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Racconti Erotici Etero

Passione per l’arte

By 19 Aprile 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Gli capitava spesso di andare con la moglie a qualche mostra d’arte.
Una volta lei gli disse che quelle erano situazioni in cui molte donne sole andavano per rimorchiare.
Gli era sembrata un’assurdità, ma non aveva ribattuto.
Chissà, magari qualche amica di sua moglie lo faceva.
Ora, dopo qualche mese, erano tornati a vederne una.
Una delle tante iniziative intorno al revival del Futurismo, che era tornato di moda.
Lì per lì non ci aveva fatto caso.
Alta, con i capelli biondi corti raccolti dietro la nuca e un viso da nord europea, con due occhi tra il grigio ed il celeste chiaro ed il nasino un po’ all’insù.
Non era giovanissima, diciamo quarantotto cinquanta, ma neanche lui era più un ragazzino.
Da giovane doveva essere stata molto bella, il corpo era solo un po’ appesantito dall’età e, sotto il vestito di maglia attillato e la calzamaglia nera, si intuiva un sedere leggermente troppo grande e le cosce un po’ robuste rispetto al resto del corpo.
I loro sguardi si erano incontrati solo un attimo, mentre entrambi, dopo avere inforcato gli occhiali da vicino (mannaggia agli anni che passano e portano la presbiopia), cercavano di leggere la targhetta dello stesso quadro.
Sua moglie era un po’ più indietro, perché si era attardata a leggere un cartellone all’inizio della sala e non si era accorta di nulla.
Accorgersi di cosa?
Non era successo assolutamente nulla.
Al dipinto successivo aveva fatto un passo indietro perché il quadro era molto grande e aveva urtato leggermente con la schiena qualcosa di morbido.
Aveva detto ‘scusi’ mentre si voltava ed i suoi occhi si erano incontrati con quelli grigio-azzurri della signora di prima.
Gli aveva sorriso appena mentre lo sguardo di lui si spostava in giù, sulla parte di lei con cui si era appena scontrato: due grandi tette, forse appena un po’ allentate dall’età, ma comunque due gran belle tette.
Il suo sguardo si era soffermato sulla scollatura ampia (troppo ampia? No, andava benissimo così) che lasciava intuire le dimensioni e la consistenza del suo seno.
Si era soffermato abbastanza perché lei lo notasse, ma non così tanto da apparire indiscreto e volgare.
La signora non aveva smesso di sorridere, ma ora aveva un’aria tra l’ironico ed il furbetto.
Stupidaggini. Solo stupidaggini. Si stava facendo un film in testa.
Il gioco, tra loro due, era continuato nella sala successiva.
I loro sguardi si incrociavano spesso, come se fosse una cosa preparata a tavolino.
Entrambi stavano facendo in modo di trovarsi spesso vicini.
Quando uno dei due era avanti, si attardava a lungo, magari ad osservare una stampa tutto sommato banale, mentre l’altro saltava una tela importante, per raggiungerlo.
Un paio di volte le loro mani, casualmente, si sfiorarono e, verso la fine della mostra, davanti ad uno dei quadri più importanti, dove c’era parecchia calca, lui dovette spostarsi di lato, per far passare un’anziana turista giapponese.
Nel movimento il suo fianco si trovò a premere contro una coscia di lei.
Dopo il passaggio della giapponese non si mosse ed anche lei, nonostante avesse spazio per scansarsi, mantenne la posizione.
Il tutto durò solo alcuni secondi, troppi, comunque perché la cosa fosse casuale.
L’ultimo contatto avvenne proprio alla fine della mostra.
Lei aveva preso l’audio guida e, proprio al momento di riconsegnarla, il riproduttore le cadde a terra ed il coperchio si aprì.
Un attimo dopo erano entrambi inginocchiati sul pavimento a raccogliere le batterie che erano rotolate via.
L’ultima immagine che ricordava di quello strano incontro era quella di lui che le metteva nel palmo della mano due mini stilo ed un profondo sorriso della bionda signora.
Aveva completamente dimenticato quell’evento curioso, erano passati diversi giorni e stava ripulendo le tasche di alcune giacche da mandare in tintoria.
Due biglietti dell’autobus usati, un fazzolettino di carta sporco, una lista della spesa vecchia di mesi, qualche carta di caramella, un pezzo di dépliant strappato malamente.
Quest’ultimo reperto lo aveva incuriosito perché non ricordava di averlo mai visto.
Era un frammento della brochure della mostra del Futurismo, infatti si riconosceva un pezzo del quadro che era stato usato come manifesto dell’esposizione e che, per mesi, aveva fatto il giro della città sulle fiancate degli autobus.
Sotto, su una parte bianca, c’era un nome scritto in stampatello e poi un numero:
HELENE 349….
Fu un lampo: quando erano a terra intenti a raccogliere le batterie, lei doveva averglielo ficcato in tasca.
Non buttò quel pezzetto di carta, ma lo mise con cura nel portafogli, anche se non aveva senso.
La signora bionda, vedendo che lui non l’aveva richiamata subito, sicuramente aveva considerato chiusa la faccenda.
Ora non poteva telefonarle e dirle ‘ciao, ti ricordi di me, ci siamo incontrati alla mostra del Futurismo e …’
Dopo qualche giorno, anche se continuava a considerarlo un’assurdità, fece quella telefonata.
‘Sì, pronto?’
Una voce calda e morbida, con appena un leggero accento straniero.
‘Scusi ‘ scusa. Ci siamo incontrati diversi giorni fa ad una mostra sul Futurismo. Non so se ricordi …’
Era terribilmente imbarazzato e non sapeva che dire.
‘Certo, certo che ricordo, anche se sono passati tanti giorni …’
Nella sua voce c’era un vago tono di rimprovero, se non fosse stata una signora gli avrebbe detto: brutto cretino, perché cazzo hai aspettato tutto ‘sto tempo a chiamarmi?
‘Ecco ‘ veramente ‘ non trovavo più il bigliettino ”
La conversazione stava prendendo una piega sbagliata: non doveva giustificarsi.
‘Non importa. L’importante è che ora hai chiamato.
Hai impegni per oggi pomeriggio?’
Brava. Veramente brava. L’aveva tolto dall’impaccio ed era andata subito al sodo.
Se gli aveva messo il bigliettino in tasca era perché voleva incontrarlo e se lui aveva telefonato, significava che era della stessa idea.
Inutile starci a fare tanti ricami sopra.
‘No. No! Naturalmente no!’
Così si erano dati appuntamento per le cinque, in una caffetteria elegante vicino al suo ufficio, perché lei abitava da quelle parti.
Era arrivato con largo anticipo e si era messo ad aspettare sul marciapiede di fronte.
La riconobbe subito da lontano.
Indossava un vestito nero, corto e scollato e sotto delle calze grigie, appena velate.
Camminava veloce, per niente impacciata dai tacchi alti.
La strada era parecchio larga ma riusciva comunque a vederla bene, da un marciapiede all’altro.
Quando entrò nella caffetteria poté osservarla per qualche secondo di spalle.
Aveva un gran culo, nel senso che era anche grande.
Il vestito nero attillato, si allargava proprio in quel punto e prendeva vagamente la forma di una pera.
Forse le chiappe erano un tantino mosce e scendevano un po’ verso le cosce?
Dai, non fare l’ipercritico. Non è affatto male, mica ti vorrai tirare indietro proprio ora?
Così era entrato, l’aveva chiamata e si erano seduti ad un tavolo.
Finalmente la poteva osservare meglio, senza dover rubare qualche sguardo di sfuggita, visto che erano lì, uno di fronte all’altra, proprio per questo. E non solo.
Mentre parlavano si stavano studiando.
Era decisamente una bella donna, e lei, come lo trovava?
Ad un certo punto sentì il solletico ad una caviglia.
Sicuramente si era tolta le scarpe e, sotto il tavolo, gli aveva infilato un piede nella gamba del pantalone.
Questo lo rassicurò.
Posò, con aria distratta un mano sopra quella di lei, che non fece una piega.
Erano delle piccole schermaglie per capire se l’altro era interessato o meno.
Decise di procedere e cominciò a far scorrere il palmo della mano accarezzandole le dita ed il dorso mentre la guardava.
Guardava il suo viso per individuare un cambiamento di espressione, ma stava anche scrutando dentro la scollatura del vestito.
Lei aveva aperto leggermente le labbra ed aveva posato la mano libera sul polso di lui, come a volerlo trattenere.
Ma lui non ci pensava per niente ad andarsene, perché stava cominciando ad eccitarsi al pensiero di quello che sarebbe venuto dopo.
‘Visto che ti interessa così tanto il futurismo, avevo pensato di farti vedere alcuni manifesti che ho comprato di recente, casa mia è a due passi da qui.’
Dopo quella frase era rimasta in attesa della sua risposta e lo guardava ansiosa, con le labbra leggermente aperte.
Lui chiamò il cameriere, pagò il conto e la portò fuori tenendola sotto braccio.
Gli stava venendo una voglia irrefrenabile e non voleva assolutamente far passare quel momento.
Ora che erano più vicini riusciva a sentire il leggero profumo che si era messa prima di uscire.
Quando salirono in ascensore l’odore si fece più intenso.
Helene spinse il bottone del quinto piano e poi, dopo qualche secondo, premette l’alt.
‘A cosa stai pensando?’
Per tutto il tragitto non le aveva staccato gli occhi di dosso ed ora stava pensando alle sue tette.
Stava pensando alle sue grandi tette. Era ansioso di toccarle per verificare se erano veramente come le aveva immaginate, ma sapeva ancora troppo poco di lei per sbilanciarsi.
Doveva trovare le parole giuste per non offenderla ma, allo stesso tempo, farle capire che le apprezzava molto.
‘Stavi pensando a queste, vero?
Aveva abbassato contemporaneamente le spalline del vestito e del reggiseno, mostrandogli di colpo due grandi seni , bianchi e morbidi, con i capezzoli dritti e belli duri.
Ancora una volta lo aveva prevenuto e sorpreso prendendo rapidamente l’iniziativa.
Subito dopo aveva premuto nuovamente il pulsante del quinto piano e l’ascensore era ripartito.
Uscì tranquillamente per prima dalla cabina, senza risistemarsi il vestito, incurante del rischio che qualcuno, uscendo di casa, la vedesse in quelle condizioni.
Se non se ne preoccupava lei ‘
Così, mentre apriva la porta di casa, lui l’abbrancò da dietro cominciando a palpeggiarla.
Quando la porta si aprì, lei lo spinse dentro e chiuse l’uscio con un calcetto ben calibrato.
Si sfilò il vestito, facendolo passare attraverso i fianchi, rimanendo ferma davanti a lui, con addosso soltanto il reggiseno slacciato e le calze.
Non indossava un collant ma delle autoreggenti ed aveva evitato di mettersi le mutandine.
La sua fica piccola e rosea, sormontata solo da un ciuffetto di peli biondi rasati corti, era una calamita irresistibile per lui.
Prima che lui si potesse riprendere dalla sorpresa, gli aveva già sbottonato i pantaloni.
Era bastato che lo prendesse dolcemente tra le sue lunghe dita affusolate, perché il suo arnese raggiungesse immediatamente le giuste proporzioni.
Lo fecero per terra, sullo spesso e morbido tappeto del soggiorno.
Le sue grandi tette si muovevano in maniera convulsa, mentre lui cercava di spingerglielo sempre più dentro.
Rimasero qualche minuto sdraiati in terra, poi lei si alzò carponi.
La bloccò e cominciò a carezzarle le chiappe.
Lei, docile docile, allargò le gambe e se lo fece mettere dietro.
Aveva veramente un gran culo, e non era moscio come aveva temuto.
Doveva anche essere pratica a prenderlo di dietro, perché era entrato senza troppa fatica e lei ora lo stava assecondando con impegno e passione.
Quella sera, a casa, pensò che sua moglie aveva ragione, riguardo alla faccenda delle donne sole alle mostre.
Dopo qualche giorno telefonò di nuovo ad Helene, ma riuscì solo a lasciare un messaggio in segreteria.
Qualche ora dopo gli arrivò un SMS: credo sia giusto finirla così. H
Provò a richiamare, nei giorni successivi, ma il numero risultava disattivato.
Un mese dopo, per caso, si trovò a passare davanti ad un piccolo museo privato.
Il manifesto, piazzato di lato all’ingresso, annunciava una esposizione di stampe della Campagna Romana del XVII secolo.
Era entrato chiedendosi cosa cavolo glie ne fregasse a lui di una roba simile, ma, sotto sotto, sapeva il perché.
Il motivo era quella signora alta e magra, con i capelli scuri a caschetto e gli occhiali da vista rossi, che si era infilata nella mostra proprio davanti a lui.
L’aveva un po’ studiata prima di avvicinarla.
Aveva un’aria distinta e curata, forse era anche un po’ timida. Sicuramente non gli avrebbe mostrato le tette in ascensore, come aveva fatto, in maniera sfacciata, Helene, anche perché sembrava averne abbastanza poche.
Troppo secca? Ma no, era un bel tipino.
In compenso dietro non sembrava affatto male: pantaloni un po’ aderenti ed un bel culetto.
Cominciò il giochino che aveva funzionato così bene con la bionda Helene.
Lo aveva notato. Sì, sembrava proprio di sì.
Nelle sale della mostra c’era pochissima gente e le manovre che lui stava mettendo in atto non potevano non passare inosservate.
Lei sembrava gradire il gioco ed ebbe l’impressione che dietro le lenti spesse degli occhiali, il suo sguardo si fosse fatto attento e curioso.
Si toccarono leggermente una prima volta, poi una seconda.
A questo punto lui si spostò verso una finestra e prese un pezzetto di carta che aveva in tasca, per scriverci il numero di telefono. Voleva essere sicuro di contattarla e non credeva che avrebbe avuto la stessa iniziativa dell’altra.
I loro sguardi continuarono ad incrociarsi e, verso la fine della mostra, approfittando della loro vicinanza fece cadere in terra il fodero degli occhiali.
Aspettò una frazione di secondo prima di chinarsi, sperando che lei lo raccogliesse.
Il fodero era finito sotto una bacheca e lei si era piegata per recuperarlo, con una rapidità insospettata.
Si inchinò appresso a lei.
‘Grazie.’
Con una mano riprese il fodero e nel frattempo le mise nell’altra il bigliettino appallottolato, facendole stringere il pugno.
Rimasero giù qualche secondo, poi si rialzarono entrambi.
Ora lei avrebbe preso il bigliettino e l’avrebbe gettato nel cestino della spazzatura, lì vicino.
No. Si era messa una mano in tasca e, quando l’aveva tirata fuori, era vuota.
Uscì in fretta dalla mostra e si mise ad aspettare un po’ lontano, la sua uscita.
Si era fermata vicino all’ingresso della mostra e stava osservando dubbiosa il bigliettino con il suo nome ed il numero di cellulare. Lo lisciava cercando di togliergli le grinze.
Tra loro due si frappose un gruppo di turisti giapponesi, con la guida in testa che brandiva un ombrellino rosa, tenuto bene in alto, in modo che tutti potessero seguire quel vessillo improvvisato.
Sparita.
Sicuramente aveva buttato il biglietto e se ne era andata a casa.
Riprese il cammino ma, dopo pochi passi, squillò il cellulare.
‘Marco? …’
Voce femminile sconosciuta.
‘Perché mi ha dato quel bigliettino?’
Era lei, l’aveva chiamato subito.
‘Perché …’
Che poteva dire? Perché mi piace scoparmi le belle signore che vanno alle mostre d’arte, oppure perché sono sicuro che hai un bel culetto, oppure ‘
‘Perché, volevo incontrarla. E lei perché mi ha chiamato?’
‘Per lo stesso motivo.’
‘Va bene, allora vediamoci. Quando?’
‘Anche ora, sono pochi metri dietro di lei.’
Si era fermato, voltandosi di colpo.
Aveva chiuso il telefonino e lo guardava fisso.
‘Forse potremmo darci del tu e parlare senza usare il cellulare.
Io abito qui vicino e, a casa, ho una serie …’
‘Lasciami indovinare. Hai delle stampe del XVII simili a quelle della mostra?’
Doveva veramente essere grato a sua moglie, per avergli trasmesso questa passione per le mostre d’arte.

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