Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Le rose e le spine

By 2 Marzo 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

LE ROSE E LE SPINE

Trenta rose rosse dal lungo stelo, mi vennero recapitate a casa, in occasione del mio quarantunesimo compleanno. Il biglietto accluso, recava la scritta “Rosso è la passione, dolce sono le spine” firmato prof. Ezio Gilardoni. Seppur perplessa, per l’imprevisto dono, sentii la necessità di ringraziarlo di persona, infatti lo telefonai per esprimergli la mia gratitudine. Dopo alcuni minuti di piacevole conversazione, mi sentii formulare un invito a casa sua, per una più approfondita conoscenza e possibilmente da sola. Ringraziai, riservandomi di aderire all’invito, almeno per il momento. Non nascondo di essere rimasta piacevolmente turbata, tuttavia non riuscivo a raccogliere il senso della frase, allegata alle rose. Passione, dolce, le spine…! Associando ciò con la punizione (richiesta) alla mia amica Michela, pensai che il professore forse voleva “punirmi” dolcemente ma con passione, e le rose ne erano il simbolo più evidente. La lingua batte dove il dente duole, il professore aveva fatto centro, più ci pensavo e più montava la voglia di correre da lui. L’idea di farmi frustare a sangue, non mi allettava, ma di provare una esperienza forte, fuori dall’usuale, forse, ingannandomi da sola, si poteva fare. Venerdì diciassette, alle undici del mattino, bussai alla porta del professor Ezio Gilardoni, ovviamente da sola. A casa, prima di uscire, mi ero vestita in modo elegante, dopo essermi depilata dappertutto, pube compreso, e indossato l’intimo giusto. Fui accolta con gentilezza e complimentata per l’eleganza e la bellezza, da lui in persona, risparmiandomi la faziosa anticamera. L’uomo superbo, austero ed elegante mi accomodò in salotto sedendosi di fronte a me, iniziando a discorrere amabilmente su argomenti vari, e futili, notai subito il vaso sul tavolino, e stavolta non aridi rami nodosi, ma un fascio di splendide rose, molto simili a quelle fatte recapitare a casa mia. L’immancabile assistente, nel suo tetro e severo abbigliamento ci servì puro champagne francese, a giusta temperatura, e rimanendo lì impalata, in piedi dietro il professore, si preoccupava di riempirci i calici ogni qualvolta rimanessero vuoti. L’atmosfera surreale, e l’effetto dello champagne mi resero fragile e indifesa, non conoscevo il copione, ma mi aspettavo una punizione esemplare, per la quale ero decisa a non evitare. Con fare cortese e gentile il signor Ezio, mi comunicò che si sarebbe assentato un momento, per questo chiedeva perdono, lusingata annuii, mentre lui si allontanava, l’assistente prese il mazzo di rose e lo portò via con se in un’altra stanza. Mi alzai, accesi una sigaretta e vicino all’ampia finestra osservavo il panorama cupo e uggioso, pensando che ad ogni modo sarei stata all’altezza della situazione. La donna entrò nel salone, con le rose a mazzetti di tre intrecciate tra loro, le ripose di nuovo nel vaso, il suo abbigliamento era cambiato, ora stava in guepiere nera col reggiseno che lasciava fuori i capezzoli del seno, calze a rete agganciate, perizoma di pelle anch’esso nero, scarpe con tacchi altissimi, nere. Un corpo longilineo e alquanto muscoloso per una donna, ma a tono con l’atmosfera, io le gettai un’occhiata continuando ad aspirare fumo, di colpo apparve il professore, in vestaglia di seta a sfondo turchese, con ricami color oro. Si sedette sul divano, prese un grosso sigaro cubano da una scatola e lo accese, con ampie boccate di fumo mi guardava con aria intrigante, non ressi lo sguardo, e guardai fuori alla finestra. L’assistente mi si avvicinò, mi tolse la giacca e poi la gonna color fucsia, infine la camicetta bianca, non mi scomposi, ero perfetta sotto, reggiseno di raso semitrasparente, calze nere velatissime agganciate al reggicalze nero, e mutandina di raso super trasparente che lasciava vedere il solco delle natiche chiaramente. Stancamente riposi il mozzicone della sigaretta nella posacenere, guardai la donna, che mi stava vicino e come se lo sapessi già, appoggiai la mani sul bordo del divano, di fronte al professore. L’assistente prese un mazzetto di rose, tre in un unico ramo, in modo da formare una verga abbastanza robusta, e si posizionò dietro di me, io, col culo rivolto verso l’uomo sentii sulle chiappe i fiori che mi carezzavano la pelle, poi una leggera sferzata, di assaggio, abbastanza da avvertire le spine che mi trafissero mutandina e la carne. Non emisi nessun grido o piagnucolio, tenni il corpo immobile e la testa alta e fiera, la seconda più consistente, la terza e la quarta sempre più forte, la quinta bella sostanziosa da stamparmi sul viso, una smorfia di dolore, niente di più. Pausa, girai la testa e guardai stavolta negli occhi l’uomo seduto con le gambe accavallate, con la testa immersa in una nuvola di fumo, la donna mi calò e tolse le mutandine, accingendosi a colpire ancora. Via la seconda cinquina, i colpi decisi e fermi si stampavano sul mio culo, facendomi davvero male, con quelle spine che mi trafiggevano, ma non mi lamentai, era per me una sfida. Alla terza cinquina, dovetti tirar fuori tutto il mio orgoglio per non crollare, con il sedere ridotto a un colabrodo coperto da una miriade di gocce di sangue, tenni e di nuovo guardai il professore in segno di sfida. La quarta cinquina, le frustate venivano scagliate con tanta violenza dalla donna da farmi curvare il corpo per un attimo, strinsi i denti e ricevetti la ventesima frustata davvero dura, tanto è che la cima della verga si spezzò in due tronconi, ma col culetto che voleva essere accarezzato e lenito, resistetti e un lungo, ampio respiro mi fece sopportare il tutto più facilmente. Un’altra pausa, ne approfittai, presi da terra il ramo spezzato con i tre boccioli di rose, e lo misi sulla passerina, facendomi entrare un fiore nella fica. Non era finita la punizione, la donna mi aggiustò col corpo sullo schienale del divano, facendomi arcuare leggermente con il bacino, rimisi le mani sopra la poltrona tenendo ben stretto tra le cosce e la fica il ramo di rose. Una violenta mazzata col ramo reso più efficace e robusto, avendo perso la cima, sferrato dalla megera in guepiere mi lacerò le carni del sedere, già abbastanza seviziato, un fremito di freddo attraversò tutto il corpo. Al ventiduesimo colpo ancora violento, mi concessi di abbassare la mano dal divano, e di portarmela tra le cosce, così mentre ricevevo i colpi successivi mi ficcai dentro la vagina tutti e tre i boccioli di rose e parte del gambo spinato, facendomi molto male anche da sola. Dal venticinquesimo colpo, mi sentii il culo e le cosce come se fossero anestetizzati, il dolore andava scemando nonostante la violenza esercitata, la donna si accanì sul mio sedere sferrandomi colpi pazzeschi, io cominciai a ridere non avvertendo più quel dolore iniziale, e godendo delle frustate che mi venivano inflitte. Le pareti vaginali stringevano il dolce e morbido fiore, e nonostante le spine conficcate nella labbra della fica riuscii ad avere un intenso orgasmo, pur non toccandomi e masturbandomi. Ero eccitata e bagnata, la donna continuò a colpirmi con tanta violenza da ridurre la verga in fili e quindi non più efficace, aprii gli occhi, e allo specchio vidi il mio culo e la parte superiore delle cosce ridotte davvero male. Decine di forellini sgorgavano gocce di sangue vivo da coprire l’intero sedere, la donna afferrò lo stelo che avevo in fica e lo ritrasse di colpo lacerandomi con le spine le piccole e grandi labbra della fica. Ancora in piedi, orgogliosa e sofferente mi mostrai all’uomo, come una vergine martoriata con la passerina depilata e le gocce di sangue che ne uscivano, dando l’impressione di una adolescente seviziata e sverginata. Mi fù ordinato di mettermi a quattro zampe per terra, sul grande tappeto, scodinzolando come una cagnetta, mi avvinai alle gambe del professore, scostai la vestaglia e gli presi in mano il cazzo duro. Mentre lui fumava, glielo presi in bocca, diligentemente come una educanda lo sbocchinavo ingoiandolo fino alle palle che stringevo per portare sù lo sperma, ma non era pronto! Mi alzai, con la fica gronda di sangue mi sedetti sul cazzo impalandomi da sola, lui non partecipava si lasciava fare, mi considerava una schiava, solo fumo in faccia ricevevo da lui. Mi tirai il cazzo lordo di sangue dalla vagina, mi girai, aprendomi bene le natiche insanguinate e me lo feci entrare nel culo, rilassata e molliccia mi distesi tenendolo tutto dentro e schiacciandogli le palle sotto il peso del mio corpo. Mi toccavo la passera per avere un’altro orgasmo, ma la donna “armatasi” di un nuovo frustino, sempre di steli di rose, me le fece mettere sulla testa, il professore mi slacciò il reggiseno e ora nuda solo con calze e reggicalze e cosce aperte oscenamente, con un bel cazzo in culo che mi sollazzava. Dapprima mi sfiorò la fica e il clitoride con i boccioli di rose, poi precisi e dolorosi colpettini sul sesso infuocato pungendo e trafiggendo la tenera carne, dandomi si dolore e sofferenza, ma anche tanto, tanto piacere, godevo dentro, con gli occhi stravolti semisocchiusi non mi preoccupavo di essere percossa sulla fica ma solo di godere…, godere! La perfida signora non mi risparmiò neppure il seno, mi accarezzò con le rose i capezzoli gonfi e turgidi, facendomi ben sperare, solo un attimo, quando sentii sulle tette una vigorosa sferzata uscii di botto dal dolce torpore e tentai di alzarmi. La scudisciata sul seno, molto dolorosa, più delle natiche, mi aveva davvero messo paura, tenuta stretta e ferma dal professore sul quale stavo saldamente impalata, per via anale, nulla potei fare se non resistere…, e ancora resistere.! Le mie dolci, tenere e materne mammelle cominciarono a striarsi di sangue, sotto i fendenti spaventosamente dolorosi, lacrime sincere, di sofferenza patita, segnarono le gote scendendo giù fino a sgocciolare sulla mammella ferita e martoriata. L’unico sollievo furono gli spruzzi caldi di sperma che si scaricavano dentro il mio culo, la pressione del mio corpo aveva reso più abbondante la sborrata che mi aveva riempita il retto, solo a quel punto l’aguzzina smise di picchiarmi lasciandomi il seno bucherellato e coperto del mio sangue. Fui sollevata di peso dal professore, che mi ripose a terra, allontanandosi con il bacino e la splendida vestaglia, sporchi del mio sangue. Rannicchiata per terra, mi si avvicinò la donna con un panno di lino profumato e disinfettante, me lo avvolse sul sedere e sul seno, dandomi subito sollievo, mi aiutò ad alzarmi e mi portò sorreggendomi nel bagno, ove toltami le calze e il reggicalze, mi sistemò in piedi sotto la doccia, mi lavò il corpo con dolcezza, lanciandomi occhiate di piacere e di apprezzamento. Mi disse che ero stata davvero brava, arrivando fino al termine, cioè l’orgasmo del professore, cosa che riusciva di rado, mi lavò e pulì fin dentro la vagina e il buchetto del culo, espellendo le tracce di sperma e di sudore. Mi sparse sul sedere e sulle tette, in particolare, ma anche per tutto il resto del corpo, oli profumati e ammorbidenti, allo specchio non vidi più nessuna traccia di sangue, ma solo piccoli forellini e le striature sanguigne delle frustate ricevute. Mi aiutò anche a vestirmi, e quando mi indossò la mutandina, soffermandosi ebbe a dire: Hai una passerina da bambina, nonostante l’età, mi schioccò un sonoro quando appassionato bacio sulla fessura, poi mi rincuorò dicendomi che i segni andavano via in pochi giorni. Nel salone ad attendermi il professore in grande “uniforme”, che con un cavalleresco baciamano mi congedò sussurrandomi: Sei splendida, fantastique…! Vostra e sempre fiordinorma@virgilio.it

Leave a Reply