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Racconti Erotici Etero

Pody

By 26 Febbraio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Ogni tanto, Marcello ed io, decidevamo di andare a prendere il caff&egrave nella piazza in cima alla salita.
La chiamavamo Piazza Esedra, ma non aveva nulla a che fare con quella che &egrave in cima a Via Nazionale. Un po’ le somigliava, però, semicircolare, con delle arcate, e in questa vi erano anche delle panchine di travertino, intorno intorno. Ecco perché ‘esedra’, nel ricordo del nome greco, e per quei sedili.
‘Esedra’, eks, esterno, hédra, sedile.
Tutta colpa delle reminiscenze scolastiche.
Camminavamo lentamente, guardando senza interesse le vetrine, le persone. Una volta questo luogo aveva delle pretese signorili, e vi abitava una nota coppia: lui ciondolante, snodato; lei veramente bella.
Fummo attratti da una lucida targa d’ottone: ‘Studio podologico’.
Dissi a Marcello che stavo pensando di andarci.
‘Perché, hai problemi ai piedi? Calli? Occhi di pernice? Cipolle?’
Alzai le spalle e proseguimmo verso il bar.
Toccava a me pagare, quella mattina. Andai alla cassa. Ordinai il solito: ‘due cappuccini e due cornetti’. C’erano dei volantini: ‘Studio Podologico’. Ne presi uno per me e uno per Marcello. Prendemmo quanto già era pronto sul banco e ci recammo al nostro tavolino preferito.
Il manifestino informava dell’apertura dello Studio Podologico, dove Paola Heri, laureata in podologia, ed abilitata ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251, effettuava l’esame obiettivo del piede, ai fini di eventuali interventi terapeutici o correttivi. La prima visita era gratuita.
Il volantino concludeva: ‘Il trattamento Podologico &egrave il mezzo che permette al Podologo di diminuire o annullare il fastidio o il dolore del paziente’.
‘Marce’, sai che ti dico? Io una visita da questa ‘piedologa’ me la faccio fare!’
‘Perché, hai fastidio o dolore da annullare?’
‘Non ai piedi’ comunque’ ma ci vado!’
E fu così che telefonai e presi appuntamento, precisando che desideravo una visita regolare, non quella offerta gratuitamente, promozionale.
L’interlocutrice fissò l’appuntamento e precisò che ‘tutte’ le visite erano ‘regolari’. Nessuna esclusa!
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Per mia comodità preferii essere l’ultimo della giornata: ore 19.00.
Venne ad aprire lei, Paola, con un lungo camice sul verde chiaro, una cuffietta garzata, dello stesso colore, che raccoglieva molti capelli neri. Era alta circa 1,70, e da quel che si poteva vedere, anzi immaginare dato il camice, non era magra. Volto ovale, abbastanza piacevole, con occhi scuri, luminosi, labbra carnose.
Mi pregò di entrare direttamente nella stanza in fondo. Lei mi avrebbe raggiunto subito, e si scusò per un po’ di disordine ‘che non c’era- ma dopo le cinque del pomeriggio la ragazza che l’aiutava aveva lezione. Era sola.
Mi raggiunse subito dopo, con una scheda e la biro.
Le chiesi se fosse proprio indispensabile quella specie di schedatura che, tra l’altro, avrebbe riportato sul PC, e mi rispose che erano notizie necessarie per conoscere il paziente.
La pregai di limitarsi a pochi dati identificativi: Giorgio Rosi, di anni cinquanta, single, abitanti in via’ n’. tel. ‘ cellulare’! Tutto qui.
No, la assicurai, non avevo mai avuto malattie del sangue e non mi risultava di essere diabetico. Non facevo molto sport, anzi, quasi per niente. Avevo abbandonato il tennis ed ero un pessimo sciatore.
‘E perché &egrave venuto da me?’
‘Nessun disturbo particolare, una visita di controllo.’
‘Per favore tolga scarpe e calze, poggi i piedi sullo sgabello.’
Eseguii.
Osservò attentamente i piedi, prima uno, dopo l’altro.
Mi disse di alzarmi e di salire sulla passerella di vetro che era al lato, con sotto uno specchio. Mi fece camminare, alzare sulla punta dei piedi.
La guardai, curioso?
‘Allora, qualcosa non va?’
‘Si segga, prego. Mi sembra che morfologicamente e funzionalmente vada tutto bene. Non credo che lei abbia bisogno di una podologa, eventualmente di una pedicure estetica, se vuole affidare ad altri il taglio delle unghie.’
‘Proprio niente da fare?’
Alzò le spalle. Insistei.
‘Neanche un po’ di esercizio malleolare, della pianta’?’
‘Li può fare da solo.’
‘Non sarebbe meglio’ affidarmi alle sue cure? Una cosa &egrave che lo faccia io, altra un intervento professionale.’
‘Volendo’ potremmo fare un po’ d’esercizio articolare”
‘Grazie, gliene sono grato. E’ quando potremmo cominciare?’
‘Vediamo, posso fissarle un appuntamento per’.’
E stabilimmo di rivederci la settimana successiva.
Dovetti insistere per pagarle la visita.
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Non era necessario, ma era divenuta un’abitudine: ogni due settimane ero l’ultimo paziente della giornata. Massaggiava, faceva fare dei movimenti, e soprattutto si chiacchierava.
Paola aveva 35 anni, era nata in provincia di Roma, aveva un fratello più grande di lei, aveva studiato allo scientifico, poi tre anni di Podologia, e circa otto in un centro del benessere, fino a quando aveva deciso di mettersi per conto proprio. A quanto diceva era ‘single’.
E andammo avanti così, per quattro o cinque volte.
Un bel giorno, poiché non avevo proprio voglia di uscire, le telefonai dicendo di cancellare l’appuntamento della sera, perché non stavo molto bene. Al suo interessamento la rassicurai, niente di serio, soprattutto era uno stato di stress e di noia. Mi rispose che proprio in caso di stress quei massaggi erano preziosi’ se volevo’ lei sarebbe stata ben lieta di venire al mio domicilio’ tanto ero l’ultimo della giornata!
‘OK, Paola, la ringrazio, l’attendo, lei sa l’indirizzo.’
Quando il custode mi avvertì che stava salendo la signorina Heri, andai ad attenderla sulla porta.
Giunse l’ascensore, si aprì, ne uscì una giovane ed elegante donna, con un grazioso soprabito, lunghi capelli sulle spalle, e una piccola valigetta.
Era Paola.
La feci entrare, tolse il soprabito, indossava un graziosi abito, scuro, con una scollatura a ‘V’, alquanto generosa, che modellava un inimmaginato corpo con splendide curve, al posto giusto e della misura giusta.
Non credevo che quel camice nascondesse una simile avvenenza.
Prese la valigetta, andammo nel salottino, sedetti sul divano, lei in poltrona, di fronte a me. Tra noi uno sgabello imbottito. Aprì la valigetta, ne trasse un leggero camice, lo indossò, senza abbottonarlo.
Avevo tolto scarpe e calze e messi i piedi sullo sgabello. Lei, calzati i guanti di latice, si chinò ad osservarli. La scollatura si aprì, e per quanto custodito nel reggipetto, il seno si mostrò in tutta la sua stimolante opulenza. Aveva delle bellissime tette, Paola, prosperose. Comunque provocanti.
Per comodità, mise un lembo del camice sulle gambe e vi poggiò un piede. Sentivo il suo calore, ero tentato di spingere il tallone verso il suo grembo, di carezzarlo con la pianta.
A un seno così dovevano corrispondere gambe altrettanto deliziose.
Percepivo il suo profumo. Un profumo particolare, una combinazione indecifrabile, un misto di delicato e raffinato e di piacevolmente selvatico, agreste, ‘nature’. Mi sarebbe piaciuto nascondere il volto nel suo grembo e aspirare, ero certo che avrei sentito ‘lei’, la sua usta. Come il cane sente la traccia della selvaggina.
Il ‘cane’, questo mi portò immediatamente a pensare a un cane con la lingua penzoloni.
La ‘lingua” il grembo’ quel profumo’
Mi accorsi che la mia lingua si muoveva’ assaporava ciò che quella fragranza lasciava intuire’ pregustare’ e deglutivo golosamente’
Inutile dire le reazioni del’ diretto interessato!
Era veramente un bel tocco di figliola, Paola.
Niente da fare, il piede non poteva stare fermo. Spinsi, sentii il calore del suo ventre. Poi fu il turno dell’altro piede.
Anche il volto era allettante. Quelle labbra carnose erano un’attrattiva irresistibile.
Finalmente, terminò il suo lavoro.
Rimisi calze e scarpe. Lei aveva tolto i guanti e rimessi nella valigetta insieme al camice.
Guardò l’orologio.
‘E’ in ritardo?’
‘E di che cosa, non ho nessun impegno. Vado direttamente a casa.’
‘Perché non mi fa compagnia, a cena?’
Mi guardò sorridendo.
‘Ha pronta la cena anche per me?’
‘No, io ceno fuori casa. Mi faccia compagnia.’
Rimase meditabonda per qualche secondo.
‘OK. Vorrei lavarmi le mani.’
‘Il bagno &egrave là. Io, intanto, telefono al ristorante.’
‘E’ lontano?’
‘Quello che ho in mente non &egrave vicinissimo, ma se c’&egrave un tavolo vale la pena andarci.’
Si recò nel bagno.
Telefonai, prenotai un tavolo.
Paola uscì, aveva rassettato i capelli.
Chiese di telefonare a casa per avvertire che avrebbe cenato fuori, con amici.
L’aiutai a indossare il soprabito, misi l’impermeabile. Scendemmo direttamente in garage. Le feci riporre la valigetta nel bagagliaio.
Salimmo in auto, ci avviammo, senza fretta, al ‘FEM’ il locale prescelto. Avevo chiesto il perché di questo nome, Fem, al proprietario, un simpatico siculo-romano che, sceso da navi-crociera, dopo venti anni di ‘cucina’, aveva deciso di rilevare una vecchia trattoria casereccia e trasformarla in un elegante ma semplice ‘tempio’ ‘diceva lui- in onore di Fem, appunto.
Prime lettere di ‘femmina’, come dire l’inizio di qualcosa.
‘Femmine e Musica’, perché c’era una gradevole musica melodica e dove ballare.
‘Fica e Minchia’, ottimi ingredienti, diceva Saro, da buon siciliano trapiantato a Roma.
Ed ogni tanto tirava fuori qualche altra definizione.
Ci ricevette all’ingresso, ci accompagnò al guardaroba, e colse un momento per sussurrarmi all’orecchio, ammiccando a Paola che stava lasciando il soprabito, ‘Fem, dutturi, formidabile e minnuta’. Fece una smorfia significativa: ‘che minne!’
In effetti il procace seno di Paola era seducente e affascinante.
Assunse un atteggiamento professionale e si chinò a salutare Paola quando lo presentai a lei.
Il mio solito tavolino, comodo e semi-appartato.
Paola disse che si affidava a me, io, a mia volta, riversai la responsabilità su Saro.
Ottima decisione, la mia.
Cibi squisiti, vini ottimi.
Paola era una eccellente commensale, sia come degustatrice delle portate che come conversatrice.
Ebbi la sensazione che fosse una donna abbastanza semplice e schietta.
Accennò anche al suo stato di ‘single’, dopo una breve ma negativa esperienza sentimentale.
Ballammo, e fui contento che condivideva, in proposito, le mie preferenze, musica melodica, danze classificate ‘per matusa’. Comunque, ballava bene, e non sfuggiva alle mie sempre più insistenti strette. Del resto, che ‘tango’ &egrave se non si ‘tange’? E ne aveva, Paola, di che farsi tangere, toccare: le tette sul mio petto e le natiche non si sottraevano alla avanzante’ esplorazione’ a palma aperta.
Glutei tondi, sodi.
Percepii di nuovo quel suo profumo speciale. Odore che provocava una forte eccitazione. Credo che se ne accorse. Anzi, ne sono sicuro perché mi sembrò interessata ad accertarsene. Sperai che non ne fosse delusa.
Ad un certo momento guardò l’orologio.
‘Sto benissimo, qui, con lei, con questa musica, col ballo’ ma’ dovrei rientrare”
‘OK!’
Firmai il conto, ci riportarono l’auto, tornammo a casa. Prese la valigetta, aprì lo sportello della sua macchina.
La ringraziai.
Disse che era lei a dovermi essere grata per la squisita cena e la piacevole serata. Dovetti insistere per farle accettare la busta col suo onorario ‘generosamente arrotondato- e le spiegai che il rapporto di amicizia, almeno per me, che si andava instaurando, non aveva nulla a che fare con la professione.
‘Posso sperare di ripetere una serata come questa, Paola?’
‘Certo.’
Mi sfiorò la guancia con un bacio.
Montò sulla sua auto, si allontanò lentamente, salutando con a mano.
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Si, ci furono altre cene, anche una gita, ma solo di un giorno.
Oramai ci davamo del tu.
Le mie avances proseguivano, lentamente, sempre più audacemente, ma non ci eravamo ancora baciati.
A volte mi sentivo ridicolo. Ad oltre cinquanta anni mi comportavo come un giovincello alle prime armi e con una donna di trentacinque. Temevo, però che un gesto intempestivo potesse distruggere tutto.
Quel giorno eravamo a casa mia, in attesa di andare al ‘Fem’, guardavamo la TV.
Un cortometraggio dell’Ufficio Turistico Britannico: London!
Paola guardava interessata. Ne profittai per passarle il braccio intorno alla vita, con la mano sotto l’ascella, sfiorandole il seno.
‘Ti piace Londra?’
‘Dev’essere bellissima, non ci sono mai stata!’
‘Vorresti visitarla?’
‘Vuoi sapere la verità? Non sono mai salita su un aereo’ In Sardegna sono andata in nave”
‘Indipendentemente dal mezzo, gradiresti passare qualche giorno a Londra?’
‘Magari’ ma non so una parola di inglese”
Sorrisi.
‘Prima i mezzi di locomozione, ora la lingua’ Lascia stare’ Ci vuoi andare, si o no?’
‘Si, ma come?’
‘In aereo.’
‘In aereo?’
‘Si, con me. Ti assicuro che non avrai timore alcuno.’
Mi guardò incuriosita e sorridente.
‘Sei un tentatore.’
‘Allora’ metti le cose in modo di farti sostituire a studio per qualche giorno’ diciamo da sabato prossimo’ per una settimana”
‘Fammici pensare”
‘Ci hai già pensato. Preparati, Pody, Londra ti aspetta.’
‘Pody?’
‘Mi &egrave venuta in mente adesso: andiamo in Inghilterra, e Pody &egrave il diminutivo vezzeggiativo di ‘podologist’. Da questo momento, ogni tanto una sigla o una parola inglese!’
Sorrise divertita.
‘Sei proprio matto. Ora devo andare.’
Si alzò, l’accompagnai alla porta.
Il solito abbraccio e bacio, la solita palpata di natiche.
Forse avevo trovato la strada giusta: Londra.
Paola mi era decisamente entrata nel sangue.
Ma non credo che io le fossi completamente indifferente. Sentivo come accoglieva le mie’ piccole licenze’ sempre meno piccole; come si adagiava, comodamente, quando, sul divano, le cingevo la vita e la stringevo a me, mentre guardavamo la TV.
Mi veniva da ridere. Io, ultracinquantenne, che pomiciavo come un imberbe!
Mi chiamò sul cellulare, l’indomani mattina, abbastanza presto, per dirmi che con lo studio aveva sistemato tutto. Era attratta da Londra’ma’ proprio in aereo?
Prenotai al Savoy, col solito accorgimento, una suite, con vista sul fiume, due camere da letto, ovviamente matrimoniali, due bagni, un salottino. Non a buon mercato, certo, ma per far’ colpo.
Altrettanto in aereo, business class, da Fiumicino alle 09,35, per essere in Hotel in tempo per il lunch. Ordinai dei fiori, da mettere in salottino, con un biglietto: ‘To Pody, George’.
Informai Paola che era tutto a posto.
Disse che sarebbe venuta a cena, a casa, però, portava tutto lei, perché dovevamo parlare. Risposi che l’attendevo con moltissimo piacere, ma che per la cena non doveva disturbarsi, avevo in frigo un sacco di roba, quella che Rosetta, la colf, comprava e, poiché io non la mangiavo, il giorno successivo se la portava a casa sua.
Quella volta c’era dell’insalata mista, salmone affumicato, e tante altre cosette prelibate, oltre, logicamente dell’ottimo vino.
Rosetta si dava da fare, più per la forma che per la sostanza, ed la pregai che prima di andar via preparasse la tavola per la cena, io, intanto andavo ad una riunione. Sarei stato di ritorno poco dopo le diciannove.

Ero rientrato da poco, m’ero dato una rinfrescata, m’ero cambiato, e avevo deciso di non indossare giacca, solo una polo, calda e leggera.
Detti uno sguardo in giro, stappai il vino, accesi la TV.
In quel momento bussò Paola.
Entrò, alquanto affannata, mi abbracciò più affettuosamente del solito, e quando le afferrai le natiche e la strinsi a me, rimase così, guardandomi sorridendo.
‘Quanto c’&egrave da fare, Giorgio, non lo immagini neppure”
La invitai a sedere, per l’aperitivo.
‘Si, grazie, ma analcolico’ ho già la testa in fiamme”
Sedetti accanto a lei, dopo averle porto il bicchiere con quanto aveva chiesto.’
‘Allora, Paola? Anzi, Pody?’
‘Cosa devo portare in valigia, certo dimenticherò tutto”
‘Io ti suggerisco cose pratiche, soprattutto da viaggio. Non dimenticare che a Londra ci sono dei bellissimi negozi con roba molto elegante”
‘Ah! Tutto prenotato?’
‘Certo, aereo, Savoy, auto all’aeroporto,’ Ho prenotato una bella suite, con vista sul fiume, sai, si vede la grande ruota del Luna Park’ Due belle camere, ognuna col proprio bagno”
Si fermò di colpo.
‘Due camere?’
La guardai fissamente.
‘Si’ perché?’
‘Ma costerà un patrimonio’ forse”
Si fermò, titubante, con le labbra strette.
‘Forse che, Paola?’
Fece un profondo sospiro.
‘Niente’. Niente”
Le presi le mani, sempre scrutandola.
‘Dici che dobbiamo risparmiare?’
Si strinse nelle spalle, con una strana luce negli occhi. Io proseguii.
‘Credi che basterebbe’ una suite’ più piccola’ magari con una sola camera da letto?’
Non cambiò espressione, abbassò gli occhi.
‘A Londra’ credo di sì’ a Londra’ a Londra’!’
La strinsi al petto, e la baciai sulle labbra, ricambiato appassionatamente.
Quella sera, dopo cena, Paola mi regalò un assaggio, una degustazione, di quella che sarebbe stata la sua compagnia a Londra. Un ‘tasting’. Venne a sedere sulle mie ginocchia, e fui percorso da un piacevole fremito quando quel meraviglioso sedere si poggiò sulla mia palpitante patta.
Compresi che dovevo contenermi entro certi limiti.
Le carezzai il seno, e, infilando una mano sotto il vestito, sentii per la prima volta il tepore della sua pelle vellutata. Ma non andai oltre.
Desideravo sempre più Paola, e, tra l’altro, mi ci stavo affezionando, le volevo bene.
Chissà se Londra sarebbe rimasta un’avventura singola o l’inizio di qualcosa. Non nascondo che feci anche delle riflessioni di carattere’ economico.
Viaggio, hotel, permanenza, qualche spesa’ certo che non sarebbero state scopate a buon mercato.
Scossi la testa a quella parola: ‘scopate’.
Era qualcosa di più che un semplice capriccio erotico, anche se, &egrave bene sottolinearlo, la fisicità di Paola aveva una parte preponderante nell’attrazione che esercitava su me. Ne ero affascinato.
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Mentre il taxi ci portava a Fiumicino, nella mia testa scoppiavano come tanti fuochi artificiali, di mille colori.
Mi sentivo come un esploratore di fronte all’ignoto. Ignoto!
Mi tornavano alla mente parole, sigle, accostamenti.
FEM, fica e minchia’
Il cognome di Paola, Heri, l’assonanza con ‘hairy’, ‘pelosa’.
Lei guardava fuori del finestrino. In quel momento un cartello recava l’insegna di Roma, uno scudo con le lettere SPQR.
Reminiscenza pre-universitaria.
Quelle lettere, per noi, significavano ‘sorca pelosa quadrata rognosa’.
La sorca, nome dialettale del sesso femminile.
Il sesso femminile si può chiamare in tanti modi, dice Belli:
Chi vvò cchiede la monna a Ccaterina,
Pe ffasse intenne da la ggente dotta
Je toccherebbe a ddi’ vvurva, vaccina,
E ddà ggiù co la cunna e cco la potta.
Ma nnoantri fijjacci de miggnotta
Dimo scella, patacca, passerina,
Fessa, spacco, fissura, bbuscia, grotta.
Freggna, fica, sciavatta, chitarrina.
Sorca, vaschetta, fodero, frittella,
Ciscia, sporta, perucca, varpelosa,
Chiavica, gattarola, finestrella,
Fischiarola, quer-fatto, quela-cosa,
Urinale, fracosscio, ciumachella,
La-gabbia-der-pipino, e la-bbrodosa.
E ssi vvòi la scimosa,
Chi la chiama vergoggna, e cchi nnatura,
Chi cciuf&egraveca, tajjola, e ssepportura.

Si, ma quella di Paola non era certamente ‘quadrata rognosa’. Cosa assegnare, allora a quella ‘Q’ e a quella ‘R’?
Ecco: Qualità Raffinata.
Stavamo andana in Inghilterra. Lì la chiamano ‘Pussy’. Quindi Hairy Pussy. HP, le sue iniziali. HP, Horse Power, la sigla della potenza.
Paola era una potenza della natura.
Forse il mio volto aveva strane espressioni, perché Paola mi prese la mano, mi guardò.
‘Tutto bene, Giorgio?’
‘Certo, cara, benissimo in attesa del meglio!’
Mi sorrise.
Eravamo giunti all’aeroporto. Carrello, Vip Lounge, pensarono al check-in, ci offrirono un drink.
Paola guardava in giro. Era elegante nel suo semplice abito da viaggio color nocciola.
Quando ci chiamarono per l’imbarco, mi prese la mano.
Salimmo a bordo, la feci sedere accanto al finestrino.
L’aiutai ad allacciare la cintura di sicurezza.
Mi teneva forte la mano.
Chiusura dei portelloni, l’aero si avviò verso la pista, si fermò. Reattori al massimo. Partenza.
Paola quasi si abbracciò a me, ma nel contempo fissava la terra che correva sempre più rapida sotto il carrello. L’aereo cabrò. Verso il cielo, verso ovest, e poi a nord.
Paola fece un lungo sospiro, si voltò verso me, sorrise.
Fu attratta dall’attraversamento delle Alpi. Per fortuna il cielo era sereno.
Una discreta colazione, una scorsa ai giornali.
Ogni tanto, Paola mi prendeva la mano se la portava in grembo. Ne sentivo il calore. E tornavano spontanee, alla mente, quelle strane sigle: HP, Hot Pussy. Insomma la sentivo calda!
Heathrow, perfetto atterraggio.
Terminal 2.
Ci venne incontro un incaricato del Savoy, si fece consegnare gli scontrini per il ritiro bagaglio, e ci accompagnò all’ingresso, dov’era la limousine con l’autista. Lui ‘disse- ci avrebbe seguiti non appena ritirate le valige.
Dall’aeroporto al Savoy sono circa 30 chilometri, prima percorrendo la M4 e poi la A4. Ecco St James, Charing Cross, lo Strand’ il Savoy.
L’ingresso incantò Paola.
Dopo poco eravamo nella nostra suite, ampia, con la bella vista del Tamigi, del Parco divertimenti.
Finalmente!
Era la prima volta che eravamo insieme in una camera da letto.
Primo pensiero?
Sbatterla subito sul letto.
Riflessione.
Posso distruggere tutto e per sempre. Cediamole la prima mossa.
Scelta avveduta.
Paola si guardò intorno e, non appena uscì il portabagagli andò sul tavolino dov’erano i fiori e il biglietto. Lo lesse, odorò i fiori, si voltò. Radiosa. Mi getto le braccia al collo.
‘E’ tutto meraviglioso, Giorgio, tutto’. Tu sei meraviglioso’ perché non ti ho incontrato prima?’
Fu il primo vero ‘french kiss’. Un bacio voluttuoso, con le lingue che si cercavano avidamente. Il suo grembo era attaccato a me, e così il suo seno, mentre le mie mani le carezzavano la schiena’ più giù.
Rimanemmo a lungo, così. Ero eccitatissimo. Ci slacciammo.
‘La vera meraviglia, cara, sei tu. Meraviglia, che dico, splendore, portento, prodigio. Non credo a me stesso di essere qui con te’ Sei stanca?’
‘Per niente, sono su di giri, come non mai’ che facciamo?’
‘Quello che vuoi tu.’
‘Senti, io sono impaziente di vedere Londra’ ma ho anche un po’ di fame’ che ne dici di uno spuntino e poi girare’ girare’ girare? E’ vero che il manzo scozzese &egrave il migliore del mondo? Qui lo hanno? E’ lo stesso che mangiano i ‘beefeaters’ la Guardia della Regina?’
Era infervorata, entusiasta, impaziente.
Le presi la mano.
‘Andiamo alla Carvery, dove servono carni arrosto tagliate al momento dell’ordinazione. Una patata alla cenere, calda, con burro. E il dolce che sceglierai dal carrello. Io, per bere, consiglierei la Tennent’s Lager, molto bevuta in Scozia, chiara, poco alcolica e di bassa fermentazione”
‘Mi sbronzerò?’
‘In ogni caso dipende dalla quantità.’
‘Vado a rinfrescarmi.’
Le detti una pacca sul sedere e mentre lei, toltasi il vestito andava al bagno, io rimasi in maniche di camicia, domandandomi: ‘quando’?
Venti minuti dopo eravamo di fronte a una gustosa bistecca e ad un boccale di birra.
Paola apprezzò tutto, con molto gusto, e misuratamente.
‘Non voglio appesantirmi’ Londra mi attende!’
Avevo pregato di farmi trovare un’auto per un breve giro di Londra, le cose principali.
Era una bella giornata, e l’autista poté abbassare il tettuccio apribile della lussuosa Bentley.
Charlie, l’autista, parlucchiava un po’ di italiano, era gentile e professionalmente preparato per quel genere di servizio.
Ci propose di andare a vedere Downing Street, poi vista del Parliament col Big Ben, una brevissima sosta alla Westminster Abbey, quindi Buckingham Palace, Piccadilly, Trafalgar Square con la impressive Nelson’s Column and fountains, quindi verso la Torre. Lungo la strada ci saremmo fermati per un t&egrave e cakes, e poi, lentamente, per le vie commerciali, si riprendeva lo Strand e si tornava al Savoy.
Erano circa le 03.00 p.m., contavamo di essere di ritorno per le 07.00 p.m..
Charlie era certo che fosse mia intenzione avere un ‘candlelight dinner’ con champagne, e al mio assenso chiese il permesso di prenotare un tavolo e un very light dinner. Annuii. Telefonò in Hotel.
Avevamo parlato in inglese, Paola mi guardò interrogativamente. Le dissi che avevo prenotato un tavolo, ma non accennai né a candele né allo champagne.
Charlie ci indicava i luoghi da ammirare e in italo-inglse ci dava delle informazioni.
Caratteristico il luogo dove ci condusse per il t&egrave. Non ad uso turistico, ma tipicamente inglese.
Alle sette pomeridiane eravamo al Savoy.
Charlie aveva pienamente meritato la mancia, che intascò ringraziando.
Dovevamo cambiarci, e ciò avvenne dopo un appassionato abbraccio e bacio di Paola. ‘Per ringraziarti’ disse, ed io accettai golosamente quell’anticipo!
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Ci siamo!
Le candele, la delicatezza della leggera cena, lo champagne, l’accuratezza del servizio, la classe delle persone circostanti, la raffinatezza della tovaglia, delle porcellane, dei cristalli, della posateria. Tutto incantò Paola che sprizzava gioia dagli occhi. Ogni tanto mi guardava, e io leggevo, volevo leggere, un seducente e promettente messaggio nei suoi occhi.
Giunse il momento di ritirarci nella nostra suite.
Per lasciarla libera dei suoi movimenti, mi misi nell’angolo del salottino, accesi la TV e finsi di guardarla con interesse.
Lei prese qualcosa da un cassetto, sparì nel bagno.
Pur dando mostra di essere preso dalla trasmissione, la scorsi quando tornò in camera e rapidamente s’infilò nel letto. Vidi chiaramente che indossava solo la giacca del leggero pigiama, e non era abbottonata. Per un attimo vidi lo splendore delle sue gambe.
Mi alzai, quasi con noncuranza, andai a mia volta per i normali adempimenti che la notte richiedeva, ma indossai anche i pantaloni’ per evidenti motivi.
Entrai nel letto.
Paola era supina. Volse verso me il capo. Sorrise.
Mi avvicinai a lei, su un fianco, fino a toccarla col mio corpo, e curando che non si sentisse troppo la mia eccitazione.
Mi sollevai appena, su un gomito, e con l’altra mano dischiusi del tutto la sua giacca del pigiama. Un seno scultoreo, maestoso pur nella sua divina proporzione, tondo, sodo, con due areole molto scure e due capezzoli bellissimi. La sentii fremere mentre mi abbassavo a lambirli, ad accoglierli tra le mie labbra, a succhiarli delicatamente. Lei socchiuse gli occhi.
La mano scese, sul ventre piatto, indugiò intorno al piccolo ombelico, scese ancora. Fu accolta da una folta e serica massa di lunghi riccioli che a quel tocco presero vita, s’incresparono, furono percorsi da un’onda, ed anche il grembo palpitava.
Quel voluttuoso prato inanellato mi attraeva. Dovevo vederlo. Guardai Paola. Era ancora con gli occhi chiusi. Solo il suo respiro era aumentato. Posi l’orecchio sul cuore. Batteva, veloce. Lentamente la scoprii, allontanai da lei la leggera copertina.
A luxuriant dense hair forest, una fitta e lussureggiante foresta di peli.
A wizard forest, una foresta incantata, che nascondeva the wonderful sanctuary il meraviglioso santuario nel quale mi accingevo a celebrare il più esaltante rito che ci consente la vita.
Tuffai il volto in quel cespuglio morbido e accogliente.
Quel profumo sconvolgente lo conoscevo, lo avevo percepito’ ne fui inebriato’ ora desideravo conoscere anche’ il ‘sapore”
Le gambe si dischiusero lentamente, la lingua cercò la strada, la trovò subito’ la Valle dell’Eden’
Mi venne in mente il verso di una vecchia poesia inglese: he licked her lips and tasted sugar’ leccò le labbra di lei e assaggiò il dolce’
Paola prese la mia testa tra le sue mani, mi tirò verso lei.
‘Adesso’ adesso’ subito”
E mentre io mi inerpicavo su lei, lentamente, cercando di liberarmi dei pantaloni del pigiama, lei alzava le ginocchia, poggiando le gambe sui talloni, e il fallo andò spontaneamente, naturalmente, in quella dolcemente villosa valle tiepida’ allungò una mano’ lo prese’ lo portò all’orificio della sua calda e rorida vagina, nella quale ‘lui’ entrò vibrante e gongolante, accolto da meravigliose contrazioni che erano voluttuose carezze.
Il suo grembo sussultava, ondeggiava, il bacino mi veniva incontro, si muoveva come se volesse tracciare infiniti ‘8’, deliziosamente. Era un’amante eccezionale, passionale, ardente, una piovra, una sempre più golosa pompa aspirante. Ed io non ero da meno.
Ci davo dentro con un entusiasmo e un impeto che credevo aver perduto.
Eravamo in preda a incontenibile eccitazione, frenesia, delirio’
Il piacere montava rapidamente, in entrambi, ci stava travolgendo.. fu un gemito incalzante, febbrile, turbinoso, un seguire di palpiti e sussulti, e nel suo caldo crogiolo si fusero il getto prepotente della mia voluttà e la linfa di un interminabile e spossante orgasmo che andò lentamente quietandosi’ rilassandosi.
Ero appagato come non mai’
‘Non avevo mai provato una sensazione simile, tesoro’ mi sembra morire’ morire di voluttà”
Le nostre labbra si cercarono, avide, insaziabili.
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Non credo che avessi dormito molto.
Non mi ero neppure accorto di essermi assopito.
Lei mi voltava il dorso, era rannicchiata sulle mie ginocchia, e con una mano le stringevo il petto. La rotondità del suo fondo schiena era sulle mie gambe. Il mio sesso aveva trovato rifugio nel solco accogliente delle natiche, e dimostrava sempre più di trovarsi a proprio agio.
La lampadina sul tavolo da notte era accesa. Vedevo la sua schiena, bella, liscia’ vellutata come una pesca’
Fu spontaneo avvicinarvi la mia lingua, lambirla’
Paola fu percorsa da un fremito. Strinse le natiche, le rilassò’ sentii la sua mano muoversi, mentre alzava un po’ una gamba’ prendere il mio glande, portarlo di nuovo all’accesso della sua fremente grotta incantata, e spingendosi verso me si fece penetrare’ e non rimase ferma’ riprese quel suo sensuale e concupiscente ondulare che mi faceva impazzire’ ed ancora una volta impazzimmo insieme, meravigliosamente. Le stringevo il seno, le carezzavo il clitoride, e lei era insuperabile nel muoversi, ampiamente, senza, però, lasciar mai che ‘lui’ sgusciasse fuori.
Intesa spontanea, istintiva, naturale.
Dev’essere questo essere fatti l’uno per l’altra!
Un’armonia e una simultaneità che non si verifica neppure dopo anni ed anni di’ prove.
A Napoli, avevo sentito dire, una volta, una frase che mi era rimasta impressa: Aggio trovato ‘a cosa po’ coso mio!
Era quello che insperabilmente era capitato a me.
Paula si voltò dalla parte mia.
‘Mi sembra di aver fatto da sempre l’amore con te’ &egrave bellissimo!’
La mia stessa sensazione.
E lo constatammo ancora, prima dell’alba.
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L’evento doveva essere solennizzato.
Dopo colazione dissi a Pody ‘mi piaceva chiamarla così- che desideravo farle un piccolo dono.
Lei rifiutò, decisamente, le sembrava fuori luogo, mi fece capire che le sembrava una specie di’ corrispettivo.
‘Sciocchina’ vieni’ andiamo’ voglio solo donarti un piccolo souvenir di Londra”
‘Ma io, di Londra, avrò un tale ricordo che non basterebbero cento vite per dimenticarlo’ e non voglio dimenticarlo.’
‘Vieni a vedere’ ci facciamo portare a New Bond Street, dove sono i più eleganti negozi”
Il portiere chiamò il taxi, gli disse qualcosa.
Ci portò in quella strada, all’angolo con Burlington Cedrus Garden. Proprio dinanzi alle vetrine di ‘Ralph Lauren’.
Paola si fermò ad ammirare le vetrine, in particolare una.
Le dissi di entrare, avremmo visto da vicino delle cose belle.
Andammo nel reparto femminile e dissi che la signora avrebbe gradito provare il ‘wool crepe tuxedo jacket’ esposto in vetrina ed anche il ‘caroline pant’.
Pody non aveva compreso bene cosa avessi detto, ma mi guardò interrogativamente.
Le sorrisi.
La commessa ci pregò di seguirla nel salottino.
Dopo pochi istanti apparve una bella modella, più o meno della taglia di Paola, ma non così bella ‘almeno per me- che indossava i capi richiesti.
Erano veramente dei capi splendidi.
La commessa, gentilmente, chiese a Paola se desiderava provarli. Erano esattamente della sua taglia.
Paola non capì.
‘Provali, Pody, sono sicuro che ti staranno benissimo.’
‘Ma Giorgio, mi avevi detto’.’
‘Provali, tesoro, fammi questo regalo.’
Paola andò dietro il paravento, si cambiò, uscì.
Bellissima, elegantissima.
La commessa le aveva fatto indossare delle scarpe adatte alla toletta.
Paola si guardò nel grande specchio a tre ante. Si pavoneggiava, in un certo senso. Ed aveva ben ragione di vedersi bella e desiderabile. Mi tornarono in mente le ore da non troppo trascorse’. Meravigliose.
Le sorrisi, mi avvicinai a lei.
‘Sei splendida, stupenda, fantastica’ non toglierlo, faremo mandare in hotel l’altro.’
‘Giorgio’ ti prego’ non vorrei”
Mi volse alla commessa e dissi che l’avremmo preso e la pregai di mandare al Savoy ciò che Paola aveva tolto.
Ci avviammo alla cassa, con lei che, pur raggiante, non smetteva di dirmi che ‘non dovevo’.
Passammo attraverso il reparto ‘Jewelry’. Fui attratto da degli orecchini che avevano un disegno particolare. Presi Paola per la mano e ci fermammo. Il compito e compassato commesso ci chiese se potesse aiutarci. Indicai gli orecchini.
Prese il vassoio sul quale era la scatola che li conteneva e lo pose sul banco. Ci invitò a sedere.
Si complimentò con me, perché quelli erano veramente ‘unici’ erano ‘vintage classic estate earrings’. Non &egrave che la cosa mi dicesse molto, ma si vedeva che non erano moderni ed erano classici.
Lo pregai di farli provare alla signora.
‘Questo no, Giorgio, ti prego!’
Paola ebbe un gesto di irritazione.
‘Solo vedere come ti stanno, cara”
‘Ma qui, a Londra, in questo negozio’. Costeranno un patrimonio”
‘Provali’ non li stiamo comprando!’
Al mio cenno, il commesso porse gli orecchini, uno per volta, a Paola che aveva tolto i suoi e stava indossando i ‘classics’.
In effetti erano molto belli, e illuminavano ancor più il volto di Paola. Erano un gioiello veramente elegante e arricchente.
Paola si guardò nello specchio che il commesso manteneva dinanzi a lei.
‘Sono belli, certamente, non lo si può negare’.’
‘E ti stanno benissimo”
‘Questo non vuol dire, però, che”
‘Sono un London souvenir’ ti prego”
Dissi al commesso che li avremmo presi, e a lei di non toglierli.
La carta di credito fece onorevole fronte al non indifferente importo che pagai.
No, non pagavo la notte trascorsa con Paola. Ero felice di vederla felice.
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Quella sera Paola aveva gli occhi lucidi, velati di pianto, ma anche di gioia.
Ero in pigiama, seduto in poltrona, a guardare le ultime notizie della BBC. Apparve lei. Una visione che non so descrivere. Indossava solamente le eleganti scarpine nuove e gli orecchini’
Era ferma, di fronte a me.
I miei occhi la carezzarono, si soffermarono sul suo seno meraviglioso, sui suoi fianchi sul suo pube.
Mi tese la mano.
Andammo così, verso il letto, senza neanche spegnere la TV.
Si distese, attese che io mi denudassi e fosse accanto a lei.
Aveva le nari frementi, le labbra socchiuse, i capelli sciolti.
La mia eccitazione era evidente e imperiosa.
Si pose a cavallo a me, prese il sesso e vi si impalò con una lentezza voluttuosa che mi fece sperimentare una voluttà sconosciuta e indescrivibile.
Ero in lei, stretto in lei, e sentivo le contrazioni della sua vagina che lo stringevano, lo carezzavano, lo mungevano’ e’ poi’ quel suo caratteristico ondulare’ e la visione del suo seno, di lei che aveva rovesciato indietro la testa, i suoi capelli, e la danza degli orecchini che accompagnava quel suo trotto, dapprima moderato, che presto si tramutò in un galoppo sfrenato che, anche quella volta si concluse con il contemporaneo taglio del traguardo.
Si, non voleva perdere neppure una goccia di me.
Mi munse completamente.
Si gettò su me. Sudata, ansante, baciandomi, lisciandomi, mentre ero ancora in lei, e i suoi orecchini mi carezzavano il viso.
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Noi contiamo di tornare al Savoy, anche quest’anno, per celebrare sempre allo stesso modo il quinto anno che trascorriamo insieme.
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