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Racconti 69Racconti Erotici Etero

Lorenza ed io, l’amico di..letto

By 15 Ottobre 2011Febbraio 9th, 2020No Comments

Lorenza e io, l’amico di..letto
Quando avevo 18 anni andai ad una festa di compleanno e qui conobbi una ragazza, amica della padrona di casa, che era andata alla festa in compagnia della sorella. Lorenza, questo era il suo nome, era una biondina con gli occhi di un celeste annacquato, ma una faccia da troia come non ne avevo viste mai, e soprattutto un paio di tette che sfidavano la forza di gravità. Per quella sera mi limitai a studiarla ma, col passar del tempo, mi accorsi che non ci stava tanto con la testa. Infatti, al primo appuntamento che le diedi, venne per dirmi ‘che non poteva venire all’appuntamento perché doveva fare un’altra cosa’ e da qui capii il personaggio. Per un po’ di tempo ci frequentammo saltuariamente e quelle volte che ci vedevamo non disdegnava le mie mani su di lei, anzi sembrava proprio che cercasse il contatto. Negli anni diventammo amici, anche intimi: si parlava di tutto, spesso anche di sesso, senza imbarazzo e si stava bene insieme. Ogni tanto le lanciavo qualche battutina (che battutina non voleva essere) fino a quando un giorno venne a trovarmi nel negozio dove lavoravo, durante la pausa pranzo e, approfittando che non c’era nessuno, siamo scesi nel sottoscala e spogliatasi mi ha detto: ‘ visto che deve succedere, facciamolo ora’. Rimasi di stucco a quell’affermazione anche perché mi prendeva in contropiede: lì, a quell’ora, col rischio che venisse il titolare, senza un minimo di ‘. niente. Accettai perché il cazzo non vuol sentir ragioni, ma feci una figura di merda. Infatti, non appena fui dentro di lei, sarà stata l’emozione, il posto, la situazione del momento, la voglia che avevo di lei, bastarono pochi colpi e le irrorai il pancino di sborra. Non sapevo che scuse cercare per ovviare a quella defaiance ma mi è sembrato che lei se lo aspettasse, perché, mi disse, erano cose che potevano capitare quando si è troppo emozionati e che comunque io rimanevo il suo amico diletto- (anche di sottoscala, pensai io). Dopo di che si vestì e se ne andò e per lungo tempo non la vidi più. Il ricordo delle sue tette (erano la sua parte migliore) e di quella figuraccia mi perseguitarono per lungo tempo, poi cambiai lavoro e mi ero quasi scordato di lei quando mi arrivò una sua telefonata. Dopo i soliti convenevoli mi confidò che aveva imparato a fare i pompini, e qui capii che non era cambiata da allora. Le chiesi se potevo costatare di persona se era vero, ma lei rispose che si era sposata e che li faceva solo al marito (e allora perché cazzo me lo disse, boh?). Chiudendo la telefonata ripensai alle sue stranezze e nel frattempo mi frullavano in mente strane idee: perché confidare a me una cosa del genere? Come aveva fatto a sapere il numero di telefono del nuovo lavoro? Passò ancora dell’altro tempo, e tra una telefonata e l’altra, mi sposai anch’io e andai a vivere in un altro posto, ma in estate tornavo nella mia città natale e qui accadde un fatto strano. Per via delle meduse che infestavano il mare che frequentavo, abitualmente, andai in un’altra zona e dopo aver piantato l’ombrellone ero lì a giocare con mio figlio quando la vidi, anche lei con un bambino piccolo, che lo accudiva come una brava mammina. Dopo esserci salutati seppi che col marito le cose non andavano bene, che stava per separarsi e tante amenità del genere. Parlammo un po’, quindi ci salutammo fissandoci appuntamento al giorno dopo e così avvenne. Quando arrivai in spiaggia, la mattina dopo ero da solo perché mio figlio era indisposto, e vidi che si era messa, col suo ombrellone, a ridosso di alcuni scogli, quindi col mio formammo una specie di capanna da cui era impossibile essere visti. Era stato un caso o strategia femminile non lo seppi mai, sta di fatto che mentre il figlio giocava sulla spiaggia io mi ero acceso una sigaretta e stavo appoggiato agli scogli, in piedi parlando con lei quando la sentì esclamare: ‘ lo sai Paolo che guardandoti meglio ti vedo sotto un’altra luce, mi sembri diverso, più ” non poté finire la frase perché il figlio irruppe in quella specie di capanna per prendere non so cosa. Uscì subito e lei continuò ‘ più maschio, e mi piacerebbe conoscerti meglio’ e nel dirlo allungò una mano e me la passò sul costume, lisciando il cazzo in tutta la sua lunghezza. Io, che non me lo aspettavo drizzai le orecchie e non solo, il mio socio si mise sull’attenti e aspettò gli eventi. Questi non si fecero aspettare poiché, guardandomi con quella faccia da porca che da sempre mi ricordavo, si mise in ginocchio, me lo tirò fuori dal costume e cominciò a menarmelo. Io, esterrefatto, la guardai e abbassandomi un poco mi tuffai nel suo costume a pastrugnarle le tette. Le cercai i capezzoli, che quasi si perdevano in quel mare di carne, e li stuzzicai, così mentre lei, chiudendo gli occhi in quel momento di piacere (li aveva molto sensibili e le godeva tanto quando glieli toccavo) continuava con la sega, io mi pascevo del suo seno prosperoso. La situazione era troppo intrigante così poco dopo le dissi che stavo per venire e lei, dirigendo il cazzo come una pompa, se lo indirizzò sui seni, innaffiandoli di sperma, concludendo il tutto con una bella succhiata alla cappella ‘per non farti sporcare il costume’ mi disse. Ero senza parole per la piega che avevano preso gli eventi, ma mi lasciai trasportare e accettai l’appuntamento che mi diede per quella sera, a casa sua dopo mezzanotte. Cazzo, pensai, avevo moglie e figlio, a casa, e sarebbe stato un problema sganciarmi a un’ora così tarda ma, si sa che tira più un pelo di fica che una coppia di buoi, così aguzzai l’ingegno e trovai una scusa per svincolarmi. Quando arrivai sotto casa sua, dato il caldo che faceva, c’era ancora gente affacciata ai balconi e non volendo farmi notare (anche se su suo consiglio) mi toccò aspettare fino all’una per salire da lei. L’attesa, però, fu ben ricompensata perché quando entrai mi accolse con un bacio mozzafiato che me lo fece tirare più di come lo fosse già, poi mi condusse in salotto, dove aveva trasformato il divano letto in una comoda alcova. ‘Nella stanza da letto c’è il bambino che dorme’ mi disse, ‘però penso non avrai problemi a stare qui’. Per farle capire la mia accondiscendenza, non le risposi ma l’abbracciai brancicandole il culo (indossava un prendisole con niente sotto) e senza perdere tempo m’infilai sotto quell’inutile indumento sfilandoglielo dalla testa. Che spettacolo ragazzi. Un seno che quando faceva la doccia le impediva di bagnarsi i piedi, un vitino che, nonostante la gravidanza, era rimasto sottile, due cosce lisce e abbronzate, mentre il culo era un po’ piatto, ma non si può volere tutto dalla vita; quello che mi arrapava di più, però era la sua faccia da troia. Aveva un modo di guardarmi e di parlare, abbinata a una voce che me lo faceva rizzare solo a sentirla, ma forse era un’impressione solo mia, cui bastava un nonnulla per farmi andare su di giri. Io indossavo delle ciabatte una maglietta e un paio di pantaloncini sotto i quali non avevo messo neanche le mutande, per fare prima, per cui ci volle un attimo per restare come lei. Mentre ci abbracciavamo e baciavamo, accarezzandoci a vicenda, il mio cazzo s’insinuò tra le sue cosce (eravamo ancora in piedi) ma non tardammo a sdraiarci per stare più comodi. La prima cosa che mi disse, dopo esserci staccati a fatica da un bacio chilometrico fu: ‘Adesso ti faccio vedere come sono diventata brava a succhiare’ e senza aspettare risposta si tuffò sul mio uccello e cominciò a lapparlo come si fa con un gelato. Dai coglioni partiva per arrivare in cima, una leccata alla cappella e poi ricominciava, una puntatina al frenulo, una alle palle e poi di nuovo su e giù. Poi si decise, imboccò la cappella dandole delle poderose succhiate, aspirandomi anche l’anima e non si fermò fino a quando non senti che stavo per venire; allora si fermò cominciò a menarlo e al primo fiotto lo imboccò di nuovo facendomi sborrare nella sua gola, sicché ripulì tutto per benino lasciandomelo moscio come uno straccetto. Ero distrutto ma non per l’orgasmo in se stesso ma per come lo aveva fatto. Le feci i complimenti per come aveva imparato bene ma le dissi che così mi aveva messo fuori uso per un bel po’. Lei non si scoraggiò e mi disse che ci avrebbe pensato lei a tirarmi su il morale e non solo quello. Non ebbi dubbi alle sue parole e mi affidai a lei. Ricominciò a succhiarmelo, stavolta, dandomi la sua fica da leccare e così tra una succhiata e una leccata in breve ero pronto per una nuova battaglia. Infatti, quando vide che era ben duro, si girò a pecorina e m’invitò a infilarglielo così; non mi feci pregare e appoggiato il glande venni risucchiato, letteralmente, dalla sua fica che, bagnata dalla mia saliva e dai suoi umori, era più che ricettiva. Mi sembrò di entrare in un forno a 300 gradi per com’era calda; il mio cazzo scivolava dentro con una facilità estrema e mi stavo beando di questa sensazione quando la vedo scappare di corsa verso la stanza da letto. Mentre cercavo di capire cosa stesse succedendo sento il bambino piangere: evidentemente ero così preso da quella chiavata che non avrei sentito neanche le cannonate. Lei mancò un paio di minuti, il tempo che bastò per farmelo ammosciare un po’, ma quando ritornò con un paio di colpi di lingua lo fece tornare come prima. Cambiammo anche posizione e mentre io ero ancora supino lei mi venne addosso impalandosi da sola, cominciando, così, quel saliscendi tanto piacevole quanto comodo (giacché fa tutto lei). Continuando a fotterla così avevo davanti agli occhi le sue tettone e le mani si pascevano di quel ben di Dio non riuscendo ad avvolgerle completamente perché mi sfuggivano dai lati per quanto erano grosse e i capezzoli a malapena si intuivano in mezzo a quell’abbondanza. Glieli stuzzicavo più per pratica che per vederli bene ma ciò, evidentemente, bastò per eccitarla, tanto che poco dopo cominciò un soliloquio che sembrava una litania: ‘ che bello Paolo continua, lo sai che mi piace sentirmi il cazzo dentro, dai chiavami ancora, accarezzami le tette, si continua ancora, non smettere, fammi sentire il tuo cazzo dentro, mio marito ormai si è scordato come sono fatta, so che ha un’amante, fottimi tu, fammi morire, accarezzami il culo, voglio godere è da tanto che non scopo più’. A me, che non mancava certo l’incitamento, non sembrò vero che una femmina così calda era a mia disposizione e che avrei potuto farci quello che volevo visto la mancanza del manico coniugale, così ci diedi dentro e cercai di soddisfarla nel migliore dei modi. Aumentai il ritmo fino a quando mi godette sul cazzo, bagnandomelo con i suoi umori, ma lo fece in silenzio, un po’ perché i vetri erano aperti e non era il caso di farlo sapere ai vicini, un po’ per non svegliare il figlio, quindi si accasciò su di me che ancora ero ben piantato dentro di lei, ansante ma con un sorriso smagliante a mo’ di ringraziamento. Io restai ancora dentro di lei fino a quando il suo respiro tornò regolare poi la feci mettere carponi e continuai a stantuffarla così come piace di più a me a pecorina: infatti, vedere il cazzo che entra ed esce da quel taglio che non passa mai di moda mi dà un’ebbrezza particolare, una carica eccezionale, una sicurezza indicibile per non parlare del piacere immenso che se ne trae. Attaccandomi ai suoi seni diedi le ultime spinte prima di svuotarmi, con un rantolo animalesco, dentro di lei, facendo debordare il mio sperma al di fuori dalla sua fica e facendolo gocciolare sulle lenzuola. Per fortuna mi aveva detto che prendeva la pillola, altrimenti non so se avrei avuto la forza di uscire da quella cavità così accogliente nel momento dell’orgasmo. Anch’io mi accasciai su di lei dopo aver goduto e a poco a poco senti il cazzo che si ammosciava e usciva, ridotto a brandelli, dopo l’esploit perpetrato. Mentre stavamo rifiatando in silenzio, sentiamo il bambino che di nuovo frignava, e mentre lei andava da lui io pensavo che, per fortuna, ‘sta rottura di coglioni non era successa mentre stavo per venire, sennò mi sarei incazzato. Quando tornò mi spiegò che piangeva perché era tutto sudato per il caldo ma che di solito dorme tranquillo. Anch’io sono tutto sudato ma non rompo le palle a nessuno, le dissi, quasi a rimprovero del bambino. Ma lei la prese come una battuta e ci rise sopra dicendomi: ‘ A te ci penso io, so come farti asciugare il sudore, ecco mettiti qui, indicando il letto, e rilassati, faccio tutto io’. Obbedii e mi distesi supino, lei mi si accoccolò vicino e cominciò a smanettarmi il cazzo, ogni tanto lo imboccava, poi lo menava, quindi tornava a ciucciarlo fino a quando lo vide completamente duro. Mi venne spontaneo dirle che così mi faceva sudare di più che chiavandola, tanta era l’abilità e la passione che ci metteva. Lei sorrise a quel complimento ma continuò imperterrita a succhiarmelo, ogni tanto mi leccava le palle arrivando fino al buco del culo, ma la sua meta preferita era la cappella; ci passava tanto tempo leccandola, sfiorandola con le labbra, annusandola, cercando di entrare con la lingua, più che era possibile nel buchino del glande, e poi la imboccava succhiandola e facendo schioccare la lingua ogni volta che la tirava fuori. Era uno spettacolo guardarla mentre si dedicava, anima e corpo, a quest’operazione in cui era diventata maestra. Poi mi fece alzare le gambe per appoggiarle alle sue spalle e continuò a leccarmi il cazzo partendo da lontano; infatti cominciava dal buco del culo e andava su, leccava le palle e si fermava sulla cappella, poi ricominciava. Lo rifece una decina di volte e ogni volta era come una tortura cinese, mi portava sulle vette più alte del godimento per poi riportarmi giù ma alla fine non resistetti e mormorando un gorgoglio indecifrabile mi lasciai andare spandendo sborra per ogni dove mentre lei cercava di raccoglierne con la lingua più che poteva. Ero veramente stremato e mai mi ricordavo di aver goduto tanto e con tale intensità. Non so quanto rimasi stravaccato sul letto a cercare di capire chi fossi ma quando tornai in me lei non c’era ma c’era un bigliettino che diceva: ‘ Sono di là con mio figlio, tu fai come credi, se vuoi restare fallo, altrimenti ci sentiremo domani’ Io raccolsi la mia roba, e rivestitomi me ne andai, barcollando sulle gambe. Il giorno dopo quando mi risvegliai addussi un mucchio di scuse sia per il ritardo sia perché sembravo rincoglionito e mia moglie fece finta di crederci. Dovevo trovare un’alternativa, un’altra scusa così non avrebbe retto. Ma per tutto il periodo delle mie ferie ci incontrammo solo un’altra volta e quella volta me la vidi brutta. I miei ex compagni di classe avevano organizzato una cena tra coscritti ed io approfittai di questa scusa per organizzare anzitempo un incontro con Lory. Lei, infatti, mandò il bambino da sua madre cosicchè quando arrivai, seguendo sempre la solita trafila dell’orario, ero sicuro che quella sera non ci sarebbero state rotture di palle. Venne ad aprirmi completamente nuda, giusto per farmi capire cosa mi aspettava, e subito dopo ci fiondammo a letto, quello maritale, stavolta. Fu lei a volermi spogliare di quel poco che indossavo e subito dopo si attaccò al cazzo come una pompa idrovora. Più lei succhiava e leccava più mi sentivo portato in Paradiso tanto che per paura di venire troppo presto la feci fermare e mi dedicai alla sua fica. La feci stendere sulla sponda del letto e aperta l’ostrica con due dita mi dedicai a leccargliela, una volta a lingua larga, una volta penetrandola, come un piccolo cazzo dentro le sue piccole labbra, una volta tirandole il clitoride coi denti, una volta lambendolo dolcemente. Più mi accanivo su di lei più sentivo che si stava scaldando e più si scaldava più mi incitava a continuare con quella specie di nenia che già mi aveva colpito l’altra volta:’ siiiii dai Paolo leccamela tutta, fammi sentire la lingua, prendimi il bottoncino coi denti, mi piace, fammi sentire la lingua dentro, chiavami con la lingua, la senti la mia fica come ti vuole, è tutta per te, si fammi godere, infilami un dito nel culo, voglio godereeeee’. Io mi davo da fare ma lei sembrava assatanata e l’unica soluzione possibile per tacitarla era metterle qualcosa in bocca; quale migliore occasione per approfittare di godere anch’io. Mi girai e mentre continuavo a lapparle la fica le diedi da succhiare il mio cazzo che, ormai, era al limite della sopportazione. Lei vi si attaccò come un naufrago si attacca al salvagente e non lo lasciò fino a quando non le scaricai in gola il contenuto dei coglioni mentre lei, in contemporanea, m’imbrattava la faccia coi suoi abbondanti succhi. Dopo restammo così capovolti a riprendere fiato, io a giocherellare coi suoi peli, lei a tirarmi la pelle delle palle, ormai flaccide. Poi andammo in bagno a lavarci e quindi passammo dalla cucina a mangiarci una fetta d’anguria. Per farlo lei si sedette su di me ed essendo nudi entrambi quel contatto non poteva che provocare l’immediata reazione da parte del mio socio: infatti, dapprima annusò l’aria che c’era attorno a lui e riconoscendola come familiare alzò la testa per guardarsi attorno ma fu bloccato da una caverna che si apriva sopra di lui: Cercando di farsi spazio tra quell’intrico di peli, carne, umori più o meno rinsecchiti perse la strada e imboccò un sentiero che stava più sopra, dove la strada sembra più libera e vi si addentrò. Fece molta fatica ma alla fine arrivò all’ingresso di un’altra caverna, più stretta dell’altra e più maleodorante, ma non per questo si perse d’animo: vi infilò la testa e cercò di entrare ma lo spazio era angusto e neanche la sua forma affusolata lo aiutò in quest’impresa, quindi si attestò sulla posizione conquistata e attese gli eventi. Non appena Lorenza sentì che un intruso voleva entrare nella sua parte più inviolata????? invece di lamentarsene aprì di più le gambe e favorì l’avanzamento del pene dentro il suo culo e la cosa si sarebbe conclusa nel migliore dei modi se non fosse che il rumore di una macchina che si fermava in cortile attirò l’attenzione di Lorenza. Infatti scappò per vedere chi fosse, lasciandomi orfano di un antro che prometteva delizie incredibili. Tornò subito dopo dicendomi che suo marito stava salendo col bambino ed era meglio, molto meglio che non mi trovasse qui. Raccolsi la mia roba ma non ebbi il modo di vestirmi e in più abitando al primo ed unico piano non potevo scappare dalla porta quindi scelsi il balcone come via di fuga. Mi avventurai, scavalcando la ringhiera, a passare sopra un canneto che faceva da copertura a quelli del pian terreno. Con molta cautela per non sprofondare feci il periplo di quella tenda di canne e dopo mi toccò attraversare un filo spinato che recintava il tutto. Nudo com’ero e con le mani occupate dai vestiti, cercando soprattutto, di non fare il minimo rumore, passai a fatica tra quelle spine e infine mi calai a terra dove, dopo essermi vestito, mi dileguai. Il giorno dopo mi spiegò che il bambino non si era sentito bene e che la madre avendo tentato di telefonarle invano (avevamo messo la suoneria al minimo proprio per evitare rotture di coglioni) aveva chiamato il marito. ‘Sto ragazzino rompeva anche a distanza. Aveva interrotto un’inculata che doveva essere memorabile. Nei due giorni seguenti evitai di andare a mare per non far vedere graffi e lividi che mi tappezzavano il corpo. Poi partì e il discorso tra me e lei fu rinviato all’anno successivo. Invece le cose andarono diversamente: entrai in crisi con mia moglie e quindi non andai in ferie, occupato com’ero a rimettere in sesto il matrimonio, ma non ci fu niente da fare, mi separai anch’io e solo l’anno successivo scesi come single al paese natio. Lorenza era al settimo cielo, non perché mi fossi diviso, ma perché avremmo avuto più tempo per noi, dato che suo figlio era in colonia. Il giorno dopo il mio arrivo ci trovammo alle otto per andare a mare la dove andavo io. Una zona deserta fino ad un certo orario con tanti scogli che permettevano di imboscarsi. Infatti sulla spiaggia non c’era nessuno e ci tuffammo sfiorandoci ad ogni occasione; ad un certo punto, senza che mi avvisasse, si tolse la parte di sopra del costume lasciandomi come una allocco a guardare quelle due enormi ammassi di carne che galleggiavano. Un richiamo irresistibile per chiunque figurarsi per me che avevo al possibilità non solo di guardare ma di pascermi a piene mani di quelle zinne che dondolavano a destra e a manca come a richiamare l’attenzione su di esse. Un richiamo a cui non resistetti tanto che mi posizionai alle sue spalle e mentre le facevo sentire il cazzo, ormai in tiro, tra le natiche, abbrancai quelle meraviglie della natura, le torturai, le accarezzai, le strinsi, le titillai, le baciai, le morsi, le plasmai e godetti a sentir Lorenza gemere mentre le stringevo i capezzoli tra indice e pollice. Lei intanto, dal canto suo, aveva messo la mano dentro il costume e mi menava il cazzo al ritmo della risacca che ci sballottava a destra e a sinistra. Una scena così eccitante che la rivivo spesso nella mia mente. Io dietro di lei a pastrugnarle le tette e lei che me lo menava a più non posso ‘. Che goduria. Passarono alcuni minuti di questi maneggi ma né io né lei eravamo soddisfatti di quel poco che stavamo facendo e passammo ad altro. Io mi liberai del costume, lasciandolo cadere sul fondo, e liberai anche lei dell’impaccio di quell’ultimo indumento e nudi come vermi ci avvinghiammo in un abbraccio che ci lasciò senza fiato; intanto i nostri sessi si cercavano con ansia, si trovarono e si unirono in un amplesso atteso da troppo tempo. Non l’avevo mai fatto in acqua (neanche lei) e fu un’esperienza indicibile che si concluse con un orgasmo violento giunto così d’improvviso che ci colse impreparati. Eravamo ancora soli, per fortuna, così recuperammo i costumi e senza indossarli uscimmo dall’acqua stendendoci sugli scogli che contornavano la spiaggetta. Lei si disse contenta di aver fatto l’amore in acqua, che era un’esperienza che le mancava e per la riconoscenza mi stampò un bacio sulla bocca che, col passare del tempo, divenne sempre più libidinoso: le nostre lingue s’intrecciarono, le mani cominciarono a vagare alla ricerca del corpo del partner, i nostri sessi chiedevano ancora piacere, la trasgressione di essere in posto all’aperto non ci fermò e ricominciammo ad amarci. L’eccitazione aveva raggiunto livelli altissimi e incuranti di tutto cominciammo con un sessantanove che servì a riscaldare, per quanto ce ne fosse bisogno, l’ambiente, dopo di che lei mi salì addosso e s’impalò da sola sul cazzo ormai durissimo cominciando a danzare la danza più antica del mondo. E mentre lei si beava del mio cazzo dentro di lei, io mi godevo le sue tette, le accarezzavo le cosce, ritornavo ai seni per poi infilarle un dito nel culo. A quella sensazione si ricordò del coito anale interrotto anni fa e prima ancora che potessi dire qualcosa si sfilò il cazzo dalla fica e se lo puntò sull’ano, calandosi piano pianino fino a farselo entrare tutto. Ma era destino che quel suo culo non me lo potessi gustare come volevo, infatti, non appena i coglioni toccarono il suo pube sentimmo il vociare di persone che stavano per scendere in spiaggia. Imprecando in aramaico mi rivestì, a cazzo duro, e mi tuffai in acqua per far sbollire l’eccitazione, e altrettanto fece lei. Le persone arrivate, però, videro che il poco spazio che c’era era occupato e di diressero verso un’altra spiaggetta, lasciandoci di nuovo soli. Però l’incantesimo ormai era stato interrotto e, comunque, non si poteva certo ricominciare vista la vicinanza, anche se relativa, di estranei. Eravamo arrabbiati tutti e due di questo inconveniente che per la seconda volta aveva interrotto qualcosa che volevamo fortemente entrambi, ma lei più di me, tanto che per sfogarsi venne vicino a me e quasi con rabbia, mi tirò fuori il cazzo dal costume e cominciò a menarmelo con furia come a volersi sfogare. Sempre riparati dagli scogli, volli ricambiare il suo sfogo, e mentre lei continuava a menarlo io cominciai a farle un ditalino mentre con l’altra mano alternavo una carezza ai seni e un dito nel culo. Eravamo così infoiati e incazzati che dopo pochi minuti lei si sciolse, venendo nelle mie braccia, mentre dal cazzo venivano fuori filamenti di sborra che si perdevano nel mare. Dopo di che appagati, solo in parte, di quel piacere che ci era stato rubato e che, sicuramente, sarebbe stato di gran lunga superiore, ci vestimmo e andammo via. Passarono un paio di giorni senza storia per via di impegni di entrambi ma io avevo fretta di farmi ‘sta benedetta inculata, già troppe volte rinviata e così aguzzai l’ingegno e trovai una soluzione. Prima che arrivasse il giorno in cui la bestia sarebbe ritornata dalla colonia, invitai Lorenza a casa di un amico mio, in campagna e avendo avuto la chiave in prestito, ci avviammo, pregustando una giornata senza intoppi. Per riscaldarci gli animi, se mai ce ne fosse stato bisogno, durante il percorso si lasciò fare un ditalino che la fece godere tanto che mi bagnò il sedile, e intanto che veniva dicendo frasi senza senso mi smanettava il cazzo da sopra i pantaloni. Poi me lo tirò fuori continuando a blaterare e mentre mi faceva una sega in mezzo al traffico la sentì dire, rivolgendosi al mio attrezzo: ‘sai, bello, che tra poco sarai tutto mio e ti userò nel migliore dei modi, ti farò visitare tutti i buchi che vorrai e stavolta non ci saranno impedimenti di sorta. Ti voglio succhiare, baciare, leccare, sentirti dentro la mia fica e soprattutto dentro il mio culo, voglio vedere mentre sborri, mi devi venire in faccia, in bocca, sui seni, dappertutto. Poi ti succhierò ancora fino a quando non sarai pronto per mettermelo nel culo, è da tanto che lo sogno e stavolta non ci sarà nessuno che ti salverà dal venirmi dentro, infine ti leccherò ancora, assieme agli amici tuoi qua sotto (e giù una strizzata ai coglioni) perché voglio che mi chiavi a lungo. Voglio sentirti dentro di me alla pecorina, alla missionario, di traverso, a smorza candela, e se non ci sono più modi li inventeremo e intanto che parlava si era eccitata tanto, coinvolgendo anche me che non ce la feci più e le sborrai in mano. Lei si leccò le dita e diede una succhiata al mio uccello, prima di rimetterlo dentro dicendo: ‘così non ti sporchi i pantaloni’ (e dagli con questa mania della pulizia). Finalmente arrivammo a casa del mio amico ed io ero già talmente rincoglionito che non riuscivo a trovare la chiave giusta per entrare. ‘Vuoi vedere che ci prendono per ladri’, pensai, mentre mi davo da fare per trovare la chiave giusta, poi finalmente ci riuscì ed entrammo. L’ambiente era spartano come si addice ad una casa di campagna poco frequentata, quindi niente fronzoli, soprammobili, ninnoli e menate varie invece c’erano un tavolo, sei sedie, un divanetto di vimini, qualche sedia a sdraio e tanti arnesi di lavoro. Ci stravaccammo sul divano guardandoci negli occhi come per dire: finalmente ce l’abbiamo fatta, siamo qui, nessuno ci disturberà, e possiamo goderci questi momenti in santa pace. Tenendoci per mano avvicinammo le nostre bocche e ci unimmo un bacio liberatorio ma non tardammo a trasformare quel bacio, quasi casto, in una ricerca affannosa delle nostre lingue, le nostre mani si mossero autonomamente andando a cercare le zone erogene dell’altro. Nel volgere di pochi minuti eravamo nudi e come Adamo e d Eva ci studiammo come se fosse la prima volta che ci vedevamo. Io a cercare i capezzoli in mezzo alle sue tette lei a tastarmi i coglioni, io a perdermi con un dito nella profondità della sua fica lei a scappellarmi lentamente il cazzo, tutti e due a esplorarci il culo, contemporaneamente. Nel frattempo le nostre lingue non smettevano di duellare e dopo fu la volta dei nostri sessi. Messi di traverso sul divano iniziammo un sessantanove che ci portò ai massimi livelli di eccitazione che si trasformò, poco dopo in un pecorina indimenticabile. Intanto le preparavo il culo per la tanto desiderata inculata. Infatti, con un dito, prima la penetrai delicatamente fino a farlo sparire completamente, poi furono due dita a ripetere l’operazione e mentre le giravo dentro il suo stretto budello la sentivo gemere. Per lei doveva essere un godimento immenso, sentirsi chiavata e inculata contemporaneamente solo che questo doppio piacere diventò singolo quando sfilai il cazzo dalla sua fica gocciolante e glielo appuntai contro l’ano. Con delicatezza cominciai a spingere mentre il mio dito prendeva il posto del cazzo nella sua fica, sperando, così, di poter lenire l’eventuale dolore a quell’intrusione. Inesorabilmente entravo dentro di lei mentre i suoi muscoli rettali spingevano all’infuori (secondo me non era la prima volta che assaggiava un cazzo per quella strada) e così, favorito dai suoi movimenti mi ritrovai con le palle attaccate ai peli della sua fica e allora mi fermai per abituarla a quella presenza inusuale. Ma lei, stupendomi ancora una volta, cominciò la solita tiritera: ‘ Si, dai che ci sei, ti sento Paolo, ti sento, oh! che bello, dai spingi, fammelo sentire tutto nel culo, si anche col dito, non smettere con quel ditalino, siiii fammi sentire porca, fammelo gustare tutto, abbiamo aspettato tanto e adesso voglio godere con il tuo cazzo nel culo, dai spingi, spingi’. E io spingevo, ma più il là non si poteva andare e quindi mi affannai a spingere più velocemente e più stantuffavo dentro di lei più la sua litania aumentava. ‘ dai che mi fai godere, si, toccami il grilletto, infilami anche le palle, lo voglio sentire tutto dentro di me, voglio morire col tuo cazzo dentro’ Un grido acutissimo mi annunciò che stava per godere, quindi accelerai i miei movimenti sia col dito che col cazzo fino a quando non la sentì smollarsi sotto di me, e allora mi lasciai andare anch’io, svuotandomi dentro il suo intestino. Mi accasciai sopra di lei veramente sfinito da quella performance e cercai di riprendere fiato. Anche lei ansimava sotto di me e ci vollero parecchi minuti prima che dicessimo una sola parola. Fui io a parlare per primo per dirle che il suo culo era fantastico e che mi aveva fatto morire nel goderle dentro, al ché lei mi rispose che anche lei aveva goduto tantissimo e che mai e poi mai se lo sarebbe aspettato che si poteva godere col didietro. Esauriti i complimenti mangiammo un po’ di frutta e ci rilassammo sul divanetto, godendoci quel silenzio che solo la campagna poteva regalarci. Eravamo vicini, nudi e affamati; quelle due godute ci avevano messo di buon umore e, allo stesso tempo, sfiancati, ma non appagati. Il tempo, questa volta, era nostro complice, nessuno ci correva dietro, non avevamo impegni, nessuno ci cercava e anche se lo avesse voluto non avrebbe potuto farlo poiché avevamo lasciato i nostri cellulari in macchina, quindi non appena riprendemmo le forze ricominciammo i nostri giochetti amorosi. Curiosando per quella casa, a lei sconosciuta, Lory mi passava davanti nuda e abbassandosi per guardare in un armadietto, o frugando in un cassetto, oppure studiando gli attrezzi di lavoro mi mostrava quella parte di se che avevo avuto modo di apprezzare testé con la reazione che tutti i lettori s’immagineranno. Mi venne duro come non mai e la mia mente vagava in una sola direzione: il suo culo. Mi alzai dal divanetto e le andai dietro, afferrandole le tette, mentre il cazzo s’intrufolava tra lo spacco delle natiche, e mentre le davo dei bacini sul collo le torturavo i capezzoli, cercando di farla eccitare. Speranza vana la mia, perché non appena sentì il cazzo che cercava di farsi strada per qualunque dei suoi buchi, si eccitò da sola, senza che io potessi far di più, e afferrato il pene e chinandosi un po’ lo guidò per la via maestra. Le diedi qualche spinta ma per farla stare più comoda e, soprattutto, per farle aprire meglio le gambe, la dirottai verso una sedia dove lei si appoggiò chinandosi di più. La penetrai così, in piedi, con piena soddisfazione di entrambi ma quando sentì che stava per cominciare la solita litania la lasciai orfana del mio cazzo e mi piazzai davanti alla sua bocca. Ottenni un doppio risultato: la zittii e le feci preparare il cazzo per la seconda puntata di quell’amplesso. Infatti lei lo succhiò a dovere insalivandolo come si deve, poi intuendo le mie intenzioni, mentre io mi posizionavo alle sue spalle, lei si aprì le antiche invitandomi a violare, per la seconda volta, quel posteriore che tanto avevo agognato e intanto riattaccava la sua nenia preferita (si vede che la eccitava molto parlare mentre faceva l’amore): ‘ dai Paolo rimettilo nel culo, fammi sentire la tua troia, hai visto come ho goduto prima, fammi sentire il tuo cazzo dentro, riempimi tutta, voglio sentirti godere nel mio deretano, voglio sentire la tua sborra che mi cola fuori, dai che aspetti, inculamiiiiii’ Io, che sono bastardo dentro, volli ritardare la penetrazione di proposito, per vedere la sua reazione, ma quando si abbassò di più e afferratomi la palle mi tirò verso di lei, intuì che non era più il caso di tergiversare, così appuntai la cappella sul suo buco nero e spinsi. Mi accolse un forno rovente che mi diede un senso di benessere, un antro caldo che non chiedeva altro che essere violato per la seconda volta, una caverna che più io procedevo e più si faceva accogliente, un culo che voleva essere inculato (chiamiamo le cose col loro nome). Arrivai a fine corsa in un baleno, ero dentro di lei, completamente, e non me ne ero accorto, tanto poco era la fatica che avevo fatto, e a questo punto mi sorse un dubbio: ‘ o era molto eccitata o aveva un culo molto ricettivo (o forse sfondato)’ ma qualunque fosse la risposta mi stavo beando di quell’accoglienza così calorosa e per nulla al mondo avrei lasciato quel pertugio che mi avvolgeva come un guanto. Iniziai lentamente a stantuffarla facendole sentire il cazzo per tutta la sua lunghezza mentre entrava e usciva dal suo antro e per aumentarle il piacere cominciai un lento ditalino. Lei se lo gustava mugolando in silenzio (meno male) ma quando mi azzardai ad aumentare il ritmo eccola partire col suo soliloquio. Le infilai un dito in bocca come a mimare un pompino e quasi me lo staccò quindi rinunciai a tacitarla e continuai a incularla, lasciandola libera di sproloquiare. Ero talmente preso da quel culo che mi risucchiava come un’idrovora che le sue parole mi scivolavano addosso e non l’ascoltavo più mentre le mie mani si davano da fare sul suo grilletto e sui suoi seni. Esisteva solo quel buco nero in cui mi ero infilato e in cui avrei voluto morire se il piacere che provavo in quel momento non fosse stato superiore. Sentì che stava per venire e aumentai il ritmo e più l’inculavo più lei parlava dicendo, ormai, frasi senza senso, alternate a gemiti di piacere che mi fecero giungere in breve tempo al punto del non ritorno. Sentivo il vulcano che stava per eruttare la sua lava bianca e nel momento culminante, mentre lei veniva mi staccai da lei e accontentai le sue richieste di prima: le sborrai in faccia imbrattandola completamente mentre lei continuava a sgrillettarsi e alla fine, glielo diedi da succhiare come giusto completamento di quell’orgasmo travolgente. Eravamo veramente sfiniti e crollammo su quel divanetto quasi tramortiti dall’intenso piacere. Il tempo che prima era stato a nostro favore era diventato tiranno e le ore trascorse erano volate; a malincuore ci rivestimmo e riprendemmo la via di casa ma prima di lasciarci, un bacio e una carezza suggellarono la nostra amicizia. Per sempre.

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