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Racconti Erotici Etero

Nome e destino

By 25 Maggio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Aveva da poco aperto la porta del convento, subito dopo i primi raggi del sole, quando Suor Marie Touri&egravere senti il cigolio della ruota.
Strano, a quell’ora.
Di solito le offerte, o quant’altro giungeva, avvenivano molto più tardi.
Andò a guardare.
Un mucchietto di cenci che una volta dovevano essere bianchi.
Si muoveva appena.
Lo prese.
Due piccoli piedini e due manine si muovevano lentamente, due occhietti, non del tutto aperti, la sogguardavano.
Suor Marie, detta appunto touri&egravere perché addetta alla ruota, oltre che portinaia, strinse al petto quel fagottino e s’avviò di corsa verso il luogo dove le consorelle, e la reverenda Madre Superiora, erano intente alla preghiera.
Violando ogni regola, correva e gridava.
‘Ma M&egravere’ ma M&egravere’, Madre’ Madre’ un bambino’ guardate, hanno lasciato un bambino alla ruota!’
Madre Thér&egravese, fece un lieve cenno con gli occhi.
La preghiera si interruppe, si alzò.
Le altre consorelle la imitarono.
Suor Marie entrò, andò al gran tavolo che era al centro della stanza, vi depositò i fagottino.
Tutte le suore erano intorno.
Lo ammiravano, sorridevano.
La Superiora allungò la mano, spostò il cencio che lo ricopriva.
Volse lo sguardo intorno.
‘E’ un bambino, un maschietto.
Lodiamo il Signore, sorelle’.
Gloria al Padre’.’
Le suore guardavano fisso il bimbo che, sempre agitando manine e piedini, sembrava vederle, perché i suoi occhi si posavano ora sull’una ora sull’altra.
Era un maschietto, certamente, e la dimensione dell’attributo che ne caratterizzava il sesso lo evidenziava generosamente.
Finita la breve preghiera, M&egravere Thér&egravese, la giovane Superiora, disse alla suora cuciniera di preparare un po’ di latte tiepido e zuccherarlo con del miele, e di portare un piccolo lino bianco. Lo avrebbero inzuppato e in tal modo avrebbero alimentato il piccolo.
‘Voi, Suor Melania, preparate dell’acqua tiepida.
Suor Henriette, trovate dei panni per fasciarlo.
Quando sarà pronto e si sarà rifocillato, lo porteremo in chiesa per il Santo Battesimo.
Lo chiameremo Pieux Dondedieu, benevolo dono di Dio.’
Suor Genevi&egraveve, la più anziana, che non ci sentiva bene, assentì vigorosamente con la testa. Lei aveva capito Pieu, piolo, e riteneva perfettamente azzeccato quel nome, a giudicare da quello che vedeva.
Del resto, si era sotto il segno del Toro!
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Le amorevoli cure delle brave suore, aiutarono il bimbo a crescere.
Gli insegnarono a leggere e scrivere.
Diveniva sempre più forte, tanto che si dovevano frequentemente adattare le vesti alla sua robustezza.
Indossava un semplice saio, Pidòn.
Lo avevano cominciato a chiamare subito così, perché i suoi piedini crescevano abbastanza in fretta. E non erano i soli.
I sandali duravano pochissimo.
Era servizievole e diligente, Pidòn, sempre pronto ad aiutare a prendere l’acqua dal pozzo, a stendere il bucato, a pulire la chiesa.
Le suore gli volevano veramente bene, e la cuciniera, ogni tanto, gli rifilava una focaccia fatta apposta per lui.
La Superiora vedeva tutto, ma faceva finta di ignorare, sorridendo.
L’orto era rifiorito, da quando se ne occupava Pidòn, e alle galline aveva aggiunto anche dei conigli.
In un angolo aveva realizzato delle arnie per accogliere le api che era riuscito a farsi regalare da un vicino. Regina compresa, ovviamente.
Ormai era un ragazzone, erano trascorso più di diciotto anni dal giorno del suo battesimo. E il suo nome figurava nelle annotazioni del convento.
Suor Genevi&egraveve era morta, qualcuna altra era stata trasferita, ed erano giunte anche delle nuove.
M&egravere Thér&egravese era solita leggere le preghiere dietro la finestra della sua cella, e di quando in quando gettava l’occhio sull’orto, sulle aiuole fiorite, intorno al pozzo, più lontano verso il pollaio, la conigliera, le casette delle api.
In un angolo, avvolta da rampicanti, il ripostiglio degli attrezzi, un piccolo e basso edificio, di due locali. Uno serviva per l’alloggio di Pidòn. Vi si era trasferito da tempo, quando non aveva ancora dodici anni. E da allora ne erano trascorsi più di sei.
Pidòn zappettava, a torso nudo, con un rozzo panno intorno ai fianchi, per non insudiciare il saio, per non bagnarlo del suo sudore.
Poi, finito il lavoro, andava al pozzo, tirava l’acqua, la versava in un basso catino e si lavava. A volte, per ampliare il lavacro, faceva cadere anche quella specie di fascia che gli cingeva la vita.
La Superiora era rimasta colpita da quella bellezza statuaria, stupenda opera del Signore, ma anche turbata.
Cercava di non pensarci.
Si riprometteva di allontanarsi dalla finestrella allorché il ragazzo era intento al lavoro e ancor più quando si accingeva a lavarsi.
Ma non riusciva sempre a vincere la tentazione.
Anzi, non ce la faceva mai.
I suoi cinquanta anni non li avvertiva, e i suoi sensi erano vivi e vivaci più che nel passato.
Alla castità non si fa l’abitudine.
La carne urla i suoi diritti, e mortificarla, con digiuni e altri sacrifici, non li soddisfa. Li reprime, li comprime, ma la pressione aumenta continuamente e c’&egrave sempre il pericolo di una improvvisa e inevitabile esplosione.

Thér&egravese era pronta per stendersi sul suo giaciglio.
S’avvicinò alla finestra.
Nella casa di Pidòn era accesa la lanterna, la porta e la finestra erano aperte, per il caldo. Pidòn era sul suo lettino, nudo.
Thér&egravese ricordò l’equivoco di Suor Genevi&egraveve: Pieu, piolo!
Era la lama del vomere pronta per le sillon, per il solco, per il charruage, l’aratura.
Il ventre di Thér&egravese, palpitava, impazziva. Le sue ‘miches’ sode, le natiche, si stringevano, la sua vagina si contraeva, succhiava a vuoto, affamata, assetata, come vorace bocca di un bimbo che cerchi invano il biberon.
Così, con la sola lunga camicia, scalza, uscì dalla cella, attraversò silenziosamente il corridoio, uscì, andò nella casa di Pidòn, entrò, chiuse porta e finestra, lasciò cadere la tunica.
Pidòn balzò in piedi, e con lui saltò su, prepotente, il suo poderoso piolo.
Thér&egravese si inginocchiò, pose la testa per terra, con le mani dilatò le natiche, intrise le dita nella vagina, ne raccolse la linfa, ne cosparse il suo palpitante buchetto, e restò così.
Per poco.
Il poderoso piolo di Pidòn, malgrado la scarsa cedevolezza dell’accesso, si fece strada decisamente, penetrandola fino in fondo.
La donna si mordeva le labbra.
Il bruciore tremendo che sentì subito, si andava attenuando, però.
Scomparve, e cominciò a sentirsi trasportare in un mondo sconosciuto.
Con quel follone che la gualciva vigorosamente, con le dita impazienti che le sprimacciavano le tette, la frugavano tra le virginee gambe, tirandole deliziosamente i riccioli inesplorati.
Godeva come una pazza, senza ritegno.
Se lo ciucciava golosamente.
E per la prima volta seppe cosa fosse un vero orgasmo, cosa significasse sentirsi riempire, da un maschio.
Sia pure in quel luogo.
Perché sperava di conservare l’integrità almeno dell’imene.
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Pidòn s’era spesso risvegliato col suo campanile che puntava al cielo, sentiva che era piacevole dimenarselo, ma non aveva mai sperimentato, fino ad allora, il corpo di una femmina.
Bigre, caspita, se era bello!
Thér&egravese era ancora trasognata.
Era distesa sul suo lettuccio, nuda.
Sentiva ancora in sé quella stupenda invasione.
Si carezzava la sua friquet solitarie, la sua passera solitaria, meditando sull’accaduto e soprattutto sull’ipocrita e ormai ridicolo proposito di tener fede al voto di castità.
Purezza di che?
Di una trascurabile, ma non tanto, parte anatomica?
E perché?
Se la sua mano le dava tanto languore, tanto piacere, figurarsi il grosso palo di carne di Pidòn quale sensazioni le avrebbe donato. Già, palo, pieu! Coincidenza dell’assonanza: pieux, devoto, pietoso!
Nella sua mente prese corpo una supplica: pieux pieu aie pitié de moi! Palo pietoso, abbi pietà di me!
E prese anche la sua decisione.
Mon petit con, a bient’t !
Fichetta mia, a presto !
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Doveva far finta di nulla, M&egravere Thér&egravese.
Trasalì, però, quando vide Pidòn, che ormai aveva il volto impreziosito d’una piacevole ricciuta barba, aggirarsi per la cucina nel suo saio appena lavato e stirato.
Doveva cercare di essere cortese con lui, senza eccedere, però.
‘Pidòn!’
‘Oui, ma mére! Si, madre ! ‘
‘ Dovresti portare questo vaso di miele a Nanette, che sta nella prima casa che incontri andando verso il borgo, a meno di una lega da qui. Dille che &egrave miracoloso. Lei sa a cosa mi riferisco.’
Pidòn prese il vasetto di terra cotta smaltata, fece un inchino, e si avviò. Seguito dallo sguardo vorace di Thér&egravese.
Il giovane non s’era ancora del tutto ripreso da quanto era accaduto la sera precedente, e quella mattina gironzolava, come al solito, in attesa della colazione, ma non smetteva di sbirciare i sederi che si muovevano sotto le tonache.
Nanette, era la donna del carrettiere che spesso faceva dei trasporti anche per conto del convento.
Poteva avere intorno ai trenta anni, era sposata da dieci con Antoine, senza figli. E questo era il rammarico della coppia. Erano ricorsi a tutti i sortilegi, a innumerevoli tisane e infusi. Senza alcun frutto.
Era abbastanza prosperosa, Nanette, e sempre gioviale.
Aveva rassettato la casa, scoperto il giaciglio, nell’angolo, dove avevano trascorso la notte e consumato un ulteriore sterile e insoddisfacente amplesso, e se ne stava sull’uscio, prima di allestire il pasto che, la sera, avrebbe condiviso col marito.
Pidòn apparve al limitare del viottolo.
Era un bel ragazzone, e tutti lo chiamavano Fr&egravere Pidòn, anche se sapevano che non era né ordinato né avviato al servizio religioso. Comunque era uno che viveva al convento.
Pidòn le era di fronte, sorridente.
Questa volta i suoi occhi guardarono in modo ben diverso Nanette. La esploravano attentamente, si soffermavano sui bei fianchi, sulle curve rigogliose delle natiche, sul tondeggiare delle tette. E il batacchio batteva sempre più prepotente nel grezzo del saio.
Nanette lo salutò cordialmente.
‘Entrate, Fr&egravere Pidòn, qual buon vento vi mena?’
‘Ho qualcosa per voi, Nanette!’
La donna aveva scorto il vaso che il giovane teneva in mano, ma soprattutto la manifesta prominenza del saio.
‘Vedo, vedo, Pidòn. Ma entrate, anche io ho qualcosa per voi. Che ne dite di un bicchiere di vino?’
‘Grazie.’
Entrò, sedette sullo sgabello, vicino al tavolo.
Porse il vaso di miele alla donna.
‘M&egravere Thér&egravese, dice che &egrave quello che ci vuole per voi.’
‘Ne sono certa, Pidòn, ne sono certa.’
Prese il vino, un boccale, lo pose dinanzi all’uomo.
Si chinò per mescere il liquido.
Pidòn, come a ricordare avvenimenti recenti, le mise una mano, la sua grossa mano, bene aperta sul sedere, col pollicione tra le chiappe.
La donna s’arrestò un momento, proseguì nella mescita, ma sculettò golosa.
Pidòn mandò giù un sorso seguitando a palpeggiare.
Nanette cominciava ad andare su di giri, velocemente.
Sotto quel saio c’era veramente quello che ci voleva per lei.
Quando le sarebbe capitata un’altra occasione del genere?
Mise decisamente la mano sotto al saio e fu piacevolmente sorpresa per quanto incontrò e non riusciva a racchiudere tra le sue dita.
Si diceva, in giro, perché quel giovane lo chiamassero Pidòn, a causa del suo grosso pieu, ed ora sapeva che avevano ragione.
Pidòn la guardò, sorpreso.
Così, senza lasciare la presa, Nanette lo fece alzare e lo condusse vicino al letto disfatto. Non ci volle molto a lasciar cadere l’unica veste che indossava. Poi spogliò l’attonito giovane, si riversò sul giaciglio, aprì le gambe, lo attirò a sé. Prese lei l’iniziativa. Afferrò il glande di quel poderoso cavicchio e lo portò alle sue piccole labbra, inarcò il bacino, lo aiutò a penetrarla, fin quando la sua ingorda e palpitante vagina poté accoglierlo.
Pidòn era beato.
Non riusciva a distinguere, ancora, se il suo affamato uccellone si trovasse meglio in quel delizioso nido o tra le chiappe di Thér&egravese.
Lo stantuffare, comunque, era analogo.
Nanette cominciò a gemere, ad agitarsi, sembrava che fossero anni da quando non giaceva con un maschio.
Infatti, quella per lei era come una ‘prima volta’. Per la dimensione, per l’entusiasmo di lui, per l’infaticabilità, per la resistenza. Godeva a dismisura, era già stata travolta da un meraviglioso orgasmo, ma Pidòn ci dava dentro come prima, più di prima. Inarrestabile.
D’un tratto lo sentì vibrare fortemente, percepì le pulsioni di quell’enorme e meraviglioso invasore, si contrasse, si distese sentendosi inondare da un balsamo denso e caldo. Questo era il miele che lei desiderava, il balsamo beatificante. Le beaume-de-vie, il balsamo della vita.
E in effetti fu tale.
Nove mesi dopo, atteso per dieci anni, Nanette allattava il suo beb&egrave, che, guarda caso, era generosamente dotato!

Che il miele del convento fosse il toccasana per le femmine desiderose di un figlio, fu presto noto a tutte le donne. Interessate e non interessate.
Frére Pidòn, ebbe il suo da fare.
M&egravere Thér&egravese, però, esigeva una congrua partecipazione all’affare.
La volta successiva che andò a trovare Pidòn nella sua cameretta, non ebbe bisogno di parlare, perché il giovane la sbatté sul letto e, subito dopo, quanto lei aveva gelosamente conservato così a lungo, si sfrangiò di colpo sotto la poderosa e irrefrenabile spinta del grosso battaglio che s’agitò frenetico nella non giovane ma sempre argentina campana che sobbalzava all’incalzare di quel martellare che la faceva delirare voluttuosamente.
Ed anche lei si deliziò di quel denso miele che le distillava dentro, incantevolmente.
Da allora, fu un alternarsi, anche se non regolare, di posizioni che la facevano restar sveglia, la notte, in attesa del loro rinnovarsi.
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Fu necessario ricorrere all’aiuto di una giovane e robusta contadina, per accudire all’orto, alla conigliera, al pollaio, alle arnie.
Pidòn era indaffaratissimo, nel convento e fuori, a distribuire il ‘sacro miele’, ‘le miel sacré’, che portava a domicilio delle sempre più numerose interessate. Di tutte le età.
La contrada andava annoverando un numero sempre maggiore di ‘enfants du miel’, i figli del miele, in genere maschietti molto ben dotati dal punto di vista della loro virilità. Alcune consorelle erano state costrette a trasferirsi altrove, in fretta e furia, per dare alla luce il risultato delle miracolose unzioni di Fr&egravere Pidòn.
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Gli anni trascorsero, inesorabili.
M&egravere Thér&egravese, vecchia, s’era ritirata in un lontano monastero, su un alto colle.
Passava i suoi giorni leggendo testi sacri, e le notti, ricordando con gratitudine i doni prodigatile da Pidòn.
Era convinta che avendo goduto di ciò che la natura le aveva dato in dote, aveva seguito la giusta strada.
Il ‘sacro miele’ era ancora molto richiesto, ma le api ne producevano sempre meno.
P&egravere Pidòn, sceglieva accuratamente chi rifornire, anche perché ci teneva che l’effetto fosse sempre sicuro.
Erano molti i giovani, e qualcuno ormai trentenne e a sua volta genitore, che gli andavano incontro, gli baciavano la mano, chiamandolo ‘Mon P&egravere’, e lui li benediceva tutti, e domandava notizie di loro e delle madri, quelle d’un tempo e le più recenti.
‘Come va, il tuo bambino?’
Le donne, alcune un po’ avanti negli anni, altre ancora in boccio, lo rassicuravano.
‘Tel p&egravere, tel fils!’
Tale il padre tale il figlio.
E, guardandosi in giro, di sottecchi, davano una riconoscente e affettuosa pacca sull’ancora vivo e vitale piolo di Pidòn.
Nomen omen, dicevano i latini.
Il destino &egrave nel nome!
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