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Racconti Erotici Etero

Nel confessionale

By 30 Gennaio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Nel confessionale

Nel silenzio della grande chiesa il suono dei miei tacchi sul pavimento
si amplificava, riecheggiava, disperdendosi tutt’intorno.
Sedute alla prima panca davanti all’altare stavano due vecchine piegate
su di loro, bisbigliando preghiere con in mano il rosario.
Le vetrare colorate, sulle quali erano ritratti in stile gotico la
Santa Trinità, più numerosi martiri e santi, venivano
colpite dalla luce del sole, che proiettava arcobaleni sfocati sulle
piastrelle.
C’era un clima di pace e serenità. E io mi sentivo così
fuori posto lì dentro, così blasfema. Stavo facendo
entrare il peccato nella casa del Signore.
All’inizio pensavo che lui scherzasse quando mi aveva detto di recarmi
laggiù per il nostro incontro. Ma il suo tono di voce,
dall’altra parte della cornetta, era assolutamente serio, e sapevo che
era già abbastanza eccitato e pieno di aspettativa da non
ammettere alcuna replica. Nè io feci molto per oppormi.
Io rappresentavo la lussuria, lì dentro. In tutta la sua
magnificenza. Lì dove si predicavano la castità, il
matrimonio, la fede e la purezza del corpo e della mente, io varcavo la
soglia vestita dei più sporchi pensieri, di tentazione, di
desideri peccaminosi.
Il cappotto invernale mi copriva del tutto e il collo era protetto
dalla sciarpa. Sapevo, dunque, che nessuno avrebbe potuto vedere
com’ero vestita.
Lui aveva pensato ad un preciso abbigliamento, molto succinto. Io stavo
gelando, i riscaldamenti alle pareti non riuscivano a riscaldare
sufficientemente un ambiente così grande.
Percorrevo la navata in silenzio, guardando il Cristo in Croce, fatto in legno, in alto sopra l’altare.
Mi guardai intorno. Non c’era traccia di lui. Sapevo che era da qualche
parte, non si sarebbe perso per nulla al mondo lo spettacolo che mi
accingevo ad offrirgli, ed ero altrettanto sicura che mi stesse
guardando in quel momento. Nascosto, per potermi osservare con tutta
tranquillità senza che io potessi ancora realizzare la sua
fantasia.
Mi diressi al confessionale e mi ci chiusi dentro.
Dall’altra parte non c’era nessuno, silenzio assoluto.
Il cuore mi martellava in petto ed ero scossa da tremiti per tutto il
corpo, non tanto per il freddo, quanto per l’agitazione. Ero in preda
all’ansia da prestazione, sapevo che era molto esigente quando si
trattava di mettere in pratica i suoi sogni erotici. Doveva essere
tutto come aveva pianificato. Pericò a non mi era concesso un
solo errore. Lo temevo. Sapevo che, se contrariato, diventava violento,
e mi aveva percossa molte vole. Mi aveva umiliata, ma sapeva di
poterselo permettere. Perchè io ero sua, di sua
proprietà, e poteva fare di me tutto quello che voleva.
A un tratto sentii il rumore distinto della porta al di là del
divisorio che si apriva. Un’ombra passò davanti alla grata.
Qualcuno si sedette e chiuse accuratamente la porta.
– Tu non devi guardarmi, capito? – si limitò a dirmi, deciso.
Io assentii con la testa, trattenendo il fiato.
– Devi solo fare tutto quello che ti dico.
Feci di nuovo cenno di sì. Sapevo che lo infastidiva sentirmi
parlare quando era eccitato. Dalla mia bocca uscivano piccole nuvolette
di vapore condensato. Osavo a stento respirare, tanto ero nervosa.
– Togliti la sciarpa, veloce. Non la voglio vedere sul tuo collo. Voglio vedere la tua pelle bianca.
Io presi il tessuto di lana che portavo e, girando le braccia intorno
alla testa, districai la sciarpa. La buttai senza tanti complimenti sul
pavimento.
Lui emise un sospiro di compiacimento.
– Bellissima. Ora apri molto lentamente il cappotto, ma tienilo addosso.
Io portai le mani coperte da un paio di guanti leggerissimi di pizzo al
primo bottone e, con un colpo deciso ma lento, lo sfilai dall’asola.
Accarezzai il tessuto pesante del cappotto, mentre mi accngevo ad
aprire anche il secondo. Feci lo stesso con il terzo ed il quarto. Poi,
con fare seducente, scostai i lembi del cappotto, in modo che potesse
vedere il mio corpo.
Lui fece un verso quasi animalesco, segno che era eccitatissimo. Sentii
la cerniera dei pantaloni scorrere, seguito dal rumore del tessuto che
scivolava verso il basso e il tintinnio leggero della cintura.
Anche se, non potendo guardarlo, non ne avevo la’prova certa, ero sicurissima che non portava le mutande.
Lui ammirò il mio abbigliamento. A quanto pare ci avevo preso e,
fin’ora, ero riuscita a rispettare fedelmente il copione che aveva in
testa. Portavo solo un bustino di pizzo nero, che lasciava intravvedere
la pelle sotto. I capezzoli eretti premevano contro il tessuto,
mostrandosi impudicamente. Le gambe erano velate da delle autoreggenti,
anche quelle semi-trasparenti, che venivano tenute ferme grazie al
reggicalze. La mutandine non me l’ero messe, e la mia intimità
era totalmente esposta al suo sguardo. Di sicuro la guardava con
bramosia.
Il suo respiro si era fatto affannoso, e a volte rantolava. Stava perdendo la testa.
– Brava. Sei stata proprio brava. Sei proprio come ti volevo. –
sussurrò. Poi aggiunse: – Adesso passa una mano sopra la tua
fighetta, accarezza la pelle tenera e morbida. Accarezza le grandi
labbra, solo quelle. Il dentro non lo devi neanche sfiorare.
Io feci come mi veniva rischiesto. Le mie dita, coperte dal pizzo dei
guanti, si muovevano lente e sinuose su quei lembi di pelle morbidi e
caldi. Sentivo la vagina pulsare per l’eccitazione, il desiderio. E
presto sentii la vischiosità dei miei umori bagnarmi tutta la
zona del perineo. Colavano, tanto ero eccitata.
– Ora mettiti in posizione frontale verso di me, allarga le gambe e
puntella i piedi contro le pareti, in modo da divaricarle il più
possibile.
Misi le gambe in modo verticale, piegai le ginoccia e appoggiai le
décolleté al legno lucido delle pareti. L’ambiente era
stretto, e la posizione era molto scomoda. Ma l’idea che la mia
fighetta fradicia e parte del mio culetto fossero totalmente esposti
alla sua vista mi faceva bagnare copiosamente. Lui se ne accorse e
ghignò.
– Sei proprio una troietta, una cagna vogliosa. Vorresti farti scopare
tutta, non è vero? Vorresti farti montare dal mio cazzo duro,
dillo.
Io esitai, non sapendo se volesse davvero che parlassi o voleva solo insultarmi.
– Dillo – mi ordinò, sibilando.
– Sì, è vero, vorrei farmi montare dal tuo cazzo – esclamai, vogliosa.
– Ti piace, vero, lo vorresti spompinare?
Io annuii.
– Sì, sì, lo vorrei spompinare.
Sentivo il rumore della sua mano che stava masturbando il suo attributo.
– Avanti, dimmi che cosa vorresti’fare con il mio cazzo in bocca, descrivimelo. Parla, puttanella.
Il mio respiro era ansante e irregolare. Mi stavo eccitando da morire.
– Vorrei prenderlo in bocca, spingerlo fino alla gola. Leccarlo tutto e
succhiarlo. Vorrei passare la lingua sulla punta del tuo cazzo,
baciarla e stuzzicare la cappella. Vorrei sentirlo riempirmi tutta la
bocca con il suo spessore, sentirlo tutto’per intero. Prenderlo in
mano e leccare le palle gonfie e calde.
La sua mano si agitava sempre di più sul suo membro, tra poco sarebbe venuto.
– Sei una troia, una sporca puttana. Guardati, con quella figa colante.
Meriteresti che ti sputassi addosso, che ti sborrassi nel culetto e poi
ti mettessi il cazzo in bocca. Meriti di essere punita per il modo in
cui hai parlato, troietta. Fai uscire le tette dal busto e strizzati i
capezzoli, strizzateli forte, così forte da voler urlare dal
dolore.
Io obbedii. Il corsetto mi stringeva fortissimo e non riuscivo bene nei
movimenti. Avrei dovuto fare uscire le tette senza aprire il bustino,
oppure si sarebbe arrabbiato.
Fu estremamente difficile. Avevo i seni gonfi e alti per l’eccitazione
e dovetti sforzare un po’ il tessuto per farli uscire. Il bustino,
stringendomi, li sollevava. Io presi i capezzoli duri tra le dita e li
strinsi fortissimo. Mi dovetti mordere la lingua per non cedere
all’impulso di urlare.
In quel momento lui non ce la fece più e venne. Io rimpiansi il
non aver potuto godermi la schizzata, avrei voluto bermi quel nettare.
Ma mi consolai presto: sapevo che non era ancora finita, quelli erano
soltanto i preliminari.
E, infatti, non mi deluse. Si prese solo qualche attimo di pausa e poi ricominciò a segarsi.
– Non avresti dovuto farlo in quel modo, guarda cos’hai fatto: mi hai
fatto venire e ora ho sporcato tutto il pavimento. Adesso’chiudi
il cappotto, esci ed entra qui dove sono io.
Io non me lo feci ripetere due volte.
Mi chiusi stretto, stretto il giubbotto addosso e lo raggiunsi. Le
vecchiette erano sparite, eravamo da soli, ora. Meglio ancora.
Aprii la porta e lo vidi. Si era spogliato del tutto, i vestiti gettati
a terra e il suo enorme cazzo svettante in mano. Avrei voluto farmi
scopare subito.
Lui però aveva ben altro in mente. Chiusi la porta per bene.
– Eccoti, troietta. Adesso devi rimediare al casino che hai fatto.
Girati, chinati verso la sborra, senza piegare le ginocchia, e leccala.
Capii perchè voleva che mi mettessi in quella posizione: in quel
modo la mia fighetta e il mio culetto sarebbero stati proprio davanti
alla sua faccia.
Ringraziai mentalmente tutti gli anni passati a fare aerobica. Essendo
molto flessbile, non ebbi problemi a mettermi in quel modo.
Il pavimento era sporco, tutto impolverato e c’era anche del fango. Ma
io non esitai neanche per un momento. Allungai la lingua e leccai i
suoi schizzi.
– Brava, continua così. Lecca tutto, da brava, come la cagna che sei.
Vogliosa com’ero, ci misi pochissimo a ripulire tutto.
– Bene. Adesso, restando sempre così, infilati un dito nella fighetta bagnata e masturbati davanti a me.
Il bustino mi stringeva, respiravo male, con fatica e i muscoli mi
tiravano un po’. Ma sapevo che ne sarebbe assolutamnete valsa la pena.
Infilai l’indice nel mio buchetto caldo e bagnato, facendolo uscire e
rientrare più volte. Poi me lo misi dentro e cominciai ad
autostimolarmi.
– Metti un altro dito.
Io non ebbi alcuna obiezione e anche il medio sparì nel buchetto.
– Un altro.
Io ripetei la procedura. Il piacere stava aumentando sempre di più e cominciai a mugolare sommessamente.
– Avanti, allargala ancora, mettici un altro dito dentro.
La mia vagina era ancora abbastanza stretta e trovai impossibile mettere un altro dito dentro.
Lui si eccitò ancora di più.
– Quetsa fighetta è ancora giovane, inesperta. Ha bisogno di un cazzo grosso per allargarsi.
Sentii la sua lingua umida e fresca sfiorarmi la figa, leccare i miei umori.
– Che buon sapore che hai. Togli le dita dalla figa e leccatele.
Quando uscii le dita da lì, fecero un rumore strano, come di risucchio, e sapevo che era il segno che ero eccitatissima.
Mi portai le dita alle labbra e le succhiai una per una, avidamente,
gustandomi il mio stesso sapore. Aveva ragione, era buono. Mi piaceva
tantissimo.
– Ora rimetti le dita in figa, bagnatele per bene e poi, al posto di infilarle in bocca, voglio che le metti nel tuo culetto.
Di nuovo le misi nella mia intimità, che era bollente, e non ci
misi molto a bagnarle totalmente. Dopodichè infilai l’indice nel
buco stretto di dietro.
– Questo buchino è ancora vergine. Bisogna fare piano, non
è vero? – disse lui, con fare suadente, e con una voce simile a
quella che si usa con i bambini.
Uno per uno, misi ogni dito nel culetto, in modo da fare lo stesso
effetto della vasellina. Dopo che ebbi finito mi disse di stare
fermissima.
Lui avvicinò il viso al mio culetto, sentivo il suo respiro
caldo e umido sulla pelle. Poi uscì la lingua e me la
infilò dentro al buchino.
Io emisi un gemito di piacere, sperando che nessuno mi avesse sentito,
e cominciai a muovere il bacino in modo da aiutarlo. Il piacere che
provavo era fortissimo. Non contento, mi mise più dita insieme
in figa, senza preavviso, e cominciò a sditalinarmi per bene.
Io mi muovevo in preda a forti pulsioni, mi girava la testa tanto ero
eccitata. Sentivo’le sue dita fare rumore nella mia fighetta,
impregnandosi del mio nettare caldo. Aumentò il ritmo, mentre
spingeva le dita sempre più a fondo.
Io gemevo senza più controllarmi, desiderando soltanto che continuasse.
Introdusse la lingua ancora un pochino nel mio buchetto e in quel
momento venni copiosamente, sentendo i miei umori colarmi lungo le
cosce.
Ero bagnata fradicia. Ma non ero soddisfatta, volevo ancora quel piacere sublime, volevo provarlo di nuovo.
Lui mi fece finalmente rimettere dritta.
– Mettiti appoggiata alla porta e alza una gamba.
Io mi misi in quella posizione, e appoggiai la gamba alla parete opposta.
Lui si alzò, tenendo il cazzo duro in mano, lo mise alla
fessurina della fighetta e lo fece entrare con forza. Era così
grande che mi fece malissimo, ma mi piaceva quando mi prendeva in quel
modo. Spinse il cazzo sempre più a fondo, facendomelo sentire
tutto, riempiendo le pareti della mia fighetta. Era enorme, spesso e
durissimo.
Mi prese una tetta in una mano e cominciò a palparmela e stringerla forte nel palmo.
– Ti piace troietta, vero? Ti piace sentire il mio cazzo nella tua ‘figa, ammettilo.
Io non fui capace di’fare alro che assentire.
– Sì, è vero, sì, mi piace tantissimo, ancora! – gemetti, senza freni.
Lui cominciò a spingere più forte e più veloce,
mentre i nostri genitali producevano dei rumori osceni scontrandosi
l’uno contro l’altro.
Le sue mani forti mi presero le natiche e le strinsero e questo mi fece letteralmente impazzire dal piacere.
Puntellai le braccia alle pareti al mio fianco e spinsi il bacino un
po’ in su e verso di lui, in modo che mi potesse impalare per bene. Lui
spingeva con sempre più forza e a un ritmo sostenuto, emettendo
grugniti ti eccitazione.
Sentii che stava per venire e, infatti, lui uscì di scatto da
me, si masturbò un pochino per non predere l’eccitazione e
intimandomi di inginocchiarmi subito. Quando fu di nuovo pronto, prese
il cazzo tra le mani e diresse il getto verso di me, schizzandomi tra i
seni, nella bocca, sulla faccia. Il suo getto era caldo, bollente. Io
lo ingoiai con ingordigia, voluttuosamente, cercando di non perderne
neanche una goccia.
Dopo averlo raccolto con la bocca e con le mani dal mio corpo, sapendo
che gli piaceva quando glielo prendevo in bocca dopo una sborrata,
circondai la sua verga con le labbra, ripulendo per bene la sua asta
con la lingua e succhiandolo’per tutta la sua lunghezza. Il suo
membro divenne subito di nuovo duro.
Mi prese i capelli con le mani, tenendoli stretti in modo che io non
potessi muovermi. Poi cominciò a dare forti spinte verso la mia
bocca, scopandomela, spingendomi il suo enorme cazzo fino in gola. Quei
movimenti bruschi mi provocarono più volte uno senso di
soffocamento e qualche sforzo di vomito, ma poi mi abituai e lo
assecondai. Lui mi spingeva la testa contro la sua verga, per farla
entrare ancora meglio.
Cominciò a rantolare forte per il piacere.
– Ah, sì, sì, ingoia troietta, ingoiamelo tutto, forza,
senti come spinge. Ancora, ingoiamelo, ancora, ancora. Sì,
sì, vengo, vengo! – urlò, in preda al piacere.
In un attimo un altro fiotto di sborra calda mi inondò la bocca.
Ne fece uscire così tanto che mi colò dagli angoli della
labbra. Io la ingoiai per bene, gustandomela. Di nuovo mi chinai per
raccogliere quella che era caduta sul pavimento.
Lui si sedette sfinito, dopodichè riprendemmo fiato.
Nel giro di cinque minuti ci eravamo rivestiti. Io uscii per prima, in
modo da non destare sospetti nel caso ci fosse qualcuno. Per fortuna la
chiesa era rimasta vuota. Se ci fosse stato qualcuno, avrebbe potuto
sentire con facilità le nostre urla di piacere e i nostri
gemiti. Stranamente, l’idea mi eccitò e mi fece pulsare la figa.
Ma sapevo che, per quel giorno, avevo già ricevuto abbastanza.
Dopo qualche momento uscì anche lui, con la sua veste da messa domenicale perfettamente in ordine.
Non ci dicemmo niente, ci scambiammo solo uno sguardo di intesa. Poi io mi girai e mi diressi verso l’uscita.

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