre valida ‘ dissi, a mezza voce
– cosa? –
– l’offerta. &egrave sempre valida – ripetei
– quale offerta? ‘ mi guardò senza capire
– quella che avresti dovuto’ quella per’ quella di ieri’ –

Ci mise qualche secondo.
Come quando all’improvviso metti a fuoco qualcosa attraverso il mirino di una macchina fotografica.

Poi, all’improvviso, capì.
Non disse niente.
Mi guardò.
Giunse i palmi delle mani davanti alla bocca.

– tu intendi’ – disse, e con una mano fece un lieve cenno verso di me, indicandomi
– sss’ sssì’ – annuii
– Lalla’ – sospirò ‘ tu sei una bella ragazza, lo sai tu e lo so io’ e non dico di non aver mai pensato’ immaginato’ però’ questo’ questo &egrave’ diverso e io non credo che’ –

– ho solo questo ‘ lo interruppi

Sentivo che era l’unica opportunità che avrei avuto.
Ero fredda, decisa.
Misi da parte ogni pensiero, ogni riflessione, ogni sentimento.
Li avrei affrontati, nel caso, dopo.
Adesso, volevo solo che lui accettasse.

– ho solo questo – ripetei

Mi spostai dalla sedia, e restai in piedi davanti a lui, nel centro della stanza.

– ho solo questo ‘ dissi per la terza volta ‘ ma questo, &egrave anche tutto quello che ho –

Lui si appoggiò allo schienale.
La pelle nera della poltrona scricchiolò, nel silenzio.

Mi osservò.
Di nuovo, giunse i palmi delle mani e li portò davanti alla bocca.
Io rimasi ferma.

Seguii il suo sguardo, dalla mia faccia, al collo, le spalle, i seni, la pancia, il ventre, le mani, le gambe, i piedi.

Percepivo ogni centimetro di stoffa dei vestiti che indossavo.
Ad ogni respiro, mi sembrava che i miei seni spingessero in fuori, contro il cotone bianco della camicetta, come non mi ero mai resa conto che facessero.

– cazzo! ‘ esclamò lui, all’improvviso.
Io quasi ebbi un infarto, dallo spavento.
– cazzo’ – ripet&egrave, piano, scuotendo la testa.

– cosa devo fare? ‘ mi chiese

Io rimasi in silenzio.
Lui anche.

Quando sembrava che fossimo lì, fermi e zitti da non so quanto tempo, presi un lungo respiro.
Chiusi gli occhi, li riaprii e dissi

– accetta –

Lui sorrise, per la prima volta da quando ero entrata in quella stanza.

– lo sai, che io, di lavoro, faccio trattative? –
– sì’ –
– e che la prima regola, in ogni trattativa, &egrave non accettare mai la prima offerta? –
– sì’ –
– bene. Allora siediti, e apriamo le trattative’ –
– va bene ‘ disse, scuotendo la testa ‘ facciamolo: parliamone. Non ho detto sì’, non ho detto no. Però sono curioso, lo ammetto. Quindi, parliamone. Poi deciderò –
– ve bene ‘ risposi io
– la mia parte del deal la conosci ‘ disse lui, poggiando le mani sul tavolo ‘ ed &egrave molto semplice. Io mi prendo il rischio e scrivo alla corporation che non vale la pena sprecare tempo, soldi e risorse per fare la guerra a te. Giusto? –

Io annuii.

– adesso, però, sono curioso di capire in dettaglio la tua parte del deal’ – e così dicendo si appoggiò di nuovo allo schienale della poltrona, e fece un gesto, come a dire ‘prego, tocca a te’.

Io rimasi in silenzio.
Cosa devo dire?, mi chiedevo.
Lo guardai, e mi sembrò di vedere che, dietro la faccia impassibile di esperto nelle trattative, ci fosse una scintilla di divertimento.

Si diverte, cazzo, mi dissi.
Questo stronzo si diverte’ dietro quella faccia da cazzo seria, dietro tutti i discorsi del cazzo’ si diverte!!!
E va bene, mi dissi, se vuole divertirsi, che si diverta.
A me non interessa.

– bhe’ – cazzo, cosa vuoi sentirti dire?, mi chiesi ‘ lo sai’ quello –
– ‘quello’? ‘ chiese, serio
– sì, quello’ puoi avermi –

Che odioso, arrogante, maledetto stronzo, pensai.
Si diverte, vuole sentirmi, ascoltarmi, guardarmi. Vuole torturarmi in questo modo subdolo e vigliacco.

– scoparti, intendi? –
– sì ‘ ecco, l’hai detto, ci voleva tanto? Ti &egrave piaciuto, dirmelo in faccia?

– &egrave troppo vago –
– vago? –
– vago, generico, indefinito, privo di dettagli tecnici, operativi, con un’alea eccessiva a carico mio –

Senti lì come si diverte a parlare di scoparmi come se parlasse di un contratto per comprare delle azioni o dei titoli.

– e quindi? –
– e quindi ‘ rispose, e questa volta non riuscì a nascondere un breve, piccolo, veloce sorriso compiaciuto ‘ e quindi voglio i dettagli –
– dettagli’ –
– dettagli – ripet&egrave
– non capisco, cosa vuoi sapere? –
– non so, per esempio’ per quanto tempo? –
– per quanto tempo? ‘ cosa cazzo intende, per quanto tempo?
– sì. Per quanto tempo avrò’ potrò averti? –
– io non’ no so’ – per quanto tempo????
– non penserai mica di cavartela con una scopata e via, no? Sei più intelligente di così, Lalla’ Sii realistica. Per quanto tempo? –

Ma guarda tu questo.
Mi vuole avere a disposizione’
– un giorno? –
– io direi un mese –
– no –
– una settimana –
– due giorni –
– un weekend, da venerdì sera a lunedì mattina –
– no, un’ –
– un weekend, da venerdì sera a lunedì mattina. Punto –

Cazzo. Un intero fine settimana con questo stronzo.
Cazzo.

– va bene –
– e cosa avrò, in questo lungo weekend, se accetto la tua offerta? –

Cosa cazzo ha in mente? Mi vuoi scopare? Va bene, dimmelo, scopami e poi scompari dalla mia vita. Cosa hai in mente, brutto stronzo?

– bhe’ non so’ potrai’ fare. Fare, le cose –
– risposta vaga e insoddisfacente –
– cosa vuoi che dica? –
– non so’ potresti dire, per esempio, ‘avrai tutto ciò che vuoi’ –

Ecco, ho capito.
E’ un maniaco pervertito.
Questo non si accontenta di una scopata e un pompino’ cazzo, in che situazione di merda che mi sono messa.

Sospirai.
– avrai’ avrai tutto ciò che vuoi –
– mi fa piacere sentirtelo dire. Non sono sicuro che tu abbia interamente idea di cosa sia ‘tutto ciò che voglio’, ma avremo tempo per ritornarci su –

Sorrise.
Mi guardò.
Poi si fece serio.

– va bene, Lalla, va bene –

Mi guardò di nuovo, fisso, negli occhi.

– adesso, vedremo se fai sul serio –

Io non dissi nulla.

– come in tutte le trattative, siamo al punto in cui il compratore chiede di poter visionare la merce’ –

Visionare la merce? Visionare la merce??? Ma come si permette’ ma cosa crede di potere’

Poi mi bloccai.

Ha ragione lui.
Io mi sto offrendo, come una puttana, e lui mi tratta come tratterebbe una puttana.
E va bene, maledetto stronzo, vuoi la puttana? Eccola, la tua puttana.

– va bene ‘ annuii, fredda.
– alzati –
Mi disse, con tono neutro.

Mi alzai.
– là, in mezzo alla stanza. Sposta la sedia, mettila contro il muro, in fondo –

Eseguii.
Sentivo i suoi occhi addosso.
Sposati la sedia e mi fermai, dritta, in mezzo alla stanza.
Lui mi guardò, mi scrutò, mi osservò.
Guardò tutto il mio corpo.
Non mi era mai successo di essere guardata così, in maniera diretta, brutale.

Sono abituata agli sguardi, alle occhiate, alla testa girata a guardarmi mentre mi allontano, ma mai così, in modo diretto, senza nessun pudore.
Mi sentii umiliata.
Sentii freddo.

Senza dir nulla, lui alzò il dito indice e lo ruotò.
Capii, e lentamente mi girai, mostrandogli la schiena.
Fu ancora peggio.
Essere guardata così, con quella sfacciataggine, senza poter nemmeno vedere la sua espressione.
Mi tenne lì per un tempo che mi sembrò non finire mai.

– girati –
– la giacca ‘ mi disse

Io lo guardai, senza capire.

– togli la giacca. Guardandomi. Poi girati, cammina fino alla sedia, appoggia la giacca sulla sedia e torna al centro della stanza –

Mi tolsi la giacca, guardandolo.
Mi sembrò di essere già nuda.
Mi trattenni dal coprirmi con le mani.
Mi girai, camminai, posai la giacca e tornai in mezzo alla stanza.

– gonna o camicia? –
– cosa? –
– cosa vuoi togliere, adesso, la gonna o la camicia? –

Cazzo.
Questo stronzo mi vuole far spogliare, un pezzo per volta.
Non ce la faccio.
Adesso prendo la sedia e gliela butto addosso, adesso gli salto addosso e con il tagliacarte lo uccido, adesso gli do un calcio nelle palle e poi’

– camicia – sussurrai
– avanti –

Slacciai la camicia.
Me la sfilai.
Non resistetti, e i coprii il seno con il braccio sinistro.

– fammi vedere –

Abbassai il braccio, e lui guardò il mio reggiseno nero, i miei fianchi, le mie spalle, e poi mi fece un cenno, verso la sedia.
Andai e misi la camicetta insieme alla giacca.
Tornai indietro.

Lui non disse nulla, ma fece un cenno con la mano destra, dall’alto verso il basso, guardandomi.
Io capii.

Slacciai la cerniera della gonna, e lentamente la abbassai.
Quando fu ai piedi, feci mezzo passo a lato e uscii dalla gonna, prendendola in mano.
Non avevo le calze, e lui rimase a guardare le mie gambe, e le mie mutande nere.

Di nuovo, fece quel gesto circolare con il dito indice.

Io mi girai, e sentii, giuro, sentii, fisicamente, i suoi occhi passare avanti e indietro sul mio culo.

– vai. Lentamente –

Andai, lentamente.
I suoi occhi erano come mani gelide sulla mia schiena, sul mio culo.
Mi imposi di essere fredda, di estraniarmi.

– reggiseno ‘ disse, quando fui di nuovo nel mezzo della stanza

Mi slacciai il reggiseno, lo tolsi.
Mi coprii i seni con le due mani.
Non riuscii a non farlo.

Lui non disse nulla, mi guardò.
Rimase fermo, zitto, con lo sguardo fisso.

Sta aspettando, lo stronzo.
Non vuole dirmelo.
Vuole che sia io, a farlo.
E va bene.
Che sia.

Lentamente, tolsi le mani dai seni e le allungai sui fianchi.
Lui sorrise.

Ho dei bei seni.
Una seconda, piccoli, ma sono sodi e tondi.
Mi sono però sempre vergognata dei miei capezzoli, anche quando vado in palestra o in qualche spogliatoio, cerco di farli vedere il meno possibile.
Ho capezzoli molto scuri, marroni, con le areole larghe. Sembrano i capezzoli di un altro paio di tette, attaccati per caso sui miei seni.

Lui li vide, e sorrise.

– mmmmh’ però –
Io diventai rossa, più per il suo commento che per essere qui, praticamente nuda, davanti a lui.

Lo odiai ancora di più, se mai fosse stato possibile.

– e ora’ – disse ‘ il gran finale’ –

Lo feci in fretta, come se fossi in un camerino di un negozio.
Leviamoci il pensiero, e non diamo soddisfazione a questo stronzo.

Mi abbassai le mutande.

– lo sapevo.. ‘ sorrise lui ‘ ci avrei scommesso’ una alternativa eco chic sinistroide come te non poteva avere la figa depilata’ ma quelli ‘ mosse il dito in direzione deli peli che ricoprivano il mio inguine ‘ devono sparire. Tutti. Davanti e di dietro’ e adesso vai –

Malgrado i miei sforzi per rimanere indifferente, sentivo di avere le guance in fiamme, per la vergogna, l’umiliazione e anche la rabbia.
Maledetto stronzo.

Guarda tu se devo vergognarmi e sentirmi umiliata da un porco bastardo perché non mi depilo la figa come tutte quelle troiette che girano la città.
Bastardo.
Gran bastardo.
Maledetto bastardo.

– ferma! –
Mi fermai, proprio davanti alla sedia, dandogli le spalle.

– appoggia le mutande sulla sedia –
Eseguii.
– adesso, allarga le gambe. Di più. Di più. Ancora di più. Ecco, così –
Avevo i piedi più larghi delle spalle.
Sentivo che i miei glutei si erano allargati, e che lui guardava in mezzo alle mie gambe.
– appoggia le mani sulla sedia. No, non sullo schienale’ brava, lì –
Appoggiai le mani sulla seduta della sedia.

Lo sapevo, cosa stava facendo.
Per appoggiare le mani sulla sedia mi ero piegata in avanti, e il mio culo si spinse in fuori.
I glutei si allargarono ancora di più.
Mi sentivo esposta, vulnerabile.
Nuda, profondamente nuda.

– appoggia i gomiti, adesso, sulla sedia –

Ero così scoperta, aperta, vulnerabile, che mi sembrò addirittura di sentire l’aria, fredda, scivolare lenta sulla mia figa e sul mio ano.

Non so quanto mi tenne così, ma a me sembrò un’ora.

– va bene. Vestiti, e vattene. Ti chiamo entro domani sera. Se non mi senti, vuol dire che la tua proposta non mi interessa –

Quando uscii, nell’aria fresca della notte, guardai l’ora sul cellulare.
Era passato solo un’ora, da quando ero entrata.

Mi era sembrata una notte intera.

Piansi.
Dev’essere un virus, che ti passano quando ti iscrivi all’università.
Insieme al tesserino, ti passano il virus del sonno.

Io, finch&egrave non ho iniziato l’università, non ho mai avuto sonno.
Cio&egrave, avevo sonno, certo, ma un sonno normale, diciamo.

Adesso, da quando studio, ogni risveglio &egrave una lotta infinita; mi sembra di dover emergere dal fondo di una palude, di dover quasi risorgere da uno stato di morte apparente’

Vabb&egrave, era per spiegare che io, quando mi sveglio al mattino, ci metto tipo mezz’ora.
Prima una lenta, morbida e leggera consapevolezza di me comincia a farsi strada nel sonno. Piano piano, questa consapevolezza accende una piccola luce, nel mio cervello, alla quale mia aggrappo, e che mi trascina, quasi a forza, verso il risveglio.

Da lì, ad aprire gli occhi, poi, il tempo &egrave un concetto vicino all’infinito.

Anche stamattina &egrave così.
Mi sembra di dormire da mille anni.
Sento che mi sto svegliando, lenta.
Sento il mio respiro, sento le mie palpebre chiuse.
Respiro più a fondo, e mi stiracchio.

Tendo lenta i muscoli del corpo, delle gambe. E all’improvviso, &egrave come se un ferro arroventato fosse infilato nel mio ano, nel mio culo, profondamente, fino all’intestino.

‘aaaah’, e contraggo i muscoli del sedere e della schiena.

Così facendo, sento i miei seni, indolenziti, doloranti.

E mi accorgo che anche là, intorno alla figa, sento come un gonfiore, un calore, un fastidio.

Cosacazzo&egrave???? Mi chiedo, e apro gli occhi.

Dovecazzosono???? Mi domando, vedendo questa camera, che non &egrave la mia.

Sento una presenza accanto a me, e mi giro.
Nella penombra delle tapparelle mezze abbassate, lo vedo.
Lui.

Ecco, adesso ricordo.
Ricordo dove sono, ricordo chi &egrave lui, e ricordo soprattutto perché questo dolore e queste sensazioni.

– buongiorno, ben svegliata ‘ mi dice lui, con voce impastata di sonno

Poi si gira a pancia in giù, sposta il lenzuolo.
&egrave nudo, e bofonchia:

– leccami il culo –

Io mi avvicino, e mentre appoggio le mani sulle sue natiche, le allargo e abbasso la testa verso il suo ano, ripenso a stanotte.

***

Arrivai alle sette e mezza, come d’accordo.
Suonai al citofono che mi aveva detto, salii.
La sua casa era come la avevo immaginata, ma più bella.
Più grande.
Arredata con mobili moderni, di design.

Quei mobili che ti fanno capire perché le cose dell’Ikea costano poco, per intenderci.

Arte moderna alle pareti, non poster.

Profumo di pulito.
Niente odore di cicche fumate e lasciate nel posacenere per tutta la notte.
Niente odore stantio di mariuana.
Niente odore di calzini, o di amici sudati che sono andati via tardi.
Niente odore di lettiera del gatto che dovevi pulirla tu no questa settimana toccava a te ma io sono stata via.

Profumo di casa.
Casa di una persona adulta.
Casa sua.

– benvenuta ‘ mi saluta sulla porta, che chiude dietro di me.
A chiave.

Non so perché, ma il rumore della serratura che gira mi spaventa.
Resisto all’impulso di girarmi ed andarmene.
Lui mi fa strada.
Indossa pantaloni che penso si definiscano ‘sportivi’ color sabbia, e una camicia azzurra con le maniche arrotolate.

Si siede sul divano, con le gambe accavallate.
Noto che &egrave scalzo.
Ha dei bei piedi.

Io mi fermo in mezzo al soggiorno.

– hai portato tutto? ‘ mi chiede, indicando il borsone che ho in mano
– sì –
– appoggia lì ‘ e mi indica un angolo

– resta ferma, voglio guardarti –
Eseguo.
Indosso jeans, una tshirt, un giubbotto largo, sneakers.

– sai ‘ mi dice pensoso ‘ avevo in mente una cosa articolata’ farti vestire in un certo modo, poi farti ballare, spogliare lentamente, giocare con te’ ma adesso che sei qui ‘ aggiunge alzandosi ‘ ho cambiato idea –

Mi viene accanto, poi mi gira dietro.
Sento i suoi occhi sulla nuca, tra le spalle.

– adesso che sei qui ‘ ripete ‘ voglio scoparti. Subito. Avremo tempo, per giocare –

Non rispondo.
Non ho niente da dire.
E vedo che lui torna verso il divano, e capisco che nemmeno lui si aspettava che dicessi qualcosa.

Resto ferma.

Ci siamo, mi dico.
Tieni duro.
Lascia che succeda.
Sei arrivata fin qui, &egrave solo un altro passo.
Durerà poco, e poi sarà finita.

– spogliati –
mi dice, guardandomi

Eseguo.
Tolgo il giubbotto ‘ dove..? –
– a terra ‘ risponde lui

Mi infastidisce buttare le mie cose a terra, anche se mi passa per la testa il pensiero che probabilmente &egrave più pulito il suo pavimento che il divano di casa mia, da dove ho preso il giubbotto prima di uscire.
Ma guarda che pensieri del cazzo.
Alla fine ce l’hai fatta, mamma, penso, un po’ ti assomiglio.
Ma guarda te che pensieri del cazzo del cazzo del cazzo, mi ripeto.
E mi concentro.

Scarpe.
Maglietta.
Pantaloni.
Reggiseno.

Tieni duro.
Neutra.
Non ci pensare, fallo e basta.

Mutandine.

– bene ‘ dice lui, mentre sorride indicando il mio inguine, completamente depilato ‘ bel lavoro –

Vaffanculo, penso, sapessi quanto male mi ha fatto.

– vieni, per di là ‘ si alza ‘ cammina davanti a me –
e mi indica la strada.

Andiamo lungo un corridoio, bianco, illuminato da faretti nel soffitto.
Lui resta un paio di passi dietro di me.

Mi sta guardando il culo, mentre cammino.

Lo so, lo sento.
Sento anche che sorride.
Sento la sua eccitazione.

Non so come sia possibile, ma mentre sono qui che cammino, nuda davanti a lui, ho la percezione del suo cazzo che diventa duro.

Lo sento.

– a destra ‘ mi dice
ed entriamo in una camera da letto.

Un letto matrimoniale, king size.
Lenzuola, bianche.
Luce, forte.
Lo specchio, grande, sull’armadio bianco, sulla parete di destra.

– spogliami ‘ dice

Io mi avvicino, e prendo il primo bottone della sua camicia.
Sento il suo respiro. Siccome guarda le mie mani, il suo respiro caldo sfiora il mio collo e i miei seni.
Non &egrave una brutta sensazione.

Mi concentro sui bottoni.

&egrave il primo contatto fisico che ci sia mai stato tra noi.

Slaccio i bottoni.
Le mie dita sfiorano la sua pelle sotto la camicia.
&egrave calda.
Dopo che ho slacciato tutti i bottoni, lui allarga le braccia.
Gli sfilo la camicia.

Lo guardo.
Ha un bel fisico.
Asciutto.
So che fa sport, spesso in studio arriva con una borsa da sport.

– avanti ‘ mi richiama lui
faccio per slacciare i pantaloni

– no, in ginocchio, per fare questo –
mi inginocchio.

Ho il suo inguine davanti alla faccia, e vedo il suo cazzo spingere sotto la stoffa dei pantaloni.
Alzo le mani e inizio a slacciare la cintura, di cuoio marrone, morbida, vecchia.
Bella, mi dico.

– sfilala –
la tiro da un lato, e la cintura esce dai passanti.
– dammela –
gliela do, e lui la avvolge come una corda, e poi la butta sul letto.

Non ci faccio caso.

Slaccio i pantaloni, che hanno quella strana combinazione di bottoni, bottoncini e graffette che hanno i pantaloni da uomo ‘seri’.
Ci metto un po’.
Non riesco.

– così ‘ dice lui, finendo, e i pantaloni scivolano verso il basso, a terra.

Ho sempre invidiato questa cosa agli uomini, penso.
Con i fianchi stretti, o comunque non larghi come noi donne, quando slacciano i pantaloni non devono fare quell’imbarazzante balletto agitando il culo e spingendo in giù, sperando che non si strappi nulla.

Ancora una volta, lui mi richiama alla realtà.
– avanti ‘ alza un piede, poi l’altro, e io sposto i pantaloni e li appoggio lì, a terra.

Alzo gli occhi: indossa boxer neri, aderenti.
Il cazzo spinge.
Lo porta a destra, noto.
Chissà come fanno, a decidere da che parte metterlo’

Forza, mi dico.
&egrave solo un uomo.

Prendo l’elastico dei boxer, e lo abbasso.
Il cazzo resta impigliato, io abbasso un po’ più forte e il cazzo torna su, libero.

‘boing!!!’, penso, ma per fortuna non rido.

Però questa cosa, di come il cazzo rimbalza in su e in giù, mi &egrave sempre sembrata buffissima’

Abbasso i boxer, e glieli sfilo.
Lui non si &egrave mosso.

Finalmente alzo gli occhi, e mi trovo il suo cazzo davanti alla faccia.

Non ha un brutto cazzo, dai.
Non &egrave enorme, e non &egrave piccolo.
Normale.

Certo, mi sorprendo a pensare, non piacerebbe alla mia amica Sonia, che da quando &egrave stata con quel senegalese che va e viene da scienze politiche, la mena a tutte con il suo ‘once you go black you never come back’, ma io non sono convinta che un cazzo troppo grosso sia davvero meglio.

Certo, anche Anto, quando ci ha raccontato di quel cinese per lo scambio culturale’ ecco lì forse si era sotto i minimi sindacali’

Tutti questi pensieri, in un attimo.

Ha un cazzo normale, mi dico.
Per un attimo avevo temuto che fosse deforme, o malato, o chissà cosa.

Se devo farmi scopare, va bhe, che mi scopi con questo.
Ho visto di peggio.

Alzo gli occhi, lo guardo.

– pronta? ‘ mi chiede

Che domanda del cazzo.
Brutto stronzo, penso, no che non sono pronta.
Ci sono mille altri posti dove vorrei essere, adesso, invece che qui, coglione.

Annuisco.

– bene ‘ sospira lui ‘ allora leccamelo –

E’ circonciso, noto.
Chissà se &egrave ebreo.
Non &egrave il caso di chiedere, almeno non adesso.

Lui abbassa la mano destra, e si afferra la base del cazzo.

Rimango sempre stupita di come gli uomini riescano ad essere violenti, a fare gesti pieni di forza maneggiando il loro cazzo, e come tuttavia questi stessi gesti siano controllati e dolci.

Si tiene il cazzo fermo.

Io avvicino la bocca, poi tiro fuori la lingua.

Leccalo, mi dico.
Prima comincia questa cosa, prima la finiamo.
Fallo contento.
Fallo godere.
Fallo venire, cazzo.

Spingo fuori la lingua, e gli do una leccata, forte, alla cappella, da sotto in su.

– piano ‘ dice lui ‘ mettici impegno, non fare la stronza con me –

La sua voce &egrave subito dura.
Va bene va bene, allora farò la brava troia che ti sei comprato.
Eccola qua, la tua troia.

Adesso con la lingua sfioro la punta del glande, e subito sento il bagnato, e il liquido viscoso che si attacca alla lingua.
Continuo.
Lui sposta il cazzo un po’ di lato, e io capisco e lecco a destra, poi a sinistra, poi sotto.
Sono concentrata.

Poi lui ferma il cazzo davanti alla mia bocca.
Io mi fermo.
Si muove, e appoggia la cappella alle mie labbra.
La tiene ferma lì.
Sento il suo odore.

&egrave l’odore del cazzo, lo conosco.
&egrave odore di uomo, di maschio, di pelle, di liquidi, di eccitazione.
Non &egrave un cattivo odore.

– guardami – dice

Alzo gli occhi, e lo vedo.
Si sta godendo questo momento, lo vedo chiaramente.

Chissà quante seghe ti sei tirato, brutto porco, pensando proprio a questo.
Tengo lo sguardo fisso nel suo. Chissà se capisce quanto lo odio, lo disprezzo in questo momento.

Sì, lo capisce.
Cazzo, lo capisce.
E gli piace ancora di più.
Cazzo, come lo odio.

Lui, lentamente, spinge in avanti il cazzo.

Non riesco ad aprire la bocca.
Non riesco, cazzo, non voglio.
Resisto.

Mi mette una mano dietro la nuca.
Senza stringere, mi afferra i capelli.
Non mi fa male, ma sento la sua forza.

&egrave una cosa che mi ha sempre colpito, la forza degli uomini, dei maschi.
Non te ne rendi conto, poi succede qualcosa, si litiga, o si gioca, o si fa la lotta, o si scopa, e all’improvviso tu ti rendi conto che se lui volesse, potrebbe alzarti e buttarti contro il muro, o spaccarti un braccio, o inchiodarti a terra, o al letto.
Che sta usando solo una piccola parte della forza che ha.

Con quella mano dietro la nuca percepisco proprio questo genere di forza.

Spinge con il cazzo, e mi tiene ferma la testa.

Ah sì?, ah sì? Vuoi entrarmi in bocca???
E va bene, fatti strada, cazzo; tra i denti, cazzo.
Guadagnati questa bocca, cazzo.

E lui lo fa.
Spinge.
Io tengo i denti chiusi, poi li apro leggermente, e quando sente il varco lui spinge più forte, io faccio forza con le mascelle e lui spinge, io apro lentamente e sfrego i denti su tutta la maledetta cappella di questo stronzo.

L’ultimo ragazzo a cui ho fatto un pompino ‘ un coglione che studia letteratura russa, come si fa nel 2014 a studiare letteratura russa’ – era saltato su tenendosi il cazzo con le mani perché a un certo punto avevo stretto appena appena i denti, per farglieli sentire’ pensavo gli sarebbe piaciuto e invece quel coglione ha gridato ‘cazzo mi hai morso’. Un pompino in meno nella mia vita, peggio per lui.

Invece lui, questo lui intendo, questo qui, si fa strada tra i miei denti spingendo.
Ed entra.
Cazzo, non posso non aprire la bocca, a un certo punto.

Quando la sua cappella &egrave dentro la mia bocca, si ferma.

&egrave caldo, umido, gonfio, e non ha nessun sapore particolare.
Mi aspettavo che spingesse con forza, ero già pronta a trattenere il fiato e a controllare l’istinto di vomitare quando mi avesse spinto il cazzo in gola.

Invece si ferma.

Solo la cappella &egrave dentro la mia bocca, e le mie labbra circondano l’asta, che sporge ancora quasi tutta dalla mia bocca.
Osservo il suo inguine, i peli neri e ricci.

– guardami – ripete
io alzo gli occhi.

Lui mi osserva, fermo, per un lungo periodo di tempo.
Si sta godendo questa immagine, capisco.

Poi sospira ‘ adesso ‘ dice, e toglie la mano dalla mia nuca ‘ succhiamelo –

Io chiudo gli occhi, e porto una mano alla base del suo cazzo, lo afferro come ho visto fare a lui prima, con dolcezza ma forza.

Lui geme e sospira.

Leviamoci il pensiero, cazzo, penso.

Apro gli occhi, e vedo lui che ha girato la testa di lato e osserva la scena riflessa nello specchio.

Non voglio guardare, non voglio guardare, non voglio vedermi così.

Mi guardo.
Che alla fine un pompino &egrave un pompino.

Quindi cerco di svuotare la testa da ogni pensiero, non penso a lui, a me, a tutto questo, a dove sono e all’essere nuda, in ginocchio, davanti a lui.

Penso solo al suo cazzo, alla mia bocca e al modo per farlo venire il prima possibile.
Mi impegno.
Lo massaggio con la mano, e gli accarezzo anche le palle (questo me l’ha detto il mio ex, un giorno quando un po’ ubriachi, a letto, gli chiesi come avrei potuto migliorare la mia tecnica’).

Paola insiste che quando si fa un pompino, a un certo punto si deve anche massaggiare l’ano dell’uomo e poi, quando &egrave già molto eccitato, gli si deve infilare un dito su per il culo’ ma quando ho provato a farlo al mio ex ragazzo mi stava quasi per prendere a schiaffi.

Lui non fa nulla, ma lo sento che sospira.
Sento che gli piace, perché il cazzo diventa ancora più duro, la cappella si gonfia di più e il liquido, caldo e leggermente salato, si mescola con la mia saliva.
Lui incomincia ad assecondare il mio ritmo muovendosi avanti e indietro.

Poi, naturalmente, lo fa.

Mi mette le mani dietro la nuca, e io so cosa sta per succedere.
E prendo un respiro profondo.

Lui, lentamente ma con forza, inizia a spingere il cazzo in fondo, oltre alla mia bocca, in gola.
Lo sento battere contro la parete della gola e tentare di infilarsi giù.
Non riesco a respirare, e mi viene un conato di vomito.
Faccio per allontanarmi, ma lui se lo aspetta e con le mani mi tiene bloccata la testa.
Un altro conato di vomito, e lo guardo per fargli capire che mi sta facendo male.

Lui mi sta guardando, da su, e vedo che lo sa, che mi sta facendo male.

E gli piace.

Mentre ci guardiamo negli occhi, io con il suo cazzo piantato in gola, lo stomaco che sta per rovesciarsi e senz’aria, e lui con le mani che mi tengono bloccata la testa, lui da un altro colpo, spingendo il cazzo ancora più in fondo, se mai fosse possibile, e poi lo tira fuori.

Io respiro, a bocca spalancata, tossisco, sputo.
Non faccio in tempo a fare due respiri completi che lui dice
‘ ancora –
e mi spinge di nuovo il cazzo in gola.
Non ero pronta, questa volta, e non ho preso aria.
Mi sento soffocare.

Soffocata da un cazzo in gola, mi dico mentre annaspo.

Sarà un grande titolo sul Corriere, mi viene da pensare.

Quando penso che morirò lì, lui esce di nuovo.
Io mi appoggio a terra sulle mani, respiro forte, tossisco, sputo.
Non piango, ma gli occhi lacrimano.

– ma sei scemo?? ‘ gli grido, non appena ho abbastanza aria nei polmoni

– ancora ‘ ripete lui, tenendosi il cazzo in mano

io lo guardo, stupita.
Cazzo, mi stavi quasi ammazzando, e non te ne frega niente?

– ancora ‘ ripete lui
Io non mi muovo.

– non stavi soffocando. Sei rimasta senz’aria per forse cinque, sei secondi. &egrave solo una sensazione: la mente reagisce così perché non sei tu a trattenere il respiro volontariamente, ma &egrave qualcosa fuori dal tuo controllo ad impedirti di respirare –

Cazzo, mi mancava lo psicologo del pompino.
Ma chi sei, il consulente della dittatura cilena?
‘sto fascista dimmerda.

– ancora – ripete

Io sospiro, mi rimetto in ginocchio.
Lui avvicina il cazzo alla mia bocca, e fa per mettermi le mani dietro la testa.
Io, istintivamente, mi ritraggo.

– va bene ‘ dice lui ‘ senza le mie mani. Fallo tu ‘ e alza le mani

Io lo prendo lentamente in bocca.
Adesso che so che devo mandarlo giù, in fondo, mi sembra enorme.

Mi sposto in avanti, piego la testa un po’ verso il basso.
Il suo cazzo entra nella mia bocca, e lentamente lo faccio andare fino all’inizio della gola.
Posso ancora respirare, ma sento che quello &egrave il limite.

Porca miseria, mi sembra di stare studiando anatomia del pompino applicata.

– adesso ‘ dice lui.

E io prendo fiato, chiudo gli occhi e spingo la mia gola contro il suo cazzo.
Sento una prima resistenza, poi piano piano la cappella entra ancora qualche centimetro.
Ancora, mi viene da vomitare.
Mi trattengo.

Lui sospira, e muove leggermente il cazzo avanti e indietro.
Al secondo conato, mi ritraggo.
Questa volta non mi ferma.

Di nuovo mi appoggio a terra con le mani.

– sul letto ‘ mi dice

Salgo sul letto.
Resto in ginocchio.

– sdraiati –

Lui si mette in ginocchio accanto a me.
Mi guarda, mi osserva, mi studia, e intanto si massaggia lentamente il cazzo.

– apri le gambe –

e va a mettersi in mezzo alle mie gambe.

Ci siamo, penso.
Vediamo di fare alla svelta.

Mi osserva tra le gambe.
Io guardo il soffitto.
Mi accarezza piano, lentamente.
Io resto ferma, immobile.

Sento che con due dita, forse l’indice e il pollice, mi apre, mi allarga.
Mi guarda.

Cazzo, muoviti, non star lì a guardare, fai quello che devi e finiscila.

Appoggia la punta del cazzo all’entrata della mia figa, e inizia a spingere.
Sono chiusa, secca, rigida.
Lui si abbassa su di me, e spinge.

Lo fa piano, lentamente, ma io sono comunque tesa e chiusa, e sento male.
Lui, spinge ancora.
Lo sento entrare, sempre più.

Poi, il mio corpo finalmente mi aiuta e sento che un po’ mi sto aprendo, rilassando e lubrificando.

Anche lui se ne accorge, e spinge più a fondo, con più forza.

Non sento nulla.
Sono ferma, immobile travolta solo dall’odio che provo per lui, e per me, per essermi messa in questa situazione.

Lui mi scopa, si abbassa su di me, mi lecca un capezzolo, poi l’altro, mi stringe un seno, mi fa male perché lo fa con troppa forza.

Poi mi bacia.
Io rispondo meccanicamente al bacio.
Mentre mi bacia, all’improvviso da una spinta forte, decisa, e mi entra fino in fondo, lo sento toccare laggiù e istintivamente mi ritraggo e dico ‘ah’.

Lui si ferma, si allontana un po’ dalla mia faccia e sussurra

– signorina, &egrave il caso che cominci a godere –
– cosa? ‘ chiedo io
– non ho nessuna intenzione di star qui a scopare un pezzo di legno’ –

Non rispondo.

– quindi ‘ riprende ‘ adesso fai come fanno tutte le brave troie come te. Fingi. Fingi che ti piaccia, fingi che io abbia il miglior cazzo del mondo, fingi di non essere mai stata scopata come ti scopo io, fingi di volerne ancora, e ancora, e fingi di venire, almeno tre o quattro volte’ siamo intesi? –

Io non rispondo.
Guardo di lato. Verso lo specchio.
Quello che vedo mi fa piangere.
Lui, sopra di me, che mi osserva mentre mi strizza con forza un seno.

– non sarà mica la prima volta che fingi, no? ‘ mi chiede lui, con tono ironico.

No, maledetto stronzo, non &egrave la prima volta.

&egrave che io avevo detto che non avrei mai finto, che la sincerità e il rispetto di se stesse e tutta quella infinta serie di paranoie da femministe.

E poi il mio ex, non l’ultimo, l’ex ex, che poverino era giovane, si vede aveva poca esperienza, o forse ero io, che non mi impegnavo, ma si agitava come un pazzo, su e giù, dentro e fuori, sembrava un martello, e alla fine io non ne potevo più e ho finto, spesso, per farlo smettere, per farlo contento.

Però poi l’ho lasciato, e non gliel’ho mai detto.

E quindi sì, ho finto.
Ma era diverso.

Ma adesso fingo per lui.
Ma adesso fingo come vuole lui, che sa che fingo.

Ed &egrave diverso.
Non c’&egrave amore, non c’&egrave affetto, non c’&egrave rispetto.
C’&egrave che &egrave solo una cosa sporca.
Ma lo faccio.

E allora mentre mi scopa mi agito, gemo, mi mordo le labbra e mi accarezzo le tette.

Metto tutti i (pochi) film porno che ho visto in una scopata.

Lui &egrave contento.
Mi scopa alla missionaria.
Mi mette sopra, alla smorzacandela.
Mi gira, e mi scopa alla pecorina.

Mentre mi sta scopando alla pecorina, e con la destra mi cerca il seno e mi pizzica il capezzolo, con la sinistra mi allarga i glutei, con forza.

Si ferma.

Esce da me.

Sento che mi guarda.

– bene.. – sussurra
– bene’ e adesso ti inculo -.

No.
No, penso.
Mi giro, mi allontano e glielo dico.

– no –

Lui &egrave in ginocchio, nella posizione in cui era prima, mentre mi scopava da dietro.

&egrave quasi buffo, in ginocchio, il cazzo dritto, che punta in su, e l’espressione stupita di uno che non capisce.

Cosa cazzo c’&egrave da non capire? No &egrave no, &egrave facile.

– no – ripeto

Lui incrocia le gambe, una posizione tipo yoga, con la destra si accarezza piano il cazzo.
Mi guarda.

– cosa, ‘no’? –

Ma sei duro? Ma lo fai apposta, o davvero non ci arrivi?

– assolutamente no – ripeto

Lui capisce.

– non ti inculo, vuoi dire? –
– bravo ‘ vedi che alla fine ci arrivi, se ti sforzi? Non &egrave che ti va troppo sangue al cazzo e resti senza per il cervello?

– mi stai dicendo che non ti scopo il culo? –
– esatto –
– e perché? –

Domanda del cazzo.

– perché no – rispondo

Lui adesso ha la faccia incuriosita.
Sorride anche un po’.

– fammi capire’ non vuoi che ti scopi il culo perché non ti piace, o perché non l’hai mai fatto? –
Sono arrabbiata.
Di più, sono furiosa.
Che cosa gli interessa? Non devo dirgli niente.

– non voglio e basta –
– eh no, signorina ‘ scuote la testa

come lo odio, quando mi chiama con questi vezzeggiativi.
Preferisco quando mi da della troia, guarda.

– questo &egrave un punto importante ‘ aggiunge ‘ e io voglio sapere. Quindi, adesso, tu mi spieghi perché non vuoi che ti scopi il culo –

Fanculo.
Tutte queste parole mi fanno andare fuori di testa.
Fanculo.

– perché no. Perché &egrave sbagliato. Perché &egrave una cosa schifosa. Perché fa male. Ti basta? –

– l’hai mai fatto? Sì o no? –
Io non rispondo.
– &egrave una domanda facile. L’hai mai fatto? Sì o no? – ripete

– no –

Ecco.
Te l’ho detto, lo sai, e adesso se vuoi ricominciamo a scopare, se no ti fai una bella sega e ciao.

– capisco’ e come mai? Non c’ha mai provato nessuno? Un fidanzato, un amante? –

Ma questo, perché parla così tanto?
Se non vuoi scopare e vuoi parlare me lo dici, cazzo, mi rivesto, mi siedo comoda e parliamo.
Cazzo.

– certo che c’hanno provato. Praticamente tutti. Non capisco cosa ci troviate voi uomini, ma c’hanno provato tutti –
– e tu? –
– e io ho detto no a tutti –
– e loro? –
– loro cosa? –
– loro hanno detto va bene, scusa, e via, come se niente fosse? –
– certo –
– anche i fidanzati? –
– certo. Te l’ho detto –
– io non ci sarei riuscito’ –

Lo so che non dovrei, ma insomma glielo chiedo.

– in che senso? –
– a stare con una donna come te, che non mi da il culo ‘ spiega, come se fosse chiaro ‘ l’avrei lasciata il giorno stesso –
– ma io non starei mai con uno come te ‘ rispondo piccata ‘ quindi il problema non si pone –

– oh, no, si pone, eccome –
Sorride.
– vieni qui ‘ dice, indicando il punto del letto dove ero prima.
Mi avvicino, cauta, e mi siedo accanto a lui.
– sdraiati. A pancia in giù –

Sono dubbiosa, ma eseguo.

Lui &egrave di fianco a me.
Poi mi afferra le ginocchia, e mi divarica le gambe.
Si mette dietro di me, tra le mie gambe.

Mi osserva.
Mi giro, lo guardo.
Mi ignora.
Continua a guardare il mio culo.

Poi, mi mette le mani sulle natiche e le allarga.
Sento che sta osservando il mio culo, il mio ano.
&egrave completamente esposto, e istintivamente lo contraggo.

– che meraviglia ‘ sussurra lui

Sono pronta.
Se prova a farlo, gli tiro un calcio nelle palle.
Sono rigida, e tesa.

Ma lui si allontana leggermente, e poi sento che avvicina la sua faccia al mio culo.
Cosa fai? Vorrei gridare, ma sto zitta e ferma.

Sento la sua faccia vicina, sempre più vicina al mio ano.
Sento il suo respiro caldo.

Poi qualcosa di caldo, e morbido, e forse un po’ ruvido.
&egrave la sua lingua! Capisco.
Mi sta leccando l’ano, il culo.

Mi era già successo, eh.
Ma era sempre stato che loro, i ragazzi, intendo, erano ‘lì’ a leccarmi la figa e già che c’erano, qualcuno faceva un passaggio veloce anche sul culo.

Lui no.
La sua lingua gira lenta intorno all’ano.
Sale e scende dai glutei, torna a girarci intorno.
Si abbassa, sfiora il perineo.

Bhe, c’&egrave di peggio, mi dico.
Però forza!, se sei lì, adesso leccamelo come si deve, non stare lì intorno’

E lui lo fa.
Finalmente la sua lingua comincia ad andare avanti e indietro sul buco, prima la punta, e poi tutta la lingua, come se leccasse un gelato.

Ed &egrave’ bello.

Sento un dito, e mi irrigidisco di nuovo.

– ssssst’ – sussurra lui ‘ tranquilla’ –

Il dito si ferma sul perineo, mentre lui mi lecca col dito mi accarezza piano quel piccolo pezzo di pelle tra il culo e la figa’ e poi piano piano me ne infila la punta, solo la punta, nella figa.
Quasi non lo sento, e lui fa di nuovo avanti e indietro con il dito.

Poi, ricomincia a leccarmi il perimetro dell’ano, e sento il suo dito che lentamente risale.

DI nuovo, mi irrigidisco.
– tranquilla’ – sussurra di nuovo.

Mi impongo di rilassarmi.

Sento il suo dito sul mio buco.
Poi la lingua torna al centro, e il dito prende il posto della lingua.

Poi la lingua si ferma, proprio sul buco.
E invece di leccarlo, comincia spingere, facendo dei piccoli movimenti circolari.

Questo, mi dico, non me l’ha mai fatto nessuno’ mi sta infilando la lingua su per il culo.

Non &egrave una brutta sensazione.

Sento che i muscoli dell’ano si rilassano, quasi che volessero facilitargli il compito.

Allarga le mie natiche, spinge con forza la sua bocca sul mio sedere e infila la lingua più in profondità che riesce.

Mi sembra davvero che mi stia leccando dentro il culo.

E poi sposta la lingua e appoggia il dito.
Lo so che sta per farlo.
E lo fa.
Piano, piano, sento il dito ‘ dev’essere il medio, mi dico ‘ entrare nel mio culo.

Segue la strada della lingua, e scivola dentro.
Poi, lui lo spinge più a fondo.
Io mi contraggo, ma non scappo.

E va bene, fallo, mi dico, spingilo in fondo.
Piego leggermente il bacino, e lui capisce.
E spinge il dito ancora più in dentro.

Mi sembra che tocchi qualcosa di nuovo, una parte di me che non ho mai conosciuto.

Si muove, avanti e indietro.
Va avanti e indietro, dentro e fuori, per un periodo che sembra infinito.
Senza mai spostare la bocca e la lingua.
Alla fine, sento di essere completamente zuppa, bagnata della sua saliva, sul culo, e tutto intorno.

Adesso mi appoggia due dita al buco.
Mi ritraggo.

– ferma ‘ mi sussurra, e sento il calore del suo fiato, amplificato dalla saliva, proprio lì, sul culo ‘ ferma’ &egrave lo stesso, non cambia nulla –

Non so perché, o forse sì, sono curiosa, voglio vedere dove vuole arrivare, e lo lascio fare.

Per ora.

Le due dita sono grandi.
Quando inizia a spingerle dentro temo di non farcela.

Ma lui fa piano, pianissimo.
Un millimetro per volta, muovendosi anche in tondo, piano.

Mi sta scavando, mi viene da pensare.
La sensazione &egrave proprio quella, sta lentamente scavando una strada nella mia carne.
E non mi dispiace.

E alla fine, sento che le sue due dita superano quella specie di barriera che ho scoperto di avere dentro di me, dentro al mio culo.

Quel punto, quella specie di strettoia.

Superata quella, le dita vanno fino in fondo, e io ho la sensazione che mi stiano arrivando nell’intestino.

Continua così, finch&egrave non sento nessuna resistenza.
Mi rendo conto di essere morbida, rilassata.

Poi smette, e si alza, dietro di me.
Con un dito mi accarezza il buco.

– e adesso con il cazzo’ –
– no! ‘ grido, e cerco di girarmi

Ma lui mi mette una mano sul collo e una sulla schiena, e mi blocca.

– non fare la stupida ‘ mi dice ‘ lo sapevi fin dall’inizio che volevo scoparti il culo –

– non voglio ‘ ripeto, provando a muovermi, ma le sue mani mi tengono bloccata sul letto.

Restiamo fermi così.
Non vuole violentarmi, lo capisco.

Dopo un po’, mi toglie la mano dalla schiena e, sempre tenendomi l’altra sulla nuca, ricomincia a spingere con le due dita.

Di nuovo, mi stupisco di quanto facilmente mi scivolino dentro.

– allora? ‘ mi chiede
– non voglio’ –
– non &egrave che devi volerlo’ devi solo lasciarmelo fare. Perché io voglio farlo –

Non rispondo.
Resto ferma.
Immobile.

Lui mi toglie la mano dalla nuca.
Adesso sono libera.
Ma resto ferma.

Con una mano mi allarga le chiappe, con due dita dell’altra continua ad entrare e uscire.

Poi lo sento muoversi, spostarsi.
Toglie le dita.

Eccoci.
Ci siamo, mi dico.
Chiudo gli occhi.

Sento che mi appoggia la punta del cazzo al culo.
&egrave caldo, e più morbido delle dita.

E poi lui inizia a spingere.

Cazzo, &egrave enorme.
Istintivamente mi ritraggo.

– ferma’ – mi dice lui, e rimette la mano sulla mia nuca, facendo forza. Potrei liberarmi, ma questa mano che mi spinge contro il cuscino mi aiuta a decidere di restare ferma.

Sospiro.

Il suo cazzo si fa strada dentro di me.
Sento che mi allargo.
Lui fa molto piano.
Ma a un certo punto sento che non ce la faccio ad allargarmi di più.
Mi sento stirare, ecco, mi dico, adesso si strappa.
Adesso muoio.
– ahh – gemo

Lui si ferma, e poi ricomincia, piano piano, avanti e indietro.
E alla fine succede.

Qualcosa dentro di me si arrende, sento una scossa, una frustata di dolore dentro, e all’improvviso lui &egrave dentro il mio culo.
Il suo cazzo &egrave entrato.
Mi sembra enorme, mi sembra che sia tutto dentro di me.

Lui si ferma, resta così.
Lo sento respirare.

– senti ‘ mi dice, e mi prende una mano.
Me la porta là, e mi fa toccare il suo cazzo.

– senti ‘ ripete, mentre mi fa sentire l’asta che sbuca da mio culo ‘ tutto questo adesso entrerà dentro di te’ –

Mi spavento, ritraggo la mano.
Mi sembrava di avere dentro di me tutto quello che potrò mai accogliere, e invece capisco che ha infilato solo la cappella.

– no’ – sussurro, scuotendo la testa.
Invece di rispondere, lui comincia a muoversi, lentamente.

Spinge, piano, e io sento ogni volta qualcosa che si apre, si allarga, si strappa dentro di me.

Avanti e indietro, e ogni volta che viene avanti, spinge con un po’ più di forza.

A un certo punto, sento di essermi in qualche modo allargata e lui comincia a scoparmi.
Quando su muove non mi fa troppo male, ma quando si avvicina all’uscita, diciamo così, con la cappella, ancora sento qualcosa che si tende, troppo.

Lo lascio fare, ma non posso non gemere di dolore ad ogni spinta.

Lui si sdraia sopra di me.
Sento il suo petto sulla mia schiena.
Si appoggia alla mia testa, e mi sussurra in un orecchio.

– e adesso ti scopo fino in fondo’ –

e io mi rendo conto che non &egrave ancora finita, ma non faccio in tempo a dire nulla che lui si &egrave alzato sulle braccia e con un colpo secco, violento, ha spinto tutto il suo cazzo dentro di me, fino in fondo.

Con le mani mi allarga le chiappe, e spinge di nuovo, con ancora più forza di prima.
Mi sento svenire dal dolore.

Grido.
Mi sembra che mi sia arrivato nello stomaco, che mi stia spaccando dentro.

E non si ferma, mi scopa.

E quando credo di stare per svenire, di non potere più resistere, che non possa essere peggio di così, lui restando piantato dentro di me mi afferra sotto, per i fianchi e mi tira su, alla pecorina.

Poi mi spinge la testa di nuovo in basso, contro il cuscino.

Io non ho quasi coscienza di nulla, mi lascio spostare come una bambola.

Adesso sono in ginocchio, con le spalle appoggiate al letto, e il suo cazzo piantato in fondo al culo.

E lui ricomincia a scoparmi.
In questa posizione mi sembra di morire.
Grido.
Lui spinge.
Io cerco di scappare, lui mi afferra per i fianchi e spinge ancora più forte.
Io grido di nuovo.
Lui geme.

– basta ti prego basta smettila – urlo

e finalmente lui esce.
Lo fa all’improvviso, e anche questo mi sembra che mi rompa qualcosa dentro.
Ricado sulle lenzuola, e mi porto una mano al culo.
La ritraggo subito, spaventata.
Il mio buco &egrave morbido, caldo, aperto, largo.

– ecco fatto ‘ lo sento dire, divertito ‘ adesso puoi dire che ti hanno rotto il culo’ se mai qualcuno te lo chiedesse, eh –

Non resisto.
Mi alzo.
Gli salto addosso.
Cerco di colpirlo con i pugni, i calci, le unghie.
Grido, lo insulto, urlo.

A all’improvviso lui, che era stato fermo, parando i miei colpi con le mani, scatta.

&egrave veloce, rapido.
Con una mano mi afferra il collo, con l’altra i capelli.
Mi ribalta sul letto in un unico, veloce movimento.
Mi schiaccia la faccia sul cuscino.
Io provo a muovermi ma basta una pressione sul collo per farmi capire che devo stare ferma.

Ho paura.

Si avvicina al mio orecchio.

– adesso ascoltami, troia – sussurra
– se provi ancora una volta a colpirmi, succedono due cose. Primo ti faccio male. Tanto male. Secondo, raccogli i tuoi stracci e ti levi dai coglioni, e io invece di inculare te mi inculo la tua vita. Chiaro? –

Io annuisco, per il poco che riesco a muovermi.
Mi fa male al collo, e ho paura, davvero paura.

– secondo. Se pensi che esserti fatta scopare il culo per due minuti sia la cosa peggiore che ti succederà qui, hai capito male. Che cazzo, credevi davvero di cavartela con un pompino fatto male e una mezza scopata alla missionaria? Ho altri progetti per te, signorina –

Mi lascia andare, si alza.
&egrave in piedi, accanto al letto.
Il cazzo duro.

– e adesso, mi chiedi per piacere di scoparti il culo –
– cosa?????? –

– adesso. Mi chiedi. Cortesemente. Di scoparti. Il culo. Oppure te ne vai, per sempre –

Ci metto un minuto, forse due, forse dieci.
Restiamo lì.
Nella camera, nudi, nella luce.
In silenzio.
Lui in piedi, con il cazzo dritto, io nel letto, con la faccia rivolta verso la parete.

– per piacere’ – sussurro
– sì? ‘ mi chiede lui
– per piacere’ –

non ce la faccio.
Non ce la posso fare.
Non ce la faccio.

– mi’ miscopiilculo ‘ butti fuori, tutto d’uno fiato.

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