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Luminosa e sincera

By 7 Ottobre 2020Ottobre 9th, 2020No Comments

Lei in quell’occasione spuntava rivelandosi diversa, negligente e sciatta da qualsivoglia avvenimento, fuori mano da ogni evento, estranea e neutrale, finanche affaccendata, ma pensierosa e raccolta dallanalisi dei suoi scritti e assai meditabonda dalle sue stesse riflessioni, in seguito aveva sollevato la testa e due occhi limpidi avevano registrato di getto schedando all’improvviso il mondo circostante, mentre rispondeva a qualcuno. Poche parole, certo, accompagnate però da una breve risata e poi quel lampo tracciante nella sua mente, poiché quella voce l’aveva fatta ardere infiammandola per settimane ridestandola a sorpresa, però non gli era sembrato fosse il caso d’incontrarlo, perché non glielo aveva neppure chiesto né lui d’altronde l’aveva mai cercata, in tal modo era riapparsa nella vacuità perdendosi una gioiosa e spensierata serata, sennonché lei cacciagione e al tempo stesso esploratrice spontanea della sua medesima e innata ambizione, ma al presente lui era lì, fisso e radicato nei suoi pensieri.

Quel lampante rimprovero, quel distinto e quell’inequivocabile richiamo vocale tempo addietro era stato piuttosto un irruente quanto appassionato rimbrotto, inevitabilmente veemente con quellimpronta marcata, avvalorata e ribadita da quel tono e da quello stile fanciullesco, in quanto lei era singolare, tipica e per di più unica, mai dissimulata né taciuta in maniera alcuna nella sua spontanea peculiarità. Ambedue si erano nel modo dovuto delineati rappresentandosi e incarnandosi a vicenda con dovizia, mentre lui la pilotava governandola abilmente nella loro intima e riservata ricreazione, eppure non aveva provveduto a calarsi nella parte, ignorando radicalmente se lei fosse stata autentica e pura fino in fondo. Lui, viceversa, non gradiva raccontare balle né apprezzava simulare, perché voleva solamente una distrazione e gli piaceva così, sì, unicamente un puro e schietto diversivo da maschio, meno cervellotico, complicato e intricato duna relazione, meno afflitto, desolato e squallido duna seduzione fine a sé stessa.

Lui la guardò, il viso minuscolo si era rituffato concentrandosi nella lettura del libro, i capelli biondi gli nascondevano di nuovo l’espressione e ripensò così allo stupore con cui gli aveva fornito i dettagli sul suo corpo, lui aveva la necessità di conversare con lei seppure non istantaneamente, probabilmente anch’essa lo avrebbe certamente individuato, però filandosela decisamente confusa e impacciata, perché voleva malgrado ciò assaporare la visione di un’immagine che non doveva esistere, mentre risentiva marcatamente nella mente le pause che lei faceva, intanto che svelava l’eccitazione dello svago, palesando le risate in cui si rilassava distendendo fievolmente la tensione. Lei appariva discreta, modesta e timorosa, non voleva farsi coinvolgere né implicarsi eccessivamente, con tutto ciò lui l’aveva sentita debolmente abbandonarsi, ma al tempo stesso voleva scoprirla denudandola e scoprendola di più, per questo cercò i suoi occhi mentre lei si stiracchiava ignara, sorridendo nel tempo in cui si raddrizzava imbarazzata in evidente disagio.

“Che improvvisata bellezza, ti conosco molto bene sai, mia piccoletta e gradevole deliziosa ribelle. Perché so molto bene come nascondi adeguatamente il tuo immenso fuoco interiore, sottintendendolo e coprendolo per bene” – avrebbe voluto riferirle lui di getto.

Lui avrebbe agognato istigarla stuzzicandola di nuovo, anelava di farla uscire dal buio di quelle durevoli conversazioni sussurrate a letto effettuate in quelle ore tarde, compiute e punteggiate da gemiti trattenuti e inframezzate abilmente da voglie sconosciute, che si rinnovavano ristrutturandosi ogni qualvolta. Aprì in quell’istante il giornale in cui aveva praticato due fori e finse di leggere studiandola accuratamente, cogliendo un’occhiata incuriosita, poi lui aprì le gambe per dare sollievo al calore crescente che sentiva aumentare, sperando che lei se ne accorgesse opportunamente. Lei abbandonò quel libro per cedere piegandosi alla curiosità per questo sconosciuto, che divideva scomponendo con lei un angolo di quei giardini.

Al presente erano rimasti da soli e forse se rendeva conto unicamente in questo momento, perché lei si spostò vivacemente adattandosi al meglio sopra quella panchetta dinnanzi a quel maschio offrendogli una cospicua e inattesa visuale, con l’espressione un poco incerta, giocherellando in modo frivolo in ultimo con il portachiavi. Lui la fissò apertamente abbassando il giornale, poiché si sentì indurire là di sotto nel vedere in modo insperato le sue labbra rosee socchiudersi, a metà tra l’inconscia sorpresa e l’accanita voglia che erompeva. Quella libidine lei la captava, la coglieva di netto, la sentiva, la conosceva e la esigeva, perché non si era mossa, dal momento che lei rimaneva immobile quasi ipnotizzata in attesa, avvinta, calamitata e incantata da quello sguardo, affascinata e stregata incontestabilmente da quel corpo duomo. Senza dubbio alcuno, lui avrebbe voluto toccarle i seni che peraltro intravedeva carichi e tesi di desiderio, avrebbe voluto sfiorare il buio oltre le sue cosce, eppure poteva resistere, giacché la belva dentro di lui si cibava del desiderio, in quanto lei ancora ignorava o cercava di soffocare rimandando di continuo.

Lui non voleva darle tregua, sapeva che sarebbe diventata rapidamente acquosa, che si sarebbe compromessa intaccandosi di fronte a quel macigno, che avrebbe cercato di toccarsi, ovverosia sarebbe persino fuggita, in quell’occasione lui s’alzò e andò dietro i cespugli verso il laghetto per liberarsi del turgore incontrollabile e ostinato che stava per esplodere, perché il prossimo con un podi fortuna sarebbe stato infatti interamente riversato dentro di lei, però serviva del tempo. Lui la poteva scrutare tra le foglie, era diffidente, perplessa e senza fiato, mentre controllava dessere rimasta da sola prima di coprirsi accortamente con una felpa e far scivolare una mano anelante e tremante nel bel mezzo del suo proibito piacere.

Lui ricomparve subdolamente davanti a lei fissandola, imprigionandola segretamente nellintenzionalità daverla percepita, blandendola con consapevolezza gli occhi, mentre lei abbassava i suoi, perché era diventata ormai rossiccia nella faccia, inetta e per di più maldestra evitando dallontanarsi per non rinnegarsi nuovamente. Era meravigliosa, stupenda, lei non aveva per niente simulato con quel corpo che cercava di riscuotersi né con quella voce che non usciva né con quegli occhi che imploravano e che negavano allo stesso tempo. Dopo lei si collocò al suo fianco afferrandogli una mano per calmarsi e per ammansire il bisogno dessere toccata, di percepire con il suo tocco attraverso la stoffa prima di liberare quel membro pulsante che reclamava a pieno diritto duscire: non accadde però nulla, perché lei era combattuta, incerta e tesa, ansante, così lui si chinò per lambirle un capezzolo di sbieco, comprimendo l’altro seno e abbeverandosi da quellaccento soffocato di benessere, di soddisfazione e di voluttà, che lei aveva nuovamente disperso cacciando indietro nella sua bocca.

Questo qui, in effetti, al momento era il contesto insolito, la trama anomala e sconveniente che si presentava dinnanzi a loro due: un lungometraggio fatto duno scenario imbarazzato, introverso e laconico d’una bramosia, d’una ingordigia e d’una libidine alquanto crescente, inimmaginabile e sbalorditiva però inconcludente, ecco che cosera realmente. A dire il vero però, la sua concisa e sintetica resa sopraggiunse soltanto con il calar della luce del sole, in mezzo a quelle ombre più folte e compatte del solito, con le sue cosce serrate bloccandogli la mano, con il seno esposto alla carezza bramosa e ghiotta della sua lingua, con la sua schiena riversa sulle sue ginocchia, con il rossore che invadeva impadronendosi di quell’epidermide dappertutto. Nella maniera d’un banchetto lei era al momento apertamente allestita, dimessa su quella panchetta, pigramente sempre meno determinata nel non concedergli quel calore sugoso e silenzioso, che aveva macchiato tra laltro inzuppando innegabilmente le sue le mutandine, sempre più impaziente e smaniosa mentre lui la baciava.

Lei era visibilmente impaurita, manifestamente intrigata e stregata, mentre sentiva palesemente sull’epidermide e nel corpo l’eccitazione e quell’insperato incendio con cui aveva giocato al telefono, poiché al presente le sue fantasie erano giunte a un punto di non ritorno, così intense, così fondate e vere da farle del male. Luomo iniziò a sentirla aprirsi, lei era un fiore rosso acceso, affascinante, oscuro e tenebroso di passione, di sofferenza e di trasporto che sbocciava, cosicché ruotò le dita. Lei non aveva finto neppure in questo, era stretta, malgrado ciò iniziava a muoversi da vera insidiatrice e tentatrice qual era, investita e sopraffatta dal piacere, mentre lui la sollevava per averla. Lui aveva sbottonato i jeans con la punta dolente del glande già pronta in vista, solleticandola più volte prima dimmergersi dentro di lei completamente, inghiottendo il suo gemito.

Lui la reggeva afferrandola per le anche ancora protette dalla gonnella, conducendola adagio in quella lasciva sgroppata, immergendo la faccia tra quei seni, sentendola distintamente gemere mentre lei lo intaccava rigandogli con le unghie il dorso. Sei una piccola gatta selvatica, indisciplinata, disubbidiente, ribelle e poco socievole: quelle definizioni caddero mescolandosi e svanendo tra di loro, doveva aver parlato, perché lei s’immobilizzò aperta, finalmente colma di lui, adesso lo aveva in conclusione riconosciuto. Le sue anche ricominciarono il loro ondeggiare trascinando tutta la questione in quel bizzarro e strambo balletto che lei stessa aveva da sola iniziato, entrambi respirarono unitamente il loro intimo piacere, mentre lei accarezzandogli le labbra con la bocca socchiusa, in un sussurro da parecchio tempo desiderato prontamente esclamò:

“Io volevo che tutto questo accadesse soltanto con te, te lo giuro, forse tu non mi crederai, eppure è così, non ti dico fandonie”. In quell’occasione le tremava la voce, eppure sorrideva esultante e trionfante:

“Sono mesi che ti consegno il pranzo in ufficio e t’ascolto come non mai, lo sai questo vero?”.

“A proposito, adesso io ho veramente una fame da lupo. Che cosa ne dici se continuiamo come ci pare e piace a noi due, qui in effetti non c’è nessuno che ci bracca né che c’insegue. Godiamoci e gustiamoci tutta questa storia con calma, senz’assilli né impicci né seccature, non ti pare?”.

Il tempo al presente faceva da evidente e da indiscusso maestro, lì davanti a loro completa disposizione, perché adesso era l’alleato perfetto, il sodalizio preciso, per la continuazione della loro privata vicenda e della loro benevola e premurosa intima unione. Un nuovo amore era sbocciato.

{Idraulico anno 1999} 

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