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Racconti Erotici Etero

Le storie di Francesca

By 29 Marzo 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Le storie di Francesca nascono da un esperimento che sto facendo con una amica, appassionata dei miei racconti.
Tutti i miei racconti, fino ad ora, sono stati storie di pura fantasia, in cui gli unici elementi reali, erano dei dettagli, relativi alla descrizione di persone e/o luoghi a me familiari.
Francesca (non è il suo vero nome, ma mi è sembrato doveroso cambiarlo per proteggere la sua privacy), mi invierà delle ‘schede’ in cui racconta, con dovizia di particolari, dei fatti realmente accaduti a lei.
In alcuni casi completerà queste esperienze reali, con delle fantasie, che non sono necessariamente accadute, ma potrebbero rappresentare una logica evoluzione delle vicende.
Naturalmente io sono perfettamente a conoscenza di dove finisce la sua esperienza e di dove inizia invece una sua fantasia, ma non ve lo dirò.
In genere non torno sui racconti già scritti, ma questa volta, se Francesca lo riterrà opportuno, mi potrà inviare degli appunti su quello che ritiene opportuno modificare, per rendere la storia raccontata più rispondente alla realtà dei fatti.
In pratica il mio sarà un lavoro da sarto: di volta in volta, le cucirò addosso una storia, che lei mi racconterà, come se fosse un vestito, cercando di farglielo calzare a pennello.

Riprendo questa prefazione, per chiarire una cosa: i vari racconti non sono e non saranno in ordine cronologico, perché non ho nessuna intenzione di scrivere il diario erotico sentimentale di Francesca.
Quindi continuerò ad aggiungere i vari capitoli nell’ordine in cui la mia amica mi invierà le sue confessioni.
Comunque ogni singolo racconto è autonomo e può essere benissimo compreso senza la necessità di aver letto tutti quelli precedenti.

Riprendo, dopo una pausa dovuta ad impegni della mia corrispondente, aggiungendo un paio di nuovi capitoli.
Spero che vi piacciano.

Buona lettura

John Babbacombe Lee

ultimo aggiornamento 5 Luglio 2010 ‘Salve, mi chiamo Francesca, ho quattordici anni, sono alta uno e sessantaquattro, sono vergine …’
No! Non va. Deve essere più diretta la mia presentazione, e poi a Settembre ne compio quindici.
‘Ciao! Mi chiamo Francesca, ho quindici anni e ‘ sono una puttana.’
Francesca si era chiusa nel bagno della casa al mare, dove stava passando le vacanze con i nonni.
Era davanti allo specchio con indosso il costume nuovo: un bikini rosso, molto succinto, che si era appena comprata con i primi soldi che aveva guadagnato in vita sua.
Lo aveva preso di nascosto e lo avrebbe indossato di nascosto, una volta arrivata sulla spiaggia.
I due triangolini di stoffa semi trasparente, uniti da un grande anello di plastica bianca, lasciavano in mostra gran parte dei suoi piccoli seni.
Meglio così, pensò, ho le tette un po’ piccole e, in questa maniera, sembreranno più grandi.
Il pezzo di sotto era altrettanto risicato e scopriva completamente la sua pancia, al punto che spuntava fuori un ciuffetto di peli pubici. Avrebbe dovuto depilarsi prima di andare in spiaggia.
Le due parti dello slip erano unite, sui fianchi, da due anelli identici a quello che si trovava tra le coppe del reggiseno.
E dietro?
Con un po’ di contorsioni cercò di vedere come le stava dietro. Il culetto era la sua parte migliore, lo sapeva bene.
Quel costume così succinto, metteva veramente in evidenza la rotondità delle sue chiappette sode e sporgenti.
Rispetto al due pezzi solito, serio e molto castigato, questo lasciava scoperta molta più pelle, il che significava che avrebbe dovuto spalmare abbondantemente le zone non ancora abbronzate, se voleva evitare brutte scottature.
Erano giorni che passava davanti al negozio e guardava quel costume. Se non l’aveva comprato era perché costava un mucchio di soldi, che lei non aveva. E poi la nonna non le avrebbe mai dato il permesso di indossarlo.

La mattina prima era entrata nella stanza di Cinzia ed aveva iniziato a tirare su l’avvolgibile.
‘Noooo!’
L’urlo l’aveva fatta sobbalzare.
‘No, lasciami dormire. Ho un mal di testa terribile. Mi stanno per venire le mestruazioni.’
Cinzia era la sua sorella maggiore, aveva già compiuto diciotto anni e, quando le veniva il ciclo, passava tre giorni al buio a lamentarsi.
Che palle! Senza Cinzia, i nonni non l’avrebbero fatta uscire la sera.
Aveva lasciato la sorella al buio, a lamentarsi, decidendo di andare in spiaggia da sola.
Non si era diretta verso la spiaggia solita, tranquilla e vicina alla casa, ma si era spinta fino a quella proibita.
Sia i suoi genitori che i nonni le avevano sempre vietato di andare in quel posto, perché era un po’ isolato, ma quel giorno Francesca era scocciata per il contrattempo della defezione di Cinzia, e poi, era in vena di trasgressioni.
C’era poca gente, perché la stagione era appena all’inizio e quel giorno soffiava un vento teso e fastidioso.
Si era sistemata in un punto un po’ defilato, lontana dalle altre persone, aveva steso per bene l’asciugamano e si era spogliata.
Per prima cosa via il reggiseno del costume, oggi facciamo prendere un po’ di sole alle tette.
Non vi preoccupate, adesso vi spalmo, non vi voglio certo far scottare, piccoline.
Il calore del sole del mattino, mitigato dal vento proveniente dal mare era piacevole, e Francesca aveva indugiato un po’, prima di tirare fuori la crema.
Su, fate le brave, solo cinque minuti, non vi succederà nulla.
Ora sistemiamo il pezzo di sotto.
Mamma mia, che schifo che fa questo costume, di questo colore verde smorto, e poi queste mutandine ‘ sul fianco sono alte quattro dita.
Aveva cominciato ad arrotolare verso l’interno il bordo superiore e si era fermata solo quando sui fianchi era rimasto appena un rotolino di stoffa, stretto e sottile.
Ecco, mi spalmo le tette e poi mi sdraio a prendere il sole, tra un oretta, mi metto di pancia e tolgo del tutto il pezzo di sotto, così le mie belle chiappette diventeranno scure scure.
Stava seduta sull’asciugamano, con le gambe incrociate, quando, improvvisamente, qualcosa aveva coperto il sole.
Accidenti, proprio ora che mi sono spogliata, doveva arrivare la nuvoletta.
Alzati gli occhi, si era trovata davanti un tizio che la guardava.
Ed ora che vuole ‘sto vecchio, pensò Francesca?
L’uomo avrà avuto una cinquantina d’anni, ma per una ragazza di neanche quindici, un cinquantenne a volte sembra un vecchio.
Indossava un costume nero, un paio di ciabatte di gomma e sulla spalla teneva una sacca blu.
Se ne stava lì, immobile, ad un metro dal suo asciugamano, e la fissava attraverso gli occhiali da sole.
Improvvisamente, si era abbassato il costume e lo aveva tirato fuori.
Francesca non aveva mai visto per bene quello che sull’enciclopedia era definito come pene, ma che normalmente tutti chiamavano cazzo.
Sì certo, aveva visto quello di qualche bambino, ma si rendeva conto, che non era la stessa cosa.
Solo una volta, mesi prima, a Milano, fuori da un pub, in una via laterale, si era trovata davanti un ragazzo di colore con l’arnese di fuori. L’aveva solo un po’ palpeggiata, poi era arrivata gente e si era dileguato.
Il tutto era durato pochi secondi ed era anche parecchio buio, quindi ancora non sapeva bene come fosse fatto, se non attraverso quei disegni sulle enciclopedie, dove erano indicate tutte le parti del corpo con i nomi scientifici.
Una ragazza di quindici anni, sola, che si trova di fronte, sulla spiaggia, un uomo con il cazzo di fuori, normalmente, si riveste e scappa via urlando, per cercare di richiamare l’attenzione.
Francesca, invece, non si era mossa, rimanendo lì, immobile, con gli occhi che non si riuscivano a staccare da quel coso, che l’uomo teneva tra le mani.
Ora si era fatto più vicino, era proprio di fronte a lei, inginocchiato sulla sabbia, a gambe un po’ larghe e, mentre la mano sinistra teneva abbassato il bordo superiore del costume, la destra, stretta intorno a quel cilindro di carne, si muoveva ritmicamente in su ed in giù.
Si stava masturbando. Non l’aveva mai visto, ma sapeva che gli uomini lo facevano così.
Sotto l’effetto della mano, il suo pene si era drizzato. Ora era molto più grande e sembrava duro. Aveva preso una forma leggermente arcuata, come una specie di scimitarra.
Una scimitarra che poteva entrare nel suo ventre.
Si era resa conto che, invece di essere spaventata, era molto attirata da quanto stava avvenendo.
L’uomo si sporgeva verso di lei, mano mano che il suo pene cresceva di dimensioni.
La pelle che lo ricopriva, sotto il movimento della mano, a volte lasciava vedere il punto in cui si allargava, verso l’estremità. Se ricordava bene, dalle sue incursioni notturne nelle pagine delle enciclopedie, per capire come funzionassero le faccende riguardanti il sesso, doveva chiamarsi glande.
Sembrava molto eccitato ed anche lei, pensando all’effetto che avrebbe potuto farle entrando nella sua fichetta, cominciava a sentirsi bagnata.
E poi ci sarebbe stato il gran finale. Lo sperma che zampillava fuori da quel piccolo buco in cima al suo cazzo.
Ne aveva solo sentito parlare, dalle sue amiche più grandi e, in apparenza, più esperte.
Quell’uomo si stava eccitando guardando il suo corpo nudo ed abbronzato.
Si stava masturbando osservando le sue tettine coperte dai lunghi capelli castano scuri.
Ora il movimento della mano si era fatto frenetico e vedeva il foro, sulla punta arrossata del suo pene, che si era leggermente allargato.
Si era fermato un attimo e poi dopo aver portato la mano il più in basso possibile, verso la base del pene, l’aveva spinta di colpo verso l’alto.
Uno zampillo biancastro l’aveva colpita in mezzo al petto, poco più in basso del collo.
Lui aveva ripetuto lo stesso movimento, ed un secondo zampillo, più copioso, l’aveva presa in pieno su un seno, preciso sul capezzolo duro ed eccitato.
Poi un altro ancora in mezzo ai seni, poi ancora sull’ombelico e sulla pancia.
Mano mano che il getto perdeva di forza, lo sperma finiva più in basso.
L’ultimo zampillo si era fermato sulla pancia, bagnandole le mutandine del costume.
Francesca si sentiva piena. Quel liquido bianco l’aveva investita ovunque ed ora, visto che era in posizione seduta, lentamente scendeva verso il basso.
Aveva una consistenza vischiosa e ne avvertiva l’aroma aspro, un po’ acre. Era un odore nuovo, forte ed inebriante, che le stava facendo montare un’eccitazione incontenibile.
Un uomo era venuto su di lei, ricoprendola con il suo sperma, ed ora la guardava sorridendo.
Aveva messo la mano nella sacca che, per tutto il tempo aveva tenuto sulla spalla. Dopo aver tirato fuori una banconota, l’aveva poggiata delicatamente sull’asciugamano.
Le cinquantamila lire, spinte da una folata di vento, si erano fermate contro le mutandine del costume, in mezzo alle gambe divaricate di Francesca.
Quando si era ripresa dalla sorpresa, l’uomo non c’era più.
Restavano solo le cinquantamila lire, che le si era affrettata a mettere al sicuro nella borsa.
Era rimasta a lungo immobile, ad annusare quella sostanza biancastra che le ricopriva il corpo.
Si sarebbe dovuta subito buttare in mare, per ripulirsi, ma non ne aveva nessuna voglia.
Così, quando era stata sicura di essersi asciugata abbastanza, aveva coperto il suo busto nudo con il vestitino a quadretti con cui era uscita di casa.
Sulla strada del ritorno, a ogni passo, sentiva risalire l’odore dello sperma.
Si era fermata spesso, e dopo aver allargato la scollatura del vestito, ci aveva infilato dentro il naso, inspirando profondamente.
Ad un certo punto, toccandosi i capelli, si era accorta che le ciocche, in più punti, erano incrostate di una roba biancastra.
Ormai era così eccitata che quasi non riusciva a camminare.
Una volta a casa, in bagno sotto il rubinetto della doccia, aveva aspettato parecchi minuti prima di mettersi sotto il getto di acqua calda, che avrebbe eliminato le tracce di questa sua strana avventura.
Era eccitatissima.
Le era capitato diverse volte di toccarsi sotto la doccia, ma questa volta era diverso.
Il pensiero di quell’uomo, di fronte a lei, che si era masturbato fino a ricoprirla con il suo seme, le toglieva il respiro.
All’inizio aveva regolato l’acqua un po’ più tiepida e poi aveva passato il getto in mezzo alle gambe.
Aveva resistito solo pochi secondi, poi, dopo aver agganciato la doccia al supporto, aveva cominciato con le dita.
Era venuta quasi subito, gridando e sperando che il rumore dell’acqua che scorreva coprisse la sua voce.
Poi era rimasta in ginocchio, dentro la cabina doccia, sopraffatta dal piacere e incapace di rialzarsi.
Aveva venduto il suo corpo per cinquantamila lire …
‘Ciao! Mi chiamo Francesca, ho quindici anni e ‘sono una puttana.’
La gita scolastica a Firenze, per Pasqua, non è certo un’idea originale.
Dalla scuola dove lavorava Francesca, erano partiti tre pullman, pieni di chiassosissimi studenti di liceo.
Lei, fra tutti gli insegnanti che avevano accettato quel supplizio, era la più giovane.
A ventisette anni, con il suo fisico snello, messo in evidenza da un paio di jeans attillatissimi, quasi si confondeva con le studentesse.
Durante il viaggio, il prof. Palazzo, quello di educazione fisica, non aveva fatto altro che sbirciare nella sua camicetta maliziosamente sbottonata.
Certo, Francesca ci aveva messo del suo, perché, se avesse almeno indossato il reggiseno, avrebbe forse evitato che l’anziano collega rischiasse più volte l’infarto durante le ore trascorse sul pullman.
Francesca amava giocare con queste cose. Era consapevole di aver un bel corpo e così si divertiva a stuzzicare gli uomini.
Le piaceva essere guardata, ma la faccenda non si fermava lì.
Quando vestiva in maniera provocante, l’effetto sui suoi studenti era dirompente.
Per esempio era sicura che Faletti, quello magro, con gli occhiali, seduto all’ultimo banco, si masturbasse quando lei accavallava le gambe.
Portava spesso delle autoreggenti scure e faceva in modo di scoprirne le fine, durante la lezione, con la complicità delle sue minigonne con lo spacco,
In quei casi c’era sempre qualcuno che chiedeva di andare in bagno e lei accordava volentieri il permesso, esibendosi in un sorriso malizioso.
Immaginava quei ragazzi correre al cesso, barricarsi dentro e masturbarsi selvaggiamente, cercando di ricordarsi le gambe della professoressa e provando ad immaginare cosa ci fosse alla fine di quelle cosce lunghe e snelle.
Durante le interrogazioni, lei insegnava chimica, molti studenti perdevano il filo del discorso, confusi dalla visione dei suoi capezzoli, attraverso la camicetta trasparente, indossata spesso senza reggiseno.
Ora stavano in fila per entrare agli Uffizi.
Era successo un gran casino, perché, per un disguido, alla direzione del museo, non risultava la loro prenotazione.
Stavano tutti lì, accalcati, con davanti il prof. Palazzo, che urlava nel suo inconfondibile dialetto pugliese, cercando di far valere le loro ragioni.
Ad un certo punto Francesca si era sentita toccare il culo.
Lì per lì non gli aveva dato peso, sicuramente era stato un gesto involontario, in mezzo alla grande confusione.
Si era spostata leggermente avanti ma, subito dopo, si era sentita toccare di nuovo.
Una mano le stava palpeggiando le chiappe, non ci potevano essere dubbi.
A Francesca non piaceva solo essere guardata e così, questa volta non provò a ritrarsi.
Era curiosa di scoprire come sarebbe andata a finire.
La mano indugiò a lungo sul suo sedere, poi prese a carezzarla in mezzo alle cosce.
La faccenda si stava facendo interessante.
La calca degli studenti l’aveva fatta finire in un angolo, ma la mano non si era spostata di un millimetro e continuava a toccarla.
‘Sei proprio una puttana, professoressa.’
Era la voce giovane, di un ragazzo, che le aveva sussurrato queste parole, in un orecchio, mentre da dietro le faceva sentire il suo cazzo bello duro in mezzo alle chiappe.
Continuò per un bel pezzo e Francesca sentì che stava cominciando a bagnarsi.
Avrebbe voluto farsi scopare da questo studente sconosciuto, ma non era certo possibile farlo lì, all’ingresso degli Uffizi, in mezzo a centinaia di persone.
La fila si mosse e loro due si trovarono fuori dalla calca. Era avvenuto tutto in un attimo, ma il ragazzo si era prontamente allontanato.
Francesca lo vide in faccia solo un momento, di sfuggita. Era un ragazzo romeno, di una sezione a cui lei non faceva lezione.
Appena entrati lei corse subito in bagno perché non resisteva più.
Una volta chiusasi dentro si infilò una mano nello slip e prese a masturbarsi.
Ci mise poco perché era già eccitatissima, dopo tutti i maneggiamenti a cui l’aveva sottoposta il ragazzo.
Quando uscì, quasi si scontrò proprio con lui, che stava uscendo dal bagno degli uomini.
Aveva uno strano sorriso sulle labbra e le accarezzò una guancia con la mano.
‘Quando torniamo, voglio proprio scoparti, professoressa…’ le aveva detto a bassa voce, prima di sparire in mezzo agli altri studenti.
Francesca si toccò la guancia, bagnata. L’odore era inconfondibile. Anche lui era andato in bagno per masturbarsi e l’aveva toccata con le mani sporche di sperma.
Non lo vide più per tutto il resto della gita e la cosa sembrava finita lì: un momento di follia tra uno studente di liceo ed una giovane professoressa vogliosa ed un po’ perversa.

Quando un mese dopo, fuori della scuola, fu fermata da quell’uomo piccolino e dall’aria dimessa, non ricollegò la cosa alla gita a Firenze.
‘Mio figlio va molto male in chimica. Mi ha detto che a scuola tutti parlano bene di lei, se potesse dargli qualche lezione …’
Francesca aveva accettato volentieri, visto che il ragazzo non era un suo alunno ed avevano fissato il giorno della prima lezione.
Si era fatta dare l’indirizzo e poi era andata a casa tranquilla.

Quel giorno aveva indossato una gonna un po’ meno succinta ed aveva anche messo il reggiseno. Stava andando a casa di gente sconosciuta e doveva presentarsi come una professoressa, giovane e carina, certo, ma anche seria.
Quando si aprì la porta di casa, la sua sorpresa fu enorme.
Si trovò di fronte proprio il ragazzo degli Uffizi.
Che stupida a non averci pensato. C’erano diversi indizi: la classe in cui studiava il ragazzo, il leggero accento straniero del padre, e poi il cognome scritto sulla porta, che era evidentemente romeno.
‘Buongiorno, professoressa.’
Si era soffermato, rimarcandone le sillabe, sulla seconda parola.
Si sedettero in soggiorno, uno di fronte a l’altra, e cominciò la lezione.
Erano soli in casa e Francesca, per un attimo, pensò che sarebbe stata l’occasione giusta per finire quanto rimasto a metà, quel giorno agli Uffizi.
Il ragazzo, però, sembrava tranquillo e concentrato sulla sua spiegazione di chimica.
Ad un certo punto gli cadde la penna per terra.
Francesca, istintivamente, divaricò un po’ le gambe.
Ci stava mettendo troppo tempo a trovare la penna.
Improvvisamente sentì le sue mani che le accarezzavano le ginocchia, poi le allargò le cosce ed infilò la testa sotto la gonna.
Quando avvertì le sue labbra poggiarsi sulla sua pelle nuda, tra la fine delle autoreggenti ed il bordo dello slip, divaricò completamente le gambe.
Ora le aveva infilato le dita nelle mutandine e la stava toccando.
La sua vagina ci aveva messo pochissimo a bagnarsi ed aprirsi.
Accidenti, ma che cavolo stava combinando!
Con uno studente della sua scuola, sicuramente minorenne. L’avrebbero buttata fuori e, probabilmente, si sarebbe beccata pure una denuncia.
Richiuse le gambe ed il ragazzo riemerse da sotto il tavolo.
‘Devo andare in bagno.’
‘In fondo al corridoio a destra.’ disse lui.
Nel bagno, in piedi davanti allo specchio, Francesca si infilò una mano nello slip e cominciò a masturbarsi.
Rimase sorpresa quando la porta si aprì.
Accidenti, aveva dimenticato di chiuderla a chiave.
‘Professoressa. Posso fare molto meglio.’
Si era piazzato dietro a lei.
Come quel giorno agli Uffizi, sentiva il suo cazzo bello duro, che le premeva in mezzo alle chiappe, mentre con una mano le palpeggiava il seno.
L’altra mano si insinuò sotto la gonna e si appoggiò a quella di Francesca.
Cominciò a spingere ed a muovere in su ed in giù, facendola eccitare sempre di più.
‘Professoressa, sei proprio una gran puttana. Lo sai a che servono le puttane? Le puttane si scopano.’
Ora aveva spostato le mani sui suoi fianchi, sotto la gonna, e le stava sfilando lentamente il piccolo slip nero.
Quando ebbe finito la fece sdraiare nella vasca da bagno, con le gambe che uscivano fuori.
In questa posizione, la gonna era scesa verso il basso, scoprendole completamente la pancia, il ciuffetto di peli pubici che lei teneva sempre tagliato corto e la sua vagina bagnata e dilatata.
‘Professoressa. Ma che bella fica, calda e morbida.’
Intanto si era aperto e calato i pantaloni.
Quando lo infilò dentro, Francesca si stupì della facilità con cui il suo sesso eccitato lo avesse inghiottito completamente.
Lui le teneva le gambe allargate e lo spingeva dentro con forza.
Francesca ci mise poco a raggiungere l’orgasmo ed il ragazzo la seguì subito.
Proprio in quel momento sentì delle voci maschili e si aprì la porta del bagno.
‘Finalmente siete arrivati, fratelloni.’
Erano comparsi due uomini, alti, biondi e robusti. Avevano addosso delle tute sporche di calce e di cemento. Probabilmente facevano gli operai in qualche cantiere edile della zona.
‘Questa è la professoressa. è proprio una gran puttana, vero?’
I due si avvicinarono per esaminarla meglio.
‘Accidenti, fratellino, l’hai scelta proprio bene’, disse il più grosso dei due.
Poi, rivolto a Francesca, ‘lo sai cosa si deve fare ad una puttana come te?’
Francesca era rimasta muta, con le gambe allargate. Sentiva gli sguardi dei due nuovi arrivati fissi sulla sua vagina completamente aperta.
Era allo stesso tempo preoccupata ed eccitata.
‘Noi le puttane come te le scopiamo fino a riempirle di sperma.’
Fece seguire subito i fatti alle parole, ficcandole dentro un cazzo di proporzioni veramente generose.
Le aveva afferrato saldamente le cosce con le mani callose e sporche di calce e si muoveva con rapidità.
Vedeva quel pene grande ed arrossato che entrava ed usciva dentro di lei, mentre sentiva di nuovo avvicinarsi l’orgasmo.
Quando lui sentì che Francesca si stava eccitando sempre di più, prese a spingere maggiormente.
Ora lei poteva sentire i testicoli gonfi sbatterle in mezzo alle gambe e si accorse che stava gridando di piacere.
Quando l’uomo venne dentro di lei, si sentì inondata dal suo sperma e, dopo che lui si fu ritratto, vide un rivoletto che le scendeva lungo la pancia, fino all’ombelico.
Il secondo dei due fratelloni si fece subito sotto.
Continuarono a lungo, tutti e tre, alternandosi e, quando alla fine si fermarono, sentì il ragazzo dire: ‘ora può bastare, la troia è veramente piena, e poi fra un po’ tornano i vecchi.’
Le rimisero le mutandine.
Francesca sentiva la stoffa aderire saldamente alla pelle bagnata dai suoi umori e dallo sperma che le era fuoriuscito.
Quando la rimisero in piedi, le girava la testa da morire, ma loro l’accompagnarono alla porta senza tante cerimonie.
Proprio sul pianerottolo, le misero in mano cento euro. Venticinque a persona per la lezione di chimica, più altri venticinque perché era stata brava. Dissero proprio così.
Poi la porta si chiuse alle sue spalle.

Si rese conto subito di avere un problema: una volta ripresa la posizione normale, tutto lo sperma che era rimasto dentro di lei, tendeva a defluire verso il basso.
Già mentre scendeva le scale, sentiva dei rivoletti che le colavano sulle cosce nude, per fermarsi all’elastico delle autoreggenti.
Tra un po’, lo sperma avrebbe cominciato a scolare lungo le gambe.
Cercava di camminare a piccoli passi, però, ad ogni metro che percorreva, la situazione peggiorava.
Si riparò in un angolo un po’ appartato e cercò un po’ di asciugarsi con un fazzolettino.
Avrebbe dovuto cercare di stare alla larga dalla gente durante il tragitto verso casa, perché aveva la gonna e le calze macchiate e poi, l’odore acre dello sperma l’avvolgeva completamente.

‘Salve, mi chiamo Francesca, ho ventisette anni, faccio la professoressa e ‘ sono una puttana.
Mi è sempre piaciuto farmi guardare, toccare e non solo.
Oggi mi sono fatta scopare da un mio studente e da altri due che neanche conoscevo.
Mi hanno scopata per ore.
Io ero nella vasca da bagno e loro dicevano che le puttane come me devono essere riempite di sperma.
Mi avevano messa con le gambe in aria in modo che il loro seme, una volta entrato, non uscisse fuori.
Quando si sono fermati mi sentivo come un vaso pieno fino all’orlo.
Un po’ di sperma, che non era riuscito ad entrare dentro di me, stava colando lentamente sulla mia pancia e dietro, fra le chiappe.
Mi hanno anche pagata, perché le puttane si pagano sempre.
Ora sono a casa mia, nuda e sdraiata sul letto.
Ho messo un asciugamano sotto di me, per non sporcare le lenzuola, e sono ancora tremendamente eccitata.
Tra un po’ dovrò alzarmi per andare a farmi una doccia, perché stanno per arrivare mio marito e mia figlia.’ ‘I tortelli di zucca proprio non li sopporto! Non mi piacciono e mi si mettono sullo stomaco.’
‘E che cavolo c’entrano i tortelli?’
Francesca era andata a trovare Lucia, una sua vecchia amica, che viveva a Firenze.
Quella sera le aveva proposto di andare ad una festa in un paesino del Mugello, distante qualche decina di chilometri.
Francesca amava poco le sagre paesane e ricordava che, da quelle parti, finivano sempre con grandi mangiate di tortelli di zucca e funghi (quando era stagione).
Lucia si era tenuta sul vago, così l’aveva attirata sapendo che Francesca era molto curiosa e si sarebbe lasciata convincere solo per vedere di cosa si trattasse.
‘Madonna! Ma dove mi hai portato?’
‘Al raduno annuale dei punk-a-bestia.’
Francesca aveva avuto un’educazione molto rigida che aveva causato, per reazione, una notevole tendenza all’anticonformismo ed anche a qualche altra cosa, che una sua amica, una volta, aveva definito, in maniera molto colorita, troiaggine, però ‘
‘ quella gente sudicia e trasandata, intenta quasi sempre a bere, drogarsi, chiedere l’elemosina e rubacchiare qua e là, non la sopportava proprio.
Ancora di meno sopportava quei cagnacci pulciosi che si portavano sempre dietro.
Gli abitanti del posto si erano tenuti alla larga da quella gente strana, che aveva invaso il piccolo borgo, occupando completamente il grande spiazzo sterrato all’ingresso dell’abitato, con tende, furgoni scassati e bancarelle di ogni genere.
L’odore delle canne e dell’alcol impregnava completamente l’aria.
C’era comunque un po’ di gente venuta, per curiosità, dai paesi vicini e da Firenze.
Si riconoscevano immediatamente come le mosche su una forma di ricotta appena fatta.
Poco più avanti c’era una ragazza, con una folta capigliatura di riccioli rossi, vestita con una camicetta bianca ed una gonna nera a pieghe. Più oltre due ragazzotti con jeans e t shirt firmati e, ancora più lontano, si vedevano altre macchie di colore che contrastavano vivamente con la massa dei punk-a-bestia.
A poco a poco Francesca si era abituata: la puzza di tutta quella gente che amava poco lavarsi, non la sentiva più, e poi, tutto sommato, era un’esperienza nuova ed eccitante.
La sua amica aveva comprato un po’ di cianfrusaglie: una collanina ed una paio di braccialetti, mentre lei si era procurata del fumo.
Dopo un paio d’ore, un po’ per le canne che si erano fatte, un po’ per le birre bevute, erano abbastanza su di giri.
Francesca pensò, solo per un attimo, che una distinta professoressa trentacinquenne, sposata e con una figlia, non dovrebbe frequentare posti simili, per di più, bevendo birra a facendosi le canne davanti a tutti.
‘Forse è meglio che torniamo, è già abbastanza tardi e la strada, di notte, con tutte quelle curve …’
La sua amica aveva ragione e così, un po’ malferme sulle gambe, decisero di tornare alla macchina.
‘Francesca, guarda lì.’
Rivide la massa di riccioli rossi, che sicuramente apparteneva a quella ragazza con la gonna nera a pieghe.
Più in là, seduto sul muretto, c’era un punk-a-bestia, con il cranio completamente rasato ed una lunghissima barba incolta.
La proprietaria dei riccioli rossi era seduta su di lui a gambe aperte ed il movimento che faceva, era assolutamente inequivocabile.
‘Cazzo! Ma stanno scopando.’
Aveva la camicetta aperta, con il reggiseno tirato su e lui la stava massaggiando vigorosamente le tette.
La gonna completamente sollevata ed un paio di mutandine rosse, poggiate vicino a loro, sul muretto, completavano il quadro.
Francesca era rimasta incantata dalla scena.
La sua troiaggine si stava risvegliando.
No che schifo. Dai Francesca, farti scopare da uno di questi, proprio no.
Il cane del tizio con la barba manifestava un certo interesse e, ogni tanto, infilava il naso in mezzo alle chiappe della ragazza, che però non sembrava neanche accorgersene, tutta presa dalla scopata.
Improvvisamente si sentì toccare in mezzo alle cosce. Si voltò di scatto e si trovò davanti un pastore tedesco mezzo bastardo, sudicio e con il pelo scolorito.
A fianco c’era un tizio, vestito con un giubbotto impataccato ed un paio di jeans strappati, non strappati ad arte, ma semplicemente rotti dal troppo uso.
Capelli e baffi grigiastri, lunghi ed incolti, un viso segnato da mille rughe, causate sicuramente da alcol e droga.
Insomma età indefinibile, per quanto ne poteva sapere lei, poteva benissimo avere trenta o sessanta anni.
‘Toglimi questo cane di dosso, non mi piace.’
Schiacciò con le dita la lattina di birra, ormai vuota, che teneva in mano e la scagliò lontano.
‘Non ti fa niente e poi ‘ è femmina.’
Terminò la frase con una brutta risata che gli scoprì una fila di denti giallastri e scheggiati.
‘Vedo che tu e la tua amica siete interessate allo spettacolo. Se volete ce n’è anche per voi.’
Intanto la rossa aveva finito.
Si era alzata lasciando il suo partner seduto sul muretto con il cazzo che gli spuntava in mezzo ai pantaloni aperti.
Con naturalezza aveva recuperato le mutandine e se le era infilate, incurante di tutto quello che le stava colando tra le gambe.
Si rimise a posto il reggiseno e si richiuse la camicetta, prima di andarsene, ancheggiando, visibilmente soddisfatta.
‘Francesca andiamo via, è meglio.’
Seguire il consiglio della sua amica, sarebbe stata la cosa più saggia che potesse fare, ma la scena a cui aveva appena assistito, l’aveva profondamente eccitata.
Sentiva delle potenti pulsazioni venire dal suo sesso, le era sempre piaciuto immaginare di farsi scopare da uno sconosciuto e, qualche volta, non si era fermata all’immaginazione.
Perché no.
‘Lucia, aspettami qui, faccio subito.’
Si era allontanata seguendo quel tizio ed il suo cane, lasciando la sua amica letteralmente senza parole.
Lui si fermò davanti ad un vecchio camper arrugginito.
‘Se Jennifer ti da fastidio la lego’, disse indicando il cane.
Francesca neanche ci fece caso.
Si tolse rapidamente il perizoma nero che indossava e lo appese all’antenna della radio del furgone.
Lui la spinse subito contro il muso del mezzo, facendole poggiare le braccia alzate contro il parabrezza.
Era già pronto. Sicuramente si era eccitato a sufficienza, vedendo l’altro che si scopava la rossa.
Francesca allargò un po’ le gambe, cercando una posizione più stabile e lo fece entrare.
Era grande e bello duro.
Lui cominciò a rovistare nella maglietta, risalendo dal basso fino a stringerle le tette attraverso il reggiseno e Francesca sentì la sua vagina che si apriva completamente, proprio mentre lui glie lo ficcava fino in fondo.
Ora la stava sbattendo forte, contro la mascherina del radiatore del furgone e, nella foga, lei sentiva le sue palle gonfie e pelose premerle in mezzo alle cosce.
Francesca raggiunse l’orgasmo proprio mentre lui le sparava dentro il suo sperma caldo e denso.
Nella concitazione il suo cazzo uscì fuori e gli ultimi schizzi le finirono in mezzo alle cosce.
Francesca si girò e rimase, appoggiata con la schiena al furgone.
Era stanca, zuppa e terribilmente eccitata.
‘Voglio mettertelo in culo.’
Perché no.
Glie lo prese tra le mani a cominciò a toccarlo.
Era sporco e puzzolente. E come dovrebbe essere il cazzo di un punk-a-bestia che ti ha appena scopato?
Prese a fare su e giù con una mano finché non tornò duro e dritto.
Lui la fece salire con i piedi sul bordo del paraurti, poi le allargò le chiappe.
Francesca si abbassò un po’, fino a sentire la punta del suo cazzo che premeva contro il suo buco, poi l’uomo lo spinse dentro.
Questa volta lui durò di più e Francesca, prima che la riempisse nuovamente di sperma, ebbe il tempo di raggiungere l’orgasmo un paio di volte.
Quando finalmente venne fuori dal suo culo, fu sorpresa da un fragoroso applauso.
Una dozzina di punk-a-bestia si erano radunati a cerchio, dietro di loro, ed ora stavano brindando con lattine e bottiglie di birra.
Francesca rimise i piedi a terra e passò di corsa in mezzo a quella piccola folla festante.
Solo quando fu lontana, si fermò un attimo, in un angolo buio, per darsi una ripulita.
Il perizoma era rimasto appeso all’antenna del furgone, ma non le sembrava il caso di tornare indietro a recuperarlo.
Lucia l’aspettava in macchina. Per tutto il tragitto non disse nulla: era molto arrabbiata con lei.
A casa la costrinse a farsi una doccia lunghissima, per togliere tutto lo schifo che aveva addosso.
Solo quando furono a letto parlò.
‘Scusami.’
‘Perché dovresti scusarti?’, le chiese Francesca.
‘Sai perché ero arrabbiata con te?’
‘Per la mia troiaggine …’
‘No, perché non ho avuto il coraggio di fare una cosa che mi sarebbe piaciuta.
Sono rimasta in un angolo, a guardarvi da lontano, e mi sono masturbata, mentre lui ti scopava. Avrei voluto essere lì anch’io.’
‘Buonanotte.’
‘Buonanotte, Francesca.’ ‘Vaffanculo!’
Era stata l’ultima parola pronunciata, o meglio, urlata, da Fabrizio.
Poi soltanto il rumore sordo della porta di casa sbattuta violentemente.
Stavano insieme da un paio di anni.
Sulla carta andava tutto bene, sia gli studi di entrambi all’università, sia la loro convivenza.
Quella sera avevano fatto l’amore, sembrava filare tutto liscio, poi, improvvisa, la litigata.
Francesca neanche ricordava il motivo. Una stupidaggine, qualcosa di futile ed innocuo, che però aveva scatenato una lite violenta e furibonda.
In un crescendo inarrestabile si erano detti cose terribili e, alla fine, quando lei, piangendo, lo aveva addirittura accusato di avere un’altra, Fabrizio se ne era andato sbattendo la porta.
Aveva anche preso un borsone con della biancheria, come per farle capire, che non sarebbe tornato presto.
Era rimasta sul letto, nuda, a riflettere su cosa avesse sbagliato.
Alla fine aveva deciso di uscire e si era messa il primo vestito che le era capitato a tiro, senza neanche farsi la doccia ed indossare la biancheria intima.
Aveva ancora addosso l’odore di Fabrizio.
Fabrizio se ne era andato. Forse avevano fatto l’amore per l’ultima volta.
A quell’ora era tutto chiuso. Sarebbe dovuta andare in centro per trovare un locale aperto.
L’unico posto era quello schifo di bar con l’insegna blu, proprio di fronte al portone di casa.
Qualche volta ci aveva comprato un litro di latte, ma a quell’ora di notte era molto mal frequentato: muratori polacchi perennemente ubriachi, venditori di tappeti marocchini, sbandati di ogni genere.
Sul retro c’era anche una saletta dove sicuramente giocavano d’azzardo.
Insomma non era il posto adatto per una bella ragazza sola.
Invece entrò.
Il locale aveva un’aria sporca e trasandata e quando varcò la soglia, si sentì addosso lo sguardo di tutti i presenti.
‘Un whisky. Doppio.’
Lo aveva sentito tante volte, al cinema.
Solo che lei, in genere, non beveva. Al massimo un bicchiere di vino, che spesso allungava con l’acqua, facendo imbestialire Fabrizio.
Prese dal bancone il bicchiere pieno e si diresse ad un tavolo libero, verso il fondo.
Poggiò le labbra sul bordo del bicchiere e ne mandò giù un sorso.
Era forte e bruciava la gola, ma era troppo triste e così riprese il bicchiere e ne vuotò metà in un colpo.
L’effetto sullo stomaco fu immediato e le ricordò che, a causa della litigata, aveva anche saltato la cena.
Fa male bere a stomaco vuoto. Certo, lo so.
Bevve anche l’altra metà.
Si alzò e tornò al bancone con il bicchiere vuoto.
‘un altro.’
Vide che il barista la fissava.
Non la stava guardando in faccia, ma i suoi occhi puntavano un po’ più in basso.
Era uscita di casa di corsa, senza mettere il reggiseno. Il vestito era parecchio scollato e, oltretutto, attraverso la stoffa leggera, si vedevano benissimo i suoi capezzoli.
Tornò al tavolo con il secondo whisky e ne tracannò subito metà.
A quel punto due tizi, che sembravano pakistani, cambiarono tavolo e si sedettero uno di fronte e l’altro a fianco a lei.
Tenevano in mano una bottiglia di birra per uno ed avevano gli occhi lucidi.
Ma i pakistani non erano musulmani? I musulmani non bevono alcolici. Probabilmente non erano dei buoni musulmani.
E lei? Una brava ragazza non si sbronza con il whisky in un posto del genere. Lei non era una brava ragazza.
Uno dei due aveva cominciato a parlarle ma non riusciva a capire minimamente cosa stesse dicendo.
L’altro invece lo capì subito: aveva allungato una mano e l’aveva infilata sotto il suo vestito, iniziando a carezzarle un ginocchio.
Francesca scansò bruscamente la gamba e finì il suo secondo whisky, come se questo potesse darle forza e coraggio.
Il pakistano, incurante della sua reazione, tornò alla carica e le piazzò la mano in mezzo alle cosce, cercando di allargarle le gambe.
Francesca si rese conto che sotto il vestito era nuda e che sarebbe stato sufficiente che quella mano si fosse spostata di pochi centimetri, per arrivare a toccarle la fica, ancora calda e piena dello sperma di Fabrizio.
Doveva andarsene, ma i due whisky le avevano tagliato letteralmente le gambe.
‘Ciao. Va tutto bene?’
La voce gentile e decisa allo stesso tempo aveva bloccato i due pakistani. Erano rimasti con le bottiglie di birra a mezz’aria, indecisi sul da farsi.
Naturalmente la mano in mezzo alle sue cosce era immediatamente sparita.
Il proprietario di quella voce era un ragazzo biondo, alto, dal fisico robusto, sicuramente il doppio dei pakistani, bassi e mingherlini.
I due batterono immediatamente in ritirata, portandosi le bottiglie su un tavolo dalla parte opposta della sala.
‘Non dovrebbe bere così. Le farà sicuramente male.
Se proprio ha deciso di bere, farebbe bene a sorseggiarlo il whisky, invece di mandarlo giù di colpo, in modo da fermarsi in tempo. Ora le arriverà la botta tutta insieme e, probabilmente, starà parecchio male.’
Francesca pensò che era proprio quello che voleva: non aveva nessuna intenzione di fermarsi in tempo, voleva ubriacarsi completamente, e poi, riguardo allo stare male, dubitava di potersi sentire peggio di così.
‘Sto benissimo. Ora ne prendo un altro.’
Si alzò di colpo, per dimostrare al nuovo arrivato che non aveva problemi e si avviò nuovamente al bancone, barcollando vistosamente.
Il ragazzo biondo, che disse di chiamarsi Mirko, al suo ritorno, l’aiutò a sedersi e riuscì a convincere Francesca a far durare un po’ più il terzo whisky.
Sembrava una brava persona, però, in un ultimo barlume di lucidità, lei si rendeva conto che, nelle condizioni in cui si trovava, poteva benissimo trattarsi di uno stronzo, pronto ad approfittare della situazione.
Ormai erano le due ed il bar stava chiudendo.
Francesca si alzò, o meglio, provò ad alzarsi.
Aveva la vista completamente annebbiata a quando cercò di rimettersi in piedi, entrambe le ginocchia si piegarono.
Mirko, che aveva capito la situazione, la prese al volo.
‘In queste condizioni, non può tornare a casa da sola. Mi permetta di accompagnarla.’
Si rendeva conto che non sarebbe arrivata a casa, neanche strisciando a quattro zampe sul marciapiede.
Gli unici candidati, oltre al giovane biondo, erano i due pakistani, ormai completamente ubriachi, ed il barista. Ripensò alla mano in mezzo alle cosce ed agli sguardi indiscreti dentro la scollatura del vestito, e decise che Mirko era la soluzione migliore, o, almeno, quella che appariva meno rischiosa.
Nel breve tragitto fino a casa sua, Mirko la sostenne passandole una mano sotto l’ascella.
Lei ebbe l’impressione che le dita indugiassero troppo sul suo seno, ma forse era solo una sua fantasia, e poi, era troppo ubriaca per esserne sicura.
Dovette portarla fino a casa, perché Francesca non era in grado neanche di aprire la porta del suo appartamento.
L’accompagnò fino in bagno e lei, in un ultimo barlume di lucidità, prima di sedersi sul water, gli chiese di voltarsi.
L’ultima cosa che ricordava, di quella sera, erano le mani di Mirko che le sfilavano le scarpe, dopo averla sdraiata sul letto, e poi, la porta di casa che si chiudeva, questa volta dolcemente.
Ebbe un sonno molto agitato.
Stranamente, l’indomani, mentre i ricordi della serata passata al bar erano vaghi e sfumati, ricordava perfettamente tutti i sogni che aveva fatto.
Mirko era nel letto accanto a lei, nudo. La baciava in mezzo alle gambe e lei aveva spalancato le cosce sperando che venisse subito a leccargliela.
Lui si era mosso rapidamente: aveva superato i polpacci, e, una volta arrivato alle ginocchia, aveva preso a baciarle la carne morbida dell’interno delle cosce.
Quando era arrivato alla vagina, l’aveva trovata completamente aperta, al punto che aveva individuato subito il clitoride, duro e palpitante, pronto ad essere stuzzicato.
Non l’aveva penetrata subito, ma si era divertito a strofinarle la punta del cazzo contro le labbra, fino a farla gridare di gioia.
Lei gli diceva ‘dentro, ti prego, mettimelo dentro!’ e lui, alla fine l’aveva accontentata.
Ricordava un orgasmo fortissimo, al punto che era sicura di avergli piantato profondamente le unghie nella schiena.
Lui non era ancora venuto e, a questo punto, lo aveva tirato fuori e, dopo averle strappato il vestito aveva cominciato a strofinarglielo sui seni.
Sentiva quel corpo giovane e vigoroso, a cavalcioni su di lei.
Il suo cazzo era durissimo e rosso. Sembrava dovesse scoppiare da un momento all’altro e, quando lo aveva avvicinato alla sua bocca, Francesca aveva pensato che, questa volta, lo avrebbe fatto.
Si era sempre rifiutata di fare pompini, perché era convinta che ritrovarsi lo sperma in bocca era una cosa schifosa.
Quando aveva serrato dolcemente le sue labbra su quella carne dura e pulsante, aveva capito che Mirko non aspettava altro.
Il primo zampillo le era arrivato con forza contro il palato, mentre lo sentiva gridare: ‘Sì! Troia, dai, ancora, prendilo tutto.’
E lei aveva tenuto duro, fino a che il flusso di sperma si era ridotto ad un rivoletto che le scivolava dolcemente sulla lingua.
Aveva continuato a succhiarglielo, finché lui non si era ritratto.
Erano rimasti a lungo sdraiati, uno a fianco all’altra.
Lui aveva ricominciato a toccarla.
Francesca stava a pancia sotto e Mirko, dopo averle infilato una mano in mezzo alle chiappe, aveva ripreso a massaggiarle la fica.
‘Inculami. Voglio prenderlo nel culo.’
Non l’aveva mai fatto, ci teneva al suo culetto, rotondo e delicato.
L’aveva sempre rifiutato a Fabrizio, ed ora, lo avrebbe concesso a questo giovane biondo e sconosciuto.
Per un attimo aveva avuto paura.
‘Fai piano, non farmi male.’
Lui aveva iniziato ad allargarle il buco con le dita.
Cercava di lubrificare l’orifizio con quello che continuava ad uscire dalla sua vagina aperta ed arrossata.
Quando le era entrato dentro le aveva fatto male, ma non troppo. Forse era troppo stanca ed ubriaca per sentire dolore.
Era molto lungo e ne aveva infilato dentro solo metà, ma già così Francesca sentiva, dentro di lei, delle scosse fortissime.
Alla fine aveva ripreso a massaggiarle la fica, mentre il suo movimento si faceva più deciso.
Proprio mentre Francesca raggiungeva nuovamente l’orgasmo, aveva sentito che aveva ripreso a spingere.
Quando era arrivato fino in fondo, lei aveva avvertito una fitta dolorosa, subito attutita dallo sperma che entrava nel suo corpo.
Il suo sogno finiva così.
Si era svegliata verso mezzogiorno, con un gran mal di stomaco ed un cerchio alla testa.
Fabrizio non era ancora tornato.
Aveva fatto veramente un bel sogno.
Quando andò in bagno e si guardò allo specchio, si accorse di avere il vestito completamente strappato.
Aveva anche la bocca, il mento ed il collo impiastrati di una roba bianca, ormai essiccata.
Si passò un po’ di carta igienica in mezzo alle chiappe e la tirò fuori sporca di sangue.
Mirko, l’aveva accompagnata a casa, l’aveva messa a letto e poi ‘
‘ aveva sentito chiudersi la porta di casa.
Già, ma l’aveva chiusa da dentro o da fuori?
Sentendo il dolore proveniente dal suo didietro, era molto probabile che fosse rimasto tutta la notte con lei.
C’era anche un’altra traccia del suo passaggio: la borsetta di Francesca aperta, con il portafogli tirato fuori e, nessuna traccia dei cinquecento euro che aveva preso in banca, il giorno prima.
Ben ti sta, così impari a fidarti degli sconosciuti.
Comunque, tutto sommato, soldi ben spesi, perché un sogno così bello, difficilmente lo avrebbe rifatto.
Una giornata caldissima ed afosa.
L’estate era arrivata all’improvviso ed anche sulla spiaggia si soffocava.
è noioso andare in spiaggia con una figlia adolescente, smaniosa e capricciosa.
Quella mattina aveva trovato da ridire su tutto e, quando sbuffando si era allontanata per andarsene al baretto in fondo alla spiaggia, Francesca aveva tirato un sospiro di sollievo.
Era distratta e mezza addormentata quando aveva sentito quella voce maschile dal leggero accento straniero:
‘Buongiorno, vuoi comprare pareo, bella signora?’
Aveva alzato lo sguardo e si era trovata davanti un negrone enorme, con un paio di pantaloncini rossi ed una canottiera dello stesso colore.
Teneva sotto braccio un grande cesto pieno di vestiti colorati e la guardava con due occhi scuri e penetranti.
Era bellissimo. Un gigante d’ebano, pensò Francesca.
Sarà stato alto quasi due metri, un fisico possente ma asciutto.
Era giovane ed aveva un bel viso.
Né i suoi capelli, corti, ricci e curati, né la sua pelle scura, recavano la minima traccia di sudore. Sembrava l’unico a non essersi accorto di quella giornata calda e afosa, l’unico a non soffrire di quel caldo umido e appiccicoso.
Francesca lo studiò bene. Lei indossava degli occhiali da sole grandi e scuri, con le lenti a specchio: l’uomo non avrebbe mai potuto capire dove era puntato il suo sguardo.
Lui invece sembrava come bloccato, incantato: i suoi occhi erano fissi su di lei e non si muovevano.
Impiegò solo qualche secondo a capirne il perché.
Aveva abbassato le spalline del reggiseno per prendere meglio il sole e, quando l’uomo l’aveva chiamata, si era messa a sedere sull’asciugamano, senza pensare a quello che sarebbe successo.
Lo sguardo dell’uomo era fisso sulle sue tette, calamitato dai suoi capezzoli scuri ed appuntiti.
Una brava signora avrebbe farfugliato qualche parola di scuse, mentre, precipitosamente, risistemava le tette dentro al reggiseno.
Francesca non era una brava signora e rimase seduta, a gambe incrociate, senza fare nulla, anzi, spinse un po’ indietro la pancia, facendo oscillare leggermente i suoi seni nudi, mentre, contemporaneamente, allargava le cosce, facendo comparire un po’ di peli, tra l’inguine ed il bordo dello slip del costume.
Lo sguardo di lui si era abbassato, ora fissava con insistenza in mezzo alle cosce allargate di Francesca, come se nello slip color turchese ci fosse qualcosa di magico.
La magia stava invece accadendo al suo bel negrone: lo sguardo di Francesca si era posato sui pantaloncini rossi dell’uomo, là dentro stava avvenendo qualcosa di molto interessante.
Si vedeva la stoffa leggera muoversi in maniera evidente, come se un animale, prima profondamente addormentato, si fosse svegliato all’improvviso.
Adesso mi accosto a lui e gli tiro giù i pantaloncini, poi prendo tra le mani il suo affare (mamma mia, deve essere enorme, una specie di tronco) e comincio a leccarlo e baciarlo finché non diventa duro come un pezzo di marmo. Allora me lo ficco in bocca e glie lo succhio.
Glie lo succhierò finché non viene.
Voglio sentirmi la bocca riempita dal suo sperma.
Voglio correre il rischio di soffocare, inondata dal suo seme.
Non ne sprecherò neanche una goccia: continuerò a succhiarlo finché non lo avrò ripulito dall’ultima minuscola particella.
Allora, solo allora, prenderò per mano il mio bel negrone e lo porterò nella pineta dietro la spiaggia.
In fondo, quando gli alberi cominciano a diradarsi, ci sono dei cespugli spinosi, enormi e fitti.
Lì, al riparo da sguardi indiscreti, mi farò scopare da lui. Voglio sentire il suo grande cazzo entrare dentro di me, tutto, fino in fondo.
Voglio raggiungere l’orgasmo mentre sento le sue palle sbattere contro il mio corpo, nel tentativo di entrarmi dentro ancora più profondamente.
Quando avrà finito, mi girerò per farmi sfondare il culetto, il mio bel culetto.
Sono sicura che quando vedrà le mie belle chiappe, bianche, rotonde e morbide, non saprà resistere: allargherà piano piano il mio sederino e ci ficcherà dentro il suo bel palo.
Oddio! Fara un po’ male, forse?
Non l’ho mai preso nel culo da un negrone così ‘
Francesca! Ma sei impazzita?
Non puoi fargli un pompino davanti a tutti, in una spiaggia affollata.
Per non parlare di tutto il resto.
E se sul più bello ritorna tua figlia? Cosa le racconti?
Lui intanto si era avvicinato e si era accoccolato in terra, di fronte a Francesca.
Ora erano molto vicini e lo sguardo insistente dell’uomo sembrava quasi una carezza sul suo sesso che cominciava lentamente ad aprirsi.
Francesca, ti stai bagnando tutta. Devi fare qualcosa.
Era accaduto tutto in un lampo: Francesca aveva preso dalla cesta un pareo variopinto e lo aveva steso sulle ginocchia di entrambi.
Ora, con questa protezione, il curioso che fosse passato vicino al suo ombrellone, non avrebbe visto dove erano finite le sue mani.
Si era spinta subito verso i pantaloncini ed aveva incontrato qualcosa di grande e duro.
L’uomo aveva fatto una smorfia strana mentre lei arrotolava velocemente verso il basso, partendo dalla vita, la stoffa dei pantaloncini rossi.
Non poteva vederlo, ma riusciva perfettamente a rendersi conto delle dimensioni dell’arnese.
Qualche carezza veloce sulle palle (mamma mia quanto sono grandi!) e poi aveva cominciato subito a masturbarlo.
Anche se non lo aveva creduto possibile, era cresciuto ancora.
Lui ora respirava a bocca leggermente aperta e qualche gocciolina di sudore cominciava a scendergli lungo la fronte.
Francesca sentì un tocco leggero che percorreva la sua coscia destra, poi due dita che si incuneavano sotto il bordo laterale dello slip del costume.
Cacciò un piccolo grido, quando le dita iniziarono ad esplorare la sua fica bagnata.
Che peccato non poterci infilare quell’affare che ora lei teneva tra le mani e che, ad ogni toccata che lui le dava dentro il costume, sembrava animarsi sempre di più.
L’orgasmo arrivò all’improvviso: lo sentì irrigidirsi e allora, istintivamente, Francesca glie lo serrò con la mano, nella parte superiore.
Un getto caldo e potente le passò tra le dita.
Un altro getto, forse più forte del primo, poi un altro ancora. Sembrava una fontana inesauribile.
Lei lo mollò solo quando, esaurita tutta l’energia propulsiva, ricadde sui pantaloncini mezzi arrotolati.
Un attimo dopo, o almeno a Francesca era sembrato un attimo, ed era tutto finito.
Il suo bel negrone, con la sua cesta piena di vestiti, era sparito, lasciandola sola, seduta sull’asciugamano, con le tette di fuori, lo slip del costume bagnato fradicio, e la fica in fiamme.
Le uniche prove che non si era trattato di una sua fantasia, erano un pareo variopinto pieno di macchie e le sue mani completamente impiastrate di una roba biancastra ed appiccicosa.
A casa Francesca si fece una lunga doccia e, mentre ripensava alla sua strana avventura, si masturbò a lungo, sotto il getto d’acqua tiepido.
Domani sarebbe arrivato anche suo marito.
Se solo avesse immaginato. Suo marito era rimasto nella casa al mare, con lei e la figlia, per tutto il fine settimana.
Le era sembrato stanco e nervoso, come se avesse subodorato qualcosa.
Ma no, Francesca, che sciocchezze vai mai a pensare!
Sei solo tu che hai la coscienza sporca.
Non avresti dovuto toccare l’uccello a quel negrone che vendeva vestiti in spiaggia.
Da dove veniva? A sì, dal Senegal.
Però, non era niente male.
Gli hai fatto una sega che se la ricorderà per un bel pezzo.
Mamma mia, che arnese che aveva!
è stato un vero peccato che non te lo abbia ficcato dentro.
Che porca che sei, Francesca!
Già. Una gran porca, però a metà.
Sei una fifona. Ormai c’eri. Dovevi trovare la maniera per andare fino in fondo.
Certo non lì, sulla spiaggia, davanti a tutti, magari con tua figlia che tornava sul più bello, con un cono gelato comprato al bar.
Suo marito era arrivato con il treno, perché aveva lasciato l’auto grande in officina, per una revisione, così ora lei lo stava riaccompagnando alla stazione, dove avrebbe preso l’ultimo treno che gli avrebbe permesso di rientrare in città, in tempo per arrivare al lavoro, il lunedì.
Anche sua figlia sarebbe partita con lui, perché aveva da fare delle cose, così Francesca sarebbe rimasta sola, fino al venerdì successivo.
Le balenò per un attimo il pensiero del suo negrone. Il gigante d’ebano.
Libera da impegni e da controlli, aveva tempo per tutta la settimana, fino a venerdì, per farsi scopare da lui.
Ora non hai più scuse: lo cerchi e ti fai sbattere per bene. Hai sempre detto che ti senti una troia, è il momento di farlo sul serio, fino in fondo.
Hai tutto il tempo che vuoi e sei sola. Se vuoi star comoda, te lo puoi pure portare a casa.
Sennò, dove ti pare. In macchina, nella pineta, di notte sulla spiaggia.
Suo marito e sua figlia erano spariti, ingoiati dall’atrio della vecchia stazione ferroviaria e lei stava ancora rimuginando su queste cose, quando lo vide.
Un segno del destino? Forse.
Se ne stava seduto su una panchina, con a fianco il cesto con i vestiti.
Francesca pensò che non gli aveva neanche pagato il pareo che era rimasto a lei, il giorno del loro incontro sulla spiaggia.
Un pareo in cambio di una sega.
Era una prostituta?
In un certo senso sì, visto che si era fatta pagare la sua prestazione.
E se ora si faceva scopare per bene cosa le avrebbe dato in cambio? Forse l’intera cesta con i vestiti.
Ma no! Tutte fesserie. Era solo una donna smaniosa, un po’ troia.
Ora lei avrebbe tirato dritto fino a casa, senza fermarsi, e si sarebbe comportata bene per tutta la settimana.
Non era successo niente di grave, almeno non ancora.
Già in passato aveva avuto guai con suo marito per certi comportamenti un po’ …disinvolti, e non era proprio il caso di riprovarci.
Invece si era fermata a fianco della panchina.
Due colpetti di clacson.
Lui si era voltato, stupito di rivederla, perché, sicuramente, aveva considerato chiusa la faccenda.
Un minuto dopo, la cesta con i vestiti era posata sul divano posteriore dell’auto di Francesca ed il suo bel negrone era seduto in macchina, accanto a lei, con la cintura allacciata e le mani posate sulle ginocchia.
Raggiunsero la pineta che era buio.
Francesca prese dal bagagliaio un stuoia che usava sulla spiaggia e si inoltrò tra gli alberi, seguita dal suo scuro compagno.
Si era fermata in farmacia, lungo la strada, ed aveva comprato una confezione di profilattici.
Non si sa mai, meglio evitare guai.
Chissà se sapeva cosa fossero e come si usassero.
Dai Francesca, non essere stupida, questo non è mica un selvaggio, magari nel suo paese ha pure preso una laurea e parla correntemente diverse lingue.
Si sistemarono in fondo alla pineta, dopo essersi inoltrati in mezzo a fitti cespugli pieni di spine.
Era stata una buona idea portarsi la stuoia, così non si sarebbe sporcata di terra.
Lui faticò parecchio ad infilarsi il preservativo. Le disse che la prossima volta avrebbe dovuto prendere una misura più grande.
La prossima volta. Ci sarebbe stata una prossima volta?
Stava facendo una cazzata enorme, di cui si sarebbe pentita, ma ormai non poteva più tornare indietro.
All’inizio pensò che la stesse prendendo in giro, con questa storia della misura dei preservativi, invece aveva ragione lui, era lei che aveva sempre scopato con uomini di misura normale.
Francesca era eccitata da morire ma quando lui si spogliò nudo, ebbe un attimo di panico.
Nonostante fosse parecchio buio, poteva vedere bene di cosa si trattasse.
Quella specie di palo sarebbe entrato nella sua fica senza far danni?
Beh, ora era in ballo ed avrebbe ballato.
Le sfilò le mutandine e poi la spinse contro il tronco di un pino.
Sentiva la resina appiccicarsi contro la sua schiena, lasciata parzialmente nuda dal vestito scollato.
Le allargò le gambe, cominciò a toccarla in mezzo alle cosce e Francesca smise di pensare al fatto che quel coso potesse essere troppo grande.
Voleva soltanto che glie lo ficcasse dentro al più presto.
Fu accontentata.
Si sentì sollevare sotto le ascelle, poi avvertì il corpo muscoloso dell’uomo che premeva contro di lei, schiacciandole le tette.
Quando lui, lentamente, la lasciò riscendere, Francesca si impalò direttamente su quel grande cazzo nero, ricoperto da una sottile pellicola di materiale gommoso, trasparente e colorato.
Praticamente, un connubio tra la forza della natura e la tecnologia moderna.
Francesca gridò.
Per la sorpresa?
Per il dolore?
O forse per la gioia?
Probabilmente per tutte e tre le cose insieme.
Lui cominciò a muoversi con una grande energia. Quel grande pene entrava ed usciva velocemente dentro di lei.
Venne quasi subito e Francesca si sentì travolgere e schiacciare contro il tronco.
Accidenti troppo presto.
Buttò via il preservativo e ne infilò in altro.
Ricominciò immediatamente.
Questa volta andò meglio e Francesca raggiunse facilmente l’orgasmo, mentre lui, dopo averle piazzato le mani sulle tette, la scuoteva con forza.
Si fermò a riposare solo dopo averla penetrata per la terza volta.
Ormai era talmente eccitata e sensibilizzata, che raggiunge un paio di volte l’orgasmo, prima che lui arrivasse alla conclusione.
Francesca, stanchissima, aveva piegato le ginocchia ed era rimasta poggiata contro il tronco.
Si sentiva la schiena piena di scorticature, causate dalla ruvida corteccia del tronco del pino.
Si guardò in mezzo alle gambe.
Guarda come ha ridotto la mia bella fichetta. Tutta allargata ed arrossata. Dovrò farle un bel po’ di impacchi di acqua tiepida.
Però era veramente soddisfatta: una scopata così non l’aveva mai fatta.
Era distrutta. Ora l’avrebbe riaccompagnato in paese e poi sarebbe andata dritta a casa.
Una bella doccia, un boccone di cena e poi subito a nanna.
No.
le aveva piazzato le mani sotto le ascelle e l’aveva rimessa in piedi, poi l’aveva fatta girare di 180 gradi.
Un forte verso gutturale, una specie di grido di guerra dell’uomo della foresta, e le sue grandi mani, piantate saldamente sulle sue chiappe, fecero comprendere a Francesca che la serata non era per niente finita.
Questa volta ebbe veramente paura.
Quell’affare, probabilmente, era troppo grande per il suo culetto.
Provò a spiegarglielo, ma il suo bel negrone sembrava veramente stregato dal suo didietro e non sembrava recepire le perplessità della donna.
Continuava ad accarezzarle le chiappe ed a parlare a raffica, in una lingua che Francesca non comprendeva.
Alla fine la fece inginocchiare davanti ad un grande tronco tagliato e le arrotolò completamente il vestito, fino a metà schiena.
Il preservativo. Ti prego metti il preservativo.
Come se quello fosse il problema.
L’avrebbe sfondata con quell’arnese fuori misura.
Sarebbe finita all’ospedale ed avrebbe dovuto dare molte spiegazioni imbarazzanti ai medici e poi a suo marito.
Andò meno peggio del previsto, forse perché lui era rimasto così estasiato dal suo culetto, che cercò di andarci piano, per quanto fosse possibile.
Forse era il colore così chiaro, oppure la forma, perché le donne africane, spesso, avevano dei sederi voluminosi e prominenti.
Il suo doveva apparirgli come un culo esotico.
Francesca gridò un po’ solo all’inizio, poi si rese conto che, tutto sommato, non era affatto male.
Devo rilassarmi. Devo stare tranquilla e godermi questa inculata stratosferica.
Quando tornarono in paese era molto tardi e quasi tutte le luci erano spente. Solo alcuni ragazzi, con i motorini, si erano trattenuti a chiacchierare sulle panchine del lungomare.
Francesca rientrò a casa, dopo aver fatto scendere il suo bel negrone nella piazza principale ed andò dritta in bagno, a farsi la doccia.
Ora che era passata l’eccitazione di quei momenti, stava riaffiorando il dolore delle scorticature alla schiena e quello più forte, proveniente da dietro.
Allora, volevi la tua notte da troia e l’hai avuta.
Ti sei fatta rompere il culo per bene dal tuo negrone.
Ora sarai soddisfatta?
Certo. Stanca da morire ma soddisfatta.
E domani?
Beh, domani è un altro giorno.
E adesso, dritta a dormire. Che palle!
Francesca si guardò intorno: facce vecchie, grigie e tristi. Gente annoiata ad una riunione inutile e noiosa.
Lentamente, senza quasi accorgersene, si era estraniata, aveva praticamente staccato i contatti.
Il suo corpo era rimasto lì, seduto in quella tetra aula, dove una quindicina di persone discuteva stancamente dei programmi didattici del prossimo anno scolastico, mentre la sua mente veleggiava, libera nell’aria.
Il mare. Certo la sua mente era tornata al mare. Il sole, la spiaggia, l’acqua fresca e ‘ lui, naturalmente.
Dai, stai qui a romperti le palle, quando, invece, potresti stare al mare, a farti rompere qualche altra cosa dal tuo bel negrone, come qualche giorno fa.
Ma che dici?
Francesca, lo sai che non è vero.
Non te lo sei portato di notte nella pineta, non ti sei fatta scopare dal tuo bel vu cumprà senegalese e, meno che mai, non ti sei fatta sfondare il culo dal suo affare enorme.
è stata solo una tua fantasia, un sogno di quello che avresti voluto fare, ma non avrai mai il coraggio di tentare. O forse neanche lo vorresti. Chissà quante altre donne hanno, a volte pensieri simili, ma poi, nella realtà ‘
Però la sega, sulla spiaggia, quella glie l’hai fatta.
Hai preso in mano il suo enorme cazzo nero ed hai continuato finché non è venuto, finché non ha inondato la tua mano con una quantità incredibile di sperma.
Ti sono sempre piaciuti i negroni, vero?
Francesca, non si dice negro, è brutto, suona un po’ razzista, devi usare il termine di colore.
Sì, vabbè, adesso dico ‘mi sono accoppiata con un uomo di colore’, vuoi mettere dire invece ‘mi sono fatta scopare da un bel negro’.
E poi non mi sembra una cosa razzista, anzi, lui mi sembrava molto contento della sega che gli ho fatto.
Fu quasi risvegliata dai suoi pensieri un po’ inconfessabili, dal rumore delle sedie che si muovevano. La riunione, grazie a Dio, era finita.
Ora avrebbe recuperato sua figlia, che l’aspettava a casa di un’amica e poi, di corsa al mare.
Dal suo bel negrone?
Ma no! Era stata una fesseria, un piccolo momento di debolezza, forse dovuto al caldo.
No, Francesca, di questi momenti, nella tua vita, ne hai avuti tanti, lo sai benissimo.
E’ la tua troiaggine che riaffiora sempre, ogni volta, non c’è nulla da fare.
Il viaggio fino al mare era stato breve e tranquillo.
Erano passate un attimo a casa perché sua figlia voleva andare subito in spiaggia.
Cinque minuti, il tempo di cambiarsi, prendere il costume e l’asciugamano, poi Francesca aveva ripreso la macchina e l’aveva accompagnata fino in fondo al lungomare.
Lei non aveva voglia di andare in spiaggia, e poi aveva da fare, visto che a casa erano terminate le provviste, doveva passare al supermercato, se non volevano digiunare, quella sera.
Ma non si era diretta subito verso il centro commerciale. Aveva cominciato a girare per le vie del paese. Guidava piano e si guardava spesso intorno.
Lo stava cercando.
Cercava di non ammetterlo, ma sapeva che era così.
Probabilmente a quest’ora era in spiaggia, con il suo cesto, a vendere vestiti di cotone da quattro soldi.
Forse in quel preciso momento, in qualche angolo della spiaggia, un’altra signora, vogliosa ed annoiata, stava impugnando il suo enorme cazzo color cioccolata, pensando a quanto sarebbe stato bello ficcarselo tutto dentro la sua fica.
Eccolo!
Se ne stava bello tranquillo, sotto un albero, vicino al palo della fermata dell’autobus.
Indossava una camicia ed un paio di pantaloni lunghi, non aveva la cesta con se. Evidentemente quel giorno aveva deciso di non lavorare sulla spiaggia.
Francesca aveva accostato l’auto, una cinquantina di metri prima.
Sentiva il battito del cuore che aumentava tumultuosamente.
Ed ora che faccio?
Se vado lì, faccio una sciocchezza enorme, devo fermarmi in tempo.
Ma il pensiero delle sue mani che maneggiavano quel cazzo enorme, al riparo della leggera stoffa del pareo, era sempre lì, in agguato.
Aveva avuto solo un piccolo assaggio, avrebbe voluto mangiarlo, quel coso enorme.
Sì, me lo voglio ficcare in bocca tutto, fino in fondo, lo voglio leccare, succhiare, fino a scatenare nuovamente quella incredibile fontana, che l’altra volta è esplosa tra le mie mani.
Ora o mai più!
Innestò la prima e la macchina si mosse lentamente.
Quando gli arrivò a fianco, lui non si era accorto di nulla, se ne stava tranquillamente poggiato al tronco dell’albero, ignaro di quello che stava per accadere.
Si girò verso l’auto solo al terzo colpetto di clacson.
Francesca si sporse verso di lui e gli elargì uno dei suoi migliori sorrisi, ma l’uomo rimase fermo ed un po’ perplesso.
Forse non l’aveva riconosciuta.
‘Non ti ricordi di me, in spiaggia? Il pareo.’
Beh, sicuramente, vendeva tutti giorni ad un mucchio di donne come lei, roba del genere.
Forse avrebbe dovuto dirgli: quella che ti ha fatto una sega.
Ecco, si era ricordato. Un sorriso malizioso era affiorato sulle sue labbra.
‘Dai, sali, ti do un passaggio.’
Era indeciso, aveva fatto un passo verso di lei, poi si era fermato e scuoteva la testa.
Chissà, magari stava pensando che si sarebbe cacciato in qualche guaio, o forse Francesca non era il suo tipo, magari preferiva una scura come lui, con le tettone ed il culo grande e sporgente, una di quelle donne africane che sembrano la rappresentazione primordiale della madre terra.
Francesca si sporse ancora, aprì lo sportello di destra e gli sorrise nuovamente.
Aveva vinto le sue resistenze.
Il suo bel negrone era salito in macchina, questa volta sul serio.
Dove l’avrebbe portato?
A casa no di certo. Se sua figlia fosse tornata prima del previsto, sarebbe successo un casino.
La pineta, naturalmente, era l’unico posto possibile.
Appena fuori del paese, sulla statale, gli mise una mano sulla coscia. Era grande, forte e muscolosa.
Spostò la mano e lui sobbalzò.
Benissimo, era già pronto.
Parcheggiò in fondo alla pineta, lo prese per mano e cominciarono ad inoltrarsi nel bosco.
Francesca era già tutta bagnata e pregustava quello che sarebbe accaduto.
Si fermarono solo quando furono molto distanti dalla strada.
A quell’ora la pineta era deserta, tutta la gente se ne stava in spiaggia, nessuno li avrebbe disturbati.
Gli sbottonò la camicia e cominciò a baciarlo sul petto.
Aveva un torace largo, possente, con pochi peli e la sua pelle aveva un odore forte e stimolante.
Sembrava apprezzare il trattamento e passò subito all’attacco.
Francesca sentì le sue mani armeggiare prima sul bottone e poi sulla lampo dei suoi pantaloni di lino bianchi.
Li aveva rapidamente abbassati fino alle ginocchia ed ora la stava carezzando le chiappe.
Infilò le dita dentro il piccolo slip bianco e continuò a massaggiarla delicatamente, poi improvvisamente, la strinse forte a se.
Mamma mia! Aveva un palo tra le gambe.
A questo punto Francesca si abbassò e gli aprì i pantaloni.
Il suo coso era già completamente eretto e spuntava fuori dalle mutande di un palmo buono.
Gli passò delicatamente la lingua intorno alla cappella e lui, immediatamente, con le mani poste dietro la nuca, la spinse verso di lui.
Doveva solo spalancare la bocca e prenderlo. Tutto, fino in fondo.
Ma prima voleva giocarci un po’, visto che ora, finalmente, poteva osservarlo per bene.
Gli leccò le palle. Erano enormi e gonfie.
Poi cominciò, partendo dalla base, a risalire lungo quel coso nero e duro.
Sul lato aveva una vena bella sporgente. Era bello sentirne il rilievo, con la punta della lingua.
Ad un certo punto lui la fece rialzare in piedi e le abbassò anche le mutandine.
No, aspetta, questo no, non sono pronta, cioè ‘ la mia fichetta sarebbe prontissima, è bagnata fradicia, è Francesca che forse ‘ non se la sente.
Se l’avesse tenuta con forza e poi le avesse infilato dentro il suo arnese, Francesca non avrebbe potuto far nulla, e neanche protestare, visto che era stata lei ad insistere per farlo salire in macchina, e poi, se cominci a succhiare il cazzo ad un uomo, non puoi lamentarti
se quello, dopo, vuole scoparti.
‘No ti prego, lì no ‘ fammi continuare. Ti piace, vero?’
L’aveva convinto? Forse sì.
Lui ora la stava toccando per bene. Sicuramente, quando le aveva abbassato lo slip, si era accorta che lei era completamente fradicia, ed ora se la stava lavorando.
Sembrava sapere il fatto suo e, se continuava così, c’era il rischio che Francesca vincesse i suoi timori e si facesse scopare per bene.
Forse era proprio questo il suo obiettivo.
Riprese a baciargli e leccargli il petto poi, lentamente, si riabbassò.
Il suo cazzo ora sembrava ancora più grande.
Gli abbassò pantaloni e mutande, per liberarlo completamente dall’impaccio della stoffa e cominciò a lavorarselo per bene.
Era così grande che tutto non le entrava in bocca.
Allora, per poterlo toccare dalla base fino alla punta, lo prese tra le labbra di lato, e cominciò a muovere la bocca in su ed in giù, come se fosse una mano.
Ora lui ansimava forte. Si stava avvicinando il momento.
Lo scappellò per bene e cominciò a passargli la lingua intorno, mentre sentiva l’orgasmo che si avvicinava.
Allora se lo mise per bene in bocca, stringendolo forte con le labbra.
Sentì la sua vagina, gonfia e dilatata, che spruzzava e mollò un attimo la presa con la bocca. Stava venendo.
Lui aveva aspettato, con pazienza e comprensione, che lei finisse di gridare e mugolare, anzi, l’aveva pure aiutata, infilandole due dita dentro, poi, quando era tornata la calma, tenendola leggermente per la nuca, aveva guidato la bocca di Francesca verso il suo pene, ormai pronto per il gran finale.
Il primo schizzo la prese di sorpresa, visto che era ancora stordita per l’orgasmo incredibilmente intenso che aveva appena avuto. E le riempì la bocca.
Si ritrasse e vide un nuovo getto arrivarle dritto sul viso.
Si rialzò in piedi, tenendolo con una mano.
Continuava a zampillare. Arrivò sul collo, sui seni nudi che spuntavano dalla camicetta aperta, sulla pancia. La stava ricoprendo con il suo sperma caldo.
Quando finalmente la fontana si arrestò, Francesca era senza fiato e, dalla sua bocca semi aperta, colava un rivolo di sperma.
Si ripulì un po’, quel tanto necessario perché potesse tornare a casa senza essere guardata male dai passanti, avendo cura però, a lasciare sulla sua pelle le tracce della sua folle avventura.
A ritorno, in macchina, dovette un po’ insistere perché lui accettasse cinquanta Euro come ricompensa.
Cinquanta Euro veramente bene spesi.

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