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Racconti Erotici Etero

L’esame di matematica

By 3 Febbraio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

L’ESAME DI MATEMATICA

Giovedì. Mi svegliai con un senso di angoscia. Mancava un giorno all’esame e praticamente non ero nemmeno a metà del programma. In più, il professor Maida non mi conosceva poiché avevo partecipato a pochissimi dei suoi laboratori. Che stupida! Eppure sapevo benissimo che ci teneva alla frequenza dei laboratori. Il fatto &egrave che li teneva sempre di mattina alle 9, ora nella quale io ero solitamente in piena scopata con Mimmo.
Le premesse per strappare anche solo un 18 erano pochissime: eppure, decisi di andare a parlare con il vecchio docente di matematica. Non sapevo cosa gli avrei detto, ma eravamo alla vigilia della prova orale, ed ero disposta a tutto pur di passarla. Un mese prima, avevo avuto 24 allo scritto, grazie alla ‘furbata’ di sedermi accanto a Silvano, un ragazzo molto studioso che mi aveva suggerito più di una risposta.
Non mi sarei certo giocata, adesso, la possibilità di superare anche l’interrogazione! ‘Sono disposta a tutto pur di farcela’, mi ripetei, e ben conscia di quali mie qualità dovessi mettere in campo, mi attrezzai a dovere. Perizoma nero con bordi rossi, reggiseno coordinato, a balconcino. Autoreggenti, gonna nera a tubino e tacchi d’ordinanza. Sopra, una blusa bordeaux scollata a V. ero pronta: professor Maida, si tenga forte!
Uscii di casa stringendomi il soprabito addosso. Era una giornata serena ma piuttosto fresca. Mi misi in macchina e, zigzagando per la città, raggiunsi in meno di mezz’ora l’università.
Quando entrai in ateneo, ero già bagnata. Per tutto il tragitto in auto, avevo pensato a cose eccitanti: la ‘visita’ del dottor Ferrari, il pomeriggio con Floriana, la sveltina con Matteo. Ero pronta per sfoderare la mia sensualità con il vecchio Maida, per strappargli la promozione all’esame più difficile della facoltà.
Bussai alla porta del suo studio. ‘Avanti!’, ordinò da dentro, con la sua voce autorevole.
Era seduto dietro alla sua enorme scrivania, interamente rivestita in cuoio bruno, piena di testi, documenti, cartelline.
Sollevò appena la testa. ‘Professore?’, chiesi timidamente, entrando.
‘Si accomodi’, disse lui, dandomi appena un’occhiata. Sarebbe stato più arduo di quanto credessi. Ugualmente, entrai chiudendomi la porta alle spalle e mi sedetti.
Il vecchio professore rimase chino sulle sue scartoffie. Vedevo i suoi capelli candidi, impomatati per tenerli all’indietro, e le spalle, già curve per l’età. Dopo un paio di minuti che ero lì, in rispettoso silenzio, alzò finalmente lo sguardo verso di me, si tolse gli occhiali da presbite e mi chiese di cosa avevo bisogno.
Cominciai con la mia ‘storiella’: gli dissi che ero una studentessa lavoratrice, poich&egrave per mantenermi agli studi dovevo lavorare come cameriera, e che per questo motivo non avevo mai potuto frequentare le sue lezioni, ma che l’indomani avrei sostenuto la prova orale, e che mi sentivo pronta poiché ero appassionata di matematica, ‘anche se ‘ conclusi mesta ‘ devo confessarle che ci sono alcune cose non mi sono ben chiare, e mi piacerebbe discuterne con lei per un chiarimento’.
Non si sottrasse alla richiesta. ‘Vediamo di che si tratta’, rispose educato. La disponibilità del professor Maida a dare spiegazioni agli alunni era famosa, quasi come la sua severità e pignoleria durante le interrogazioni.
Mi alzai e mi tolsi il soprabito. ‘Mi spoglio ‘ dissi con voce calda ‘ la temperatura &egrave alta, qui dentro’.
Non diede segno di aver colto la mia provocazione. Per prendere il quaderno dalla borsa, mi piegai in maniera esagerata, mostrandogli il mio sedere inguainato nel tubino nero. Quando mi girai, il suo sguardo fisso mi dimostrò che invece stavolta si era accorto di me, eccome. Ma, molto freddamente, disse: ‘Allora, qual &egrave il problema?’
Mi appoggiai sulla scrivania mettendomi in modo che la maglia si aprisse un po’, e mi sporsi verso il professore. ‘Ecco, guardi: &egrave questo tipo di discussione che mi riesce difficile’, gli dissi, indicando sul foglio un’equazione complicatissima.
Lui non guardava il foglio. Era ipnotizzato dai miei seni. Piccoli, ma strizzati nel balconcino, sembravano più invitanti che mai, nel gioco del vedo/non vedo offerto dalla blusetta semiaperta. Il vecchio deglutì e mi sfiorò la mano con le dita. Cercai di non far caso alle macchie scure di vecchiaia che c’erano sul dorso della sua mano, e non ritrassi la mia. Fu un segnale chiarissimo, per lui. ‘Venga da quest’altra parte -, mi invitò ‘ così non leggo nulla’.
Feci il giro della scrivania e mi avvicinai a lui. ‘Allora, che mi diceva di questa discussione?’, domandò, con voce rotta dall’emozione.
Cominciai a dirgli cosa non avevo compreso, e mentre parlavo, in piedi accanto a lui, mi mise una mano sulla gamba e cominciò ad accarezzarmi. Pian piano, mentre io, confusa, parlavo senza più capire cosa stavo dicendo, lui faceva risalire la mano sempre più su, sotto la gonna. Mi zittii, ma lui disse. ‘Continui, la prego. Qual &egrave il problema? Dica, dica signorina’.
Ormai ero completamente nel pallone, parlavo a vanvera, ma lui non sembrava accorgersene. Continuava ad accarezzare la mia coscia e lentissimo saliva sempre più su, sempre più lento. Avevo un languore allo stomaco, vibravo, smaniosa, e sempre più eccitata. Quando giunse all’autoreggente, il vecchio docente si fermò. Esitò un attimo, poi riprese il suo cammino. Accarezzò la pelle morbida dell’inguine, risalì ancora, finch&egrave trovò le natiche. Sode, lisce, nude. Si soffermò a palparle, come se le stesse valutando con uno dei suoi strumenti da matematico. Poi sentì il bisogno di guardare. Mi sollevò la gonna oltre i fianchi e mi fece girare. Lo sentii mormorare: ‘perfetta’, poi mi prese il culetto tra le mani e cominciò a massaggiarlo. Stringeva una natica per mano, la massaggiava, la tirava. Ogni tanto si fermava e mi leccava: sentivo la sua lingua ruvida sulla pelle soda dei glutei, ed era una sensazione deliziosa.
‘Si poggi un po’ alla scrivania, signorina’, mi chiese con voce sussiegosa, e io eseguii, mettendomi alla pecorina e cercando di mostrargli al meglio il mio culetto.
Lo sentii armeggiare nel cassetto e non capii cosa stesse facendo. Mi girai un po’ e vidi che tirava fuori una piccola torcia. L’accese. Illuminandomi il culetto, poi cominciò ad accarezzarmelo, con una mano, mentre con l’altra mi teneva la luce addosso. Mi allargò un po’ le natiche e scostò l’elastico del perizoma. Sentii il calore della luce sul culetto, capii che illuminava la zona per guardala meglio. ‘Ti piace?’, chiesi.
‘Come si permette?- rispose lui, seccato – Mi chiami professore, e stia al suo posto, non si prenda confidenza’.
‘Mi scusi, professore ‘ dissi subito ‘, allora, le piace?’.
‘Lei ha un culo bellissimo ‘ disse lui ‘ e un buco del culo perfetto. Me lo faccia vedere bene, su, si pieghi di più’.
Ubbidii. Il vecchio docente continuava a fissarmi il culetto e illuminava il buchetto con la luce. Poi sentii le sue dita che mi accarezzavano: non sembrava volesse penetrarmi, ma piuttosto che cercasse di aprirlo, per vedere com’era fatto, all’interno. Quando si accorse che era stretto e che non era possibile allargarlo, desistette. Rimase ancora un po’ a guardarmi, illuminando il ‘panorama’ con la sua torcia, poi con voce roca mi domandò: ‘Posso vedere anche il davanti, signorina?’.
Lo accontentai. Mi fece sedere sulla sua scrivania, a gambe aperte, e mi illuminò il ventre con la sua torcia. Ero fradicia, e sentivo che il tessuto del perizoma era impregnato dei miei umori. Se ne accorse anche il professore, che si avvicinò ad annusarmi, aspirando a fondo. ‘Odore di fica’, lo sentii borbottare. Poi si fece spazio con le mani, spostando il bordo del perizoma, e scoprendomi la vulva. Quando vide il mio ciuffo di peli neri, fischiò. Lo illuminò con la torcia. ‘Mi faccia guardare, sia gentile signorina’.
‘Va bene, professore ‘ gli dissi ‘ guardi pure’, e poi, facendomi più ardita: ‘Se vuole può anche toccare. Ma si ricordi di me domani, all’esame’.
‘E come potrei dimenticarla?’ replicò lui, mentre si alzava e poggiava la torcia sulla scrivania. Si piegò su di me e mi infilò la lingua in bocca. Sapeva di fumo di sigaro, di denti vecchi, di qualcosa di brutto. Ma sapeva anche di esame di matematica, e di un orgasmo che sapevo sarebbe arrivato: ero bagnatissima, ormai, e mi chiesi se il professore avesse intenzione di scoparmi. Anche se, data la sua età, dubitavo ci sarebbe riuscito.
Mi baciò e mi baciò ancora, esplorandomi la bocca con la lingua, leccandomi e tirandomi le labbra, mentre mi infilava le mani sotto la blusa e mi toccava i seni. Io ero eccitatissima, non vedevo l’ora che toccasse più giù.
Così, accolsi con piacere il momento in cui si risedette al suo posto e prese in mano la sua torcia. Mi tolse il perizoma e rimasi lì, con la gonna alzata fino alla vita e solo con le autoreggenti sotto, a cosce aperte sulla sua scrivania. Lui tornò subito a guardarmi il sesso, illuminandolo bene con il fascio di luce. Mi allargava leggermente le labbra a ci guardava dentro. Avevo il clitoride gonfio e sentivo che lui lo fissava. ‘Ha il bottoncino bello pieno e rosso, signorina, lo sa?’ mi disse.
Tacqui, aprii solo di più le cosce, sperando che mi toccasse. Ma lui non lo faceva, si limitava a sfiorarmi per guardare meglio dentro, con il solo risultato di tormentarmi, rendendomi sempre più vogliosa. Mi tirava leggermente i peli, come una parrucchetta, per sollevarli e avere una visione più ampia, ma non faceva altro. Io ero sempre più bagnata, sentivo i miei umori colare giù per il perineo e avevo voglia di spingere, di stringere, di godere. ‘Mi sta bagnando la scrivania, signorina’, mi disse Maida.
‘E’ che” comincia, poi mi bloccai. ‘Continui’, disse lui. ‘E’ che ho voglia ‘ ripresi ‘ ho voglia di godere’.
‘Ma io sono vecchio’, lo sentii rispondermi, mentre continuava a fissarmi la fica. ‘cosa posso fare io per lei? Si tocchi da sola’.
‘Mi tocchi lei, per favore’, implorai, ormai arrapatissima.
‘ma scusi, le pare che io, che sono il suo professore, mi metto toccarla, così poi magari mi va a denunciare? Ma neanche per idea! Poi, &egrave così bagnata che tutto questo liquido mi impressiona. Su, si tocchi lei, che mi piace guardare.
Feci come mi aveva chiesto. Mi infilai due dita nella fica e la trovai aperta, scivolosa. Cominciai a masturbarmi, inarcandomi per il piacere. Mi contorcevo davanti al professore, e lui seguiva tutto moment by moment, illuminandomi il sesso con la torcia. ‘Vedo le sue dita che entrano ed escono dalla sua vagina, signorina. Sono viscide e bagnatissime, come se uscissero da una bottiglietta di succo di frutta. Molto suggestivo come spettacolo’.
Io continuai a toccarmi sempre più appassionatamente, finch&egrave venni, di un orgasmo liberatorio e intensissimo, in cui il piacere era amplificato dal fatto che il vecchio Maida mi stava guardando.
Mentre mi rivestivo, il professore mi ringraziò per il divertimento, poi mi congedò. ‘Ho molte cose da fare-, disse ‘ ci vediamo domani all’esame: si riveda i sistemi’.
Tornata a casa, studiai sistemi ed algoritmi per un paio d’ore, poi uscii con mia madre a far la spesa.
Il giorno dopo, vestita come un’educanda, andai a fare l’esame. Trenta e lode. E senza bacio accademico. Meno male’.

Gioialuna

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