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Racconti Erotici Etero

Nei buchi della notte

By 12 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Vado, come se questa notte fosse uno dei tanti buchi di culo dove gli uomini darebbero l’anima per entrare, dove sognano di passarci i loro momenti più belli sapendo già che incontreranno soltanto escrementi, avanzi di mondo stipati. Vado, senza qualcuno che mi dica di andare, cercando i buchi più asciutti dove l’acqua piovana si snoda in tanti rigagnoli e si ferma sull’orlo.

Vado, sospinta da questo fascio di luna che odio, ma vado lo stesso, per sentirmi i vestiti intrisi d’odore, per sporcarmi le suole nelle pieghe dei ventri dove marciscono flebili sentimenti accennati.

Perché dove vado non c’è amore, non c’è un giardiniere che mi offre una rosa, non c’è legge e misura, ragione e governo, ma vado e sfido questa carne in astinenza dove mai un poliziotto userebbe parole cortesi chiamandomi almeno signora.

Vado per essere io stessa un buco di notte, un misero buco da riempire di sogni, spalancando questi occhi secchi incapaci di piangere e di sgravare deliri più sani di quanti ne trattengo in mezzo alle gambe. Se solo questa notte fosse capace! Vorrei essere un ricovero di voglie che ammansisco prima della luce, prima d’ogni alba, unica a ridarmi misura e contegno, unica a partorirmi pensieri decenti.

Vado, senza che qualcuno sappia dove vado, senza documenti e denaro, senza padrone per le mie idee che smaniano e spingono, che s’aggrumano e formano vuoti ed embolie nelle mie vene indurite. Se dovessi morire ora, sarei soltanto un cadavere senza nome e cognome, una prostituta di cronaca nera coperta di bianco e di schifo. Se dovessi morire! Chissà se un medico mi toccherebbe il polso o un prete la fronte o finirei senza tanti complimenti dentro un sacco di plastica nero, dentro un buio più nero che direbbero mi sono solo cercata!

Vado e scompaio nel buio di una notte di Roma, così svenevole che mi chiama d’andare, così puttana che s’infila due dita per convincermi che se solo volessi basterebbe emularla. Ma allora perché non la imito? Perché rimango attaccata a questi ricordi che sono l’unica ragione perché valga la pena di fuggire, di sfidare ogni buon senso che mi vorrebbe di notte sotto lenzuola o seduta davanti una tavola apparecchiata d’avanzi. Mi pesa la pena che sento, m’appesantisce le mani e le gambe, ma cammino, seppure a fatica, incontro a questi pezzi di destino che granitici mi sbarrano la strada. Li scalcio e li scavalco, come se fossero sassi, come se non mi curassi di loro, perché stanotte ho altro da fare!

Sarà questo suono di passi, di tacchi contro l’asfalto, saranno questi occhi notturni d’avidi uccelli che mi fanno sentire già preda e mi domandano perché vado, nuda e straniera con l’anima in mano, con l’anima persa in mezzo alle cosce.

Ma davvero mi sono ridotta a cercarmi più bella dentro questi occhi? Questi sguardi che mi considerano per quanto sia gonfio il mio presente che comunque ostento, che comunque mostro a chiunque ne faccia calamita senza chiedersi di quanto di vero sia imbottito.

Sarà questo cuore malato che pompa senza nessuna cadenza, ma io mi sento come se questi luoghi, senza regola e decoro, fossero stati da sempre il mio unico posto, la mia unica pancia che riconoscerei nonostante i trent’anni passati.

Era bella mia madre! Più bella di quanto io ne possa portare il ricordo, più attraente di questa stupida donna che ora sorreggo sui tacchi. Rovisto tra i ricordi per rubarle un sorriso, quel lago tranquillo prima che il male l’abbia ridotto ad un accenno di labbra. Mi basterebbe solo quello per non essere goffa, mi basterebbe davvero perché per il resto mi chiedo come ha potuto il suo placido grembo riprodurmi assennata, come tanta bellezza generare una maschera che trucco e ritrucco per nascondere l’ultimo istinto che possa apparire sincero. Sapesse dove ora consumo i suoi sudori, dove sperpero le sue grida di un pomeriggio d’Aprile e di neve! Mi ritrovo qui senza nessuna ragione, in faccia a questi uomini che godranno per sentirsi più veri, che spingeranno fino a toccarmi il dolore per sentirsi più maschi. Mi vorrebbero per il solo gusto di sporcarmi di dentro, trattenendosi al culmine per non provare troppo piacere, perché si vergognano, perché convinti che solo un corpo di femmina lo grida e lo prova come sopporta il dolore.

Fermi là, mi state giudicando! Vi prego non ho bisogno di altri giudizi oltre a questi fari che m’appiattiscono forme e ragione. Se dentro di voi ci fosse una femmina, son sicura che scuotereste la testa, ma se per caso battesse un cuore al contrario, sono certa che vi chiedereste dove si trova questo pezzo d’asfalto che batto, questi sampietrini dove s’incastrano e spellano i miei tacchi perfetti. Vi lievita l’istinto di non lasciarmi indifesa, di riempirmi di sesso tenero e comprensivo, ma pur sempre sesso che quando sale pretende di sostituirsi al cuore ed al cervello, che quando sale dimentica che dentro questa carne c’è un’anima magra. Ma io non ho voglia di voi! Come non ho voglia di questa fila di fari e di finire la notte dentro uno squallido posto, incastrata di carne, in mezzo agli odori di piscio e d’ortica.

M’infilo dove il tempo ha smesso di contare, dove ogni notte è una notte da secoli intatta, si sente un vociare di prezzi al ribasso, di prestazioni ridotte perché il fine è trovare un contatto, sentirsi entrambi appagati di soldi e di sesso rimanendo anonimi e guardandosi in faccia.

Le vedo ed imparo, si mostrano in tante e si sentono uniche, orgogliose di una fila che vuole, che chiede, che brama e pretende quella più bella che si nega e s’invita.

Ma in mezzo a tante stelle la più luminosa potrebbe essere coperta di nero, potrebbe avere i capelli raccolti come un fascio di spine di grano. Potrebbe avere un neo sullo zigomo destro che d’estate s’ingrandisce e s’arrossa quando guarda verso il mare, e magari indossare delle mutande di rete dove cattura e trattiene solo pesci più grandi. Più la vedo e più m’assomiglia! Ma allora cosa ci faccio dall’altra parte del marciapiede? Cosa ci provo a battere per finta, a fingere di passeggiare come se lo facessi per mestiere?

Mi sento diversa e me ne approprio la ragione di una donna che si sfama di nulla perché solo il sogno la nutre. Ho messo ciò che di più nero può confondermi nel buio, perché sono io la notte, sono io le ore che allungate su questo marciapiede mi passano accanto, mi passano in fila mansuete come cani randagi che rasentano i muri. Sono io questi odori acidi di voglie, questi residui indelebili di piacere che liquidi e scomposti non hanno più padroni.

Mi chiedono un prezzo per un bacio che non ho mai dato, dove non saprei mettere la lingua per farli godere, mi chiedono un prezzo che non so ricambiare, ma conciata così è difficile fargli capire il contrario, che non sono una di quelle qualunque, anzi non lo sono per niente, non lo sono davvero!

Mi è impossibile fargli capire che davanti a questo distributore aspetto gli uomini a secco, ma poi mi ritraggo perché cerco soltanto un brivido che mi scaldi la parte del cuore dove metto al mondo i miei pensieri migliori.

Difficile dirgli che non c’è professione dentro queste mie gambe, non c’è mestiere tra queste mie labbra insolenti, che fanno solo credere a torto ad un andirivieni come un bagnasciuga affollato in un giorno d’agosto.

Vorrei dirgli, se mi lasciassero il tempo, che avevo un marito, che questa luna idiota m’ha ingannata per anni, che non si tratta di prezzo, davvero non batto per soldi! Ma sorridono ed abbassano lo sguardo come se fosse insufficiente quello che offro, come se fossero ridicoli questi seni fuori luogo, queste scarpe che battono controtempo e non mi fanno figura.

Mi fermo e mi tolgo le mutande, ma è solo una sensazione perché nessuno può vedere che ora sono nuda, che sarei pronta al caso, a chi stanotte vuole davvero capire il motivo quando non esiste ragione, a chi vuole scavarmi per cercare almeno il dolore quando non si comprende il piacere.

Ma nessuno m’aspetta, nessuno mi pensa neanche un povero scemo stupido gatto che mi dia la forza di tornarmene a casa, il coraggio di guardarmi riflessa nei pochi punti dove la notte ti offre uno specchio, dove ancora riesco a guardarmi oltre la coltre di pelle e vestiti che mi fa solo inconsistente mignotta. Neanche un cane, un marito che mi picchia, neanche un figlio perso che mi ruba gli ultimi spiccioli, le ultime gocce di questo sangue infetto che m’alimenta soltanto pensieri cattivi. Scopro di nuovo il mio seno perché gli sguardi degli altri ne facciano un vestito, ma più che nuda mi sento più spoglia come un albero senza rami, come una notte senza stelle. Più che puttana una semplice donna che stira e lava i piatti e si offre con l’unico intento di soddisfare un dovere. Qualcuno mi chiama e dice di amarmi a parole, ma le sole parole che sento sono impresse nella memoria che purtroppo non scorda. Mi dice che s’affogherebbe nei seni, che di sicuro troverebbe la strada se solo gli facessi un piccolo spazio. E’ carino, avrà gli anni di un figlio che non ho mai voluto. E’ discreto, per quanto possa essere discreto a quest’ora un uomo che si rivolge ad una donna da sola, che poi non importa se batte o fa finta, se sotto la gonna ci sono mutande o un cuore strappato dal suo posto naturale. Che poi non importa se il seno che appare è solo gonfio di fiatone e speranza, di tante illusioni che una notte come questa può ancora offrire. Che poi non importa se son davvero puttana, perché tanto non cambierebbe una virgola alle sue convinzioni, perché tanto non s’ammorbidirebbe d’un niente il suo sesso proteso. Immobile lo lascio parlare, lascio che la sua fantasia vada ben oltre, fino a vedere quella che sono, che a casa stanotte non m’aspetta nessuno, che sono tante le notti che aspetto davanti a questa pompa di benzina. Aspetto l’unica faccia a cui saprei dare un nome. Che fa benzina qui in questo posto, solitamente a quest’ora. Se davvero apparisse vorrei dirgli che se non vado bene per moglie mi prenda almeno per quella che appaio, senza per questo sentirsi in dovere di chiamarmi per nome o di rinnegare quella che ora gli strappa i pensieri. Mi prenda per una delle tante, magari solo perché m’ha notata mentre faceva benzina, senza sentirsi in dovere di dirmi che sono la più bella, o magari giurarmi, mentre m’assaggia queste anonime labbra, che se non fossi puttana sarei davvero un’ottima moglie.

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