Skip to main content
Racconti Erotici Etero

NON ME NE RIMANE IL TEMPO

By 2 Settembre 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

NON ME NE RIMANE IL TEMPO
(cap.1)

Guardava fuori dalla finestra, il viso giovane dei suoi vent’anni un po’ smagrito, pallido, per la malattia appena superata, i capelli neri in disordine, un accenno di barba da rasare.
Guardava fuori dalla finestra: la primavera stava finalmente arrivando, sugli alberi i primi fiori, i primi tenui accenni di verde.
La luce del giorno sempre più chiara, il tramonto sempre un po’ più tardi ogni giorno.
Le donne sempre più spesso senza paltò, sempre meno intirizzite dal freddo.
Parigi è bellissima a marzo.
La vide entrare, la sua era l’ultima finestra dello stabile, la più in alto in un sottotetto basso ed abbastanza squallido che le sue magre risorse gli permettevano.
La vide entrare, una ragazza di qualche anno più giovane di lui, abitava al primo piano, da poco viveva lì, l’aveva incrociata una sola volta sulle scale, rientrando dal caffè e s’erano scambiati un’occhiata fugace, nemmeno s’erano presentati…
Poi c’erano state le barricate, quella storia del brindisi col coltello in mano… c’era stata una malattia che avrebbe potuto essergli fatale.
Ora finalmente stava bene, un po’ debole, forse, ma la capacità di recupero dei ventenni gli avrebbe sicuramente permesso di ristabilirsi completamente.
Presto avrebbe ripreso a frequentare i caffè.
Nel frattempo aveva già ripreso la sua occupazione principale: scovare i segreti dell’algebra, risolvere problemi insoluti da secoli.
L’algebra inventata dagli yemeniti nella notte dei secoli, sopravvissuta al sonno del medioevo e che ora, nell’epoca moderna dell’uomo al centro dell’universo, ancora conservava gelosamente alcuni tesori.
La vide entrare, una ragazza un po’ più giovane di lui, ben vestita, elegante era scesa da una carrozza e portava con sé una valigia che pareva pesante dalla difficoltà con cui l’aveva scaricata. Lei aveva rifiutato l’aiuto del cocchiere, che comunque sembrava avere fretta, ma se n’era, in effetti, un po’ pentita…
Il giovane decise che era ora di presentarsi, si alzò dal letto, si ricompose, scese le scale fino all’androne dell’ingresso.
La trovò lì, sul portone già aperto la pesante valigia tenuta a due mani, mentre tentava di alzarla al di sopra dei tre gradini che immettevano nell’atrio.
-Lasciate fare a me signorina-
La guardò, un poco interdetta, per una lunghissima frazione di secondo ‘lui, matematico, sapeva che le frazioni potevano essere infinite-, un tempo tanto lungo che i suoi occhi restarono trafitti dal lampo glauco e intenso del suo sguardo.
Un lampo di pura luce di ghiaccio grigio e azzurro fra i boccoli color del miele di lavanda.
-Non vi disturbate, non ce n’è bisogno-
– nessun disturbo davvero, vi prego, lasciate fare a me-
-grazie-
Prese la valigia, era pesante veramente anche per lui reso debole dalla malattia, ma si diede un contegno e salì le rampe di scale seguendola fino al suo appartamento.
-Ecco, io abito qui-
Aprì la porta; lui depose la valigia appena al di là della soglia.
-ecco fatto. Ma non mi sono presentato: io abito all’ultimo piano, mi chiamo évariste. évariste Galois se vi serve qualsiasi cosa…-
-grazie signor Galois, siete stato veramente gentile, la valigia è veramente pesante. Sapete, sono stata da mia madre a Lione ed ho portato con me molti abiti per la bella stagione che sta arrivando, e alcuni libri e oggetti per la casa, vedete non è molto che vivo qui e mi mancavano alcune mie cose che tenevo nella mia vecchia casa. Mi chiamo Stéphanie Poterin du Motel ‘
Le porse la mano guantata ch’egli s’affrettò a sfiorare con le labbra come il galateo imponeva.
-Incantato. Se le serve aiuto, qualunque cosa…-
-No, grazie, non mi serve nulla per ora. Siete libero signor Galois.-
-d’accordo, allora… a presto-
S’avvio sulle rampe voltandosi a guardarla ogni tanto mentre armeggiava con la valigia, la porta ancora semiaperta, con i suoi boccoli di miele, con il suo seno pronunciato e sodo, i suoi occhi di ghiaccio.
Riprese il suo lavoro, i fogli si riempivano di segni e di cancellature, mentre tentava una dimostrazione particolarmente ostica, non s’accorse che il pomeriggio volgeva ormai a termine.
Accese le candele che stavano sulla tavola fece pochi passi e guardò fuori dalla finestra e… la vide.
Indossava un abito rosso corallo, con un capellino anch’esso rosso ma più acceso, il movimento delle gambe racchiuse negli stivaletti neri mostrava piccoli scampoli della sottogonna candida.
évariste immaginò calze di seta frusciante.
Salì su di una carrozza, gli sembrò che prima di salire guardasse in alto, verso la sua finestra, per un attimo l’occhio della sua mente fu di nuovo abbagliato dal lampo di luce azzurra.
Non poteva averlo visto, dietro ai vetri oscurati dall’ombra della sera.
E’ bella, si disse, bella come la luce dell’alba al Trocadero in una mattina di fine luglio…
Tornò alla sua dimostrazione,a margine del foglio, fra tante ‘x’ e ‘ y’ annotò ‘Stéphanie’.

L’ultima candela s’era già spenta da un po’, il giovane s’era addormentato senza nemmeno accorgersene, i fogli vergati di china nera sotto al braccio destro, il sinistro allungato sulla tavola, il capo appoggiato al gomito, fu svegliato da un rumore di porta sbattuta, qualche passo pesante, delle voci, risate.
évariste, s’alzò di scatto capì subito d’essersi addormentato, la stanza era buia come la pece; cercò a tastoni una candela, accenderla e vedere i fogli dove la china s’era sbavata quando vi si era appoggiato sopra fu tutt’uno con leggere quella nota a margine: ‘Stéphanie’…
Sentì i rumori che provenivano dal basso, prese la candela in mano, temendo un ladro, si mise nella tasca il suo coltello ‘ quello del famoso brindisi in onore del re- aprì la porta con cautela e scese lentamente le scale.
Al piano sotto di lui abitavano due anziani coniugi, i Moliere, ormai più sui settanta che sui sessanta d’età e sordi come campane, certo non avevano sentito nulla.
Passò davanti alla porta dei due anziani e prese a scendere ancora più circospetto, la mano nella tasca sul manico del coltello, passò la candela nella mano sinistra per essere pronto in caso di necessità.
Arrivavano voci, di un uomo e di una donna, risolini e qualche rumore come di colpi.
S’affacciò infine dalla tromba delle scale al chiarore che entrava dai vetri delle finestre al pianerottolo vide l’appartamento del primo piano, la porta era leggermente dischiusa e s’intravvedeva il tremolio della luce d’una lanterna.
S’avvicinò ancora di più…
-shhhh… non fare tanto rumore … dai… no… no… aspetta-
Una risatina…
-cosa devo aspettare? dai chiudi quella dannata porta-
Un calcio alla porta la fece sbattere, ma questa si riaprì un poco per lo spazio d’un palmo.
Il giovane estrasse il coltello lo prese saldamente in mano e scese le scale velocemente ma col silenzio d’un corpo giovane e leggero.
– Avanti muoviti!-
Schack, un rumore secco
évariste s’affacciò alla porta, pronto a lanciarsi sull’intruso, convinto che non poteva che trattarsi d’un rapinatore violento e… restò di sale.
In fondo al corridoio, riflesso da un grande specchio si vedeva un divano in una sala anch’essa piena di specchi.
Il giovane fece alcuni passi nel corridoio…
Sul divano, una ragazza appoggiata alla spalliera, le ginocchia sulla seduta, alle sue spalle un uomo di circa trent’anni, la schiena muscolosa, la barba e le basette folte.
Lui la stava penetrando da dietro ed ogni tanto le sculacciava una natica, lei gemeva sempre più forte.
-ah a-a.ahhh,oh siii… mio…o …dio… ahhhh-
-ti piace eh? Ti piace puttana! Dimmelo che ti piace, dimmelo!-
-oh siii, si! Mi piace, mi piace-e-eee siii…-
L’uomo aumentava l’intensità delle spinte e intanto le strapazzava le tette, ogni tanto le mollava uno sculaccione.
Lei godeva sempre di più: il giovane non poteva vederlo, ma sul divano grondavano già gli umori dalla figa ormai fradicia di Stéphanie, il cazzo che la stava stantuffando faceva un rumore come di sciacquio così intenso da giungere fino all’ingresso del corridoio dove uno spettatore basito si stava divorando la scena con gli occhi sgranati e con un’eccitazione sempre più intensa.
Dopo un po’ l’uomo rallentò il ritmo ma aumentò la potenza fino a quando si staccò dalla ragazza con un guizzo, la prese per i capelli e brutalmente la costrinse con la testa vicino al cazzo.
-succhia puttana, succhialo!-
La ragazza spalancò la bocca e l’uomo vi spinse il membro fino in fondo, qualche colpo violento, come se la stesse ancora scopando, ma questa volta in bocca, poi rallentò, lo estrasse e un copioso getto di sborra colpì la ragazza in pieno viso, sulla lingua, sulle labbra, fra gli occhi, nei capelli color del miele.
L’immagine in mille riflessi lanciati dalla miriade di specchi, come scheggia di vetro impazzita, si piantò nel cervello del giovane spettatore.
I due erano ormai esausti sul divano, ma évariste non sapeva risolversi ad andarsene:stette lì a guardare l’uomo che si rivestiva, che prendeva dalla tasca della giacca un borsello di pelle e ne estraeva alcune monete, qualche banconota.
-sei stata brava, ci rivedremo presto-
-grazie Signore, sarò a vostra disposizione-
Si stava ripulendo la faccia dallo sperma, con un’occhiata vide il denaro sul tavolino e valutò che fosse la somma corretta.
Intanto évariste aveva appoggiato il coltello su un mobiletto del corridoio e si stava spudoratamente toccando: fece appena in tempo a venire nei pantaloni quando l’uomo, ormai in abito da sera, cominciò a dirigersi verso l’ingresso.
Uscì di colpo dalla nebbia del piacere, spense la candela, tastò il mobiletto in cerca del coltello, lo afferrò e fece per infilarlo in tasca scappando lungo il corridoio.
Uscì, saltò al buio i primi scalini, sentì cadere il coltello dalla tasca che rimbalzò di gradino in gradino sino a terminare la corsa davanti alla porta di Stéphanie.
Fortunatamente l’uomo non se ne avvide, scese la rampa di scale, imboccò il portone e sparì nella notte di Parigi.
évariste s’accucciò sul pianerottolo trattenendo il respiro: vide la porta della ragazza chiudersi, sentì il portone sbattere, i passi sul selciato che si allontanavano.
Dopo interminabili secondi vide la porta di Stéphanie riaprirsi, la ragazza scendere a chiudere il portone e, mentre rientrava in casa, raccogliere il coltello.
La vide alzare lo sguardo verso di lui, ma fu solo una fugace impressione, buio e silenzio lo avvolgevano completamente.
Infine lei rientrò, col coltello in mano, e richiuse la porta a doppia mandata dietro di sé.
Il giovane risalì le scale, entrò nella sua stanza, riaccese la candela e si sedette sul letto madido di sudore, con la testa che girava, il cuore che batteva come un tamburo di guerra.
S’alzò; s’accese un sigaro e si versò tre dita di calvados di Bretagna e ne trangugiò più di metà in un colpo; ricadde stremato sulla sedia al tavolo su cui lavorava: attraverso l’ambra del liquore poteva leggere quel nome ‘Stéphanie’…

CAPITOLO 2: ‘ Il peso della matematica’

La mattina dopo fu svegliato dalla luce intensa del giorno: gli occhi gli facevano male, si sentiva in bocca il sapore sporco del tabacco misto al retrogusto aspro dell’alcool che aveva bevuto.
S’era scolato metà bottiglia di calvados e la testa gli doleva come se glie l’avessero presa a calci un’intera compagnia di fanti.
Sforzandosi di non cadere a terra si preparò un’intera brocca di caffè e cominciò a berlo con metodo alternando il caffè ad acqua fresca.
Dopo qualche ora di stordimento, fu finalmente in grado di sistemarsi: si lavò, si rase la barba incolta, si vestì ed uscì.
-Ma che ti è successo? Hai una cera pessima mio caro évariste ! Che hai combinato?-
-Niente, Auguste, solo sto lavorando troppo… passo le notti sui fogli.-
Auguste Chevalier ed évariste Galois erano amici, grandi amici, da tanto tempo, si erano sempre detti tutto, erano stati insieme sulle barricate, Auguste era stato presente quando l’amico era stato per lungo tempo in ospedale.
Ma il signor Chevalier era meno intellettuale di Galois e si godeva di più la vita, guardando il viso sfatto di évariste aveva capito che la matematica c’entrava poco…
-Sicuro che si tratti solo di troppo lavoro?-
-certo!-
Una risposta secca e un po’ scortese.
-di cosa mai dovrebbe trattarsi? E’ più di un anno che sto cercando di completare la mia teoria: mi brucia ancora che il professor Poisson mi abbia rinviato al mittente i miei scritti liquidandomi con due parole-
Auguste lo guardava senza parlare, un sottile filo di fumo s’alzava dalle tazze di caffè che avevano di fronte.
Intorno a loro gli orti di Montmartre con le sue viuzze strette, in basso Parigi brulicava di carrozze e di passanti.
-Non c’è solo la matematica, mio caro évariste: vi son più cose fra cielo e terra…-
-io non sono Orazio, Auguste: tu non puoi capire, non puoi comprendere il peso della matematica-.
-forse… ma comprendo che se vai avanti così finirai male. Perchè non provi a divertirti un po’? sei appena guarito, dovresti riposarti e non pensare a niente di complicato.
Vattene un po’ in campagna, cercati qualche ragazza con cui spassartela, ce ne sono di generose sai? Specie con gli intellettuali di città che usano paroloni!-
Auguste sorrise, ma lo sguardo dell’amico gli provocò un brivido di freddo tanto era gelato.
– Una ragazza: non ne ho il tempo. Anzi, a ben vedere non ho nemmeno tempo da perdere in chiacchiere senza senso-.
Si alzò, raccolse il cappello e la sciarpetta e s’avviò
-ma dove vai?, resta qui che parliamo un po’. Ci beviamo un altro caffè!-
-un’altra volta Auguste,un’altra volta-
Era già scappato lungo la scalinata del Sacro Cuore scendendo verso la città davanti agli occhi preoccupati di Auguste.
Quando finalmente giunse a casa, era passato abbondantemente mezzogiorno, le strade s’erano in parte svuotate per l’ora di pranzo, aprì il portone, lo richiuse dietro di sé ed imboccò le scale.
Sentì la porta aprirsi di scatto che lui già stava in fondo alla prima rampa.
-Signor Galois, signor Galois, per favore aspettate-
Si fermò, si voltò molto lentamente e la vide: vestita d’azzurro, un abito più semplice di quello con cui l’aveva vista la sera prima, senza cappello, una gonna più stretta, delle scarpette testa di moro alte alle caviglie, un poco di tacco ed una fibbia argentata su di un lato.
Una cascata di boccoli di topazio scuro sulle spalle, gli occhi di luce.
-Buon giorno Signorina Poterin, cosa posso fare per voi-
-ho un oggetto che credo vi appartenga signor Galois-
Il giovane si sentì arrossire, ma tentò di darsi un contegno:
-Un… un oggetto che mi appartiene?-
-Si, venite qui, per favore.-
Scese, lei spalancò la porta:
-entrate, vi prego-
– ma io…-
-entrate.-
Entrò, lei sparì per qualche istante e ritornò con il coltello di évariste.
-Ho chiesto alla signora Moliere se per caso appartenesse a suo marito, ma mi ha detto di no, non può essere dunque che vostro-
évariste avrebbe voluto ribattere qualcosa di intelligente, per esempio che poteva averlo perso il distinto signore che l’aveva scopata la notte prima o magari qualcun altro ospite a cui la signorina avesse fatto gli stessi favori.
Ma capì che non sarebbe stata una buona idea.
-Si, è mio, è il mio coltello: dove lo avete trovato?-
Stéphanie era molto giovane, ma non sprovveduta col mestiere che faceva: la sera prima rientrando non aveva visto niente davanti all’ingresso del suo appartamento, aveva aperto lei la porta per entrare insieme all’uomo, l’aveva richiusa malamente mentre lui la spogliava con foga quasi strappandole i vestiti da dosso.
-l’ho trovato qui davanti alla mia porta … stanotte.-
-l’avrò perduto ieri rientrando in casa-
-Voi uscite sempre armato di coltello, signor Galois?-
– E voi uscite sempre di notte, signorina Poterin?-
Un sorriso s’allargò sul viso della ragazza e la luce azzurra dei suoi occhi si fece ancor più luminosa.
-Toucheé, accomodatevi che parliamo un po’-
– Io… non so… qualcuno potrebbe vedermi uscire e…-
-Non vi preoccupate, il signor Moliere sta sicuramente facendosi una penichella e sua moglie è uscita per fare commissioni, non tornerà che a tardo pomeriggio-
évariste entrò, la ragazza gli fece strada fino ad un piccolo salottino proprio a fianco della stanza con gli specchi; si accomodò su una poltrona, un piccolo tavolino di fronte.
-gradite del caffè nero?-
-si, grazie, se non vi è di troppo disturbo-
-non mi disturba affatto, è un piacere-
La ragazza sparì per alcuni minuti e tornò con una brocca di caffè bollente, due tazze, un barattolo di zucchero e qualche biscotto.
-prego Sig. Galois, non fate complimenti-
Versò il caffè all’ospite e per sé, lo zuccherò e avvicinò la tazza alle labbra: évariste non potette fare a meno di notare che erano lucide di rossetto color fragola, e perfette.
-vedete signor Galois-
– évariste, vi prego, signorina-
-va bene… évariste, vedete, sappiamo tutti e due che voi siete stato qui stanotte, sicuramente avrete percepito ciò che è accaduto qui dentro, anche se mi sfugge il motivo del coltello-
évariste pensò per un attimo di negare tutto, di inventarsi una bugia credibile, ma non appena vide quegli occhi grigio azzurri color del ghiaccio d’artide, ma brucianti come il sole di Provenza, capì all’istante che non gli sarebbe riuscito di mentire.
-mi sono addormentato mentre stavo lavorando, ho sentito dei rumori e mi sono svegliato di soprassalto: pensavo ad un malintenzionato, un ladro così sono sceso con prudenza e mi sono premunito d’essere armato e…-
– e invece avete assistito ad una scena un po’ diversa, non è vero?-
Il giovane annuì.
-Dicevate che stavate lavorando ieri, qual’è il vostro lavoro, esattamente?-
-Sono un matematico, signorina…-
-Chiamatemi Stéphanie, vi prego: dopo quanto avete visto e sentito non credo che ci dovremmo formalizzare eccessivamente, non vi pare?-
-si… certo… come volete voi, Stéphanie… ecco… come vi stavo dicendo, sono un matematico: un ricercatore della matematica più esattamente.-
– E cosa andate cercando nella matematica?-
évariste s’accarezzò un poco il mento dove cominciava a sentire un po’ di ruvido.
-Ecco… non è facile da spiegare, ma l’algebra nasconde ancora tanti segreti, ci sono molti problemi non risolti-
– E voi sperate di risolverli?-
Questa volta, e si rese conto che era la prima volta, spinse profondamente lo sguardo in quegli occhi di ghiaccio come si guarda in fondo ad un abisso.
-Si- rispose risoluto
-li risolverò e dimostrerò che quelle soluzioni sono corrette e universalmente valide-
La ragazza sorseggiò ancora un poco di caffè bollente.
-E’ un progetto ambizioso, e a giudicare da quanta stanchezza vi procura e da quanto impegno vi costa, dev’essere anche molto pesante…-
‘cosa ne sai tu della pesantezza della matematica’ L’aveva detto solo qualche ora prima ad un Auguste che non aveva compreso mentre quella ragazza aveva intuito subito, capito subito…
Quella nota a margine ‘Stéphanie’.
Riaffondò lo sguardo nell’abisso azzurro.
-Si, amo dire che la matematica è pesante…-
-Ma…?-
-Ma in fondo è tutto ciò che vale la pena nella mia vita, è affascinate, è bella come… ecco… come…-
Gli si strozzarono le parole in gola. ‘come voi Stéphanie’ avrebbe voluto dire…
-Ho capito cosa intendete…-
évariste abbassò gli occhi, cercò la tazza con le dita e bevve una lunghissima sorsata di caffè nero sentendo su di sé il bruciore degli occhi di lei.
-Il mio di lavoro lo avrete già capito, évariste, non serve che ci giriate intorno-
-io… in verità… voi… siete…-
– Una prostituta, évariste, sono una prostituta-
Cercò di nuovo la tazza del caffè, la trovò vuota, guardò la ragazza con gli occhi di un naufrago che s’accorge che l’unico relitto a cui aggrapparsi sta svanendo tra i flutti; lei lo capì e gli versò dell’altro caffè dalla brocca e se ne versò per sé.
-Sono nata vicino a Lione, diciotto anni fa: mio padre aveva una piccola tenuta e la mia famiglia aveva abbondantemente di che vivere bene: io e mio fratello abbiamo ricevuto una buona educazione e a mia madre non mancava nulla.
Purtroppo mio fratello morì in seguito ad una brutta caduta da cavallo che io avevo 13 anni, lui aveva circa la vostra età, poi gli affari cominciarono ad andare male: mio padre aveva investito forti somme in alcune attività in Louisiana, cotone credo, ma un uragano devastò il raccolto e le banche cominciarono a richiedere a mio padre di rientrare.
Dovette vendere gran parte delle proprietà, mia madre era già prostrata dalla morte di mio fratello e non seppe sostenere mio padre che si attaccò alla bottiglia.
L’assenzio ci mise due anni ad ucciderlo, così mia madre vendette le ultime terre, con il ricavato riuscì ad estinguere i debiti di mio padre che s’era sforzato per due anni di far sembrare che tutto era come prima, come quando gli affari andavano bene.
Ci trasferimmo a Lione dove mia madre iniziò a dare lezioni di pianoforte.
I soldi però non bastavano, così io a quindici anni andai a servizio in casa di un ricco avvocato: il Signor Lafayette.
I Lafayette vivevano in una splendida villa appena in periferia: io avevo il compito di occuparmi delle due bambine, due gemelle Camille e Lucille, di sette anni.
Poi c’era un’altra figlia un po’ più piccola di me, madame Lafayette e il signor Lafayette, Alain, che aveva 45 anni.
Non mi trovavo male, anche se le bambine assorbivano moltissime mie energie: correvo dietro a loro tutto il giorno e alla sera ero esausta.
Quando finalmente le mettevo a letto potevo rilassarmi un po’ leggendo qualche libro di poesia.
Alain Lafayette mi vedeva spesso col libro in mano, e la cosa lo incuriosiva poiché l’unica lettura di sua moglie era la Sacra Bibbia.-
Si alzò e andò a prendere altri biscotti, évariste si sentiva un po’ a disagio.
-Avevo cominciato a rendermi conto che qualcosa stava cambiando nel mio corpo: vedevo gli sguardi degli uomini quando accompagnavo le bambine al parco o al catechismo, o quando uscivo per delle commissioni. Vedevo gli occhi accesi di una strana luce: capii poi che si trattava di desiderio.
Le prime volte abbassavo lo sguardo, poi cominciai a sentire uno strano prurito, laggiù, quando mi guardavano in un certo modo; cominciai a non abbassare lo sguardo più.
Anche il signor Lafayette cominciava a guardarmi in modo un po’ diverso, vidi subito che si trattava dello stesso sguardo degli altri uomini… Mi sentivo esplorata da quegli occhi, sentivo che mi guardavano sotto ai vestiti, come se davvero potessero vedermi nuda… e nuda, sul letto della mia stanza, cominciai prendere l’abitudine di accarezzarmi.
Una sera, madame Lafayette, che era molto devota, uscì in carrozza per recarsi ad un rosario fra pie donne, io avevo appena messo a letto le bambine, stavo vicino alla finestra a leggere un libro.
Alain Lafayette entrò nella sala, mi vide ed iniziò a fissarmi intensamente, vidi bruciare il desiderio nei suoi occhi neri, ma feci finta di niente..
‘stai diventando proprio una bella ragazza, mia cara Stéphanie, non v’è dubbio alcuno’
‘grazie signor Lafayette, ma non credo che sia come voi dite’
Ma il mio rossore diceva il contrario.
‘fortunato l’uomo che vi sposerà… che… vi avrà’
La testa mi girava di vertigine, sentivo quegli occhi neri che s’insinuavano sotto le mie gonne, mi sentivo nuda ed esposta.
‘ma che dite… scusatemi, vi prego, non mi sento molto bene… io… con permesso vorrei ritirarmi’
‘non hai bisogno di alcun permesso, Stéphanie, vai pure in camera tua’
Chiusi il libro e quasi scappai, feci i gradini a due a due entrai nella mia stanza, chiusi la porta, vi stetti appoggiata alcuni istanti nel tentativo di far rallentare i battiti del cuore.
Finalmente mi calmai, mi lavai con un po’ d’acqua fredda di una bacinella e mi spogliai.
Ero ancora nuda, mi sdraiai sul letto e cominciai ad accarezzarmi fra le gambe,presto il piacere iniziò a farsi strada dentro di me: sentivo un calore lento e intenso che mi invadeva nel profondo… quando…-
évariste era sempre più eccitato e sempre più imbarazzato, la luce che penetrava dalla finestra si stava facendo un po’ meno intensa: si rese conto che stavano lì da un bel po’ e che si era completamente dimenticato di pranzare, e che il tempo era passato con la velocità di un’intuizione.
-quando…?-
Deglutì a fatica, aveva mezzo intuito quale fosse il seguito e fece appello a tutto il suo contegno per restare calmo ad ascoltare, vincendo l’istinto di scappare a masturbarsi.
-Quando la porta della camera si aprì ed entrò Alain Lafayette: non ho mai saputo se mi sono scordata io di chiudere a chiave o se invece la chiave l’avesse lui, ma non fa differenza ormai-
‘lo sapevo che eri una piccola porcellina in calore, lo sapevo che avevi voglia’
Lo guardai spaventata, ma stranamente eccitata, mi sentivo bagnare lì come non mi era capitato mai: tentai una inutile difesa:
‘ma che dite, cosa fate qui? Andate via! Andate via o urlo!-
‘ non ti serve urlare, ci siamo solo noi a quest’ora, non ti sentirà nessuno: ti farò urlare io, si, ma di piacere’
Mi si gettò addosso e cominciò a leccarmi i seni, i capezzoli io cercai di divincolarmi, ma era troppo più forte di me, mi tenne ferma e mentre mi ficcava la lingua in bocca liberò il membro.
Non avevo mai visto un membro maschile e rimasi interdetta, volevo ribellarmi ma una parte di me voleva quel coso dentro di sé.
Mi voltò sul letto a pancia in giù e mi bloccò i polsi con la sua mano sinistra, con la destra si levò la cintura…
‘adesso ti preparo per la monta, piccola troia’
La prima cinghiata mi fece urlare di dolore e di sorpresa, lui mi spinse la testa sul cuscino e prese a darmi cinghiate sulle natiche, 2,10,20… ogni volta il sibilo e poi lo schiocco sulla natica.
Ne contai venti fra i singhiozzi, poi mi salì sopra e sentii le dita che si insinuavano nella mia vagina
‘sei un lago puttanella, allora t’è piaciuto!’
Mi girò, mi aprì le gambe e se le mise sulle spalle e mi entrò di colpo.
Sentii un dolore lancinante, mi sembrava che mi avessero ficcato dentro una spada; urlai.
Cominciò ad andare su e giù:il dolore intenso pian piano si trasformò in una sensazione di torpore, sentivo colare liquido fra le cosce, smisi di opporre resistenza.
Ad un certo punto uscì bruscamente, mi sentii svuotare di quella presenza che mi riempiva e mi forzava ad un piacere che non avevo voluto.
Mi salì a cavalcioni sul petto, mi prese per la nuca e mi spinse verso il suo membro
‘Apri la bocca!’
Non capivo…
‘apri la bocca maiala!!’
Lo feci e mi ritrovai il suo sesso in bocca: facevo fatica a respirare, sentii che ricominciava a spingere e ad certo punto qualcosa di caldo, vischioso e salato mi si riversò in gola.
Mi tenne la testa ferma finchè non ebbe finito di eiaculare ‘non farne cadere nemmeno una goccia: non vorrai che ci scoprano dalle tracce, vero?’
Ingoiai tutto, stupendomi del fatto che, in fondo, non avesse un cattivo sapore.
Alain Lafayette scese lungo il mio corpo e cominciò a leccarmi fra le gambe, lentamente ma con decisione: avvertii di nuovo il calore del piacere impossessarsi di me poi qualcosa mi esplose dentro come un sole che incendia di colpo tutto il cielo e urlai in preda a brividi che non riuscivo a fermare.
Avevo avuto il primo orgasmo della mia vita ed era stato devastante.-
Fissò évariste con intensità, e lesse sul suo viso eccitazione, desiderio, imbarazzo… curiosità morbosa…
Versò l’ultimo caffè a entrambi.
-mentre lui si rivestiva mi ripresi e il piacere lasciò spazio all’indignazione: quell’uomo mi aveva sverginata, mi aveva praticamente violentata, anche se in realtà, lo ammisi solo più tardi, la mia voglia aveva già raggiunto livelli preoccupanti: mi sentivo sporca, usata, ingannata.
‘Pagherete per quello che avete fatto! Mascalzone!’
Mi guardò stupito, notai un poco di imbarazzo nei suoi occhi, forse un ombra di pentimento: forse anche lui aveva ceduto ad un eccesso di desiderio accumulato in giorni e giorni.
‘ hai ragione, te lo sei meritato: sei meravigliosa, hai un corpo da impazzire e due occhi creati apposta per far perdere il senno agli uomini’
Tirò fuori un piccolo sacchetto di pelle morbida e ne prese un Luigi d’oro; me lo diede.
‘ecco tieni: credo che possa bastare’
Erano tutti i soldi del mondo: non vedevo una moneta d’oro da prima che andassero male le speculazioni di mio padre.
Per farla breve: divenni l’amante di Alain Lafayette.
Ogni volta mi insegnava qualche nuova ‘porcheria’ e sempre mi lasciava del denaro.
Io cominciai a comprare dei vestiti più belli, dei libri, il resto lo consegnavo a mia madre che non finiva più di ringraziarmi per la mia parsimonia, credeva infatti che quel denaro fosse frutto di rinunce e sacrificio di risparmio, e di ricordarmi quanto fortunata ero a lavorare presso i Lafayette così buoni e generosi.
Finchè la consuetudine ci fece abbassare la guardia: una sera madame Lafayette rientrò prima dal suo rosario per una lieve indisposizione, e scoprì il marito che mi stava penetrando appoggiata al trave del camino, insultandomi con termini irripetibili, mentre gemevo come una gatta in calore.
Ci fu un gran trambusto e mi ritrovai in strada la mattina dopo.
Per salvare le apparenze i Lafayette raccontarono a tutti che ero dovuta tornare da mia madre per una sua improvvisa malattia; io a mia madre raccontai che i Lafayette dovevano trasferirsi presso una loro villa nell’Ile de France per motivi di carriera forense del signor Alain.
Presi la corriera per Parigi.
Qui cominciai a frequentare gli atelier dei pittori di Montmartre, gli studenti della Sorbonne e piano piano cominciai a farmi notare nei caffè.
I pittori erano in contatto con i galleristi, questi con i loro clienti benestanti.
Gli studenti bene erano un modo per andare alle feste e conoscere gente: mi inventai un’identità fasulla: tutti credevano che fossi una rampolla appena rientrata dal Québèc in cerca di emozioni e di marito nella capitale…
Dovetti andare a letto gratis con svariati galleristi e con più d’uno studente, ma poi conobbi i loro clienti e i loro professori, i professionisti, uomini maturi e con buona disponibilità di tempo e di denaro.-
Si guardarono negli occhi.
-Perchè? Non potreste trovare un altro modo per vivere? Non potreste al limite… sposarvi con un uomo che possa provvedere a voi?-
Stéphanie sorrise.
– Quanto guadagnate col vostro lavoro évariste?-
– Beh… io… dipende… ecco… io-
– Ho capito. La scaramuccia di stanotte mi ha fruttato 150 franchi. Vi vedo sorpreso mio caro évariste…-
In effetti era più che sorpreso: spesso quella cifra non la vedeva in settimane, e in fondo anche la sua, per sopravvivere, era una sorta di prostituzione intellettuale.
Insegnante occasionale per alunni asini.
-150 franchi: e mi è piaciuto pure… il fatto è questo… mi piace ciò che faccio-
Gli si avvicinò pericolosamente.
-mi piace e mi permette di pagarmi la mia libertà. Voi fumate évariste ?-
– Si, a volte… ma non ho il vizio.-
– Se fosse un vizio sono certo che lo avreste évariste… se il peso della vostra matematica non basta ad impedirvi di godere del piacere altrui, non vedo come possa impedirvi di fumare. Attendete un attimo.-
S’alzò e aprì una piccola scatola di legno: ne uscì un sigaro più grosso e più lungo di quelli che era solito fumare.
La ragazza gli si avvicinò, mise un piede sol bracciolo della poltrona su cui évariste stava seduto e si sollevò le gonne sino a mostrare le calze di seta bianche, velatissime sopra una gamba perfetta, trattenute dai gancini del reggicalze.
-Questo viene da Cuba: si dice che i sigari cubani siano speciali, che debbano la loro speciale fragranza alla peculiare lavorazione cui li sottopongono le sigaraie dell’Avana…-
évariste era al parossismo, il cazzo di marmo nei pantaloni, la gola secca, gli occhi fuori dalle orbite.
Stéphanie cominciò a far rotolare il sigaro avanti e indietro sul lato interno della coscia là dove la calza lasciava spazio alla pelle chiara e calda.
Ogni volta lo tirava più in su, fino al limite dell’inguine…
-Le sigaraie di Cuba lo fanno per ore per arrotolare le foglie nel giusto modo, poi il maestro sigaraio annusa il sigaro…-
Lo pose sotto il naso di évariste che chiuse gli occhi, il cuore impazzito che gli sembrava di morire.
-… e giudica se è maturo per essere venduto…-
Riprese il sigaro, vi depose un bacio col rossetto di fragola; lo porse al giovane e lo accese.
Per un attimo furono avvolti entrambi dal fumo azzurrino.

CAP 3: ‘ La pazienza dell’acqua’

évariste era scappato da quella casa come uno che rischia una morte orribile, come uno che ha visto un fantasma…
Aveva sempre vissuto per la matematica, lui, bambino prodigio tanto precoce ed abile, con quel genio innato che gli faceva sembrare noia mortale qualunque spiegazione d’un maestro, un docente, un assistente che pretendeva di svelare la materia ad una velocità di diversi ordini di grandezza più bassa di quanto fosse la sua nel capire.
Solo la politica, almeno un po’, aveva trovato posto nel suo cuore accanto alla scienza algebrica.
Ma dovette confessare a sé stesso che la passione politica, che lo aveva portato sulle barricate, che gli aveva fatto conoscere anche la prigione, in fondo era più legata all’amicizia profonda con Auguste Chevalier che non a un reale suo interesse.
La ‘rapina’, parafrasando un detto popolare, l’avevano fatta insieme, ma lui s’era limitato ‘ a reggere il sacco’.
Sfortuna volle che, come sempre più veloce e più avanti degli altri, avesse osato troppo nel posto sbagliato e nel momento sbagliato: così s’era ritrovato in gattabuia senza quasi sapere chi dover ringraziare.
Auguste aveva smosso mari e monti ed alla fine era stato liberato dietro il pagamento di una grossa ammenda che, ancora adesso, gravava sulla sua dieta alimentare.
Aveva sempre fame, il ragazzo, e non solo di sapere.
Gli avevano rifiutato due volte l’ingresso alla prestigiosa école Polytechnique, lui che l’algebra l’aveva ‘dentro’…
Forse perchè non riusciva a comunicare quel ‘dentro’ a quanti stavano ‘fuori’, a quanti avevano una mente che, magari brillante, viaggiava comunque ad un’altra velocità.
Era stato così anche con Poisson: un mostro sacro della matematica…
Gli aveva inviato alcuni suoi lavori, alcune sue dimostrazioni, ma lui glieli aveva restituiti con una lettera che diceva così:
‘Egregio Signor Galois:
Vi ringrazio infinitamente per la fiducia che dimostrate avere nei miei confronti e per gli elogi del mio lavoro che voi mi avete, senza ombra di dubbio in maniera esagerata, rivolti nella vostra missiva.
E’ stata mia cura leggere attentamente le vostre dissertazioni che indicano senz’altro che voi siete un giovine pieno di talento che sicuramente potrà in futuro dare lustro alla scienza matematica e alla nostra Nazione: fa sempre piacere riscontrare come, a discapito dei tempi confusi nei quali vive la nostra bella Francia, esistano ancora giovani volenterosi che sanno appassionarsi al sapere puro, alla regina di tutte le scienze, la Matematica.
Fa piacere riscontrare che la nostra gioventù non pensa solo al divertimento ozioso e inconcludente dei caffè o al disordine delle barricate e del tumulto che, troppo spesso, si fa passare per passione politica.
Voi siete molto dotato, mio caro Galois: ve lo dice un uomo che ha dedicato molta parte della propria vita a quella stessa scienza che voi, con tanta passione e dedizione, coltivate.
Ho visto nelle aule menti che s’approcciavano alla matematica, all’algebra, al rigore del teorema, con meno della metà della vostra brillantezza e rapidità di intuizione.
Purtroppo però, ogni cosa in natura ha un suo corso: le noci raccolte all’inizio dell’estate non sono che gusci verdi che nulla hanno a che vedere con i deliziosi frutti che mangiamo secchi a Natale.
Chi raccoglie quelle noci acerbe non le mangerà quando saranno buone.
Così è per i vostri lavori, mio caro Galois: troppo acerbi, se pur lasciano intuire che forse siete sulla strada giusta e che, un domani forse, daranno frutti eccezionali.
Delle vostre dimostrazioni non si capisce che poco, la dissertazione è confusa e lascia aperti al dibattito dialettico troppi vuoti concettuali.
Non si possono affatto considerare soluzioni universalmente valide, per usare un’espressione a voi cara.
E’ con molto rammarico che mi vedo costretto a respingere i vostri lavori: con questo non intendo minimamente sminuire la vostra assoluta brillantezza e grande competenza.
Al contrario: vorrei che questo mio atto obbligato, che mi costa dispiacere, fosse da voi colto come uno stimolo ulteriore a migliorare e a perseguire come già la verità anche la chiarezza nel dimostrare ch’essa è assoluta.
Spero che questo non vi distolga assolutamente dai vostri propositi e che non venga meno in voi nemmeno un grano di quell’amore che dimostrate avere per la nostra nobile scienza: sarebbe un peccato imperdonabile per entrambi noi.
La matematica è la regina di un mondo perfetto, stabile, dove ogni cosa ha un suo posto nel rendere meraviglioso l’Universo che ci circonda di cui l’Uomo è il centro.
Ma proprio la sua perfezione richiede che chi si avvicina a Lei per svelarne i segreti più reconditi sia in grado di essere perfetto nell’esposizione e nella dimostrazione di quelle teorie che spingeranno più in là il nostro sguardo.
Per fare questo, mio caro Galois, è necessario possedere intuito, e voi l’avete.
E’ necessario possedere una mente veloce e brillante, e voi avete anche questo.
Poi servono il rigore e la chiarezza: e di quest’ultime virtù, non me ne vogliate, difettate un po’.
Ma non è questo motivo per abbattersi: solo vi serve, mio buon amico, un po’ di pazienza in più.
Vi serve quella pazienza che permette ad una goccia di battere sempre sulla stessa roccia, fino a tagliarla.
Essa è frutto dell’impegno, del caso anche, ma soprattutto della profusione delle proprie energie per il tempo necessario.
Quella che serve, è la pazienza dell’acqua: goccia a goccia ha scavato gole impressionanti che ci lasciano senza fiato.
Così, sarà anche per voi: non abbiate fretta, ricordate che si dice che anche un cammello può passare per la cruna di un ago purchè ciò avvenga un pelo alla volta.
Non siate impaziente, non bruciatevi nell’oggi: vedrete che il tempo vi farà raggiungere quegli obiettivi mirabili che vi attendono e che sicuramente meritate.
Con immutata stima,vostro.
Siméon-Denis Poisson. ‘
La teneva in un cassetto dello scrittoio, quella lettera: nello stesso cassetto c’era il mozzicone di quel sigaro.
Era scappato da quella casa come in preda al demonio prima che Stéphanie potesse tentare di fermarlo, s’era poi barricato nel suo sottotetto in preda a qualcosa che nemmeno lui sapeva descrivere, il sudore, l’ansia e l’affanno, la fatica di respirare, la debolezza esacerbata dalle molte forti emozioni, dalla sbornia della notte prima, dall’eccesso di alcool di fumo e di caffè.
Non s’era nemmeno reso conto d’avere il sigaro ancora in bocca: furono gli occhi avvolti dal fumo, il loro bruciore a ricordarglielo.
Egli lo fumò come fosse l’ultima sigaretta davanti al plotone d’esecuzione, con boccate rabbiose che gl’invadevano i polmoni e gli ardevano la gola.
Tossì violentemente, la testa gli girò, anche perchè era quasi una giornata intera che non mangiava, se non qualche biscotto a casa della ragazza; cadde sul letto.
Gli girò tutto intorno: con gli occhi chiusi, la sua mente vide mille specchi che volavano in un cielo nero di cristallo e su quei frammenti di vetro vedeva le gambe candide di Séphanie, vedeva il momento in cui l’uomo l’aveva innaffiata del suo sperma, per ultimo veniva quella luce di ghiaccio che gli penetrava fin dentro il profondo delle sue emozioni, e le scavava… con la pazienza dell’acqua…
Riavutosi da tutto ciò decise di concentrarsi solo sul suo lavoro: trovò la forza di terminare il ciclo di lezioni che ancora dove impartire, incassò i pochi franchi che gli erano dovuti e con quelli fece provviste.
Poi si barricò nel suo loculo.
Lavorò come una bestia per giorni, da mane a sera, con un impegno che non aveva precedenti: gli sembrava che tutto stesse tornando alla normalità.
Ma alla sera, una forza invisibile lo faceva alzare e lo conduceva alla finestra: quasi tutte le sere vedeva Stéphanie uscire in carrozza vestita da sera.
Sempre elegante, bellissima: sempre guardava verso di lui come se sapesse che la stava guardando.
Per un attimo si sentiva trafiggere da mille chiodi, poi si calmava e riprendeva a lavorare senza sosta fino, spesso, a notte fonda.

Aprile portò con sé il tepore e la fine dell’isolamento di évariste…
Aveva fatto uno sforzo immane per rendere presentabile ciò che Poisson aveva rifiutato, si decise dunque a chiedere consiglio…
Il suo vecchio insegnante Emile Richard l’aveva ricevuto a casa sua e gli aveva offerto un tè e del tabacco: avevano parlato dei vecchi tempi del collegio …
-Non sei venuto qui solo per parlarmi dei tuoi vecchi compagni di scuola, vero évariste?-
évariste arrossì visibilmente…
– Ehmmm… no, in effetti… no Signor Richard. Volevo un suo parere sulla chiarezza di queste esposizioni: sono il frutto di quasi un mese di lavoro e…-
Richard gli prese i fogli dalle mani e senza dire nulla li lesse tutti d’un fiato:
– Dovrei dedicargli un po’ più di attenzione, mio caro évariste, ma già così, se pur abbastanza chiare ed elaborate, queste dimostrazioni appaiono attaccabili almeno in questo punto-
Gli mostrò un passaggio della dissertazione.
Il ragazzo sapeva bene che quello era la chiave di volta: gli sembrava di aver trovato la via per dimostrare il teorema in maniera inopinabile, ma in effetti non ne era tanto convinto nemmeno lui.
Se Emile Richard ci aveva messo un quindicina di minuti di lettura a trovare quel buco, Poisson ci avrebbe messo quindici secondi.
L’insegnante lesse lo sconforto negli occhi del suo ex alievo:
-non ti abbattere, magari poi mi sono sbagliato io: lasciami qui questi fogli, li rileggerò con calma e proverò a dimostrare per assurdo, magari hai ragione tu-
Sapevano tutti e due che non era così: Richard era molto gentile col suo pupillo, ma évariste era troppo intelligente per non cogliere nel gesto del suo ex professore un goffo tentativo di consolazione.
-si certo, ve li lascerò volentieri Signor Richard: io possiedo le brutte copie di quel lavoro-
-Ottimo, ragazzo mio! Perchè non ti fermi a cena da noi? A me e Marie farebbe veramente piacere-
– ma io… non saprei… non voglio disturbarvi…-
– ma quale disturbo? Non disturbi affatto, ragazzo mio, su non fare complimenti.-
Finì per accettare.
Bevvero un pastis, poi cenarono con crema d’asparagi e fagiano innaffiato da ottimo Bordeaux.
Alla fine tirarono tardi nello studio di Richard bevendo del cognac del 1783: una rarità che il professore era solito omaggiare agli ospiti importanti.
Quando si congedò dall’insegnante, évariste era decisamente più di buon umore, un po’ per il vino, un po’ per l’ottima cena, che non gli capitava spesso, e sicuramente anche per l’ottimo cognac di Luigi XVI che ancora gli lasciava un piacevole retrogusto di botti di rovere di Slavonia.
Era già buio, Parigi fioriva di lampioni come di giorno dei petali dei fiori di primavera che cominciavano ad ingentilire le piante.
Era tardi, molto tardi: entrò nel palazzo e salì le scale.
Si fermò un attimo davanti alla porta di Stéphanie, vi poggiò l’orecchio con la paura e la voglia di sentirla ancora pronunciare parole sconnesse come quella sera che l’aveva scoperta con quell’uomo.
Non sentì nulla.
La sua mano si poggiò sulla maniglia della porta , la spinse verso il basso; la porta si aprì dolcemente.
Sentì il suo cuore aumentare il battito, cominciarono a sudargli i palmi delle mani, sentì che faceva fatica a deglutire.
Prese in mano il suo coraggio ed entrò lasciando un poco la porta aperta: dentro, il corridoio era completamente buio, solo una lama di luce fioca entrava dallo spiraglio che aveva lasciato all’ingresso.
Fece qualche passo lungo il corridoio.
In un attimo di lucidità si trovò a chiedersi ‘e se mi scopre cosa faccio?’, era chiaro infatti che difficilmente la ragazza poteva essere uscita lasciando aperta la porta d’ingresso al suo appartamento.
Man mano che avanzava sentiva che il silenzio lasciava posto a dei suoni deboli e bassi.
Avanzò ancora, fino quasi alla porta del salottino dove avevano bevuto il caffè.
La sua vista s’era ormai abituata al buio e potè quindi guardare verso la sala degli specchi.
Stéphanie era sdraiata sul divano con la testa su uno dei braccioli.
Un uomo dall’apparente età di circa 50 anni era in piedi davanti al bracciolo e le affondava in bocca il cazzo.
Il membro doveva essere abbastanza grosso perchè la ragazza faceva fatica a contenerlo tutto, ma abbastanza corto perche lo ingoiava fino quasi alla radice.
Con una mano accarezzava le palle dell’uomo e con l’altra si aiutava nella pompa.
Andava su e giù con la testa succhiando e leccando.
-Uhmmm.umm..glu,glu.ummm-
Mugugnava senza mai fare uscire quel cazzo dalla bocca.
évariste cominciò a sbottonarsi i pantaloni …
La poca luce si doveva al fatto che la lanterna era parzialmente coperta da uno scialle rosa che dava a tutta la scena l’aspetto di un ritratto in seppia.
Il ragazzo si prese il membro e cominciò a farvi scivolare sopra la mano…
Si spostò però un po’ più avanti per poter vedere meglio e gli si mozzò il respiro: un altro uomo era sul divano, in ginocchio fra le gambe di Stéphanie.
Le aveva alzato le natiche e la stava penetrando con vigore emettendo qualche grugnito.
Quest’altro uomo era molto più giovane del primo, forse sui 35 anni, e quando la impalava fino in fondo faceva si che la ragazza inarcasse la schiena stringendo di più il cazzo che stava succhiando.
-dai, dai, continua, continua a succhiare, dai piccola troia, mio dio, mai incontrata una puttana come te, dai zoccola, succhia, succhia, tienilo in bocca, tienilo che ti riempio-
-ummmm-
Dicendo così la scopava in bocca e le tratteneva la testa per evitare che la ragazza potesse fare uscire il suo sesso.
-lo senti dentro, lo senti bel troione? Scommetto che ci godi vero?-
L’altro la stava sbattendo forte e Stéphanie si sentiva piena e posseduta da quei due maschi che se la stavano godendo ferocemente.
évariste aveva il cazzo durissimo , gli occhi spalancati come se aprirli di più significasse vedere altre meraviglie proibite, era fradicio di sudore…
L’uomo sul divano spinse fino in fondo con potenza e contemporaneamente infilò un dito nella figa di Stéphanie toccandole il clitoride già congestionato.
-ahhh!-
La ragazza mollò il cazzo che aveva in bocca e cacciò un grido e spostandosi per riprendere il pompino lo vide:
Vide évariste che si stava masturbando furiosamente quasi in trans, gli occhi socchiusi, perso in un suo mondo avulso dal luogo nel quale si trovavano.
Lui, abbassò un poco il capo e spalancò gli occhi e vide che Stéphanie lo stava guardando dritto in faccia.
Lei abbozzò un sorriso, e lo fissò intensamente: si divincolò quel tanto che bastava per guadagnare qualche centimetro sul divano, sfuggendo al dito del suo chiavatore.
Si ricacciò il cazzo in bocca ed inarcando un poco il capo e la schiena riuscì a guardare negli occhi évariste.
L’uomo sul divano le rimise il dito dentro, Stéphanie chiuse un attimo gli occhi, solo una frazione di secondo per poi tornare a bruciare con la sua luce azzurra il povero ragazzo spettatore.
A quel punto con la mano destra afferrò saldamente il cazzo che aveva in bocca e fatta passare la mano sinistra sotto alle palle dell’uomo gli ficcò un dito in culo senza tanti complimenti.
-ahi, puttaananaaa , ahhhh vengoooo……..-
L’uomo s’inarcò e riversò nella gola di Stéphanie un fiume vischioso e bollente.
A questo punto l’altro non ce la fece più e la riempì sussultando.
Mentre la sborra le schizzava in gola, Stéphanie non distolse nemmeno per una frazione d’istante lo sguardo dagli occhi di évariste che sentì in quel preciso istante riempirsi la mano di liquido caldo.
A quel punto successe una cosa che fece perdere ad évariste quel poco di senno che ancora possedeva…
Il più anziano dei due fece alzare Stèphanie e si sdraiò sul divano, la fece mettere a cavalcioni sulla sua bocca e cominciò a leccarle la figa.
Stéphanie era in delirio, e gemeva senza alcun ritegno.
Quello che l’aveva scopata le mise il cazzo in bocca per farselo ripulire accuratamente, poi, ormai moscio, lo tirò via.
Dopo qualche minuto Stéphanie sentì un’esplosione dentro di lei come d’un cristallo frantumato in minutissime schegge da un suono ultrapotente e venne in un orgasmo indicibile nella bocca dell’uomo che aveva sotto di sé.
S’accasciò in fine sul divano sfiancata dal piacere.
évariste era caduto in ginocchio venendo per la terza volta ormai sfinito anche lui e tremante.
-accidenti,Roger, mai fatta una scopata così, nevvero?-
– già Bernard, te lo dicevo che questa ragazza è la migliore puttana di Parigi! Le piace veramente-
-Sono felice che vi sia piaciuto signori, quando vorrete, sarà un onore avervi ancora come miei graditi ospiti-
Disse ‘ospiti’ con gli occhi tanto pieni di malizia che quelli quasi avvamparono e se la sarebbero scopata di nuovo se solo fisicamente ne fossero stati in grado.
– 300 franchi, più questi, tienili come mancia: una come te vale più del denaro-
Due orecchini d’opale incastonata nell’oro…
– Grazie signori, sarò sempre qui, per servirvi.-
Lanciò un occhiata ad évariste, un’occhiata che significava ‘fuggi idiota prima che ti vedano’ .
Ma la successiva diceva ‘ti è piaciuto?’.
Il ragazzo di ricompose, uscì lentamente dall’appartamento e riguadagnò la sua stanza.
Aprì il cassetto dello scrittoio, prese il mozzicone di sigaro; lo passò su una guancia, lo passò sotto al naso, gli pareva di sentire ancora il profumo di fragola del rossetto di lei.
Gli occhi socchiusi.
Quando fece per riporlo s’avvide che nell’aprire il cassetto la lettera di Piosson s’era infilata fra le guide e gli impediva di richiuderla.
Estrasse in fine il cassetto, prese la carta la stirò con le mani per togliere le spiegazzature e, dentro una di queste lesse: ‘la pazienza dell’acqua’.

Cap 4: La rosa rossa

-Noli,obsecro, istum disturbare…-
Il viso di Auguste Chevalier comparve sorridente sulla porta dell’appartamento di évariste…
Questi alzò lo sguardo dai fogli che aveva di fronte e, forse per la prima volta da settimane, sorrise a sua volta:
– Guarda che stai sbagliando, mio caro Auguste, fra noi sei tu l’Archimede che cerca d’impedirmi l’assedio alla Siracusa della mia teoria dei campi, distraendomi-
– Devo quindi aspettarmi che mi pugnalerai con quel tuo coltellaccio repubblicano in vece di daga romana?-
Gli occhi castani di August sorridevano incorniciati da una chioma un po’ dendy color del grano.
– Che ci fai qui Auguste? Sto annegando nelle difficoltà della logica matematica mon cher ami-…
‘ fossero quelle le vere difficoltà fra le quali sto affogando…’ pensò évariste…
– Vedo… ancora non sei arrivato alla fine?-
Questa volta il sorriso di évariste sparì dietro un’ombra, come quando capita che una nube passeggera oscuri un sole d’estate durante un pic nic.
– Purtroppo no. C’è qualcosa che mi sfugge… So che la mia teoria è giusta, ma ogni volta che cerco una via per dimostrarlo, qualcosa sfugge alla univocità del procedimento, quasi che una forza maligna mi voglia impedire di giungere al termine di questa odissea-
Auguste guardò l’amico in modo serio, preoccupato, annuì in silenzio poi:
– Che ti ha detto Richard? L’ho incontrato qualche giorno fa, anch’egli non ti vede da settimane, e mi ha detto che sei stato da lui: ci sono novità?-
évariste avrebbe voluto rispondere che si, c’erano novità, ma non del genere che si spettavano August e il signor Richard: la principale delle quali era che un veleno letale gli stava penetrando fin dentro l’anima.
Stéphanie e i suoi amanti stavano diventando una droga che lo consumava come la morfina.
Dopo quella notte in cui lei lo aveva visto e gli aveva, per così dire, ‘dedicato’ la sua performance, ce n’erano state altre…
Capitava spesso che il giovane, a tarda ora, stesse sull’uscio aperto a sentirla entrare: allora scendeva le scale, apriva lentamente la porta al primo piano, avanzava sino al salottino…
Stéphanie sapeva che lui sarebbe venuto ad assistere allo spettacolo: faceva in modo di mettersi in qualche punto che gli permettesse di vederla riflessa negli specchi…
Faceva in modo di fissarlo da quegli specchi…
E come la morfina lo lasciava prostrato, sfinito, febbricitante e… in astinenza.
Il gioco si faceva ogni giorno più pericoloso, il baratro sotto ai piedi del giovane matematico di Bourg la Reine si allargava, sprofondava sempre di più.
Ad Auguste stava dicendo la verità, era incapace di mentirgli, ma quello che non gli diceva era che quella ‘forza maligna’ aveva le sembianze degli amanti di Stéphanie che un po’ di loro spontanea volontà, un po’ perchè perversamente indotti dalla ragazza si esibivano davanti ai suoi occhi in un tale repertorio di sesso bollente e scandaloso da incendiargli i sentimenti, bruciargli la mente, frantumargli ogni convinzione accumulata fin qui nella sua vita.
– Non è cosa mi ha detto, il problema, è cosa non mi ha detto: non mi ha detto le parolacce che mi direbbe Poisson se scoprisse tutti i buchi concettuali che ci sono nella mia dimostrazione. E, credimi Auguste, ci metterebbe meno di un minuto ad accorgersene. Richard è gentilissimo, non ha voluto mettermi al palo, ma ne avrebbe avuto ben donde.-
Ancora una volta August annuì pensieroso…
– Senti, évariste, sai che facciamo? Scendiamo, fermiamo una carrozza e ci facciamo portare al Luxenbourg: facciamo una passeggiata, ci beviamo un caffè, guardiamo le signore che passeggiano sui viali del Quartiere Latino… Che te ne pare?-
évariste avrebbe voluto rifiutare, dire che no non poteva farlo, che aveva quel lavoro immane da finire… ma… non se la sentì…
Ormai era maggio, la primavera era ormai accenno d’estate, Parigi era di una bellezza senza pari ‘quasi senza pari’ pensò…
-Si, in fondo credo che tu abbia ragione… andiamo: male non mi farà, e non credo che qualche ora di svago possa inficiare il lavoro di mesi.-
-ben detto vecchio mio! Forza, renditi presentabile e usciamo!-
Mentre évariste si stava radendo la barba, più per curiosità che per altro, Auguste diede una sbirciata ai fogli su cui l’amico stava scrivendo e…
I fogli erano raccolti in due risme: sulla sinistra una pila di fogli perfettamente compilati, ordinatamente ed elegantemente, sulla destra un groviglio di fogli pieni di cancellature, scarabocchi, scrittura contorta, note a margine.
E fra le note a margine, con frequenza… Stéphanie…
Aguste attese l’amico e non gli chiese nulla, scesero in strada,fermarono una carrozza e si fecero portare ai giardini del Lussemburgo.
Passeggiarono per i vialetti circondati da aiuole fiorite sotto un sole ormai caldo e accogliente che sembrava rovesciare sulla Terra cascate di stelle accese come monachelle di falò.
Parlarono un po’ di politica, ricordarono episodi ed amici comuni, risero e scherzarono; si fermarono poi in un caffè vicino al Pantheon.
Stavano sorseggiando il caffè nero e bollente quando, silenziosa come un’ombra e bella come la luce gli comparve davanti:
– Buongiorno signor Galois, avete deciso di concedervi un po’ di distrazione diurna da quella vostra terribile matematica?-
Gli andò di traverso il caffè: Stéphanie aveva pronunciato ‘diurna’ con una malizia evidente.
O così gli era parso.
Auguste depose la tazza sul tavolino rotondo con una lentezza esasperante, come di uno che ha paura di sollevare della polvere con un movimento brusco.
Aveva di fronte la donna più bella che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita ‘ e ne aveva conosciute ben più di évariste-: un vestito estivo bianco a righine blu, un cappellino anch’esso bianco con dei fiori di campo inseriti nella fascia azzurro chiaro.
I capelli di miele raccolti a chignon, ai piedi delle scarpe un po’ scollate bianche, portate senza calze ‘ come in uso in Gran Bretagna-.
Riuscì a staccarle lo sguardo da dosso e vide che il suo caro amico d’infanzia, uno che non aveva esitato a sfidare le fucilate sulle barricate, aveva gli occhi sbarrati di chi ha visto un fantasma.
Peggio: un fantasma che cerca proprio te.
-Mio caro évariste, non hai intenzione di presentarmi questa signorina?-
-ecco si, io… certamente, lei è, cioè, la signorina è…-
– Mi chiamo Stéphanie, Stéphanie Poterin du Motel, signor?-
-Auguste Chevalier, amico di questo maleducato che risponde al nome di…-
– Si, lo conosco bene il vostro amico: siete anche voi uno scienziato?-
Auguste rise:
– No, che Iddio me ne scampi! No, io sono un commerciante di lana, a tempo perso, poeta e musicista. Per servirvi.-
– -Ummm, musicista e poeta: non me ne avete mai parlato prima évariste.-
Il volto in fiamme, rosso come una rosa di maggio…
-ecco… non è mai capitata l’occasione…-
-Già… è stato un piacere fare la vostra conoscenza signor Chevalier… mi dovete scusare ma ora devo andare, magari ci rivedremo… come vanno gli affari con la lana?-
Auguste restò un po’ stupito: mai nessuna ragazza s’era mai interessata nè al suo lavoro nè a come andassero i suoi affari…
-bene, i prezzi salgono ci sono buoni margini… diciamo che non posso proprio lamentarmi-
Completò il concetto con un gran sorriso.
évariste, invece, era diventato da rosso a terreo, avendo ben intuito le ragioni dell’interesse di Stéphanie per il mercato della lana…
-ottimo, sono felice per Voi signor…-
– Chiamatemi Auguste, vi prego, gli amici di évariste sono miei amici incondizionatamente-
Gli occhi della ragazza si strinsero in un sorriso di zaffiro liquido.
– Va bene… Auguste: magari ci rivedremo. Ora devo proprio andare-
Furono scambiati i saluti; i due terminarono il caffè poi presero una carrozza: évariste non proferì parola per tutto il viaggio, gli occhi persi fra le strade di Parigi.
Giunti sul portone…
– E’ lei, non è vero?-
– E’ lei chi?-
– évariste, évariste… Anche tu, Bruto, figlio mio… Hai capito benissimo di cosa sto parlando: è lei la donna che ti ha fatto perdere la testa, vero? Perchè tu la testa l’hai persa mio caro, si vede lontano un miglio.-
-Non ho perso proprio niente: è solo la ragazza che vive al primo piano: l’ho aiutata con la valigia un paio di mesi fa e abbiamo parlato per qualche minuto un paio di volte, niente di più-
Auguste, ovviamente, non si era bevuto questa semplice spiegazione, ma fece finta di crederci:
– Va bene évariste… diciamo che è così. Peccato.-
– Perchè peccato? ‘
– Perchè sarebbe preferibile se la tua dimostrazione non ti uscisse dal cervello perchè pieno di quella ragazza… piuttosto che perchè vuoto d’ingegno.-
évariste avrebbe voluto replicare con qualcosa di sensato, ma dovette ammettere che l’amico aveva ragione.
Si augurò di non dover essere costretto a vedere Auguste nella sala degli specchi di Stéphanie: sarebbe finito diritto all’ospedale dei matti…
Si salutarono; évariste vide una fioraia all’angolo della via, la raggiunse e comprò una piccola rosa rossa.
Salendo in casa la depose di fronte alla porta di Stéphanie.

Erano passati un paio di giorni dalla passeggiata con Auguste, évariste aveva dovuto tenere una lezione sulle equazioni di terzo grado ad un giovane rampollo di buona famiglia di Neully.
Era uscito presto e presa la corriera aveva attraversato la campagna dell’Ile de France fino alla piccola cittadina fiorita sulla Senna.
Quando era finalmente tornato a casa era già il tramonto: i tetti di Parigi erano fuochi di rame e le finestre d’oro, come fondali di dipinti sacri medievali.
Entrò, salì in casa e trovò ad attenderlo una busta infilata sotto la porta.
La prese; l’aprì: una lettera profumata di fragola, un bacio al rossetto di fianco alla firma:
‘ Mio caro évariste, volevo ringraziarvi per la bellissima rosa rossa… sappiamo entrambi che significato ha: ne siete cosciente ?
Voi forse non vi rendete conto di quale sia la posta di questo gioco che state pericolosamente giocando con me: credo che sia venuto il momento che voi capiate, che guardiate fino in fondo al pozzo oscuro nel quale avete tentato di calarvi, ma solo in parte, appeso alla corda, vicino al naspo, le mani ben salde per non precipitare. A questo punto, dovete scendere fino in fondo al pozzo, dovete toccare l’acqua scura di cui, fino a poco tempo fa non vedevate che il riflesso della Luna che vi si specchiava.
Basta finzione, vi aspetto stasera un’ora dopo il tramonto: la porta sarà aperta, entrate, seguite il profumo e mi troverete.
Vostra,
Stéphanie ‘

Capitolo 5: L’ incenso di Giava

évariste lesse il biglietto con il cuore in gola e le gambe tremanti, si trovò ad annusare il foglio per inebriarsi della fragranza di fragola.
Lesse e rilesse quel messaggio un’infinità di volte, ripiegandolo ogni volta e riponendolo in tasca, ma ogni volta tornado a riprenderlo in mano.
Era come instupidito, incapace di concentrarsi su qualsiasi altra cosa che non fosse quella ragazza.
S’immaginava il momento dell’appuntamento, la vedeva aprire la porta e…
E cosa?
In fondo ne aveva anche paura, così bella, così giovane e maledettamente pericolosa.
Arrivò il tramonto: le finestre si fecero dorate, la mansarda nella quale stava évariste fu inondata di luce calda e ramata che scherzava sul tavolo da lavoro con i segni neri della china.
Si lavò, si vestì nel modo più elegante che potè e stette in attesa che arrivasse il momento tanto desiderato e temuto.
Gli ultimi minuti furono una tortura: davanti alla finestra, aspettando che il Sole scendesse finalmente dietro l’orizzonte della città e cominciassero le ombre.
Finalmente arrivò il crepuscolo…
Si staccò dalla finestra, prese il foglio del messaggio e lo rilesse per l’ultima volta, per l’ultima volta ne aspirò la fragranza di fragola, si accese un sigaro per farsi coraggio;deglutì a fatica; uscì.
-Buonasera signor Galois-
Il giovane fu riportato nel mondo reale dalla voce di una vecchia signora.
– Ah, scusatemi, Signora Moliere, ero soprapensiero. Buonasera: tutto bene? Aveva per caso bisogno di me?-
– No, no niente. Solo che vi si vede uscire così di rado che ero un po’ preoccupata, ecco.
Secondo me lavorate troppo e dormite troppo poco mio caro ragazzo-
‘Già, e se sapesse il perchè dormo così poco le verrebbe un colpo al cuore’
– No signora, non dovete preoccuparvi di me, va tutto bene. Ora, se permettete…-
– Vedo che state uscendo: divertitevi signor Galois, voi che siete così giovane non dovete stare sempre qui fra quelle quattro mura!-
Si salutarono: évariste attese che la porta della signora fosse chiusa a chiave e discese le rampe di scale che gli mancavano.
La porta di Stéphanie era aperta: entrò.
L’interno della casa era in penombra, non c’erano candele o lampade accese, solo la luce del crepuscolo entrava dalle numerose finestre dei vari locali.
C’era un profumo intenso, vagamente orientale: avrebbe detto incenso misto a cannella e a benzoino…
Benzoino… che gli arabi chiamavano Luban Giavyy: incenso di Giava.
E come un incenso aiutava nell’estasi… ma dei sensi.
Seguì quel profumo nel corridoio, poi nella sala degli specchi.
Finalmente in una sala da bagno illuminata da candele profumate, dei bastoncini d’incenso indiano fumigavano in un angolo.
Una grossa vasca da bagno era ricolma d’acqua calda che aveva reso l’ambiente tiepido ed umido.
Sulla superficie dell’acqua petali di rosa rossa.
évariste si trovò con gli occhi persi nella vasca, passò un tempo che gli parve infinito a fissare i petali rossi galleggiare sull’acqua calda, il fumo dell’incenso gli invadeva le narici, gli entrava nei sensi.
Si sedette su di uno sgabello da bagno che stava davanti ad uno specchio da toilette, finì il sigaro, la testa cominciava a girargli per il caldo umido, per il tabacco fumato troppo in fretta, per l’incenso dall’aroma pungente.
-Siete arrivato, évariste: temevo che non sareste venuto.-
Stéphanie era all’ingresso della stanza da bagno, indossava un kimono giapponese bianco con la cintura e le bordature rosa pastello.
Il kimono le giungeva a metà fra il ginocchio e la caviglia, ai piedi un paio di scarpette rosso ciliegia col tacco alto mezza spanna.
Non riusciva a staccare gli occhi da lei, ma si sentiva incapace di parlare.
La ragazza non disse niente di più, si avvicinò a lui, si lasciò cadere il kimono dalle spalle: sotto era completamente nuda.
évariste l’aveva vista nuda altre volte, ma mai così da vicino: gli sarebbe bastato allungare di poco la mano per toccarla…ma non lo fece quasi che se avesse sfiorato quella pelle lei sarebbe svanita come fumo nel vento.
Restò a guardare il kimono a terra, e risalendo lungo le scarpe rosse, le caviglie perfette di Stéphanie, le sue gambe bellissime, il corpo perfettamente modellato da un misto di fortuna, attenzioni e gioventù,il seno sodo coi capezzoli piccoli color nocciolo di pesca.
Gli occhi accesi di fiamme blu.
-bello vero? Me lo ha regalato un capitano di nave mercantile di ritorno dal Giappone-
-belli…ssimo-
Balbettò évariste.
La ragazza si sedette sul bordo della vasca e allungò una gamba:
– Volete autarmi a sfilarle?
– Ma…ma certo-
évariste le prese dolcemente la gamba sostenendola alla caviglia, sentì quanto fosse liscia e setosa quella pelle; sfilò lentamente la scarpa, fece altrettanto con l’altra gamba.
-tenetemele voi, non vorrei che si bagnassero-
Non trovando il coraggio di deporle, évariste se le mise sulle ginocchia.
Il cuore gli batteva ad una velocità pazzesca, la testa girava sempre più, sentiva la pressione del suo sangue pulsargli nelle tempie ad ogni istante.
Stéphanie entrò nella vasca:l’acqua la lasciava scoperta dai capezzoli in su.
-Quasi ogni sera voi scendete da me per vedere ciò che faccio… ciò che mi fanno. Ammetto che la cosa, se al principio mi incuriosiva, ha finito per intrigarmi. Nella speranza di vedervi comparire sulla soglia ho aumentato il ritmo degli incontri: sono arrivata anche a fare qualche sconto pur di avere sempre uno o più cavalieri disposti a lasciarsi andare alle peggio porcherie per farvi avere uno spettacolo interessante-
Lo fissò negli occhi con uno sguardo profondamente indagatore e terribilmente luminoso.
évariste non fece in tempo ad evitarlo e si sentì attraversare da parte a parte.
-io non so come sia successo… quella sera… ho trovato la porta aperta… non so come sia successo… sono entrato e…-
Lei continuava a fissarlo e a bruciarlo con le sue fiamme blu.
-perchè lo fate?-
-Perchè faccio cosa, mio caro évariste? Non ne abbiamo già parlato una volta ?-
évariste distolse gli occhi da quelli della ragazza, studiò per alcuni attimi le sue scarpette rosse poi…
-perchè lo fate? Per il denaro? Perchè non avete più chiuso la porta? Perchè avete iniziato questo gioco? Per me, invece, non è più un gioco.-
Aveva ripreso a fissare quelle luci blu nella vasca da bagno.
– évariste… évariste… voi non vi rendete conto. Voi avete troppe certezze, o almeno dimostravate di averne. Credete che tutte le donne che fanno questo mestiere siano delle povere derelitte che non hanno possibilità in questo mondo crudele, ma vi sbagliate.
Io ho iniziato per denaro, ma poi è subentrato il piacere.
Il piacere fisico, senza dubbio: provo piaceri proibiti a tutte le cosiddette donne per bene, a tutte quelle madri e mogli che in vita loro hanno provato l’orgasmo meno volte di quante ne capitino a me in una sera.
E il piacere del potere.
Voi siete istruito évariste, molto, conoscete sicuramente il ruolo che le prostitute avevano nell’antica Grecia: erano le uniche donne colte e dotate di istruzione e gli uomini potenti amavano circondarsi della loro compagnia.
Non era solo sesso.
Non è solo sesso.
Io do ai miei amanti il piacere di godere del mio corpo… e della mia mente.
Sono colta, istruita, raffinata, educata… bella anche…
Posso accompagnarli all’opera senza che facciano brutte figure, incontrassero anche il re in persona, credetemi che è già capitato, e poi diventare perversa più d’ogni loro più recondita fantasia.
Faccio e mi faccio fare cose che non confesserebbero nemmeno davanti a Dio in punto di morte.
Qualunque cosa accada, non mi scorderanno mai.
Probabilmente sono nata così: non fosse stato Alain Lafayette sarebbe stato qualcun altro ad estrarre da me questa mia anima nera.
E non crediate, évariste, che sia io a far nascere negli uomini i più torbidi desideri: voi non avete idea di cosa si può trovare dentro la mente d’un uomo.
Ci sono irreprensibili padri di famiglia, gli stessi che tengono le figlie barricate in casa, che mi possiedono in tutti i modi insultandomi con epiteti di cui voi nemmeno conoscete l’esistenza.
E uomini di potere, abituati a far tremare tutti con il solo sguardo, terrore delle loro famiglie e dei loro subalterni, che vengono a leccarmi i piedi, che mi implorano di batterli con il frustino del loro cavallo.
Questa è la mia libertà.
Non ne potrei mai fare a meno, non ne posso più fare a meno.
Il denaro? Certo è tanto, credetemi.
E più porci e depravati sono, più pagano anche per il mio silenzio.
La mia libertà, mio caro évariste, me la pago.-
évariste non aveva perso una sola parola della ragazza, incapace di fare altro che fissarla.
-capisco…-
-davvero capite? Ne siete sicuro?-
-non sono più sicuro di nulla Stéphanie. Da quando siete entrata nella mia vita non mi riesce di fare altro che pensare a voi e… e… a ciò che fate. Non riesco più a lavorare, non riesco a concentrarmi, non riesco a dormire, passo la giornata ad aspettare che usciate in carrozza per poi scendere da voi appena vi sento rientrare. Non riesco a non guardare.
Non riesco a non desiderare.
E tutto ciò mi sta sfiancando.
Perchè giocate con me in questo modo?-
Un sorriso.
-Ancora non ci siamo évariste. Io gioco? E in che modo, di grazia? Io faccio il mio lavoro, come voi il vostro. Voi piuttosto giocate con me… Desiderate? Io sono facile da avere, è solo una questione di denaro: sapete cosa sono e non avete mai provato a comprami. E pensare che vi avrei anche fatto un prezzo d’eccezione. Voi così gentile sempre.
Non avete mai tentato di comprarmi, e nemmeno di avermi in altro modo, ma bruciate come una candela accesa alle due estremità di desiderio e… ‘
-Non è solo desiderio… Stéphanie-
La ragazza lo fissò ancora per un tempo lunghissimo le labbra semiaperte come se fosse stata sul punto di replicare.
La vide deglutire poi lei si alzò dalla vasca da bagno, fino a sovrastare il bordo.
-Venite qui…-
évariste fece per alzarsi dallo sgabello, le mani della ragazza lo ghermirono e lo trascinarono verso la vasca.
Cercò di opporre resistenza, gli caddero le scarpette rosse, si sbilanciò e per non cadere con la faccia nell’acqua fu costretto a spostare bruscamente la gamba sinistra che terminò nella vasca.
Si trovava così con le gambe divaricate, una immersa nella vasca fino al ginocchio l’altra all’asciutto, le mani appoggiate al muro alle spalle di Stéphanie per non cadere.
Stéphanie, con un braccio gli avvinghiava la gamba che stava nella vasca, con la mano sinistra gli sbottonò i pantaloni.
Quando sentì la mano bagnata e calda entrare nelle mutande évariste sentì un brivido passargli sulla spina dorsale ed infilarsi nella nuca.
La ragazza estrasse un membro già duro, ma massaggiò i testicoli un po’ e facendo un po’ di sforzo riuscì d estrarli un poco.
Cominciò a leccarli voluttuosamente, mentre con la mano sinistra carezzava e massaggiava la punta di quel cazzo così dritto , non grossissimo, e sensibile.
Leccava con tutta la lingua, évariste non potè fare a meno di notare che Stéphanie aveva una lingua lunghissima, calda, umida e sapiente.
Andò avanti così per lunghi minuti, poi la lingua si spostò lungo l’asta, delicatamente, sempre più in su.
Il giovane vedeva quella lingua arrivare a sfiorare la punta, il frenulo così sensibile e già congestionato e gli si mozzava il fiato ogni volta, ma ogni volta la ragazza tornava giù torturandolo.
La tortura continuò ancora per molti minuti: évariste sospirava, la nebbia dei sensi cominciava ad avvolgerlo .
Finalmente lei lo prese in bocca.
Quando la bocca di Stéphanie lo accolse, évariste sentì una scossa fortissima, poi un piacere sottile ma intensissimo, lento ma indicibile si infiltrava dentro di lui diramandosi in ogni sua fibra.
Stéphanie lasciò andare la presa e spostate le mani dietro la schiena cominciò un pompino intenso e appassionato.
-Uhmmm-uhmmm,glu.glu-chump, uhmmm-
Mugugnava, succhiava avidamente, andava su e giù con la testa, leccava la punta e turbinava la lingua sul glande per strappare ad évariste rantoli di piacere.
Lo portava al limite dell’orgasmo, poi cambiava stimolazione e ritmo per non farlo venire
-Noooo! Ti prego! Noooo! Continua così noooo…-
Lo portò proprio al limite e se lo fece uscire di bocca.
-Nooooo!tienilo! tienilo! Non farlo uscire noooo!-
Ebbe pietà: affondò la testa alcune volte vigorosamente poi strinse la punta dell’uccello fra la sua lingua e il palato, succhiò forte e sentì i fiotti di sborra calda riempirle la bocca.
évariste si sentì esplodere in pezzi minutissimi, sentì tutti i muscoli contrarsi in uno spasmo.
E urlò.
-ahhhhhhghhhhhh-
Era ancora scosso dall’orgasmo devastante che sentì la ragazza riprendere a succhiare.
Andava su e giù con la testa come un’indemoniata, ma questa volta usava anche la mano destra con la quale masturbava il membro di évariste, la mano sinistra a stringergli le palle.
évariste non connetteva più, era ormai perso in una nebbia fitta di piacere torbido e totale.
Qualche minuto dopo sentì ancora gli spasmi della muscolatura e riversò nella bocca di Stéphanie un altro carico di sperma.
Lei lo lasciò andare, lui barcollò e finì seduto a gambe larghe sullo sgabello, l’uccello ancora fuori dai calzoni che si stava definitivamente smosciando.
Lei lo fissò negli occhi con lo sguardo di un predatore che sta sferrando il colpo finale alla sua preda: aprì la bocca e mostrò quanto fosse piena di crema bianca e di colpo, senza smettere di fissarlo negli occhi, inghiottì.
évariste sentì la gola serrarsi a tal punto che nemmeno l’aria avrebbe potuto entrarvi.
-Questo è il perchè lo faccio, évariste: qualunque cosa vi donerà mai la vostra matematica voi non mi dimenticherete mai.-
Facendo così allungò il piede destro verso évariste: lui dischiuse le labbra e lo baciò.
CAP. 6: ‘Il respiro di polvere’

-E’ una prostituta.-
Sotto di loro scorreva la Senna, il calore del pomeriggio portava con sé le lavandaie lungo le sponde, qualche pescatore, alcuni giovani canottieri in allenamento sul fiume placido.
Aveva pronunciato quella parola con tono neutro, come stesse leggendo da un dizionario, senza distogliere lo sguardo dall’acqua che correva sotto al ponte.
-Cosa!? Ti sei innamorato di una prostituta?! ‘
Auguste aveva gli occhi fuori dalle orbite, si era trovato l’amico fuori dalla porta, aveva fatto a piedi la distanza, e non era poca, che lo separava dalla sua abitazione, che gli aveva chiesto di parlare un po’: erano arrivati fino alla periferia della città lì dove cominciano le campagne e gli orti…
– Ma come diavolo è potuto accadere? Ho sempre pensato che voi scienziati foste razionali, anche se dopo averti visto sulle barricate qualche dubbio avrebbe dovuto venirmi… Non ci si innamora delle prostitute, dai! E poi non pensavo che ci andassi con quelle.-
évariste continuava a guardare lo scorrere dell’acqua, le scene di vita banale e quotidiana sulle rive, i barconi che scendevano lungo il fiume per portare le merci a Parigi.
– Infatti non vado a puttane, se è quello che vuoi sapere: faccio già fatica a mettere insieme il pranzo con la cena figurati se ho denaro da buttare. E non ne ho il tempo neppure… o almeno credevo di non averne.-
Aveva alzato gli occhi dal fiume lentamente, e si era girato verso Auguste che non poteva non cogliere un’espressione sofferente.
-Non so come sia capitato, davvero non lo so. Un paio di mesi fa la vidi entrare con una grossa valigia e mi ricordai d’averla già incrociata un paio di volte sulle scale, appena trasferitasi, e che nemmeno mi ero presentato. Ritenni che fosse giusti presentarmi ed offrirle il mio aiuto: quando la guardai rimasi folgorato da quegli occhi che sembrano di ghiaccio, però bruciano e… mi sono scottato… e…-
Abbassò lo sguardo, poi lo rialzò guardando verso l’altro lato del ponte.
-E…?-
Un sospiro.
-Quella sera stessa sentii dei rumori, era già molto tardi e mi ero addormentato sui miei fogli, mi svegliai di colpo.
Pensavo che si trattasse di un ladro così ho preso il mio coltello e sono sceso: la sua porta era aperta;entrai, percorsi il corridoio sentendo dei rumori e delle risa sempre più forti.
Pensavo veramente di trovarmi faccia a faccia con qualche balordo e invece…-
Sentì una fitta chiudergli la gola.
Auguste capì; si voltò verso il fiume sotto di loro e attese qualche secondo poi…
-E invece non era un ladro, non è vero?-
-No, decisamente no: era lei in compagnia di un tale che se la stava spassando con vero gusto. Io sono precipitato in una specie di trance e mi sono riavuto solo quando l’uomo, che si era rivestito, ha fatto per uscire: sono scappato via ma ho perso il coltello e lei lo ha trovato.-
-Che c’entra il coltello?-
-c’entra col fatto che il giorno dopo mi ha fatto entrare in casa sua per restituirmelo e mi ha raccontato tutto. Da allora abbiamo iniziato un gioco torbido che ha finito per drogarmi.-
-Gioco torbido?-
évariste sospirò di nuovo, lo sguardo a vagare sulla Senna cercando un appiglio…
-Si, un gioco torbido. Il giorno che andai da Richard mi fermai per cena e quando rientrai… non so perchè lo feci… tentai la maniglia della porta di Stéphanie: era aperta e la vidi di nuovo…-
Auguste aveva gli occhi sempre più sbarrati: aveva capito da tempo che quella ragazza giocava un ruolo importante nella vita sempre più disordinata di évariste, ma non immaginava quanto.
-quella volta erano in due, uno più giovane e l’altro più vecchio: l’hanno posseduta insieme, nello stesso momento e per caso lei mi ha visto…-
-Lei cosa? Lei ti ha visto?!-
-Si! Si, Auguste! Lei mi ha visto! Non è improbabile che succeda se ti trovi a qualche metro da un divano dove due uomini stanno sbattendo una ragazza in una stanza piena di specchi! Si, mi ha visto e ne ha… goduto… e pure io…-
Detto questo piombò il silenzio.
Stavolta fu Auguste a sospirare…
-E tu sei restato lì a guardare cosa le facevano e ti sei eccitato, vero?-
-Si… è così. Ma non è tutto: da allora, ogni volta che ho avuto la certezza che fosse in casa con qualche cliente sono sceso a sbirciare-
-tu cosa? A sbirciare?! Tu devi essere ammattito évariste, ma come sei combinato? Posso capire che ti piacesse quella ragazza, posso anche capire il desiderio… avresti potuto fare come gli altri, pagarla e fare ciò che ti pare. Per i soldi… che diamine ti pare che non ti avrei prestato qualche franco?-
-150 franchi, mio caro-
Auguste fece una smorfia che voleva dire: ‘però, si tratta bene la signorina’.
-Bella cifretta, spero che la valga. Ma per un amico avrei fatto anche questo: vada per i 150 franchi. Ma non è andata così: perchè?-
– Non so perchè. So che mi è entrata dentro e che non c’era solo desiderio, anzi: il desiderio è stato il meno c’era che…-
– C’era che te ne sei innamorato… E’ bella, educata, gentile e… sai che contrariamente alle ragazze belle , educate e gentili a letto è un demonio che ti fa impazzire. Ora capisco perchè da mesi non cavi un ragno dal buco. Ho di nuovo incontrato Richard: mi ha di nuovo chiesto di te, si aspettava che tu ti precipitassi da lui con qualcosa da mostrargli del tuo lavoro e invece non sa nemmeno più se sei morto o vivo.
Nemmeno al caffè sanno come stai: mi chiedono notizie e rispondo evasivamente, ma a qualcuno non sarà sfuggito che tu abiti nello stesso palazzo in cui vive una signorina Canadese che dicono… beh… che sia più svelta del vento e più dolce della melassa.-
Un grosso cane scappato da un ragazzino quasi lì investì e li costrinse a stringersi al parapetto.
– Scusate signori-
Il ragazzino prese a correre dietro al cane.
– Non posso dire che tu abbia torto, Auguste. Però ciò non cambia la sostanza delle cose: non faccio che pensare a lei tutto il giorno. La penso elegante, con quei suoi abiti bellissimi, coi capelli curati e il trucco sempre perfetto… Poi scende la sera e aspetto di vederla nuda su un divano o su un letto impegnata a dare e prendere piacere, in modi incredibili per me fino a solo poco tempo fa, da uno o più uomini … una volta c’era anche una donna…-
Il ragazzino col cane era già lontano oltre il ponte;Auguste deglutì a fatica e balbettò:
-u-una… donna?-
– Si, c’erano un uomo e una donna: mentre l’uomo penetrava Stéphanie da dietro, la donna la baciava. Poi Stéphanie è scesa con la testa fra le cosce della signora ed ha cominciato a leccarla fino a che questa è stata sconvolta dall’orgasmo. L’uomo poi ha goduto in faccia a Stéphanie e alla sua compagna: una pioggia bianca che sembrava non finire mai.
Stéphanie mi guardava mentre lui stava per schizzarla… quando poi è stata centrata in pieno volto, mi sembrava di essere lì io a farlo.-
-Tu… tu sei… sei malato évariste. Tu devi curarti. L’hai… insomma…-
-No.-
Non voleva raccontare ad Auguste della vasca da bagno.
Stettero in silenzio per lunghi minuti a guardare i passanti sul ponte, le barche dall’altro lato.
-Senti évariste, fra un paio di settimane mi arriva un carico di lana al porto di Marsiglia: vieni anche tu con me. Stiamo via per un po’, ci divertiamo, facciamo il bagno in mare, mangiamo il pesce buono e ce la spassiamo un sacco alla faccia di chi ci vuole male. Tu per un po’ starai lontano dalla matematica, da Poisson e i suoi rimproveri, da Stéphanie e… dai suoi amanti. Allora? Affare fatto?-
– ma … non so, Auguste io devo…-
-Tu devi andartene da questa città per un po’. Vieni via con me-
Dovette insistere, ma alla fine évariste accettò: sarebbero partiti nei primi giorni di giugno.
Sulle prime la prospettiva di una vacanza nel sud insieme al suo amico ebbe un effetto salutare su évariste: riprese a lavorare con un certo impegno, riprese a farsi vedere al caffè, trovò modo di scusarsi con Richard e gli promise di andare a trovarlo con qualche novità prima di partire per Marsiglia.
Riuscì anche a dare qualche lezione privata in più e raggranellare qualche soldo che, pensava, gli avrebbe permesso di divertirsi un po’ al mare.
Ogni tanto si sentiva come un ex fumatore in crisi d’astinenza: gli succedeva passando davanti alla porta di Stéphanie.
Faceva di tutto per evitarla, si barricava in casa o, al contrario, cercava di passare la giornata intera fuori tra allievi e caffè, si sforzava di non guardare fuori dalla finestra la sera per non dover incontrare quegli occhi di brace ghiacciata che gli dicevano ‘vieni giù: ti sto aspettando… ti stiamo aspettando…’.
Ma l’astinenza si faceva sempre più difficile da sopportare, ed évariste ricominciò a sentirsi irrequieto e distratto.
‘devo resistere’si diceva ‘fra pochi giorni sarò dall’altra parte del Paese e starò bene’.

Erano passati circa dieci giorni dalla chiacchierata con August, ormai mancava poco alla partenza per Marsiglia: quella sera era stato a cena con Auguste e dei suoi amici commercianti e, forse grazie al cognac, si sentiva veramente bene.
Aprendo il portone di casa guardò verso l’alto godendosi lo spettacolo di una stellata meravigliosa.
Salì le scale, passò davanti alla porta di Stéphanie…
Non avrebbe saputo dire, in seguito, se la sentì prima urlare e poi aprì la porta o il viceversa, fatto sta che si ritrovò ingoiato dall’uscio nel buco nero del corridoio.
Ormai conosceva quella casa come le sue tasche e non fece altro che seguire le urla di piacere della ragazza fino a ritrovarsi davanti alla sua stanza dove, su un grande letto senza baldacchino e pieno di cuscini di raso, un uomo poco meno che quarantenne la stava sbattendo senza pietà.
-Godì puttana, godi che mi piace di più, grida che mi piace sentirti’
-Ahhh ahhhh mi stai aprendo in due-eee——- ahhhh siiiiii-
La stava stantuffando come un forsennato: doveva essere veramente dotato l’uomo, pensò il giovane, perchè mai aveva sentito la ragazza urlare così.
Andò avanti per un po’ poi uscì
-Nooo…. noooo…. rimettimelo dentro…-
-non ti preoccupare troia che adesso ti apro per bene-
La prese e la fece girare a pancia in giù, le ficcò uno dei cuscini di raso sotto il basso ventre in modo da avere il sedere della donna in posizione rialzata.
Le divaricò le gambe al massimo, che évariste temette la tagliasse in due.
Poi, prese dal comodino un vasetto di crema, vi intinse le dita della mano destra e con quelle cominciò ad applicare l’unguento sul buchino di Stéphanie.
-Oh no… no… cosa fate… no…. mi spaccherete tutta! No….-
-Zitta puttana!-
Un paio di sculaccioni lasciarono sulle natiche di Stéphanie l’impronta della mano e la ridussero al silenzio.
Lui appoggiò la punta dell’arnese allo sfintere di Stéphanie, lei allora spinse verso l’esterno come se dovesse evacuare e cercò di rilassarsi al massimo.
Sentì un fastidio leggermente doloroso, come la pressione di una molletta, nel momento in cui la punta attraversò l’orifizio anale.
Ma fu un attimo: lui sapeva come fare, con pochi sapienti colpi riuscì ad entrare tutto strappandole un ‘ Ohhh…-.
Si sentiva piena, lui attese che la muscolatura si adattasse alla circonferenza del membro poi cominciò ad incularla, prima dolcemente poi via via più duramente.
Lei contraeva al massimo la muscolatura quando lui penetrava e la rilasciava nel momento in cui si ritraeva fino quasi a farlo uscire per poi riaffondarle dentro .
– Mi fai impazzire! Che culo fantastico che hai! Stretto, elastico… sei fantastica-
– Ahhh, ah… ughh. Ahhh-
Stéphanie non riusciva nemmeno a parlare: sentiva il piacere totale di essere piena e posseduta in quel modo: quando lui spingeva a fondo sentiva la punta del membro spingere sull’utero e per riflesso sentiva anche piacere davanti.
Lui vide che lei si stava masturbando con le dita, gliele tolse e vi mise le sue facendola impazzire ancora di più…
évariste divorava la scena con gli occhi sbarrati e il groppo in gola: mai aveva visto la ragazza posseduta così brutalmente e mai l’aveva vista in un tale delirio di piacere.
La vedeva urlare e gemere di piacere e di dolore quando lui esagerava con la forza delle spinte e sentiva lui grugnire ed insultarla.
Era eccitato, ma non riusciva nemmeno a toccarsi, per paura di rompere l’incantesimo…
Dopo lunghi minuti di quel trattamento Stéphanie cedette e urlò in preda ad un orgasmo devastante che la lasciò spossata completamente.
Le contrazioni dell’orgasmo le fecero stringere anche la muscolatura anale e questo fece cedere il suo amante che le riversò una serie di schizzi caldi nell’intestino riempiendola.
Stéphanie avvertì nitidamente dentro di sé ogni singolo schizzo di sperma che lui le stava scaricando nel culo.
Restarono tutti e tre senza fiato per un po’, poi l’uomo uscì dalla ragazza ed entrambi si sistemarono alla meglio.
Lui si rivestì, lei indossò il kimono che anche évariste conosceva.
L’uomo prese il borsello e depose 150 franchi sul comodino.
-Tieni.-
Sprezzante…
-Signore, vedete… vi siete preso un… extra piuttosto costoso. Signore… fanno 250.-
Quello si voltò con l’aria truce, o almeno ad évariste sembrò tale.
-Senti senti la puttanella! Abbiamo stabilito 150 e 150 ti ho dato, non ti devo niente di più. Non mi pare che ti sia dispiaciuto l’Extra come lo chiami tu.-
– che mi sia piaciuto o no non fa differenza: mi dovete 250 franchi, signore.-
L’uomo si avvicinò la guardò…
-Come ti permetti quel tono con me, sgualdrina-
E gli assestò uno schiaffo in faccia, tale che Stéphanie si ritrovò sul letto.
-Fermatevi!-
évariste sbucò dal suo nascondiglio per lo stupore incredibile dell’uomo.
-Chi diavolo siete? Siete forse il protettore di questa donnaccia?-
-No. E comunque mi pare che questa ‘donnaccia’ non vi fosse sgradita fino a qualche minuto fa. Pagate quanto vi ha chiesto e andatevene.-
Stéphanie osservava la scena incredula a sua volta: si era rialzata e teneva una mano sulla guancia dolente.
-Ho già pagato. Non metterò un centesimo di più.-
-Siete disonesto, signore, avete preteso di più, dovete pagarmi di più-
Stéphanie aveva ritrovato un po’ di coraggio per la presenza del giovane.
-non ci penso proprio. E ribadisco che ti piaceva: evidentemente è un dono di famiglia. Sarà stata la mammina a insegnarti come si fa a prendere un cazzo in culo?-
– Ma come vi pemettete!?-
Avevano parlato all’unisono la Ragazza ed évariste: solo che Stéphanie aveva provato a dare uno schiaffo all’uomo che l’aveva fermata e ributtata sul letto.
A quel punto évariste scattò in avanti e afferrò il braccio dell’uomo con la mano destra, con la sinistra l’afferrò alla gola e strinse le dita dentro la carotide poi con la gamba destra fece leva e lo sbilanciò fino a farlo cadere sul pavimento.
-Non vi permettete questo linguaggio, signore. Se non volete pagare, certe cose fatele con vostra moglie.-
L’uomo si alzò, gli occhi carichi d’ira e di odio: per un attimo fu sul punto di lanciarsi su évariste, che maledisse di non essere uscito col coltello in tasca, poi ci ripensò…
Prese uno dei sui guanti da passeggio e con quello colpì violentemente évariste in pieno volto.
-Esigo soddisfazione per quello che avete detto, signor…-
-Galois, évariste Galois e sarò ben lieto di darvela quando e dove voi vorrete signor?-
-Vincent Duch’telet: avrete presto notizie dal mio testimone.-
Dette un’ultima occhiata sprezzante alla ragazza ed uscì senza nemmeno guardare évariste.
-Tutto bene?-
-Si, si… fa un po’ male ma va bene…-
– E’ questa la vostra libertà, Stéphanie? La libertà di farvi pigliare a schiaffi da in individuo tanto disgustoso?-
La ragazza lo guardò con gli occhi accesi di rabbia: avrebbe voluto insultarlo, ma desistette:
– A volte può capitare. Il mondo non è sempre come vorremmo che fosse. Voi, piuttosto: andrete a duello con quell’uomo?-
– Credo che non potrò farne a meno, Stéphanie: ci sono cose che valgono più del denaro, dei teoremi e… del piacere. La dignità è una di queste.-
Non le lasciò il tempo di replicare e se ne andò.

Il giorno dopo la signora Moliere gli consegnò una lettera: un signore distinto l’aveva cercato e non trovandolo in casa aveva lasciato la missiva all’anziana donna.
‘ Eccellentissimo Sig. Galois.
Poiché le Vostre parole sono state profondamente offensive nei miei riguardi e nei riguardi della mia famiglia, pretendo soddisfazione in duello.
Il duello si svolgerà all’alba, fra due giorni, al laghetto della Glaciére con la pistola.
Vi prego di venire accompagnato da un testimone.
Vostro
Vincent Duch’telet’

– Ti hanno sfidato a duello!? Dio mio! Ma cosa devo fare con te évariste ? per colpa di quella donna, suppongo!-
‘ per colpa di chi pensavi?’
– Si, quell’uomo si è rifiutato di pagare una prestazione extra e la cosa è degenerata. L’ha colpita e io sono intervenuto e… Insomma domani all’alba devo trovarmi al laghetto della Glaciére…-
– Prestazione extra? Sei intervenuto? Ma cosa stai blaterando? Dov’eri tu per sapere queste cose sulle prestazioni della signorina? Non sarai per caso tornato nel suo appartamento, vero?-
Auguste era fuori di sé, sapeva bene chi era Vincent Duch’telet: era uno che aveva fatto molti soldi in poco tempo e con traffici non trasparentissimi, un duro… che si diceva avesse buona mira, appassionato di caccia.
évariste non fece nemmeno finta di negare:
– Si, ero là ed ho visto tutto: ti giuro che non avevo mai visto nulla di simile e poi… beh, è successo come ti ho detto. Non so perchè sono entrato in casa sua, ma ormai non ha importanza: le cose sono già andate così e non le posso cambiare. Ho bisogno che tu mi faccia da testimone.-
– Tu sei pazzo: quell’uomo ti ammazzerà! Va da lui e scusati, in fondo avete litigato per una… una… ‘
– Una puttana? E’ questo che volevi dire?-
Auguste capì che aveva esagerato.
-Scusami, évariste… scusami. Ma non voglio che tu ti faccia ammazzare in questo modo per una donna che in fondo nemmeno conosci.-
In fondo nemmeno la conosceva: curioso che di lei sapesse perfettamente cosa facesse a letto e non, per esempio, quali fossero le sue letture preferite… ora non ci sarebbe più stato il tempo per conoscerle.
-Basta così Auguste: ho già bisogno di tutto il mio coraggio per morire a vent’anni senza che tu aggiunga altro dolore a tutto ciò: per favore, fammi da testimone.
Vieni domani a prendermi e portami alla Glaciére.-
L’amico lo fissò per un tempo incalcolabile cercando qualcosa di intelligente da ribattere…poi accettò.

La notte era già fonda, évariste aveva già consumato diverse candele per illuminare lo scrittoio dove furiosamente stava riscrivendo in bella copia tutto quanto negli ultimi anni aveva prodotto la sua mente matematica.
Sentì bussare alla porta; aprì.
Indossava solo una lunga vestaglia color salmone, e le scarpette rosse dal tacco alto che già le aveva visto quella sera della vasca da bagno.
Profumava di fragola, di cannella, di benzoino.
-Posso entrare?-
évariste si sentì avvampare: quanto aveva desiderato un momento così…
– Non credo sarebbe una buona idea… devo finire il mio lavoro prima dell’alba .-
– Lo so, ho sentito in giro che il duello è domani… non dovevate fare una cosa del genere, non per me.-
– Infatti non lo faccio per voi.-
– E per cosa allora? Per l’onore? Non dovete dimostrare nulla a quell’uomo!-
– Ma devo dimostrare qualcosa a me. Esistono cose che non si possono spiegare in due parole Stéphanie.-
La ragazza aprì la vestaglia e ne uscirono due seni perfetti.
Scoprì anche le spalle.
– Restate con me stanotte: farò qualunque cosa vogliate, qualunque fra quelle che avete visto che so fare…-
‘Gli dei ci puniscono esaudendo i nostri desideri’ pensò…
– No Stéphanie… non posso: non nego che ho desiderato questo momento, ma non me ne rimane il tempo. Devo terminare questo lavoro: non posso buttare al vento tutta la mia vita. In fondo, ve lo avevo detto una volta: la matematica è pesante. E’ giunta l’ora di sopportarne il peso. In questi ultimi mesi ho sopportato altri pesi trascurando il mio obiettivo.-
– Perchè? Perchè lo fate?-
évariste sorrise e le posò le mani dolcemente sulle spalle:
-Perchè per quante gioie vi potrà dare la vostra libertà, non mi dimenticherete mai.-.
Le sfiorò le labbra con un bacio.

Quando Aurora dalle dita di rosa apparve all’orizzonte, la carrozza di Auguste si fermò davanti al palazzo dove évariste, che non aveva chiuso occhio per tutta la notte, stava ancora scrivendo la sua matematica.
Vide il cielo diventare rosa, udì gli zoccoli dei cavalli e il cocchiere che li fermava davanti al portone: guardò l’ultima dimostrazione, quella che aveva mostrato a Richard e annotò:
‘Il y a quelque chose à compléter dans cette démonstration. Je n’ai pas le tems’
C’è ancora qualcosa da completare in questa dimostrazione. Non ne ho il tempo.
Prese il foglio, lo mise sulla pila ordinata, prese la giacca ed il cappello, spense la candela e uscì.

La Biévre era un piccolo affluente della Senna e la campagna che attraversava, piena di freschi laghetti che d’inverno gelavano, era detta la Glaciére nel XIII’ arrondissement di Parigi.
Per essere il penultimo giorno di maggio faceva ancora piuttosto fresco in campagna, così pensò évariste e pensò anche, con infinita tristezza, che mai come ora avrebbe desiderato andare al mare con Auguste… pensare che mancavano pochi giorni all’arrivo di quel carico di lana…
Erano in cinque: lui, Auguste, Vincent Duch’telet, un anziano signore che rispondeva al nome di André Duval, che fungeva da maestro di cerimonia, e il testimone dello sfidante: Stéphane Battistoni, corso, sui quarant’anni, di statura media, spalle e avambracci piuttosto muscolosi, l’addome forse un po’ rilasciato,gambe robuste, i capelli castani un poco screziati di grigio, la barba di qualche giorno, gli occhi castano chiaro, l’accento italiano.
évariste fece caso al rigonfiamento sotto la giacca: probabilmente Battistoni portava un coltello: in Corsica si producevano famosi coltelli da caccia.
-Allora signori: farete 15 passi poi vi volterete: essendo lo sfidato, il signor Galois sparerà per primo: tutto chiaro?-
Duval aveva parlato con la sicurezza di uno che già s’era trovato lì altre volte.
Auguste e Stéphane Battistoni avevano esaminato le pistole, come prassi per verificare che fosse tutto a posto.
-Spareremo insieme, se voi siete d’accordo signor Duch’telet-
– ma évariste, che dici? Spara tu per primo, è un tuo diritto!-
Auguste vide negli occhi di évariste la sua risposta prima che nelle parole.
-No, preferisco così: non voglio attendere oltre.-
Duval guardò prima Auguste, poi Battistoni che assentirono, infine lo sfidante:
– A me sta bene signor Galois, faremo come volete voi-
-Bene signori, che Dio vi aiuti.-
I due si voltarono, Duval scandiva i passi: uno, due, tre… dieci… quattordici…
Quindici.
Si voltarono, alzarono il braccio; spararono.
Una rosa di schegge di legno volarono dietro l’orecchio destro di Duch’telet…

évariste non aveva mai pensato che il dolore potesse essere così intenso: sentiva il fuoco dentro di sé e le forze venirgli meno, il respiro gli si fece di polvere mentre il prato ai suoi piedi fioriva di petali rossi…

EPILOGO
évariste Galois fu uno dei più brillanti matematici che il mondo occidentale abbia conosciuto: morì il 31 di maggio del 1832 all’ospedale Cochin di Parigi per la ferita di pistola riportata il giorno prima in duello.
Aveva vent’anni.
Sfidato a duello per aver difeso l’onore di una prostituta di cui, si dice, che fosse perdutamente innamorato.
I suoi lavori, da lui riordinati l’ultima notte, furono pubblicati nel 1843: ancora oggi, la nostra algebra gli deve molto.

Leave a Reply