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Racconti Erotici Etero

Le orchidee della vicina

By 4 Agosto 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

“Allora ci vediamo stasera…mi raccomando STUDIA!” disse mia madre dal finestrino della sua Lancia mentre aspettava l’apertura del cancello elettrico. Mi avvicinai per chiederle qualche euro per poter comprare le sigarette e la salutai. In quel momento una voce giovane e piuttosto seccata risuonò nel cortile comune “POLDO!! NO!!!”. Era Diletta, la figlia dei vicini di casa. Dalla finestra aveva visto il suo cane scavare nel giardino vicino le loro splendide orchidee ed sporcare il selciato di terra. Così, per impedire alla bestia di fare ulteriori danni, si era precipitata fuori casa in uno splendido completino da casa che non poteva non esaltare le sue forme abbondanti ma mai esagerate: canottiera bianca e mini-pantaloncini rosa che dividevano l’addome dalle sue abbronzate e croccanti gambe. A completare il tutto, calzini colorati a strisce gialle e fucsia.
Mentre avvolgeva il cagnolino in uno stretto abbraccio, sussurrandogli qualcosa all’orecchio, mia madre mi lanciò un’occhiata d’intesa, che sostanzialmente voleva dire “guarda che gran bella vicina che hai! Vedi di combinare qualcosa!”. Ricambiai con uno sguardo scettico e seccato. Diletta era una ragazza bellissima, occhi tra il verde e il marrone e lunghi capelli castani. Vestiva bene, guidava una 500 bianco latte e frequentava solo i locali più chic della città. Io capelli disordinati, barba incolta, leggera pancia da birra e abbigliamento poco curato. Due mondi opposti che mai avrebbero potuto incontrarsi. Non ero “la volpe che non può arrivare all’uva”, ma le sue forme e la sua bellezza erano gli standard con cui televisione e internet ci bombardano tutti i giorni, per cui sì, era davvero una ragazza appetitosa, ma di certo non colpiva per la sua “originalità”.

Quando la lancia uscì dal cancello, mi accesi una sigaretta e mi misi a guardare Poldo, che sorrideva tra le tette della sua padrona. Alzai lo sguardo a lei: sorrideva in modo forzato, tenendo gli occhi piuttosto spalancati e il naso leggermente arricciato, della serie “ti guardo dall’alto verso il basso, ma cortesia vuole che non lo dia a vedere”. Ricambiai con un sorriso della durata di mezzo secondo e aggiunsi un circostanziato “ciao”.
Rientrai dentro casa e mi stesi sul divano a gustarmi la sigaretta. Nel silenzio più totale, potevo sentire praticamente ogni singolo rumore al di là della parete: i versi di Poldo, la porta che si chiudeva e le chiavi di casa poggiate sul tavolo. Diletta stava rimproverando il suo cagnetto con tono materno..riuscii a capire distintamente un “guarda che non ti faccio più le coccole!”. Dopodiché un tonfo (doveva essersi lasciata cadere sul divano) e un rumoroso sospiro.
Nel caldo di quel pomeriggio di Giugno, ripensando alle curve della vicina, decisi di stuzzicarmi un po’. Mi infilai la mano nei pantaloncini da basket e cominciai a massaggiare. Di lì a poco, noncurante della finestra semiaperta (che in ogni caso dava sul cortile interno, chiuso da un muretto e quindi lontano da sguardi indiscreti), mi abbassai i pantaloncini e iniziai la masturbazione vera e propria.
Tuttavia, il mio piccolo momento privato fu subito interrotto dalla acuta voce di Diletta che nuovamente rimproverava Poldo. Il cagnetto era riuscito ad uscire di casa e a scavalcare la recinzione del loro giardino. Me lo ritrovai fuori la finestra. Lo fissai per un secondo con ancora il membro in mano, e quando mi resi conto che anche la sua padrona sarebbe comparsa al mio cospetto per recuperarlo era ormai troppo tardi.

Sia io che Diletta eravamo rimasti petrificati. Lei fissava la mia mano destra e il suo contenuto (non aveva il coraggio di alzare lo sguardo). I suoi occhi sembravano vuoti, spenti, sotto incantesimo; la bocca leggermente aperta.
Nessuno dei due osava fare un movimento. Invece di coprirmi, rimasi in quella posizione, curioso di vedere la sua prossima mossa.
Dopo qualche secondo, la ragazza chiuse la bocca, distolse lo sguardo e senza proferire parola prese in braccio il cane e tornò dentro casa.
Sentii diversi rumori indistinti dall’altro lato del muro, poi il rumore del suo portone di casa che si apriva di nuovo. A quel punto mi tirai su i pantaloncini e attesi che apparisse qualcuno.
Dopo un paio di minuti mi affacciai: il portone era ancora aperto, nessuno nei paraggi. Decisi di andare.

Appena varcai l’uscio buio di quella casa, Poldo corse ai miei piedi e scodinzolando cominciò ad annusarmi e a leccarmi le scarpe. Provai a chiamarla: “Diletta…?”. Niente. Feci un altro passo. In una frazione di secondo, la ragazza apparve da dietro la porta e mi afferrò per la maglietta con violenza. Mi portò di fronte a sé e iniziò a fissarmi. Stava piangendo! La matita era lentamente sgocciolata sulle sue guance perfette e gli occhi erano diventati due fessure schiacciate dalle sopracciglia tormentate. Ero sbigottito, non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Diletta mi fissava, piangendo, a un centimetro di distanza, senza dire nulla.
Presi fiato per dire qualcosa, qualunque cosa, ma prima che potessi emettere suono lei mi scaraventò ferocemente sul divano, dopodiché iniziò a spogliarsi rapidamente. Nel frattempo piangeva sempre più forte. Si tolse la canottiera e i suoi seni prosperosi balzarono fuori insieme ai capezzoli piccoli, scuri e turgidi. Si sfilò i pantaloncini e mostrò a me e a Poldo una delicata vagina perfettamente depilata, eccezion fatta per un piccolissimo ciuffo sopra il clitoride.
Si inginocchò con le gambe divaricate ed immediatamente Poldo corse da lei, che lo accolse mettendo la mano sinistra dietro la nuca del cagnetto. Poldo iniziò a leccarle la vagina e lei scoppiò di nuovo in lacrime e singhiozzi. Mi guardava e cercava la mia compassione, si aspettava una qualche reazione, mentre muoveva il basso ventre in quella perversa contorsione erotica.

Decisi di alzarmi dal divano. A questo mio gesto, Diletta allontanò Poldo dalla sua vagina e smise di piangere. Mi guardava come una bambina caduta dalla bicicletta. Le sue labbra si erano strette quasi a voler trattenere ulteriori singhiozzi. Non riuscivo a capire se quella immagine mi facesse pena o mi eccitasse in modo perverso. La mia splendida vicina di casa, con la 500 bianca, i vestiti firmati, i locali chic e la puzza sotto il naso in realtà malcelava una oscura contraddizione. Sì, in fondo vederla ridotta in quel modo suscitava in me desideri viscerali..un’immagine così dissacrante e dissacrata..sentii il cazzo diventare marmoreo e decisi di liberarlo.
Appena mi abbassai i pantaloncini, lei scattò verso di me…esattamente come poco prima il cane aveva fatto con lei. Lo afferrò in maniera sgraziata, lo strinse tra le sue dita umide come un tubetto di dentifricio e all’uscita della prima gocciolina attaccò le sue labbra al glande come una ventosa.
Mentre selvaggiamente e con tanta avidità succhiava la rossa cappella mi guardò e cominciò a mugugnare. Ogni tanto pareva quasi ridesse di felicità.
Lo tolse dalla bocca e cominciò ad osservarlo, lo annusò folgorata dalla sua fragranza pungente, iniziò a strusciarselo in faccia, sporcandolo di make up e sporcandosi di liquido. Era caduta in uno stato di completo appagamento sessuale, si ubriacava della trasgressione di quel momento, tremava ed ansimava come se fosse sotto eroina..

Mi costrinse a sdraiarmi per terra, posò il sodo culetto tra le mie ginocchia e a gambe divaricate cominciò a massaggiarsi le labbra della vagina in maniera maniacale. Con l’altra mano faceva cose strane al mio uccello: gli dava degli schiaffi, poi lo stringeva come una spugna, poi infilava l’indice tra la pelle e il glande ed assaggiava quel nettare. In mezzo minuto lanciò un urlo quasi disumano e la sua vagina cominciò a secernere copiosamente i propri liquidi sul pavimento. A quel punto mi guardò, in totale estasi. Le sue guance erano tutte rosse, i capelli sudati ed appiccicati al viso e alle spalle.
Finalmente decise di dire qualcosa: “io ho fatto danza per 15 anni!” con tono di sfida. Immediatamente dopo spostò i suoi piedini (ancora con i calzini colorati) sul mio bastone ed iniziò un soffice footjob. Si ripiegò su sé stessa per arrivare con la bocca sul mio cazzo mentre continuava a lavorare di piedi. Le sue mani aggrappate ai miei glutei, tanto da conficcarmi le unghie nella carne. Ahi!
Alzò la testa facendo resistenza con il risucchio della bocca sulla mia cappella ormai violacea fino a quando le sue labbra non si staccarono con un sonoro schiocco. Mi lanciò un’occhiata fulminante e con le ciglia aggrottate mi disse: “ho fatto anche Miss Italia”. Non sapevo cosa risponderle, e così strinse il mio cazzo tra le sue dita umide e cominciò a segarmi con una brutalità inaudita. “Ahi! Piano!” ..a queste parole emise un lungo gemito e si mise nuovamente sui suoi piedi per poter spostare il suo fenomenale sedere all’altezza del palo.
Si posizionò per bene e spostò il mio cazzo all’altezza dell’ano. Sorridendo, cominciò ad abbassarsi lentamente in modo da lubrificare l’entrata secondaria con i liquidi rimasti sulla mia cappella, fino a quando, di punto in bianco, si lasciò cadere sulla mia asta. Immediatamente cominciò ad andare su e giù ad alta velocità, ansimando con il cuore in gola. “Piano, rallenta!”

Ma era troppo tardi: esplosi nel suo sedere con tutto il seme che avevo. Sborrai talmente tanto che lo sperma schizzò fuori dal suo sedere. Lei però non fermò la cavalcata, anzi accelerò l’andatura sempre più forte, sempre più in profondità..allungò la mano alla base del cazzo e raccolse lo sperma fuoriuscito prima, lo annusò, se lo spalmò in faccia, prima di venire di nuovo con un urlo molto acuto.
Scoppiò di nuovo in lacrime mentre continuava a contorcersi sul mio bastone di carne, aveva ripreso un vorace ditalino per sfruttare gli ultimi sprazzi di piacere orgasmico.
Poldo mi salì sulla pancia e si mise a leccarle la vagina gonfia, arrossata e pulsante mentre il suo culo cadeva sempre più lentamente e con sempre minor vigore sul mio uccello sfinito.

Lentamente e ad occhi chiusi, Diletta si adagiò sopra di me e si rannicchiò sul mio petto, massaggiandomi lo scroto e il pene e sussurrando “grazie…grazie…”.

Non mi capacitavo di cosa fosse successo in quell’ora. Era tutto fin troppo surreale, mi domandai se fosse matta lei o se fossi impazzito io.

L’orgasmo che provai non è suscettibile di essere descritto a parole.

Rimanemmo un’altra ora per terra, nudi, sporchi, sudati, ricoperti di qualunque tipo di liquido.
Fuori dalla finestra, le orchidee di Diletta ci osservavano invidiose.

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