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Racconti Erotici Etero

Le pieghe del tempo

By 24 Marzo 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Quel giorno stavo pulendo la memoria del mio ormai non più nuovo smartphone. Le cose che ritenevo importanti le avevo già salvate nei vari backup precedenti.

Tuttavia, diedi una lettura veloce ai dati nascosti delle applicazioni. Non so di preciso perché lo feci; forse desideravo, inconsapevole, un’ondata di malinconia. Apposta. Un po’ per farmi male, un po’ per nostalgia. Un po’ perché sto davvero invecchiando.

Anni prima avevo avuto una breve relazione con una ragazza molto più giovane di me.

All’inizio, questo fatto, la grande differenza di età, mi aveva creato qualche titubanza tanto che lei mi aveva giudicato scostante. Con il passare dei giorni e delle conversazioni e degli incontri, la mia tensione era via via evaporata. Allora, forse non del tutto a torto, mi convinsi a proseguire, oggi tenderei a pensare il contrario. Non mi doveva importare molto di quello che avrebbe detto la gente, mi dissi, e dopotutto lei era una bomba, una di quelle persone che ti fanno perdere la testa tanto mi aveva coinvolto.

Questa relazione durò qualche mese. Poi, ovviamente, la stancai. I nostri mondi erano parecchio distanti, nonostante la passione che vi infondemmo a vicenda. Ci rimasi un po’ male, lo ricordo, ma con il passare del tempo capii la naturale evoluzione delle cose, della loro assoluta non eternità e, dopotutto, ne fui felice. Felice di avere condiviso un pur breve attimo della mia esistenza con questa straordinaria donna. La felicità, ne sono convinto, è da ricercare in quei momenti, non in un orizzonte irraggiungibile.

Il tempo era passato e non sentivo la sua mancanza. La sua mancanza e quella di una stagione che ritenevo ormai tramontata.

Quel giorno però il caso, o una sottile voglia che si era incuneata di nascosto nella mia mente, mi fece ritornare a quei momenti.

Trovai, nel telefono, appunto, una cartella con una moltitudine di note vocali. Dalla data di creazione riconobbi quei mesi passati con L.

Fu un tuffo al cuore.

Avevo cancellato chat e qualsiasi riferimento a quella ragazza. Certo che non ne volessi e potessi riannodare qualsiasi tipo di legame. Ho sempre odiato come noi maschi, nei momenti di bisogno e di solitudine forzata, tendiamo a ritrovare donne incontrate e poi perse. Ci facciamo spesso un’orrenda figura. Come persone all’ultima spiaggia, morti viventi in cerca di carne. Volevo per cui escludere qualsiasi possibilità di scrivere o chiamare L.

Non avevo comunque considerato che la memoria dei nostri telefoni è forse più persistente e metodica di quella delle nostre menti.

Ascoltai una nota vocale a caso e udii la sua voce. La riconobbi immediatamente. Riconobbi il suo spiccato accento piemontese, la sensualità del suo timbro. La nota vocale non fu nulla di particolarmente piccante o interessante. Parlava del suo turno di lavoro che aveva appena cominciato e che non vedeva l’ora di finire per potermi incontrare.

Da qui, fu più forte di me, ascoltai la sequenza. Fu la decina di file successivi a colpirmi come con un uppercut e a stendermi.

Era appena tornata a casa dopo un nostro incontro. Probabilmente avevamo appena fatto sesso, il sesso tra noi era selvaggio e irrefrenabile come due animali che conoscono bene l’evanescenza dei sentimenti e, consci di questo, ne impregnano le occasioni di vitalità. Entrambi, quella sera, si intuiva dalle note, subivamo ancora un hangover di ripetuti orgasmi e della lontananza forzata che avremmo dovuto sopportare per i prossimi giorni prima di rivederci. L esordì dicendo che era a letto, dopo aver fatto la doccia ed avere indossato una lingerie che mi dava di matto.

Ora, io ho sempre avuto una passione smodata per le donne che si mettono un intimo provocante ed elegante e devo dirvi che L ci sapeva fare. Sapeva come annichilire questo mia flessione attraverso la sua personale guerra lampo fatta di provocazioni e messaggi non detti. Corpetti e reggicalze erano un “must” nei nostri incontri. Radeva al suolo qualsiasi rimostranza, qualsiasi pensiero grigio o triste o le fatiche di tutti i giorni. Una fissione nucleare basata su lacci e pizzi, su trasparenze e colori sofisticati. Rimaneva una landa desolata attraversata dalla voglia di averla.

 

Quella sera probabilmente mi aveva mandato una foto di lei. Chissà che fine avrà fatto quella fotografia.

Me la immaginai, tra la fantasia di adesso e i ricordi appannati di quel momento.  Distesa nuda, tranne un reggicalze slacciato di pizzo nero, tra lenzuola bianche, le pareti sullo sfondo gialle. Le labbra carnose del suo sesso in primo piano. I seni magnifici sfocati nella profondità di campo. La sua mano libera sul monte di venere. O forse più giù, nel tentativo di farsi strada dentro di sè.

La nota vocale proseguì descrivendo una situazione sempre più spinta. Descrisse di avere impugnato un grosso dildo, leccarlo come se fosse il mio sesso e infine strofinandoselo sulle labbra. Disse di sentire ancora l’odore del mio seme.

E poi cominciò, prima ad ansimare, poi a gridare. Dapprima il ritmo fu lento poi sempre più veloce. Urlava il mio nome. Mi immaginavo l’attrezzo febbrile scorrere nella sua fica.

Le note vocali erano brevi e convulse. E frenetico fu anche il mio scorrerle, impaziente di sciogliere i nodi grippati dal tempo passato. Impaziente di assaporare di nuovo quelle emozioni ormai indistinte e arrugginite.

Le note che seguirono furono varie, una decina appunto. Immaginai anche la costanza e l’impegno necessario per tenere in una mano il telefono e l’altra dedita a tuffarsi nel piacere personale.

In un impeto di freddezza potei pensare che stesse fingendo, dopotutto non ero presente, dopotutto i sentimenti verso di lei erano ormai rarefatti. Non fui davvero certo della loro imponenza di quei giorni, così lontani. Tuttavia, a distanza di anni, la voce e la concentrazione che l’atto richiedeva mi sembrarono veri, reali. Forse, posso dirlo, soltanto ora capivo l’assoluto valore delle sue intenzioni, del desiderio, della nostra passione e del nostro, sì, in qualche modo doveva esserlo, amore. Non stava recitando, era sincera. Mi desiderava con tutta sé stessa quella sera.

Le urla proseguirono, tra il mio nome, uno sbattimi, uno spaccami, un riempimi. Sparati nel microfono come proiettili di mitraglia. Alzai il volume al massimo per sezionare il minimo dettaglio dei suoi sospiri e della sua gola graffiata dalla poca saliva, dalle urla strozzate e continue. La mitraglia non sbagliava un colpo e mi sentii, sulla quarta dimensione, raggiunto, colpito, messo al tappeto, crivellato di colpi con il cuore impazzito.

 

L’ultima nota fu quella del rantolo. Le urla interrotte dall’intensità del piacere. Le profonde inspirazioni che si concludevano con un sibilo, come per prendere tutto il fiato possibile, tutta l’aria possibile. Mi immaginai il suo seno dilatarsi sopra la cassa toracica al massimo dell’estensione. Mi immaginai davvero, come fossero reali, i suoi seni alla portata della mia mano, della mia bocca,  i capezzoli induriti, appuntiti. Dio, se li avessi avuti lì, in quell’esatto momento! Raggiunse l’orgasmo e per un attimo, quasi interminabile, ci fu un silenzio profondo.

Poi la voce rotta, roca, a richiedere la mia presenza, l’urgenza di avere un corpo lì vicino da spremere. Il mio, in quel momento. Il suo, madido di sudore e gonfio di piacere e di attesa dell’amante.

 

Spensi il telefono, ma prima cancellai definitivamente quella cartella. La dose di ricordi, per quanto intensa, poteva dirsi conclusa. Da questo punto in poi sarebbe stata solo una serie di tracce nella mia memoria.

Riponendo il telefono sul mobile ripensai a L, adesso così vivida come se l’avessi appena incontrata. Sentii il profumo dei suoi lunghi capelli mogano. Rividi i suoi occhi da gatta, il suo mascara.

Mi chiesi chissà dove fosse ora, chi stesse amando in questo momento e se, mentre stesse godendo dell’impeto del tuo amante, un piccolo granello di memoria di me avesse parte nel suo piacere.

 

Pura illusione, ma mi piacque pensarlo aldilà di ogni realtà.

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