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Racconti Erotici Etero

L’ANGELO DEL GELO

By 14 Giugno 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

L’ANGELO DEL GELO

Cap 1: betulle e girasoli

La primavera era arrivata fino a lì, in quella remota cittadina persa nella campagna ucraina: sterminati campi di girasoli, sullo sfondo mille e mille betulle bianche.
Piatta a perdita d’occhio.
Non era cambiato molto, pensava Andrea.
Sorseggiando un caffè scuro e gramo mentre in lontananza il vento muoveva i capelli alle betulle.
La vide arrivare dal fondo della strada, era accompagnata da una giovane donna bionda come il grano, sulla trentina e vestita con abiti troppo larghi.
Anche lei indossava abiti troppo grandi su quella figura esile, asciutta.
Un golfino marrone scuro che copriva una camicetta bianca, una gonna a fiori.
Al collo un ciondolo di poco valore, due orecchini d’argento.
Scarpe basse e demodeé.
I capelli neri avvolti in una lunga treccia raccolta dietro la testa, uno scialle di seta lilla sulle spalle.
Lei si che era cambiata, ma gli occhi no, la stessa energia pura, fredda e indagatrice.
Il solito azzurro intensissimo:ghiaccio tanto freddo da ustionare lo sguardo che si attardava a fissarlo per una frazione di secondo di troppo.
La giovane donna parlò in ucraino stretto, Andrea capiava poco di quella lingua ma intuì che si trattava della figlia minore che l’aveva accompagnata a quell’incontro.
L’avava fissato con un po’ d’apprensione e di sospetto, quest’amico della mamma che veniva dall’Occidente.
Da quell’occidente ch’era stato nemico fino a poco tempo prima.
-Vai pure Marija, va tutto bene-
Irina aveva parlato in russo; Andrea riconobbe la cadenza dolce così in contrasto con quegli occhi di ghiaccio puro, apparentemente duri.
La ragazza esitò ancora un istante, poi :
– Da… vengo a prenderti alle cinque.

Lo sguardo verde da poterci annegare:

– dasvidania

Andrea la salutò a sua volta.
Restò a fissarla fino a che sparì lungo quella strada sterrata nella luce del pomeriggio, punto chiaro sullo sfondo delle betulle ancor più chiare e dei girasoli inondati di sole tiepido.

Finalmente la guardò; si fece animo e fissò quel ghiaccio azzurro chiaro su quel viso ancora bello contornato dai capelli neri striati di titanio.

Da secoli non parlava il russo in una situazione che non fosse di lavoro, fece fatica a trovare le parole e da buon milanese era anche poco espansivo.

-Ciao Irina… è passato tanto tempo… ora… ecco… ti trovo bellissima.

Fece per afferrare la sua mano su quel tavolino…

Lei sorrise; lui vide un piccolo luccichio alla base di quegli occhi azzurrissimi che gli stavano sorridendo.
Si fece coraggio; le prese la mano; non le staccò lo sguardo dagli occhi.
Stettero così, in silenzio, Andrea nemmeno s’accorse della cameriera ch’era venuta a chiedere se volevano altro.
-veramente…

-Si, cara, portaci un samovar di tè caldo.
Irina sorrise alla ragazza, poi sempre sorridendo:
-abbiamo tante cose da ricordare…

Andrea mise qualche rublo in mano alla cameriera.

Il tè fumante era troppo caldo per essere trangugiato in quel pomeriggio primaverile, così ne versò per sè e per Irina :
-dobbiamo aspettare, sokrovishcha, è troppo caldo.

Una volta invece non era mai abbastanza caldo, pensò Andrea, mai abbastanza nel gelo feroce dell’inverno russo.

-Da, ljubov, da… abbiamo tempo.

La stava guardando, si rese conto, un po’ imbarazzato, lei non lo era.
Lui aveva usato ‘tesoro’ per sentirsi più ‘uomo’, s’era azzardato, dopo così tanto tempo; lei aveva risposto con ‘amore’, come tanto, tanto, tanto tempo fa.

Andrea prese in mano il bicchiere di vetro colmo di tè caldo, vi soffiò sopra; provò a sorseggiare il liquido bollente.
Era proprio troppo bollente, lo poggiò sul tavolo, schivò rapidamente lo sguardo intenso della signora che di fronte a lui si nascondeva dietro il bicchiere.
A parte gli occhi, pensò distrattamente.
E come a cercare un aiuto per affrontare quell’incontro sognato e desiderato per tanti anni prese a vagare lungo i campi gialli di girasole, fino a dove la vista si perde…

Aveva 24 anni, era bello come un dio greco, campione di corsa e di nuoto.
Alto più della media, gli occhi castano scuro, i capelli quasi neri pettinati indietro con la brillantina.
Corti, perchè a soldato si portano corti.
A casa le ragazze non avevano occhi che per lui, il bell’Andrea, e quando tornava in licenza volava di fiore in fiore come un’ape avida di polline.

Era bello e forte e gli piaceva fare il soldato.
Sempre meglio che spaccarsi la schiena nei campi o in fabbrica.
Il duce dal balcone aveva detto che loro erano la meglio gioventù e che andavano a fare grandi cose per l’Impero.
Aveva seguito l’esercito in Francia, ma era arrivato lì quando quasi tutto era già finito.
Era poi stato in Africa: qualche scaramuccia con gli inglesi, qualche rivalità coi crucchi tedeschi, coi biondi come li chiamavano i nostri.
Poi era finito lì, in quel Paese piatto come una tavola, coperto di fiori gialli e di alberi dal fusto candido.
Dove abitava lui c’erano solo castagni, di betulle non ne aveva viste mai.
Stavano in una specie di caserma che avevano costruito appena fuori dal villaggio, dove le case si chiamavano isbe.
Le sigarette arrivavano ogni due settimane, una volta la settimana si andava in paese.
La popolazione non era tanto espansiva: erano poveri contadini, ma nessuno faceva nulla contro di loro.
Una villaggio di donne, vecchi, bambini… e ragazze…
Gli uomini via in guerra ‘ come noi, pensava Andrea- a combattere chissà dove.
Ma la consegna era di non infastidire le ragazze, nè le donne.
Ma si sa, erano giovani e belli e anche le fanciulle lo erano: belle come la luce con quei capelli di grano che fuoriuscivano dai foulard, le gonne a fiori, gli zoccoli di legno ai piedi, le gambe lunghe e affusolate, la pelle candida, gli occhi profondi di smalto oltremare o smeraldo che ci affogavi dentro.
Erano belle anche nei loro vestiti poveri…

E qualche volta si finiva nel fienile.

Se si incontravano per strada, poi, il rossore sulle guance, il sorriso velato, lo sguardo basso che fugge e ritorna.

E a volte anche qualche signora più matura non disdegnava le attenzioni di questi ragazzoni esuberanti che parlavano tutte le lingue d’Italia.

Anche ad Andrea capitò…

Era appena uscito dall’osteria del villaggio, aveva bevuto un po’ di vodka ‘ gli piaceva la vodka perchè gli ricordava la grappa delle sue montagne- era solo, i suoi compagni abituali erano di corveé, lui era stato di guardia la notte e gli toccava il riposo.
Stava fumando una sigaretta, appoggiato all’ingresso dell’osteria.
Buttò una nuvoletta di fumo, s’avviò lungo la strada che portava alla caserma.
La vide.
Era una donna sui 35 anni, al solito bionda come le spighe d’oro.
Aveva in mano una lunga sega da boscaiolo, stava tagliando un grosso pezzo di tronco di betulla.
Ma era troppa fatica per lei, troppo sforzo: sudava e si vedeva ch’era stanca.
Andrea finì di fumare la sigaretta senza smettere di guardarla.
Lei se ne accorse; lo fissò seria, quasi imbronciata e poi sciolse una sequela di parole in russo di cui Andrea non capì nulla, salvo forse il concetto.
Il concetto doveva essere stato, vagamente, che era una vergogna che un ragazzo alto e forte come lui stesse lì imbambolato a fissare una donna che si stava ammazzando di fatica, così, la sigaretta in bocca come a vedere uno spettacolo del circo.
Andrea, non si sa come ma comprese, gettò la cicca e si avvicinò alla donna.
Questa si ritrasse intimorita.
-dammi la sega, avanti, dammela!
Andrea fece cenno alla donna di consegnargli l’atrezzo.
Si levò la giubba dell’uniforme e si tolse la camicia, prese l’atrezzo e cominciò di lena a tagliare il legno.
Ci dava dentro, la segatura volava da ogni parte, finì di tagliare in poco tempo.
Quando rialzò lo sguardo vide che la donna indicava altri legni accatastati.
– anche quelli? Eh, anche quelli?
– …Da…da…

Prese un secondo pezzo, era pesante, ma lo sollevò come fosse un fascio di fieno.
Lo pose sul cavalletto e riprese a segare.

Ne sollevò altri quel pomeriggio, di fusti, alla fine, segato l’ultimo…
-ecco fatto, finito Signora-
Lei lo stava guardando con occhi lucidi, le labbra un poco dischiuse, lui tutto luccicante di sudore, i capelli spettinati, i muscoli gonfi per la fatica.
– mi dò una lavata con quel secchio. Capisci? Il secchio, voda, lavare.
-Da, da, voda, da.
Le diede il secchio e un pezzo di sapone, lui se lo passò sul busto ed alla fine si rovesciò addosso il secchio intero.

Lei era sulla porta dell’aia, tenva in mano una specie di asciugamano; le fece cenno di venire a prenderlo…

Andrea fece a grandi passi il cortile ma quando fu sulla soglia lei era sparita all’interno.

Era penombra lì e venendo dalla luce intensa del cortile Andrea fu come accecato, non vide la donna e cominciò a temere.
La mano corse alla baionetta che portava sempre con sè, la destra a stringere l’impugnatura.
Stava per estrarla quando si sentì cingere e due mani che dolcemente lo spingevano a voltarsi.
La vide, si era levata la giacca, sbottonata la camicetta tanto bastava a mostrare dei seni candidi e sodi nonostante non fosse una ragazzina.
Andrea era giovane, ma non stupido: un po’ di smarrimento lo colse, questo si, non se lo aspettava, ma comprese al volo.
Le infilò le mani nella camicetta sbottonata, e cominciò a carezzare quelle tette calde e dure, sentiva i capezzoli indurirsi come chiodi al suo tocco.
Lei lasciava sfuggire qualche gemito sottile quando li toccava un po’ forte.
La spogliò abbastanza lentamente, con le ragazze era di solito più rude, ma non era mai stato con una donna più grande.
Era bella, di una bellezza… piena, era proprio donna, non una di quelle ragazzette che si faceva e che conquistava raccontando balle e facendo il finto romantico.
Non voleva romanticismo questa, ma nemmeno era una puttana.
Non sapeva come, ma capiva che non era una che lo fa per soldi o che lo fa con tutti.
La stese nel fieno e cominciò a baciarla.
Scese dal collo candido fino al seno.
Prese i capezzoli rosati fra le labbra, li succhiò e li strinse fino a farla gemere.
La sua mano incontrò subito un fiore bagnato e aperto e le dita trovaro la strada.
L’accarezzava così, le dita dentro, le labbra a stringere quei capezzoli di rosa.
I gemiti e i sospiri, il profumo di quei capelli biondi…
Era giovane e prestante, Andrea, anche dopo un pomeriggio passato a spaccare legna dopo una notte passata di guardia.
La infilò in un colpo solo.
Quasi urlò quando le entrò fino in fondo, ma subito si lasciò andare ai gemiti e al piacere.
Si muoveva lui, ma anche lei lo strigeva con un vigore e una maestria che Andrea non aveva mai provato con le altre ragazzine che si faceva.
Stava quasi per venire, cercava di trattenersi.
Nel mentre la vide spalancare gli occhi di colpo, lo afferrò e mettendoci tutta la forza lo rovesciò sulla schiena.
Prima che Andrea potessa fare una qualunque cosa, le donna cominciò ad andare su e giù forsennatamente, stringendo i muscoli ogni volta che scendeva e strizzandogli l’uccello da impazzire.
Il ragazzo era sorperso, ma la sorpresa fu presto sovrastata da onde pure di piacere fino a quando lei venne urlando come un maiale sgozzato e le si accasciò sopra.
A questo punto, dopo l’iniziale sconcerto, Andrea la rivoltò come fosse una bambola e la stantuffò fortissimo, sentiva il piacere arrivargli al cervello come una saetta.
Ma nell’ultimo estremo momento di lucidità riuscì a realizzare di tirarlo fuori per non venirle dentro e la schizzò tutta dal ventre, alle tette, al collo, persino il viso e capelli d’oro, di seme bianco e caldo.
Le si accasciò vicino.
Lei si tirò su un fianco e lo carezzò un po’ sul petto.
E stette a guardarlo per un po’ con un’espressione grata e stanca.
-abbiamo fatto proprio una brella sgroppata eh, signora? Come ti chiami? Nome, io Andrea, tu… nome?
– Anna… iu … Anna.
-va bene Anna, adesso devo andare, capisci andare? Se non torno in caserma mi puniscono.
Si rivestì in fretta, si pettinò i capelli, si rimise l’uniforme.
– se hai bisogno ancora… indicò la legna…
Anna sorrise…
-Da, ancora.
Lo sfiorò con bacio esitante sulle labbra e sparì nell’isba.

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