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Racconti Erotici Etero

L’amore inverso (la spingo e la giro)

By 9 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Non voglio che questo giorno che nasce mi trovi da sola a contare le stelle, a vederle cadere dentro questo mare che plumbeo mette quasi paura. Non voglio che mi trovi disperata di un uomo che durante la notte m’ha lasciato dei vuoti di fuori e caverne di dentro, tanto che ora se gridassi non risponderebbe che uno spoglio rimbombo di mura e d’amore. Se ne andato infilando nella valigia mezza casa di ricordi e quella parte di cuore che intatta m’era ancora rimasta, che illusa credeva come si crede ad un Dio in punto di morte. E fuori c’è il mare che mi fa solitudine, che se solo potessi lo prosciugherei, attraversandolo fino a raggiungere quel chiarore che trema flebile all’orizzonte. Mi ripugna persino guardarlo, persino pensare che tra poco illuminerà lo squallore dove affogo da ore, sfaccettandosi su questa bottiglia che vuota m’ha estirpato il dolore, che sola m’ha dato la forza d’essere sveglia fino a quest’ora.

Questo sterminato sconforto m’invoglia e m’invita a trovar consolazione nel suo grembo infinito, dove pesci giganti m’aspettano per sfamarsi di strazi e di pene, per dissetarsi del mio sangue alcolizzato d’appiccicosa tristezza. Tra poco quel chiarore diventerà alba, e filtrerà fino a sbattermi contro, trovandomi nuda su questo pavimento che mi fredda le ossa, dentro queste tette inutili che pendono frivole senza nessuna funzione.

E’ vero! Era il mio unico amante e l’unico che avevo! M’asciugava le lacrime che senza un senso colavano copiose, o m’azzittiva le risa smodate che uscivano ad urla stridenti senza averne motivo. Era l’unico mio amante che solo era rimasto a definirmi un’attrice, sapendo benissimo che il mio culo era servito solamente a far da controfigura, l’unico che mi chiamava scrittrice perché scrivo d’amore in una rubrica di cuori su un giornale locale, ma che mi costa un pomeriggio ogni mese dentro una squallida stanza d’albergo.

Quali stronzate potrò mai scrivere, quali consigli potrò mai dare? Se ora mi ritrovo sconfitta d’amore e compagnia davanti a questa vetrata, dentro questa villa che da mesi mi ospita e non pago l’affitto.

Se ne è andato perché non gli bastavo, perché in queste forme di femmina non s’era mai trovato, né perso. Ed ogni notte m’addormentavo distrutta con la convinzione che mai avrei potuto appagare il suo amore inverso, che mai avrei colmato la sua voglia contraria con le mie tette abbondanti.

E’ fuggito dal suo spacciatore, come un drogato in astinenza, che per anni in segreto lo ha accolto e cercato. L’ha riempito di sesso e d’amore dove io mai sarei potuta arrivare, dove io illusa e ridicola ho tentato di sostituirmi nelle tante notti informi d’amore. Eppure mi bastavano! Come ora mi mancano le sue mani sterili, i suoi respiri infecondi che mai hanno inumidito i miei seni, che mai sono diventati pioggia, temporali, uragani tra le mie cosce in attesa.

Ora non m’è rimasto che questo mare, neanche un ricordo di uomo per sentirmi una donna, neanche una madre per rifugiarmici dentro, neanche un marito per tradirlo ogni volta!

Sono sola! Sola con la certezza che non servirebbe a nulla farmi più bella! Vuota di dentro come tutte le volte che ho aspettato patetica il mio maschio, per poi stringere le gambe ed ascoltare flebile ed anonimo un qualcosa che sapeva d’orgasmo. Vuota come le tante notti che chiedevo nel buio un sesso vero di maschio che m’assopisse la voglia e m’aiutasse ad amare quell’uomo che mi dormiva accanto sognando il suo amore contrario.

Sopra questo tappeto ora mi spoglio e mi copro, mi strucco e mi rivesto come se questo corpo avesse la sola colpa d’essere femmina, o fosse fuori luogo come quello di una puttana che alle cinque del mattino aspetta un taxi cercando di camuffare vestiti e mestiere!

Inutile tento di rialzarmi sopra questa bottiglia che piena m’ha riempito la bocca per ore, ed ora vuota, ostinatamente, mi separa altre labbra. Ma m’illude soltanto riempiendo altro vuoto e sapendo benissimo che la somma dei due è solo disperazione e strazio che sento tra la mia carne insecchita.

La spingo e la giro su se stessa cercando ostinata una stilla di piacere per evitare l’attrito, per sentirla scivolare oltre la mia coscienza che mi sbatte e m’appiattisce sopra questo tappeto. La spingo e la giro pescando nella mia memoria un ospite a caso che non mi chieda permesso, che mi sconfigga il dolore con altro dolore. Vedo lo schifo nei suoi occhi per avermi baciata, l’avidità che prende forma e consistenza dentro periferie del mio corpo che credevo lontane dalla mia dignità. Ma sono maledettamente vicine e in simbiosi con questa bottiglia che mi penetra l’anima e mi scarnifica le ossa, che mi fa assumere questa posizione da cagna dove sento inconfondibili odori marciti di voglie rapprese. Mi danno nausea e vomito come se non fossero mie, come se queste tracce che colano sul collo del vetro fossero d’altra donna che invidio, che strilla di sguaiato piacere mentre mi tappo le orecchie.

La spingo e la giro perché in nessun altro modo potrei sentire il calore, sentirmi avvolta d’affetto e d’amore che inganno con questo vetro a forma di uomo, che confondo con qualsiasi maschio che a quest’ora possa nutrire la nobile intenzione di non farmi sentire più sola. La spingo e la levo per procurarmi altro vuoto, per prepararmi la strada ad ogni istante che passa, ad ogni centimetro di pelle che caparbio la risucchia e l’affonda.

La giro e la levo per non sentirmi più sola, per sentirmi l’orgoglio di comandare ogni uomo che s’addentra timido dentro questo malessere, dentro questo ventre che natura ha creato incompleto. La levo e la spingo sentendo gli anni che passano e fanno rumore, la levo e la giro come questo foulard sul collo che a malapena li copre. La spingo e la giro perché solo questa bottiglia e nient’altro mi dà la certezza di sentire le sue mani infeconde, i suoi respiri sterili che m’accarezzano la lacca e mi sfiorano i capelli. La spingo e la giro convinta che a quest’ora non esistano uomini sobri che abbiano il desiderio d’ascoltare una donna, la decenza di vederla a bocconi che freme e reclama, che grida e sta zitta infilandosi l’unico maschio che negli anni le ha dato l’amore dormendogli accanto.

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