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Racconti Erotici Etero

Mikol

By 18 Aprile 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

“Mi piacerebbe essere presente ad una tua conferenza.”
Mikol lo guardò con una strana espressione: interesse, semplice curiosità, sottile provocazione’
“Allora, vieni con me.”
Le disse Paolo, intento ad apportare gli ultimi ritocchi alla scaletta che avrebbe seguito.
“Si, Mikol, accompagnalo, va con lui. Mi dispiace non poterlo fare io, ma ho impegni che non mi consentono di assentarmi, anche per poche ore.”
Iole incoraggiò la sorella, anche perché, essendo con la cognata, Paolo non si sarebbe fermato a lungo, a chiacchierare, o forse anche a cenare con gli amici.
“In tal caso vado a cambiarmi.”
Mikol si alzò e uscì dallo studio, con quel suo camminare pigro e ancheggiante, dirigendosi verso la camera degli ospiti che occupava da qualche giorno.
Era una bella ragazza, poco più di ventidue anni, con un personale ben modellato. Forse le gambe erano un po’ forti. Il petto, prepotente, tendeva il vestito ponendo in evidenza il turgore dei capezzoli. I capelli, neri e lucidi, ricadevano sulle spalle dopo aver circondato il volto, ovale, ben proporzionato, con lunghe sopracciglia e labbra sensualmente carnose. Era venuta a riposarsi, dopo aver discusso la tesi di laurea che aveva richiesto una laboriosa stesura. Aveva concluso l’università nei limiti del quadriennio, conseguendo il massimo dei voti.
Ricomparve poco dopo, fasciata in un comodo ed elegante abito noisette, di leggero fresco, abbottonato sul davanti e arricchito in vita da una cintura di pelle, più scura. La borsa e le scarpe erano dello stesso colore della cintura.
“Sono pronta. Ma sei sicuro, Paolo, che non sarò di troppo?”
Paolo raccolse alcune carte, le ripose nella cartella porta documenti, e si alzò. Senza rispondere. Andò verso Iole e la baciò sulla bocca.
“Andiamo Mikol.”
L’auto li attendeva dinanzi al portone. Un’austera e comoda limousine nera, col tramezzo interno che separava il guidatore dai passeggeri. Marco li attendeva, con lo sportello aperto, e li salutò con un sorriso. Paolo fece salire Mikol, le sedette accanto.
Marco si mise al volante, chiese il permesso di non tenere il berretto in testa.
“Certo che puoi toglierlo. Possiamo andare, e non c’&egrave bisogno di affrettarsi.”
L’auto si mosse lentamente.
Paolo estrasse alcune carte dalla borsa e si mise ad esaminarle.
Mikol gli si accostò.
“Posso?”
“Leggi pure, nessun segreto. Anzi se hai qualche osservazione da fare te ne sarò grato.”
La donna gli si avvicinò ancora di più, le due teste si toccavano, sentiva il calore di lui attraverso gli abiti, ebbe un brivido. Sembrava intenta a leggere i fogli che Paolo teneva tra le dita, ma non riusciva a distinguere le lettere. Quasi a sorreggersi. Mise la mano sulla coscia di Paolo.
“Hai letto?”
Lei assentì col capo. Lui cambiò foglio, distese un po’ le gambe e sentì le dita di Mikol salire cautamente, sfiorare distrattamente il gonfiore che andava evidenziandosi.
“Che ne pensi?”
Le chiese.
“Interessante, veramente interessante, e sono sicura che, procedendo, diverrà sempre più attraente. Lo sento.”
La guardò attentamente.
Mikol gli sussurrò all’orecchio: “Scusa, ma a leggere in auto mi gira la testa, preferisco chiudere gli occhi.”
Abbassò le palpebre, poggiò la testa sulla spalla dell’uomo, lasciando che la mano abbandonata sulle cosce di lui si muovesse più degli scarsi sobbalzi dell’auto.
Paolo rimise nella cartella i fogli che non aveva finito di leggere, e rimase pensoso. Si chiedeva se non fosse lui ad interpretare malignamente il comportamento di Mikol, che poteva essere privo di qualsiasi secondo fine. Quelle dita, comunque, l’eccitavano. Il respiro di lei divenne pesante, come se fosse assopita. Sentì che, cercando una posizione più comoda, gli sfiorava il collo con le labbra roventi, che la mano lo stringeva quasi a difendere una conquista. S’impose di pensare che era lui a distorcere tutto. La tentazione di carezzarla fu scacciata ricordando che si trattava della sorella di sua moglie, di Iole, della sua donna, splendida, infinitamente più attraente di Mikol, magnifica in tutto, specie tra le sue braccia. Quella bella ragazza, inoltre, era Mikol, che conosceva da ragazzina, quando frequentava le elementari.
Lievemente, scostò i capelli di lei, che gli andavano sul volto, portandoglieli dietro l’orecchio, sfiorandole il collo. Scese sul seno, sentì il capezzolo solleticargli la mano, proseguì lentamente, fino al grembo. Mikol si mosse appena, senza dar segno di svegliarsi. Poi spostò leggermente il bacino in avanti, divaricò le gambe, le accavallò. La mano di Paolo rimase prigioniera nella tiepida stretta che ritmava, accentuandoli, i sobbalzi dell’auto.
Paolo sfilò lentamente la mano, vincendo l’evidente resistenza di Mikol, e riprese a leggere il manoscritto che aveva riposto nel porta-documenti.
Mikol mosse la testa. Fece scivolare le labbra sul collo di Paolo, le dischiuse, e la lingua lambì, golosa, il lobo del piccolo orecchio del cognato.
Paolo trasalì. Forse era stata Iole a confidare alla sorella quel punto erogeno del marito. Sentì la prepotente erezione premere nei pantaloni, e Mikol che la ghermì vittoriosa, con la sua piccola mano, sempre dando mostra di dormire. La guardò, le nari della ragazza erano dilatate e frementi.
Che doveva fare? Decise di seguitare a leggere il manoscritto del suo articolo.
* * *
La conferenza fu interrotta da numerosi applausi, e al termine il folto e scelto uditorio tributò una calorosa standing ovation. Paolo era felice ed anche un po’ commosso.
Mikol era rimasta immobile per tutto il tempo che Paolo aveva parlato, rigida, con la schiena eretta, le mani avvinghiate sui braccioli della poltrona, guardando fissamente le labbra del cognato, scrutandone ogni movimento del volto. Si era idealmente accoccolata i suoi piedi, gli aveva stretto le ginocchia tra le braccia, aveva poggiato il volto sulle sue gambe, i capelli nerissimi avevano formato un manto corvino fino al suolo. Gli andò incontro, prima tra tutti, e lo baciò tremante sulla guancia. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Paolo era l’uomo che più ammirava al mondo.
In molti gli si affollarono intorno: strette di mano, qualche confidenziale pacca sulle spalle, tante congratulazioni. Paolo sorrideva e ringraziava tutti. Il Rettore Magnifico la prese per un braccio.
“Chiedo scusa, signori, ma il professor Pasti deve lasciarci perché lo attendono altri impegni. Vieni, Paolo.”
Lo condusse verso il fondo dell’Aula Magna.
Paolo fece cenno a Mikol di unirsi a loro.
Andarono nel grande studio del Rettore, dove un piccolo gruppo di docenti e alcune autorità lo attendevano per brindare.
Il Cardinale Somadini lo abbracciò.
“Stupendo, professore, il Signore &egrave stato prodigo di doni con lei, e lo Spirito Santo sa ispirarle pensieri e parole che dobbiamo tutti meditare traendone elevati insegnamenti di vita. Bravo.” Si rivolse a Mikol: “Lei &egrave la Signora Pasti, vero? Ha uno sposo che degnamente rappresenta la più vivida scintilla della sapienza umana. Congratulazioni.”
Mikol sorrise.
“Sono solo sua cognata, Eminenza, la sorella di tanta fortunata sposa.”
“Congratulazioni alla cognata, allora.”
Concluse i Cardinale, e si avviò verso il gruppo dov’era il Sottosegretario alla Ricerca Scientifica.
S’udì lo stappare di molte bottiglie di spumante, e il Rettore richiamò l’attenzione dei presenti perché -disse- intendeva ringraziare Paolo in nome di tutti per l’interessante lezione che aveva tenuto, rammaricandosi che l’oratore sarebbe subito ripartito per la sua sede.
I calici s’alzarono, si toccarono tintinnando tra sorrisi e frasi di circostanza.
Mikol era vicina a Paolo, brindò con lui sussurrandogli: “Sei un dio, Paolo.”
L’auto li attendeva nel vasto cortile dell’Università. Marco aveva abbassato la tendina che lo separava dai passeggeri.
“Così, professore, se vorrà potrà riposare un poco.”
Chiuse gli sportelli, uscì lentamente sulla piazza mentre gli antichi lampioni cominciavano a diffondere la loro calda luce dorata.
Mikol, appena seduta nell’auto, baciò Paolo sulla bocca, con trasporto, tenendogli il volto tra le mani. Si staccò un po’ da lui, lo guardò fisso negli occhi, senza staccargli le mani dal viso: “Tu per me sei Davide, signore e dio mio: Davide, non avrò altro dio fuori che te. ”
E tornò a baciarlo, questa volta intrufolandogli la lingua fremente tra le labbra. Il cognato, non sapeva ancora far fronte a tanta impetuosità. Mikol lo baciò sulla bocca, sugli occhi, sul collo. Gi sedette sulle ginocchia, gli morse delicatamente il lobo dell’orecchio.
Paolo fu come pervaso da una scarica elettrica. Le afferrò la nuca, la baciò con veemenza, togliendole il fiato, fino a quando lei non si staccò ansante, palpitante.
Le sbottonò i bottoni della scollatura del vestito, quelli del reggiseno, succhiò vorace il capezzolo rubino che gli si offriva eccitato.
Mikol vibrava ansimante.
Lui infilò la mano sotto la gonna, scostò, deciso, le leggere mutandine, fu accolto dal sussultare d’un grembo cosparso di soffici fili di seta.
Mikol aprì appena le gambe, rovesciò il capo, le labbra socchiuse, accompagnando la carezza con un lungo flebile gemito di piacere.
Paolo se la pose a cavalcioni, abbassò la zip dei pantaloni’
“Sono vergine, Paolo, sono vergine’ Ti voglio, ti desidero, ma non qui’ così’ Sarò tua quando vorrai, devi essere il mio primo uomo’ Come ti sento, Paolo, com’&egrave bello’ Sei un dio, Davide, il mio dio’ Non resisto’ dio mio’ Non resisto’ Se vuoi entra in me’ ”
Paolo si fermò in tempo. Si, aveva ragione Mikol, non in quel modo. Seguitò a carezzarla fino a quando non la senti sussultare, abbandonarsi sfinita.
“Domani andrò a Milano per un’altra conferenza. Vieni con me, la sera perderemo l’aereo.”
La cullò con dolcezza, mentre nella mente andavano affastellandosi mille pensieri contraddittori. Mikol era attraente, ma perché quel volersi dare a lui. C’erano tanti uomini che non avrebbero desiderato altro. La depose, piano, sul sedile, le rassettò il vestito, chiuse la zip dei pantaloni. Come poteva dimenticare, Mikol, d’essere la sorella di Iole? E se alla base di tutto ci fosse un senso d’invidia dispettosa?
(Iole chi crede d’essere?
Io il marito glielo soffio quando voglio.
Altro che amore eterno, fedeltà e tante altre parole vuote d’effettivi valori. Ecco, Iole, quando voglio prendo il posto tuo, te lo porto via il “tuo” Paolo. Qualche moina, una sapiente adulazione, una subdola esaltazione.
Lo deifico, e lui ci cascherà. Quando si accorgerà di aver preso la mia verginità sorgerà in lui uno scrupolo che lo legherà a me per sempre.
Del resto non faccio alcun sacrificio.
E’ un bell’uomo, intelligente, attraente’)
Forse era questo il motivo che spingeva Mikol a comportarsi in quel modo. Anzi, era proprio così, senza forse. Dispetto, perfidia, invidia, cattiveria, meschinità, malvagità. Doveva agire di conseguenza, ma con fredda determinazione, senza pietà. Del resto era un bel tocco di figliola. Perché, però, non aveva fatto l’amore con Giuliano, il suo ragazzo? In tal modo gli avrebbe fornito la prova della sua illibatezza e in seguito sarebbe stata libera di comportarsi come meglio avesse creduto. No, la sottile slealtà era questa: far credere a Paolo che il dono della sua verginità era l’offerta più preziosa che avesse potuto fare al suo dio, come lo chiamava. Chissà quali mire nascondeva. Povera Iole, tradita dalla sorella. Per lui non sarebbe stato un tradimento perché non avrebbe coinvolto i sentimenti, ma una sorta di giustizia, un’esecuzione. Come boia, comunque, non avrebbe sofferto. Anzi.
Stavano per giungere a casa.
La finzione doveva essere perfetta.
L’abbracciò, la baciò lungamente, mettendole una mano sotto il vestito. Poi si ricompose.
Iole li accolse chiedendo come fossero andate le cose.
“Confermo quanto ti ho detto col telefonino, subito dopo la conferenza. Tesoro, mi sei mancata molto.”
E la baciò golosamente, trasmettendole il suo desiderio.
Iole si rivolse alla sorella.
“E’ stato interessante per te?”
“Moltissimo, e sono certa che l’intervento di Paolo, domani, sarà ancor più attraente.”
“Conducila con te, Paolo. Vuoi?”
Paolo alzò le spalle, senza rispondere, e s’avviò verso la camera da letto, per cambiarsi.
* * *
Paolo s’alzò per tempo. Chiese a Marco di accompagnarlo dall’amico Baracchini, il farmacologo di fama mondiale, col quale rimase a chiacchierare per una buona mezz’ora. Poi rientrò e si chiuse nello studio a sfogliare alcuni appunti.
Iole entrò senza far rumore. Lui le sorrise.
“Mikol vorrebbe accompagnarti, sei d’accordo?”
Paolo annuì col capo.
“Dille d’essere pronta fra due ore. Prenderemo qualcosa all’aeroporto, poi ceneremo questa sera, al ritorno.”
Quando la moglie uscì, si rimise a consultare i documenti e gli appunti che erano custoditi in piccole cartelle trasparenti.
Poco prima di mezzogiorno andò a cambiarsi d’abito, tornò nello studio, raccolse le carte sparse sulla scrivania e le mise nella capiente borsa unitamente alla scatoletta datagli da Baracchini.
Iole e Mikol l’attendevano nel salotto. Mikol era elegantissima: un abito da viaggio semplice e bello, un sac di morbido cuoio inglese, del colore delle scarpe, un foulard, sulla spalla, indossato con studiata negligenza.
Paolo baciò la moglie e precedette la cognata verso l’ascensore. Era taciturno, con una profonda ruga sulla fronte.
Rispose al saluto di Marco con un cenno del capo.
Salirono in auto, durante tutto il percorso, circa mezz’ora, rimase in silenzio, guardando di fronte a sé.
All’Aeroporto disse a Marco che gli avrebbe fatto sapere l’ora del ritorno. Precedette Mikol verso la porta automatica, entrò seguito dalla cognata e si avviò alla saletta VIP dove consegnò i biglietti. Solo allora si rivolse a Mikol.
“Andiamo a prendere qualcosa al Bar.”
Sedettero a un tavolino appartato. Lui chiese una spremuta d’arancia e un toast al formaggio. Mikol preferì un robusto club-sandwich e succo di frutta. Poi si fecero servire due caff&egrave. Durante tutto questo tempo Paolo non parlò, né mostrò di accorgersi degli sguardi attenti e indagatori della donna.
Rimase in silenzio fino all’arrivo a Milano.
Dal taxi si fece accompagnare all’Hilton, dove aveva prenotato una suite,. Non voleva andare al Gallia, come di solito. Pregò Mikol di attenderlo al bar mentre lui sarebbe andato alla reception. Poi parlottò col portiere, che fece larghi cenni d’assenso, la raggiunse e bevve un decaffeinato.
“Ora a noi, bambina. Lascia il bagaglio che sarà portato in camera, e andiamo.”
Finalmente le sorrise. L’afferrò per il braccio e uscì. Fece chiamare un taxi. Andarono alla Bocconi.
Le cose si svolsero come il solito.
Si sottrasse alle insistenze degli amici. Doveva ripartire subito.
Tornarono in albergo, salirono nella suite.
Quando furono soli, Mikol l’interrogò con gli occhi.
“Devo fare alcune telefonate. Informare Iole che non torneremo questa sera. Tu, intanto, puoi fare un bagno. Troverai una magnifica vasca e dei morbidi accappatoi. Poi scenderemo per la cena e’ torneremo qui. Sempre che tu non abbia cambiato idea.”
“Devo ancora aspettare così tanto?”
Paolo le sorrise.
“Hai preso ogni precauzione, vero?”
“Quale?”
“Hai preso la pillola?”
“Mai presa in vita mia. Te l’ho detto: non conosco uomo.”
“Si’ ma’ bisogna prevenire certi pericoli.”
“Quali?”
“Mikol, non giuocare a fare l’ingenua, lo sai bene a cosa mi riferisco.”
“Sarebbe splendido, Paolo, splendido. Lo chiamerei come te: Davide.”
Lui scosse la testa e si avviò verso il vano adiacente, un piccolo studio.
Seduto in poltrona, stava leggendo il giornale quando Mikol apparve avvolta nel candido accappatoio di morbido tessuto a spugna. Si curvò su lui e lo baciò appassionatamente. L’indumento si aprì, lasciando scorgere la pienezza del seno, la levigatezza del ventre piatto, il triangolo scuro del pube.
Lui ricambiò il lungo bacio.
“Vestiti, bambina, sei splendida.”
* * *
Mikol indossava di nuovo l’accappatoio, come vestaglia.
Paolo era in maniche di camicia. Sul tavolo, aperta, una bottiglia di spumante, e due coppe quasi piene. Ne prese una e la porse a Mikol.
“A te, bambina.”
“A te, Davide, mio signore e mio dio.”
Bevve d’un fiato, guardandolo con gli occhi pieni di desiderio.
Baracchini gli aveva assicurato che quel preparato era prodigioso e aveva il pregio d’essere insapore e incolore. Poche gocce avrebbero rapidamente rimosso ogni frigidità, fatto conoscere orgasmi indescrivibili e godere estasi paradisiache. Poche gocce, non più di dieci.
Lui fu più generoso.
Paolo tolse la cravatta, andò nel bagno e tornò vestito dell’altro accappatoio.
Mikol lo guardò affascinata. Le labbra frementi, le nari tremanti. Andò vicino al letto, lo scoprì, vi si sdraiò, senza togliere quell’improvvisata veste da camera, gli tese le braccia.
Paolo attenuò le luci, le si avvicinò, le slacciò quella sorta di pigiama. Prese a baciarla, a carezzarla, facendole scorrere le sapienti dita, le labbra, la lingua, lungo il corpo sussultante, sostando provocante sui capezzoli, sul pube, tra le gambe.
Lei sfilò le braccia dalle maniche e lo attrasse a sé.
“Davide, ti voglio, vieni'”
Lo accolse mordendosi il labbro inferiore. Vibrando come la corda di un’arpa pizzicata con maestria. Scossa dagli orgasmi che si susseguivano con sempre maggiore intensità.
Paolo temette di vederla cadere in deliquio, ma non si fermò fin quando anche lui non raggiunse l’acme del piacere.
Mikol gemeva rocamente, abbandonata, come svuotata d’ogni forza, spossata.
“Paolo’ non so descrivere cosa provo’ torna in me’ fammi morire così’ ”
Le giaceva a lato, riacquistando lentamente il pieno della sua virilità. Allungò la mano e prese qualcosa dal cassetto del tavolino da notte. Un tubetto. Ne svitò il coperchio, fece uscire qualche centimetro di un gel che raccolse sulle dita della mano destra. Le si avvicinò, la fece voltare su un fianco, con i glutei verso di lui, ne cercò lo sfintere che si contrasse a quel contatto, poi si rilassò, vi sparse la crema intorno, vi s’intrufolò cautamente. Prese altra crema e rinnovò l’operazione. Mikol era rimasta immobile, ora si voltò cercando di guardarlo. Lui poggiò il glande turgido vicino a quel forellino rosa, e spinse. Sentì una resistenza. Le sussurrò.
“Spingi, amore, spingi'”
Premette ancora e cominciò ad entrare, sempre più agevolmente, piacevolmente. Afferrò il seno di Mikol con le dita, e iniziò a muoversi. Con una mano scese a frugarle tra le gambe, titillando lievemente il clitoride. Lei si sentì venir meno per il piacere.
Agì con studiata lentezza, poi, vincendo la resistenza di Mikol, che gli si era avvinghiata con le mani dietro la schiena, scivolò fuori, lentamente, lasciandola sussultante.
Andò nel bagno, si lavò accuratamente, tornò vicino al letto, in piedi, accanto a lei che giaceva supina, con gli occhi chiusi.
“Mikol’ Mikol'”
La donna sembrò uscire dal torpore, lo guardò, sbarrò gli occhi sulla prepotente erezione di Paolo.
“Bacialo, Mikol.”
Ammaliata, Mikol sedette sulla sponda, avvicinò le labbra dischiuse al fallo di Paolo, lo lambì. L’uomo l’afferrò per la nuca e la attrasse a sé. Fu accolto nella bocca della donna che prese a suggere delicatamente con innata maestria. La rovesciò sul letto, la penetrò con dolce fermezza provocandole fremiti d’inimmaginabile voluttà nella quale Mikol precipitò palpitante, e dopo lunghi, deliziosi sussulti giacque deliziosamente affranta.
Guardò l’orologio. Erano trascorse due ore da quando Mikol gli aveva donato la sua verginità.
Si chinò sulla donna.
“Mikol’ Mikol’ alzati, rivestiti, facciamo in tempo a prendere l’ultimo aereo'”
Lei socchiuse gli occhi, trasognata.
“Mikol’ vuoi fare una doccia? Guarda l’accappatoio, c’&egrave la testimonianza che sei completamente donna.”
Mikol riemerse pian piano dall’ebbrezza che l’avvolgeva. Si alzò, splendida nella sua nudità. Guardò l’accappatoio, lo carezzò, lo arrotolò, lo mise nella capiente borsa a sacco che aveva con sé. Cominciò a vestirsi lentamente, con movimenti lenti, indecisi.
Si truccò appena.
“Perché andiamo via, Paolo? Non possiamo restare?”
“Meglio non far preoccupare Iole. Ora le telefono informandola che abbiamo trovato due posti. Tu, se vuoi, telefona a Giuliano.”
“Ah, Giuliano. No, non voglio telefonargli.”
“Ma non era meglio che facevi una doccia?”
“No, non vorrei farla mai più, non voglio perdere il profumo di te sul mio corpo, non voglio perdere nulla di te. Mio signore e dio.”
* * *
Giuliano era stato promosso e assegnato a dirigere una sede, non lontana dalla capitale.
Aveva parlato a lungo con Mikol. Non era il caso di vivere lontani. Lei avrebbe certo avuto la possibilità di un’occupazione nella città dove lui era stato trasferito, anche grazie all’incarico che avrebbe ricoperto. Vivere insieme, come facevano tanti altri, pur senza essere regolarmente sposati, non era certo nel modo di pensare di Mikol. In due anni non aveva consentito a nessuna delle insistenze del fidanzato.
“Se ci vogliamo bene &egrave naturale fare l’amore.”
Le diceva Giuliano.
Ma lei era irremovibile: prima le nozze, poi il resto.
C’era anche da considerare la inopportunità di intervenire ai ricevimenti ai quali sarebbe stato certamente invitato, con una donna che non era sua moglie.
“Allora, Mikol, ci sposiamo?”
La donna lo guardò senza mostrare particolare entusiasmo.
“Sposiamoci, Giuliano, tanto, prima o poi lo dovremo fare. L’ho sempre saputo, per cui ho delle idee chiare in merito alla cerimonia e al ricevimento. Non preoccuparti, tu devi solo darmi l’elenco delle persone che intendi invitare.”
Giuliano la guardò sorridendo.
“Posso esprimere anch’io il mio pensiero, in proposito?”
“Vedrai che avrai poco o nulla da cambiare al mio programma e alla mia organizzazione. Domani &egrave domenica, invitami fuori a pranzo e ti spiegherò tutto.”
Andarono in un ristorante sul mare, in un angolo del porto. Sulla veranda, un angolo civettuolo attendeva i clienti per l’aperitivo o per il caff&egrave.
Dopo un pasto leggero, ma molto raffinato, andarono a sedere sul dondolo di fronte allo specchio d’acqua dove ondeggiavano pigramente i pescherecci. Mikol aveva una cartella di cuoio. L’aprì e ne trasse alcuni fogli.
“Ecco, questa &egrave la chiesa: Santa Francesca Romana. Ricordi? Ci siamo stati lo scorso anno. In effetti si chiama Santa Maria Nova, in sostituzione di Santa Maria Antiqua, (consacrata da Giovanni VII) che terremoto e Saraceni hanno distrutto. Nella Sacrestia c’&egrave la tavola della Madonna del Conforto, e quando esci dalla chiesa ti accoglie il Tempio di Venere e Roma.”
Alzò un po’ le spalle, maliziosamente.
“Cosa vuoi di più? La maestosità di Roma, il Colosseo, la Domus Aurea, il Tempio della dea dell’amore, una chiesa, tra le più antiche di Roma, e l’immagine della Madonna del conforto. Per le nozze mi sembra che ci sia tutto.”
Giuliano le passò il braccio intorno alla vita e la strinse a sé.
Mikol si rilassò, gli pose la testa sulla spalla.
“Do you agree, darling?”
“Yes, I do.”
“Passiamo al ricevimento. Non molti invitati, una cena leggera all’Hilton.”
“Cena? E dal mattino cosa faremo noi e cosa faranno i nostri invitati?”
“Al mattino ci si preparerà alla cerimonia che avverrà alle ore sedici.”
“Ah!”
“Gli sposi, dopo aver consegnato le bomboniere, saluteranno tutti e saliranno nella loro camera, sempre all’Hilton, dove trascorreranno la notte'”
Mikol si fermò di colpo. Si rabbuiò appena, rimase assorta per qualche istante.
Giuliano la guardò interrogativamente.
“Cosa c’&egrave che non va?”
“Niente, &egrave che devo sottopormi a un piccolo intervento chirurgico.”
“Di che si tratta?”
“Piccola cosa, roba di donne.”
“Dovrai restare per molto in clinica?”
“Credo che si faccia in regime di Day Hospital.”
“Dove andrai?”
“Segreto. Ma devo farlo prima delle nozze, me lo ha prescritto il ginecologo.”
Giuliano non insisté.
Mikol era previdente. Quell’intervento inventato, rapido, che non richiedeva degenza prolungata, avrebbe spiegato tante cose a Giuliano e anche il perché lei non aveva voluto rapporti sessuali prima del matrimonio.
L’Hilton, però, non sarebbe stato quello di Milano, e Giuliano non era Paolo.
Due giorni dopo sparì dalla circolazione per circa ventiquattro ore, poi telefonò a Giuliano.
“Tutto fatto, caro, or sono pronta ad essere tua moglie.”
La cerimonia fu perfetta, Don Ugo disse poche parole, il ricevimento fu brioso ma non chiassoso. Signore elegantissime, molti gioielli splendidi, brindisi cordiali e sereni.
La suite era accoglientissima, la camicia da notte deliziosa, la vestaglia cinematografica.
Mikol mise uno walkman sul tavolino da notte. Le avrebbe fatto compagnia in caso d’insonnia.
Cercò di essere amorevole, appassionata, ma non aveva l’aiuto delle gocce del Baracchini, né Paolo. Chiuse gli occhi e immaginò che fosse Paolo. Ma riuscì solo a rendere il tutto appena più tiepido.
Giuliano cercò di fare del suo meglio, poi pensò che come prima volta poteva andare e che Mikol risentiva, certo, della piccola operazione subita e dell’aver dovuto sacrificare al bisturi la sua verginità. Sorrise e l’abbracciò, carezzandola dolcemente.
* * *
Paolo aveva deciso.
Quella sarebbe rimasta l’unica volta.
Davide, signore e dio, aveva affermato la sua autorità, aveva impresso il suo sigillo in quelle carni, per sempre.
La slealtà della sorella verso Iole era stata punita.
Aveva usato Mikol.
Lei, forse, non l’aveva capito.
O non le interessava più di tanto.
Ora che andasse pure con Giuliano, o con chiunque altro. Nessuno, comunque, avrebbe più potuto lasciare in quel corpo, e dovunque, il ricordo incancellabile della prima volta,.
Mikol non lo dimenticò, mai.
Sussurrava al cognato: “Davide, mio signore e mio Dio, sono stata e sarò per sempre tua. Prendimi ancora. Mi vuoi?”
Paolo le sorrideva, con sottile crudeltà.
La notte, poi, impazziva di piacere tra le braccia di Iole.
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