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L’amazzone di Ra

By 14 Dicembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

I
Nefertiti oltrepassò la fascia delle dune sabbiose mentre il Sole sbadigliava l’ultimo bagliore del pomeriggio. Presto l’incandescente sfera d’oro sarebbe scomparsa al di là dell’ondulata linea di confine dell’orizzonte e sarebbe stato il crepuscolo. Il deserto era grande oltre ogni immaginazione, torrido e sterile come roccia su cui le piante non riescono ad attecchire. Gli scribi di Luxor ne avevano narrato la travagliata storia nei loro testi: dalla boscaglia di alberi spinosi alla scomparsa delle acque, dalla savana d’erbe coriacee alla prateria di sterpi e sassi. Infine erano rimaste solo sabbie e rocce. Le dune mobili e gli spogli costoni di arenaria erano il territorio delle vipere del deserto, ispiratrici di sogni, brividi e morte.
Non vi erano strade o sentieri, nelle regioni delle sabbie, solo sporadiche tracce lasciate dalle carovane dei commercianti di spezie e metalli preziosi. Comparivano a tratti fra le zone sepolte dalle dune ed i polverosi pavimenti di pietra bruna dell’Alto Egitto. Il Nilo era lontano, così come lo erano il mare e le città. Nessun punto di riferimento, a parte il Sole e le stelle. Presto, se si fosse spinta ancora più a Sud, queste ultime l’avrebbero abbandonata, Nefertiti ne era consapevole. Dalla sua gente aveva udito racconti secondo i quali, oltre il deserto, vi era un altro mondo vegliato da astri stranieri che i suoi occhi non avevano mai veduto. Il Sole, invece, si diceva sarebbe rimasto lo stesso.
L’amazzone era molto bella. La donna più maestosa della sua generazione. La pelle ambrata e liscia come la più pregiata delle stoffe, occhi nerissimi e brillanti come gemme di ossidiana, gli aggraziati lineamenti del volto propri della discendenza del Faraone. Un succinto abito di seta e lino le copriva il seno e parte dell’addome, la gonna fasciava le gambe fino alle ginocchia. Una collana d’oro di Cipro cingeva il suo collo bruciandone con insolenza la pelle. Ai piedi indossava sandali dalla suola consunta.
Aveva visto ventiquattro primavere, prima di allora, e da tredici aveva appreso l’uso della Magia Bianca di Horus, il Dio Falco. I suoi poteri la proteggevano dal calore delle sabbie roventi, non certo dalla sete e dalla stanchezza. Tuttavia Nefertiti non avrebbe contemplato l’idea di una sosta fino a quando non fosse calata l’oscurità.
La sua cavalcatura si chiamava Falca e proveniva dalle fredde regioni del Nord. Era alta e muscolosa. La sua pelle, bianchissima come quella di tutte le donne delle terre settentrionali, era arrossata dal crudele Sole del Sahara. I capelli erano lunghi, lisci e biondi; in Egitto, di solito, alle cavalcature venivano tagliati corti, ma Nefertiti aveva preferito che Falca conservasse la sua chioma dorata. Si serviva delle ciocche come redini mentre, seduta sulla schiena della cavalcatura, ne regolava la velocità con precisi colpi di tallone nelle cosce. Dalle sacerdotesse che le avevano insegnato gli incantesimi di Horus aveva appreso la postura con la quale fare procedere la donna del Nord: la cavalcatura procedeva sulle sole gambe e con il busto piegato quasi del tutto in avanti, in questo modo l’amazzone restava adagiata sulla schiena della bestia, cingendole i fianchi con le cosce, lasciando alla cavallerizza le mani libere per tenere le redini della cavalcatura mentre i suoi piedi potevano colpire le gambe della donna-cavallo quando occorreva aumentarne l’andatura.
Solo le amazzoni più esperte potevano cavalcare per lunghi periodi di tempo in quella posizione. Spesso era necessario alternarla con posture meno stancanti per la cavalcatura e la sua padrona.
Ma Nefertiti aveva cavalcato Falca sempre e solo in quel modo. La donna del Nord, d’altra parte, era robusta. Dai suoi due metri e venti centimetri d’altezza dominava tutte le altre cavalcature.
Il soffio di Maat era giunto nelle fredde regioni settentrionali un giorno all’alba, senza preavviso; aveva preso gli uomini e toccato le donne. Il villaggio di Falca contava più di cinquecento anime. Il soffio uccise tutti i maschi e trasformò gran parte delle donne più giovani, le bambine, in kaifa, le cavalcature. Fu un processo veloce. Il cammino di Maat, come quello di tutte le divinità egizie, era sicuro e lesto anche nel commettere atrocità.
Le cavalcature si sviluppavano più velocemente della gente normale, crescevano in maniera spaventosamente rapida per un anno o due e terminavano il loro sviluppo con l’adolescenza, spesso raggiungendo stature di due metri o più. Giganti. Gigantesse, anzi, perché le kaifa erano tutte donne. Ma Maat non si limitava solamente a questo. Le rendeva docili e stupide. Poche di loro imparavano a parlare. Perlopiù apprendevano solo alcune semplici parole e impiegavano il loro scarso intelletto per adattarsi alle esigenze dei cavalieri e delle amazzoni.
Il soffio di Maat non riservava identico destino agli uomini. Quelli no, semplicemente morivano, spegnendosi nel sonno come candele private della fiamma.
Anche i cavalli erano scomparsi sotto il soffio di Maat, perciò le amazzoni spostarono le loro selle dai dorsi degli animali alle schiene delle kaifa.
Nefertiti seguiva la Sacerdotessa attraverso il mare di sabbia da un mese ormai, e si era spinta più a Sud di qualunque altro membro del suo popolo prima di allora. Non temeva l’ignoto, ma l’aridità la faceva stare male. Il clima torrido aveva riarso quella landa centinaia, forse migliaia di anni prima del suo viaggio e adesso cercava di fare lo stesso con la sua carne e con la sua anima.
Falca superò con un balzo una bassa crosta rocciosa simile ad un serpente sepolto dalla sabbia, e nell’atterrare l’amazzone sfregò le natiche sulla sua schiena. Nefertiti tirò leggermente i capelli della bionda donna del Nord per rallentarne l’impeto e premette appena le ginocchia sui fianchi della cavalcatura. Non voleva che Falca perdesse le forze prima dell’oscurità o sarebbe stata costretta a fermarsi per farla riposare. La kaifa Si adeguò a una giusta andatura e proseguì.
Della Sacerdotessa nessuna traccia. Non i resti di un fuoco acceso per trascorrere al sicuro una delle gelide notti nel deserto, non il lembo di un indumento lacero da gettare e neppure una bisaccia di provviste vuota. Chiunque altro avrebbe abbandonato la ricerca e sarebbe tornato indietro verso le città sul Nilo. Ma l’amazzone non poteva.
Sapeva che la Sacerdotessa era là, davanti a lei, al di là di una, dieci o cento dune, oltre il punto nel quale il Sole tramontava. Non poteva sbagliare, condivideva con l’officiante del Dio dalla testa di Falco una parte della sua anima.
‘Anemhat’ sussurrò.
La cavalcatura fremette. Aveva udito per l’ultima volta la voce della sua cavallerizza molte ore prima, ma a quella parola, Anemhat, non era stata addestrata a reagire; continuò perciò a correre come l’amazzone le aveva ordinato di fare e dimenticò.
Era paradossale, pensò Nefertiti.
La Sacerdotessa Anemhat le aveva insegnato gli incantesimi, le aveva insegnato a cavalcare come nessun’altra amazzone del regno era mai stata in grado di fare, ed era stata sua maestra di lettere e musica.
Era paradossale, continuò a pensare, che tutto ciò che le era stato insegnato da quella donna ora serviva a inseguirla nel deserto.
Il Sole scomparve oltre l’orizzonte. Un falco nero senza nome attraversò il cielo, volteggiando lentamente.
Forse tutto ciò, la luce, il falco e la Sacerdotessa erano opera di Maat.
Non ne era sicura ma era possibile che fosse così. Spronò la cavalcatura colpendone le cosce con le suole dei sandali e proseguì.
II
Discese un ripido versante cosparso di pericolosi ciottoli appuntiti, stringendo con vigore i capelli di Falca. Il deserto stava cambiando, ma non avrebbe saputo dire se in meglio o in peggio. Fino a pochi giorni prima vi erano solo dune di sabbia dorata, ondulate e regolari come gli eleganti disegni di una ceramica minoica, poi era comparsa la roccia. Pietra friabile, calcarea, sovrastata in più punti da croste screpolate che si sbriciolavano sotto i passi della cavalcatura. Pietra che nascondeva insidie. Gli scorpioni, ad esempio, piccoli e gialli. La natura li aveva mimetizzati alla perfezione negli anfratti irraggiungibili di quel mondo. Ed erano letali. Una sola puntura poteva abbattere l’uomo più robusto.
Poi c’erano i pendii ripidi. Falca sembrava non accorgersene neppure; procedeva dritta e incurante dei rischi anche di fronte alla forra più scoscesa. Nefertiti la guidava con abilità, talvolta facendole compiere ampi giri attorno ai dirupi e mantenendola a distanza dalle pareti disseminate di fratture. In quei luoghi, con ogni probabilità, erano in agguato zanne e aculei predatori.
Sul calar della sera giunse ai piedi di una bassa altura solitaria. La casa dell’agricoltore si trovava lì, a pochi passi di distanza da un piccolo dolmen di arenaria e al centro di un silenzioso cerchio di messi verdeggianti. Le costruzioni erano due, notò l’amazzone. La più grande era senza dubbio una casa. Era bassa e dello stesso colore nauseante del deserto. L’altra, situata proprio al centro dell’orto, era probabilmente una capanna o una rimessa per attrezzi. Alle spalle della seconda costruzione vi era un quadrato di terra parzialmente lavorato. Un rudimentale aratro di legno era appoggiato alla parete esterna della capanna.
L’uomo, chino ad esaminare il suo grano, sollevò il capo quando l’amazzone alzò la mano in un cenno di saluto.
‘Salute a te’ disse Nefertiti, ancora seduta sulle spalle doloranti di Falca.
‘Salute a voi’ rispose con un inchino l’agricoltore. Le vesti dell’amazzone, così come il possesso di una cavalcatura di così buona razza e delle armi assicurate al fianco della kaifa, erano segni inequivocabili della condizione sociale della ragazza.
Ma Nefertiti non era una nobile qualunque. Era l’unica discendente del Faraone, e per questo motivo Faraone ella stessa. L’uomo non poteva saperlo e l’amazzone trovò che non fosse importante farglielo sapere.
Smontò dalla cavalcatura e si avvicinò al contadino.
Falca, docilmente, s’inginocchiò a fianco dell’amazzone e procedette accanto a lei, muovendosi a quattro zampe.
‘Chi sei?’ chiese l’amazzone.
‘Mi chiamo Rases’ rispose l’uomo ‘e quella che vedi è la mia terra’
‘Sei molto lontano dall’Egitto’
‘Dodici giorni di carovana per raggiungere Abu Simbel, nobile amazzone’
Si voltò per metà e fece oscillare le spighe delle messi con una mano.
‘Ma più ad Ovest’ continuò l’uomo ‘a sei giorni di cammino da qui, c’è un villaggio di pescatori ed agricoltori’
‘Un villaggio così lontano da Abu Simbel?’ chiese meravigliata Nefertiti ‘Oltre i confini dell’Egitto?’
Rases annuì ‘Questo non è più Egitto. Il paese dei Faraoni finisce alle tue spalle’ Indicò il punto dal quale l’amazzone era discesa e concluse ‘Queste lande non hanno nome. Il deserto non ne ha bisogno’
L’amazzone pose una mano sulla chioma folta della cavalcatura e quella stirò il collo contenta.
‘Siamo in viaggio da molto tempo, Rases’ proseguì Nefertiti ‘Hai da offrirci ospitalità? Posso barattare oro per un focolare e un po’ d’acqua, se ce lo consenti, ma non ti chiederò cibo’
L’uomo assentì con un cenno della testa.
‘Vieni, e porta anche lei’ disse indicando Falca ‘Mai veduta un’amazzone egizia in queste terre. Di solito, solo i predoni usano cavalcare le femmine. I carovanieri spingono i loro carretti con le proprie braccia’
‘Predoni?’ domandò Nefertiti ‘ Ci sono predoni, da queste parti?’
In Egitto i predoni erano gli hyksos, gente selvaggia che combatteva e depredava con ferocia. Tuttavia i loro eserciti erano scomparsi da decenni a causa del soffio di Maat. I pochi superstiti scampati all’epidemia si aggiravano ben al di là dei territori del Faraone.
‘Chi sono?’ domandò nuovamente l’amazzone.
‘Ti riferisci ai predoni?’
‘Sì’
‘Donne, naturalmente’ rispose Rases come se quella fosse la risposta più ovvia del mondo ‘Come te, amazzone. Ma hanno la pelle più scura della tua e indossano vesti esotiche. Vesti pesanti. Cavalcano altre donne. Gli uomini sono quasi del tutto scomparsi anche tra quei popoli. Ogni tanto attaccano i villaggi per cercare i sopravvissuti al soffio. Io, quando le vedo, non ci penso due volte a nascondermi. Se si avvicinano e iniziano a fare domande, a loro pensa Antionia’
‘Antionia?’
‘La mia donna. E’ dentro, adesso’ rispose Rases ‘Vieni. Casa mia è aperta a te e alla tua compagna’
Si voltò e camminò fino all’ingresso dell’abitazione. L’interno della bicocca era immerso nella penombra; Nefertiti vide un tavolo basso al centro della stanza, cuscini di stoffa e alcuni panchetti di legno di cedro. In un angolo erano ammucchiate un certo numero di stoffe colorate. Le brocche con l’acqua erano tre, due riempite per metà e una terza quasi vuota. La donna di nome Antionia era coricata sulle stoffe, e non appena scorse l’amazzone a fianco dell’uomo si alzò a sedere. La sua espressione mutò dal languido allo stupito in un battito di ciglia.
‘Rases!’ esclamò.
‘Non ti agitare. Per una sera avremo ospiti illustri’ disse l’uomo.
Antionia osservò la nobile egizia, la sua collana d’oro e le vesti di seta. Un lampo d’invidia e gelosia le colorò le guance non più baciate dalla giovinezza. Era una donna alta, e prima d’allora doveva aver visto almeno quaranta primavere.
‘Salute a te, o nobile signora’ disse, mascherando la stizza dietro un abile sorriso.
‘Salute a te’ rispose con tono asciutto Nefertiti.
La considerazione che Antionia poteva avere di lei non la riguardava minimamente.
‘La donna dai capelli biondi dormirà con te?’ chiese Rases.
Lo sguardo dell’amazzone passò da Antionia alla kaifa inginocchiata ai suoi piedi.
‘Non ce n’è bisogno. Se avete una coperta di lana da offrirle, lei potrà dormire fuori’ disse l’amazzone.
Rases annuì.
‘Porgile una coperta’ disse alla sua donna. Antionia raccolse una pelle di capra dal mucchio, si avvicinò alla cavalcatura dell’amazzone. Quando ebbe il volto di Falca proprio davanti alle sue ginocchia, gettò la coperta sulla schiena della donna del Nord.
‘C’è un pozzo, là in mezzo, accanto alla capanna. Può dissetarsi là’ stabilì Rases.
La sua donna non aggiunse altro e si andò a sedere nuovamente sulla pila di stoffe nell’angolo più ombroso della casa. Solo i suoi occhi continuarono a scintillare di astio.
‘Adesso mangiamo qualcosa’ continuò l’uomo ‘poi dormiremo. Abbiamo cibo anche per la tua kaifa. Da noi si va a letto presto e ci si sveglia prima dell’alba. Lavorare con il fresco è meno faticoso’
L’amazzone annuì.
‘Ti secca se stasera eviteremo di discorrere fino a tardi?’ chiese Rases.
Nefertiti scosse il capo ‘Anch’io sono molto stanca. Poter riposare è un sollievo’
L’uomo le sorrise ‘Accendo il fuoco’
III
L’amazzone condusse la cavalcatura fino al pozzo che si trovava vicino alla capanna. Era un semplice buco nella terra con il fondo ricoperto da due dita d’acqua. Una rozza tavola di legno circolare lo ricopriva, rallentando l’evaporazione. Un sistema piuttosto rudimentale per preservare la falda, osservò l’amazzone. Se il livello si fosse abbassato ulteriormente, il pozzo avrebbe finito con l’esaurirsi.
Lo scavo era ampio quattordici palmi e profondo la metà. Si accedeva al fondo e all’acqua tramite tre scalini intagliati nella roccia friabile. Nefertiti scostò la tavola sopra al pozzo e raccolse la bacinella di terracotta prestatale da Rases. Riempì il contenitore, quindi risalì i gradini e vuotò il contenuto del vaso in un tronco d’albero entro il quale era stata realizzata una cavità rettangolare. Il tronco era posto accanto alla parete della capanna e doveva essere stato impiegato in passato come abbeveratoio per le capre. Probabilmentegli animali erano tutti morti; l’orto, infatti, non era delimitato da alcun recinto.
La bacinella di terracotta era capiente e l’acqua riempì il troncò per metà.
‘Bevi’ disse alla cavalcatura, e quella, soddisfatta, chinò il capo e tuffò le labbra screpolate nel prezioso liquido.
Accanto all’abbeveratoio era appoggiato l’aratro. Si trattava di uno strumento arcaico, ricavato dalla base di un grosso albero di acacia. Due radici spesse come braccia formavano i manubri, mentre il tronco della pianta costituiva il corpo dell’attrezzo. Nel ventre di quest’ultimo era stato piantato un coltello di metallo abbastanza robusto da fendere la sassosa pelle del deserto. Tuttavia, ciò che più di ogni altra cosa attrasse l’attenzione dell’amazzone fu l’usura del vomere: l’aratro era stato impiegato a lungo, anche di recente. Chi l’aveva trainato, si domandò. Non c’ erano bestie da soma, nella piccola tenuta di Rases. Non un bue e neppure una mucca. Probabilmente l’uomo usava se stesso per trainare l’aratro. Per questo il suo corpo era muscoloso e scolpito, con forti braccia e gambe massicce.
In ogni caso tutto ciò non aveva alcuna importanza per il suo viaggio. Sedette sull’aratro e si tolse i sandali. La sabbia del deserto le aveva escoriato le caviglie e le piante dei piedi, ma la sua pelle era ancora fresca.
Immerse prima l’una e poi l’altra estremità nell’abbeveratoio, quindi lasciò che la carezza tiepida dell’acqua le purificasse i piedi. Sabbia e terra abbandonarono i talloni e le dita, mescolandosi al liquido. Un immediato senso di benessere la pervase. La kaifa continuò a bere, incurante dell’acqua che andava sporcandosi; fece, anzi, attenzione a non urtare le gambe della sua padrona con la fronte.
Nefertiti rimase in quello stato di grazia per alcuni minuti. Lo sciacquio dell’acqua dovuto al suggere della cavalcatura le solleticò le caviglie e le delicate piante dei piedi. Quando Falca ebbe finito di bere, tolse il piede destro dall’abbeveratoio ed accavallò la gamba sul ginocchio sinistro. Prese i capelli della donna del Nord e con essi iniziò ad asciugarsi le caviglie. Calzò il sandalo e tolse il secondo piede dall’acqua, ora color dell’ocra.
‘Fai la guardia’ disse alla cavalcatura. Falca sollevò la testa ed annuì con vigore, dopodiché chinò nuovamente il capo e offrì la sua criniera all’amazzone.
‘Brava, piccola’ sorrise l’egizia ‘Asciuga tu’
Rilassò la schiena sui manubri dell’aratro e distese la gamba sinistra verso la kaifa, puntando l’alluce contro il volto di quest’ultima. Falca si chinò di più, avvolse dolcemente il piede di Nefertiti con i propri capelli lo asciugò. L’egizia la lasciò fare per un poco, infine allontanò le gambe.
‘Basta’ disse, e Falca si fermò.
Nefertiti si alzò dall’aratro e si avviò verso la casa di Rases. Quando si trovò esattamente fra la capanna e l’abitazione percepì un gemito. Era un lamento vicino e ciò nonostante quasi impercettibile. Si sentiva osservata. Annullò i battiti del suo cuore, poi il sibilo della brezza della sera stellata, il respiro delle piante di grano attorno a lei e lo scoppiettio del fuoco all’interno dell’abitazione di Rases.
L’uomo e la sua donna. Le parole sommesse del primo e quelle cariche di risentimento dell’altra.
E quando tutti questi suoni furono in lei, l’amazzone udì distintamente la presenza di un’altra persona, all’interno della capanna, che volgeva a lei tutta la sua attenzione. Cercò di percepire le sue intenzioni, ma non trovò alcuna traccia di ostilità. C’era qualcosa, però, in quello sguardo’ qualcosa che la infastidiva quasi più dell’odio. Era un’emozione alla quale non avrebbe saputo dare un nome.
Si voltò e indirizzò uno sguardo di sfida verso la porta della capanna. Sostenne con la propria determinazione il desiderio dell’altra, finché non udì un fruscio che si faceva più debole e lontano. Chi poteva esservi là dentro? E perché la stava osservando con tale insistenza?
Non lo sapeva. In quel momento, Rases sbucò da dietro il muro della casa e le andò incontro.
‘Abbiamo pane e pesce’ disse ‘Antionia ha cucinato la carne di bue’
‘Bue?’
‘Il pane lo facciamo noi ma il pesce e la carne li portano i carovanieri’
‘Sia benedetta la tua tavola’ disse Nefertiti.
‘E per la tua kaifa?’
‘Il pane le basterà’ disse l’egizia ‘Ora rientriamo’
Consumarono un pasto veloce e si addormentarono subito dopo. La notte fu tiepida e il cielo sereno sfavillò di luce stellare fino all’alba.
IV
Dormirono sul pavimento della casetta, coperti con le pelli di capra e le stoffe logore del contadino. Antionia fu la prima a destarsi. Si alzò in piedi e indossò la sua tunica di stoffa fenicia. Fuori era ancora buio. L’amazzone aprì un occhio e seguì i movimenti della donna finché questa non fu uscita dalla piccola abitazione. Non si fidava di lei. Non pensava potesse rivelarsi un pericolo per se stessa o per Falca, questo no, ma ugualmente non si fidava di lei.
‘Ti ha svegliata?’
Il bisbiglio dell’uomo la fece voltare di scatto.
‘Antionia ha il passo pesante e si sveglia sempre molto presto’ disse Rases.
‘Dove va?’ chiese l’amazzone.
‘Qua fuori, al campo dietro la capanna. Dobbiamo terminare d’ararlo’
‘Tu non la aiuti?’
‘Io seminerò. Lei fa i solchi per le sementi’
‘E’ lei a tirare l’aratro?’ L’egizia aggrottò le sopracciglia, mostrando un’espressione perplessa.
Rases si sollevò a sedere, scostando la pelle di capra che l’aveva scaldato durante la notte. Indossava una corta tunica rossa che gli copriva l’inguine e le gambe fino a metà coscia. Nefertiti lo vide alzarsi in piedi e avvicinarsi alla piccola apertura sul muro che si affacciava sul campo da arare.
Da lì si vedevano la Luna prossima al tramonto e la cavalcatura acciambellata accanto all’abbeveratoio ora vuoto.
‘Vieni a vedere. E’ così che lavoriamo la terra da queste parti’ disse l’uomo.
L’amazzone si alzò e raggiunse Rases. Dalla feritoia sul muro, Nefertiti vide Antionia che apriva l’uscio di legno della capanna. La donna fece un passo indietro e batté le mani due volte. Falca si destò e la osservò con un mezzo sorriso ebete disegnato in volto. Poi successe. Una ragazza dai capelli completamente bianchi uscì dalla capanna, muovendosi a quattro zampe. Si avvicinò ad Antionia e le si fermò accanto. La donna sollevò una gamba e le appoggiò il piede sulla nuca, poi spinse con vigore, fino a schiacciare al suolo il volto della ragazza. Si chinò a sua volta, cercando con le dita il collare che la giovane portava al collo, quindi vi fissò una fune di strisce di papiro annodate assieme. La strattonò senza clemenza, costringendola a seguirla fino all’aratro nella sua umile posizione canina.
‘Alzati’ ordinò Antionia, ora davanti all’attrezzo.
La ragazza obbedì in fretta senza dire una parola. Adesso l’amazzone poteva vederla per intero. La giovane indossava una corta gonna di lino e un corpetto simile al suo, sebbene di fattura molto più modesta. Antionia, al confronto, pareva vestita come una regina. Con il suo abito lungo tinto di porpora fenicia e i capelli lunghi e neri acconciati con un pettine d’osso, la donna era alta solo due dita più della ragazza.
‘Che cosa sta facendo? E chi è lei?’ chiese Nefertiti con un filo di voce.
‘Continua a guardare’ le sussurrò Rases, sorridendo divertito. Antionia legò la ragazza all’aratro tramite due cinghie di pelle che fece passare sopra le spalle e intorno al busto della fanciulla, quindi tirò il guinzaglio, costringendola a trascinare l’aratro fino ai bordi del campo da arare. Giunta al limite dell’appezzamento, Antionia afferrò le due radici che formavano il manubrio dell’attrezzo e le spinse col proprio peso verso il basso, in modo da piantare il coltello di ferro nella terra brulla, infine si sedette sul tronco come la sera precedente aveva fatto l’amazzone. Sciolse la fune che le stringeva la tunica ai fianchi e con un colpo di quest’ultima sferzò la schiena seminuda della ragazza.
‘Procedi, bestia!’ esclamò con disprezzo.
La ragazza inarcò il collo verso l’alto ed emise un gemito soffocato. Spinse il busto in avanti fino a tendere le cinghie che la imprigionavano all’aratro, e i suoi piedi scalzi affondarono nella terra. Per un istante sembrò che il peso dello strumento, unito a quello di Antionia, avesse la meglio sulle forze della giovane, poi vi fu un suono come di sassi sbriciolati e l’aratro si mosse in avanti. Antionia sferzò ancora una volta la schiena della poveretta senza mostrare alcuna compassione.
‘Questo campo deve essere dissodato entro l’alba, perciò sbrigati!’ disse ad alta voce. L’altra chinò il capo come se la sua nuca fosse stata schiacciata da un giogo pesantissimo e spinse con maggiore vigore.
‘Bene così, non rallentare’ commentò la donna, giocherellando con la corda usata a mo’ di frusta e appoggiando la schiena ai manubri dell’aratro. Teneva le gambe sollevate da terra e i piedi nudi appoggiati sulla testa dell’attrezzo, in modo da gravare completamente sul coltello infilato nel terreno.
L’amazzone rimase qualche minuto ad osservare la scena, dopodiché si voltò verso Rases.
‘Non è una kaifa’ disse.
‘Non lo è, infatti. Noi la chiamiamo Shanty, per via dei capelli’
‘Shanty?’
‘E’ una parola dei carovanieri del deserto. Significa bianca’
‘Da dove viene?’
‘Non lo sappiamo. E’ comparsa qualche giorno fa dal deserto a Ovest di Abu Simbel e ci ha chiesto acqua e cibo’
Nefertiti si allontanò dalla finestra ‘E voi l’avete imprigionata in cambio di un po’ di pane?’
Rases si strinse nelle spalle ‘Che altro avremmo dovuto fare? Da Ovest provengono solo i predoni. Lei dev’essere una di loro’
‘Non lo sai’
‘Non lo so, è vero, ma quelle malfattrici ci hanno già tolto molto. Se usiamo una di loro per lavorare i campi non vedo dove sia il problema. Le diamo acqua e pane, in fondo. Se è ancora viva, lo deve solamente a noi’
L’amazzone non replicò. In fin dei conti non sarebbe servito a molto. Per l’uomo e la sua donna quella ragazza valeva meno di una capra. D’altra parte anche in Egitto si usavano le kaifa per i lavori più pesanti. Quelle, però, avevano una mente limitata e una forza sovrumana. La giovane che in quel momento stava trainando l’aratro, al contrario, pareva in tutto e per tutto normale.
‘La sfruttate sempre così?’ chiese ancora l’amazzone.
Rases le prese una mano nelle sue.
‘Ti preoccupi per lei? Non devi. Appartiene alla stirpe dei predoni e per questo motivo non merita compassione da parte di nessuno’
Distese sul pavimento di legno alcune stoffe e pelli di capra, e si sedette a rimirare l’egizia. La pelle della donna, ricamata dalle scintille del fuoco e dalle fitte ombre della notte, pareva verniciata di tenebra. L’uomo le si avvicinò e le baciò le gambe con passione. Con una mossa le liberò i fianchi dalla cintura, quindi fece per toglierle anche la tunica.
Da molto tempo Nefertiti non aveva un uomo, erano così rari ormai, ma trattenne l’abito con due dita.
‘E lei?’
‘Lei? Ti riferisci ad Antionia?’
‘Non sei il suo uomo?’
Rases sorrise languidamente. Ormai il desiderio del corpo meraviglioso che aveva davanti aveva svuotato la sua mente da ogni prudenza. In quel momento contava solo giacere con l’egizia.
‘Antionia è lontana e non tornerò prima che faccia giorno’ rispose. Tornò quindi a baciare la donna là dove sapeva di darle più piacere, riuscendo infine a liberare l’amazzone dal suo abito di seta. Quando le sue labbra le sfiorarono il sesso, i muscoli del suo collo e del volto si tesero.
L’amazzone sfiorò la nuca dell’uomo e spinse la sua bocca più a fondo nelle proprie intimità. Da quanto tempo non prendeva il giusto piacere da parte di un uomo! Antionia era lontana, come aveva assicurato Rases, e lui era bello e forte.
Si inginocchiò accanto a lui e lo baciò in bocca, sul mento e sul collo. Dischiuse le belle labbra carnose, leccando la pelle del torace di Rases. Era un po’ salata e aveva il sapore acre del deserto. Le sue mani percorsero la schiena dell’agricoltore, muscolosa e virile, e la sua lingua gli lambì l’addome. Rases si distese sulla pelle di capra, tenendo una mano dietro la testa e l’altra fra i capelli nerissimi dell’amazzone.
‘Sei divina, mia signora’ mormorò.
Nefertiti sciolse la corda che stringeva la corta tunica dell’uomo e senza rispondere la gettò via. Prese fra i denti il bordo del fazzoletto di stoffa che ricopriva il sesso dell’amante e cominciò a farlo scendere lungo le gambe di Rases. Discese le sue cosce, poi le ginocchia, i polpacci e le caviglie. Sfilò la tunica dai piedi dell’amante e risalì, leccandogli le caviglie con voluttà.
‘Che cosa farebbe la tua donna se ci vedesse adesso?’ chiese l’amazzone.
‘Che importa?’ sospirò Rases. Il suo membro era eretto e pulsava. L’egizia se ne avvide, tuttavia scelse di lasciare l’uomo in attesa ancora per qualche istante. Gli accarezzò le gambe, leccandolo sulla linea mediana dei polpacci, per passare dopo un poco all’interno delle cosce.
Rases strinse d’istinto le gambe, mostrando pudore verso le cure dell’amazzone, poi scivolò verso di lei fino a sfiorare col suo sesso le labbra della donna.
‘Bacia’ disse.
Non era uomo da preamboli, pensò l’amazzone, ma era ben dotato ed il suo era l’ardore di un uomo virile. Nefertiti avvicinò al viso la punta del membro di Rases, la sfiorò con le labbra e la accolse dolcemente nella propria bocca. Le sue mani scesero una al solco fra le natiche ed una al ventre dell’amante. L’uomo si sentì bruciare di colpo fin nel midollo. Premette una mano sulla nuca di Nefertiti e spinse la sua asta nella bocca della donna, affondandola in profondità e solleticando il palato di lei. L’amazzone si sarebbe potuta liberare facilmente di quella presa, ma si lasciò dominare dal desiderio.

tom

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