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Racconti Erotici Etero

Le Rapucci

By 20 Dicembre 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

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Certe volte la vita ti sembra proprio come quella di Truman, quello del film The Truman show. Ogni giorno alla stessa ora ti svegli, ti lavi, fai colazione, scendi per andare al lavoro. E nel farlo incontri le stesse persone, le saluti, sorridi loro e ti abbandoni alla tua giornata.
Sono un tranquillo 27enne che ha un lavoro invidiato, un reddito più che discreto che mi consente di vivere da solo. Amo la mia solitudine ed in quella puntualmente mi sveglio tutte le mattine per le 7. Faccio colazione e scendo per abbandonarmi alla giornata. Tutte le mattine puntualmente incrocio le stesse persone. La vicina che porta fuori il cane, l’ufficiale dell’esercito che abita di fronte a me, il portiere e soprattutto loro, quelli, o sarebbe meglio dire quelle, della famiglia Rapucci. Sono tre, la madre e le sue due figlie che, da quando abito lì, 8 anni, ho visto passare da un’ingenua infanzia alla rigogliosa prosperità di ventenni.
Sono due gemelle, identiche in tutto e per tutto, se non ovviamente nel modo di vestire. Sono alte entrambe sul metro e settanta, more, labbra turgide e ben disegnate ed occhi neri maliardi, che dicono tutto e dicono niente che ti prendono in giro, ma che nel contempo vorrebbero sapere tutto e anche di più di te.
Tutte le mattine le saluto con il frettoloso ciao di circostanza. Non ci siamo mai fermati a parlare, ma di sorrisi e sguardi ce ne scambiamo di abbondanti tutte le mattine. Specie con una delle due che non so perché ma ho l’impressione che un debole per me ce l’abbia.
Il sabato mattina &egrave dedicato al sonno. Non ci sono santi: prima di mezzogiorno non ci sono per nessuno. Quel sabato era una sabato di maggio ed erano le 9 del mattino. Suona la porta. In realtà che suonasse io me ne accorsi dopo un bel po’, quando il mio torpore, si trasformo in irritazione, fino a sfociare nell’incazzamento all’ennesimo driiinnn. Dovevo alzarmi. Dormo nudo, in boxer di solito. Quindi di fretta e furia infilai un paio di pantaloni e a petto nudo, con gli occhi semichiusi e i capelli arruffati mi avvicinai alla porta, brandendo un ‘chi &egrave’ che più scazzato non si poteva. Dall’altra parte rispose una voce tra il gentile e l’imbarazzato: ‘Ehhhmmm, mi scusi, sono Greta, Greta Rapucci &egrave caduta una cosa sul balcone’. La frase non fu completa che io avevo già aperto la porta. La Rapucci continuò: ‘Scusi, l’ho svegliata non volevo’, disse abbassando lo sguardo, imbarazzata anche nel vedermi seminudo. ‘Mi sarebbe caduta una cosa sul balcone: potrebbe prendermela grazie’. Ancora stordito la invitai ad entrare. Mi indicò il balcone della cucina e ci incamminammo insieme verso di quello. Nel farla entrare, lei nell’incedere finì davanti a me così che io mi ritrovai davanti un sederino veramente da paura che ancheggiava affatto male, tutt’altro che timido nonostante i vent’anni. I jeans, attillati, vestivano alla perfezione quel paio di cosce magre ma sode, quel culetto alto e pieno. Era sexy, molto sexy. E poi finalmente sapevo anche il suo nome: Greta. Nei pochi passi dalla porta al balcone se la vista fu rapita dal suo rigoglioso sedere, l’olfatto fu colto da un profumo sublime, che raccontava di una freschezza sensuale, di quelle che ti prendono i sensi prima ancora che il naso.
Arrivammo al balcone e dopo aver sollevato la serranda uscì fuori al balcone. Lei imbarazzata indicò quel che le era caduto. ‘Guardi &egrave lì’. Mi girai e vidi un pezzo di stoffa sul parapetto del mio balcone. Il pezzo di stoffa in questione era un perizoma color verde acqua, con filo interdentale e con tanto di trasparenza sul davanti: insomma una di quelle cose per cui vale la pena immaginare una donna. Raccolsi il pezzo di stoffa e, imbarazzato, lo porsi alla Rapucci. In quegli attimi, in quel passaggio di mano che implicò lo sfiorarle la mano, immaginai quel pezzo di stoffa su di lei. Immaginai l’assenza di quei suoi jeans così ben riempiti. Immaginai quel filo interdentale che andava a dividere quel capolavoro ed immaginai quella trasparenza che lasciava intravedere lo scrigno del piacere. In quegli attimi, il palesarsi di quelle immagini, lo sfiorare la sua mano ed il suo sguardo tra l’imbarazzato e l’intrigato, causarono un ulteriore motivo di imbarazzo. Infatti una prepotente erezione si era fatto largo nei miei boxer, arrivando a pressare i pantaloni della tuta che avevo indossato. L’erezione non era da poco: era di quelle mattutine che si fanno portatori dei sonni notturni, come di tutte le fantasie represse del giorno prima, per non dire dell’intera settimana. Era un’erezione figlia di quel suo profumo e di quella sua freschezza che erano un mix paurosamente inebriante. http://dandyhot.splinder.com/

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Quando il pezzo di stoffa era passato nelle sue mani, Greta si era già accorta della mia erezione. Me ne accorsi perché per un nano secondo il suo sguardo si era abbassato e fulmineo era tornato a cercare i miei occhi. Le sue labbra però si lasciarono andare ad un sorrisino che parlava da solo ed era come un titolo di giornale: ‘Uno a uno: palla al centro’. Per rompere quel momento che sembrava infinito mi venne da dire: ‘Scusami se ho aperto così, però stavo dormendo e ti ho aperto che ero ancora mezzo rincoglionito…’. Lei non mi fece neanche finire che mi interruppe dicendo: ‘Ma che…mi scusi lei piuttosto. Mia madre mi ha lasciato da stendere la biancheria e mi sono lasciata sfuggire…beh….questa….’. Non riusciva a dire perizoma, slip, mutandina. Era imbarazzata, arrossiva, ma nel farlo assunse un’aria ancor più sexy, probabilmente perché ancora più ingenua. ‘Beh almeno finalmente ci siamo scambiati qualche parola in più del solito ciao…’, dissi io, facendola sciogliere in un sorriso d’approvazione. ‘Comunque piacere: io mi chiamo Marco. Tu hai detto che sei Greta, vero?’. ‘Si, si Greta. Beeehh, io ora andrei. Mi scusi ancora’. Non volevo farla andare così e così le dissi: ‘Aspetta, se vuoi ti offro un caff&egrave’. Lei, che nel frattempo si era già voltata avviandosi verso la porta, si gira e mi dice: ‘No no, non voglio approfittare. Ho già rotto abbastanza. E poi, semmai, dovrei essere io ad offrirle un caff&egrave’. ‘Guarda che non ho 40 anni: ne ho 27. Puoi darmi del tu, non mi offendo’, le risposi io spiazzandola, visto che non si aspettava quello che lei colse evidentemente come un rimprovero. ‘Guarda che scherzo…allora quando me lo offri sto caff&egrave?’. Fu sorpresa dalla mia risposta. Evidentemente non si aspettava neanche quella. Tuttavia rispose più o meno prontamente. ‘Questo week end starò sempre a casa: lunedì ho un esame e devo mettermi sotto con lo studio. I miei mi hanno lasciata sola per questo. Se ti va puoi passare dopo pranzo…’. Stavolta era lei che aveva sorpreso me. Nel suo imbarazzo era riuscita ad invitarmi per un caff&egrave. Sembrava quasi una strategia studiata. Nell’incedere di quella frase riuscì ad imbarazzarmi, oltre che ad eccitarmi ulteriormente. Lo disse infatti con un fare che sembrava quasi non aspettasse altro che farmi questo invito. Quel suo profumo poi: aveva ormai impregnato casa e non poteva essere casuale. Forse era una strategia voluta, come voluto era quell’ardito pezzo di stoffa sul parapetto del mio balcone. Come forse voluto era quel jeans attillato, che per studiare o stendere la biancheria si sa che &egrave l’ideale. Per non parlare poi della canotta rossa che indossa, aderente e ben calzante sulle sue sinuose forme, con le bredelline merlettate che incrociavano quelle del reggiseno. Verde acqua. Già, che casualità: lo stesso colore del perizoma o pezzo di stoffa. Ciò voleva dire tre cose: o indossava biancheria spaiata o aveva un ulteriore completino intimo di quel colore o portava solamente il reggiseno. Tutte e tre le opzioni però portavano ad un unico risultato: farmelo diventare di marmo. Nel farsi più solido di quella frase, affiorava tutto questo disegno che immaginavo essere stato ordito dalla testa di questa poco più che ragazzina che ogni mattina con fare ammiccante per otto anni non mi aveva rivolto altro che un ciao. Tutto sembrava così assurdo, ma mentre la sua frase si completava con ‘… così mi faccio perdonare per averti svegliato’, a me venne naturale accettare, facendo anche la battuta: ‘Vabbeh, va: sto pomeriggio mi vengo ad avvelenare’. commenti a dandy_hot@hotmail.it
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Maggio &egrave un mese particolare. Le donne sembrano attenderlo con spasmo, vogliose di mostrare la pelle agli uomini. Uomini che di contro dovunque, dalla metro all’ufficio, dalle strade agli ascensori, si vedono sopraffatti da decolté trabordanti, come da ombelichi in bella mostra, piuttosto che da vite sempre più basse, pronte a mostrare la cosiddetta coda di balena.
Quel sabato di maggio Greta era una delle tante donne che non aspettava altro che questo momento ed io ero uno di quei maschi che stava per essere travolto da un baccanale di carne in mostra.
Finii di pranzare piuttosto presto ed aspettai che si facessero le 14.30 per salire a casa Rapucci. Suonai e dopo pochi secondi venne ad aprirmi Greta. Per l’appunto, Greta. Ecco si, Greta. Appunto…. Se in mattinata era sobriamente sexy, ora si era trasformata in una sexy pin up. I miei occhi si soffermarono prima di tutto sui suoi micro short bianchi, evidentemente tenuta casalinga, ma che le donavano in maniera pazzesca. Le sue lunghe, belle e sode gambe infatti erano messe ben in risalto e l’infradito che indossava metteva in evidenza dei piedini curati e che invitavano a diventare un feticista. Risalendo era impossibile non soffermarsi su quella vita scoperta, né troppo magra né troppo grassa, costruita apposta per far eccitare gli uomini che vi posano gli occhi sopra. La maglietta era la stessa della mattina: canotta rossa merlettata, con bredellina di reggiseno in bella vista. La differenza stava probabilmente in un aggiustamento al ribasso, come a voler mostrare ulteriormente quel po’ che la cannottiera celava: i miei occhi giudicarono una quarta, bella rigogliosa, di quelle che riconcigliano gli occhi con il mondo e da cui non vorresti più staccare lo sguardo. Il tutto era subliminato da quelle labbra carnose e polpose che davano ancor più luce a quegli occhi vispi. Una radiografia, quella scattata sull’uscio della porta, intercorsa tra lo spalancarsi della porta stessa ed il suo: ‘Finalmente. Pensavo c’avessi ripensato. Dai accomodati, per di qua…’. Mi fece strada e mi si parò davanti con quel sedere sodo, tondo, messo in risalto da quegli short bianco latte e da quella sua camminata sulle punte, da classica lolita sexy. Ipnotizzato dal suo sedere non mi accorsi immediatamente della trasparenza dello short stesso. Una trasparenza che in realtà metteva in risalto le due natiche, ben divise dal filo interdentale. Gli stessi short erano poi talmente bassi da mostrare la parte superiore del perizoma: da infarto, soprattutto perché quel pezzo di stoffa era il pezzo di stoffa finito sul parapetto, quello che avevo avuto tra le mani e che ora stava accarezzando le forme di quel capolavoro. Ero eccitato e mi sedetti.
Lei mise sul fuoco la caffetteria e cominciammo a parlare. Vennero fuori cose interessanti. Del tipo che lei era sotto esame e che i suoi l’avevano lasciata sola andandosene al mare a Lavinio e sua sorella gemella, che scoprii chiamarsi Melania li aveva seguiti. Mi parlò dei suoi studi, delle difficoltà incontrate nel primo semestre a causa della separazione da un ex oppressivo. Mentre cominciammo a sorseggiare il caff&egrave, mi sorprese perché mi disse che aveva letto della mia ultima inchiesta e che le era particolarmente piaciuta. Aveva anche letto l’intervista ai Negramaro che erano il suo gruppo preferito. Rimasi esterrefatto: per otto anni non ci eravamo rivolti la parola e lei sapeva così tanto di me. Sapeva la mia professione, sapeva cosa scrivevo e chissà cos’altro. Evidentemente era più audace di quanto le sue gote rosse non raccontassero. Evidentemente il suo seno ben in vista era più vero del suo sguardo balbettante. Io le raccontai altri particolari di me e lei sembrava particolarmente presa, estasiata dal mio racconto. ‘Deve essere molto eccitante il tuo lavoro. Mi dai l’idea di uno che ha gli attributi’, mi disse. Risposi che in realtà questo lavoro era molto meno romantico di quello che sembrava che ci sono tante difficoltà da superare e che non si finisce mai di imparare.
Il caff&egrave era ormai finito e una mezz’ora di chiacchiere era abbondantemente volata. ‘Che palle, ora mi tocca rimettermi a studiare…’, mi disse. Gli occhi di entrambi caddero sul libro che aveva di fianco. ‘Ah, Habermas’, feci io: ‘un prof ce lo ha propinato per tutto un semestre all’Università. Alla fine l’ho imparato a memoria…’. ‘Io non ci capisco un tubo’, ribatte lei. ‘E’ troppo confuso, non si sa da dove inizia e dove vuole andare a parare’. Sorridemmo. Sorrisi. E fu spontaneo dirle: ‘Guarda, se ti va io posso darti una mano, almeno a spiegarti lo scheletro generale’. Lei sembrava non aspettare altro ed accettò…. commenti a dandy_hot@hotmail.it
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Lo scheletro generale fu talmente particolare che si fecero le 17, le 18, le 19, le 20, senza che ce ne accorgessimo. Tra risate, sospiri, sbuffi e sbadigli, Habermas era qualcosa di meno oscuro. Quella stanza era diventata una sauna. Greta si accorse dell’ora e mi disse: ‘Ti ringrazio: sei stato gentilissimo. Ti ho fatto perdere una giornata. Magari volevi andare al mare…’. ‘No, ma quale mare…’. Ridemmo. Rise. ‘Mi ha fatto piacere aiutarti’, continuai io. ‘Mi hai fatto tornare indietro agli anni dell’Università’. Rise. Era bella, dolce, fresca e sexy. Molto sexy. Troppo sexy. In quelle ore insieme il mio cazzo sarà stato eretto non so per quanto tempo. E secondo me lei se ne era ben accorta.

‘Sono in debito con te ora. In qualche modo devo sdebitarmi…’, mi disse con aria maliarda. Non credetti alle mie orecchie, ma ancor più ai miei occhi perché il suo sguardo era inequivocabile: voleva dire proprio quello. Risposi che non c’era bisogno. Lei mi propose un altro caff&egrave, ma io rifiutai, chiedendo in cambio qualcosa di freddo. ‘Ti porto un the. Accomodati sul divano: arrivo subito’. Non sapevo bene a cosa stavo andando in contro. O forse lo sapevo e non mi dispiaceva. Fatto sta che ci ritrovammo fianco a fianco sul divano a bere del the. A quel punto presi in mano la situazione. ‘Senti, ma tu fumi?’, dissi io facendo un segno che non era sicuramente riferito alle sigarette. Lei annuì compiaciuta ed io aggiunsi: ‘che ne dici se mentre ne rollo una, non stappi due birre, tanto per rilassarci un po’…’. Avevo colto nel segno. Lei fu compiaciuta della cosa e in poco tempo due birre erano stappate, mentre io stavo rollando la canna. ‘Alla nostra’, dissi io brindando. ‘Alla nostra’, rispose lei ammiccante. La canna era pronta. C’era poco tabacco e molta erba. Fumammo più o meno quantità analoghe ed il fumo comincio presto a far sentire i suoi effetti. Passammo alla seconda birra per uno. Stavamo bene, tanto bene.

Ad un certo punto lei posò il suo capo sulla mia spalla. Potevo annusarle i capelli ed accarezzarglieli. Lo feci e a lei sembro non dispiacere. Passai ad accarezzarle il viso. Ad un certo punto la scostai dal capo e cominciammo a guardarci, come due ragazzini scemi. Sorridevamo l’uno a l’altra, mordendoci le labbra. Ci avvicinammo l’uno all’altro. Le mie mani le accarezzarono il viso e fu a quel punto che le nostre labbra si unirono. Aveva due labbra morbide, belle carnose, tutte da sbaciucchiare.

Ben presto le nostre bocche furono uno dell’altra. Erano unite e le nostre lingue si cercavano vorticosamente. Prima su e giù, poi lentamente l’una attorno all’altro. Il tutto mentre le mie mani accarezzavano i suoi capelli, intridendosi del loro odore. Staccammo le nostre labbra e ci guardammo. Io le baciai la guancia, per poi darle tanti bacettini dolci sul viso, fino a scendere all’incavo tra il viso e il lobo dell’orecchio. Lì la mia lingua si infilo cercando prima il soffio che provocasse in lei l’eccitamento. Fu l’effetto ottenuto visto che i primi gemiti provenivano dalla sua bocca. Le baciavo il lobo sinistro, mentre con la mano percorrevo la forma delle sue labbra. Il mio dito indice veniva continuamente bagnato dalla sua lingua, pesantemente ed evidentemente vogliosa.

Le sue erano tra i miei capelli, intente a massaggiare la mia nuca e a spingermi ancora di più verso quell’appassionato bacio. Lentamente scivolai dal lobo al suo collo ed i suoi gemiti si fecero più frequenti. Fu a quel punto che mi fermò con un ‘non qui, non qui…’.

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