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Prigione di seta

By 27 Novembre 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Era un soleggiato lunedì di fine Ottobre mentre Aurora si dirigeva a passi lenti verso la biblioteca della città. La brezza fresca le investiva il volto come una carezza mentre i raggi del sole faticavano a trapelare tra le fronde degli alberi, sentiva a malapena il loro tepore scaldarle la schiena.
Il suo incedere era deciso ma privo di velocità, guardava le foglie secche palesarsi lungo il vialetto in pietra che conduceva all’entrata della biblioteca, calpestandone qualcuna, le piaceva sentire quello scricchiolìo sotto le scarpe. Il suo sguardo era perso nel vuoto nonostante fissasse le mattonelle in marmo, uno sguardo distratto, quasi alienato.
Aurora era una ragazza di 22 anni, studentessa universitaria presso la facoltà di Lettere e Filosofia proveniente da una famiglia umile e di sani principi, il padre impiegato presso una piccola impresa mercantile e la madre casalinga.
Figlia unica ma ciò non le dispiaceva, amava molto la sua solitudine, n’era quasi gelosa e la sua camera rappresentava la sua personalità, una piccola finestra sul mondo: scaffali ricolmi di dvd e libri di qualsiasi categoria. La lettura e il cinema erano le sue passioni preferite, amava gli aforismi e le citazioni dei film o di alcuni romanzi ma non disdegnava anche la buona musica, spaziando dalle colonne sonore a qualsiasi altro genere. Definiva quest’ultima come la regina delle arti perchè capace di arrivare ovunque a prescindere dal genere, qualsiasi traccia musicale le procurasse emozioni o le sfiorasse l’animo era per lei sinonimo di arte. Non badava all’artista, al titolo della canzone, all’etichetta o al genere, per lei era importante il contenuto e non la forma.
Questo principio era esteso a qualsiasi campo della vita.
Una ragazza con una personalità molto complessa e una mente altrettanto articolata. Intelligente, colta, curiosa e acuta osservatrice. Non le sfuggiva nulla e rispetto a molte sue coetanee badava molto alle piccole cose, qualità frutto della sua sensibilità. Le sue sfumature caratteriali erano molteplici e si manifestavano in base ai suoi stati d’animo, a volte solare e allegra e altre malinconica e disillusa, quasi tormentata.
Socialmente parlando le piaceva autodefinirsi come il personaggio di Louis del romanzo horror “Intervista col Vampiro” di Anne Rice, ovvero “in lotta con tutto”. Ripudiava questa società intrisa d’ipocrisa, egoismo ed opportunismo quasi viscerali. Il giudizio sulle sue coetanee era anche peggiore, riteneva la sua generazione priva di qualsiasi interesse culturale ed imperniata sull’importanza dell’immagine, dell’estetica fomentate da presunti “modelli” televisivi e dal totale disinteresse nei confronti dell’informazione o della cultura.
Non riusciva quasi mai ad integrarsi del tutto con le sue amiche in quanto spesso gli argomenti trattati erano per lei un’accozzaglia di futilità, sentendosi sovente un pesce fuor d’acqua. Avrebbe voluto magari parlare di qualche libro letto recentemente o di un bel film visto al cinema e non dell’ultimo tweet o foto su Instagram.
A volte pensava, dettata dalla frustrazione del momento, di avere qualche difficoltà nei rapporti interpersonali ma dopo aver riacquistato un barlume di lucidità si accorgeva che fossero le altre le disadattate e non lei.
Ovviamente, da ragazza intelligente, non faceva di tutta l’erba un fascio e di certo non riteneva che tutte le sue coetanee fossero create con lo stampino, provava però repulsione per la “massa”, soprattutto per coloro che non avessero un’ideale e un’opinione propria ma che seguissero le convinzioni dell’amica di turno come un gregge di pecore o come un dottrina incontrovertibile.
Sapeva però essere risoluta nonostante fosse di poche parole, virtù che la rendeva particolarmente affascinante agli occhi dei ragazzi. Era riservata in modo quasi seducente.

La natura era stata generosa con Aurora dal punto di vista estetico. Era una ragazza alta 1.68, capelli ricci castani con tinte e riflessi rossastri fino alle spalle che contornavano un viso dai lineamenti molto graziosi, una pelle vellutata e rosea sulle guance sovrastate da due occhi castani molto espressivi e sopracciglia scure. Un bocca che sembrava letteralmente disegnata: vermiglia seppur priva di rossetto e il labbro superiore leggermente più carnoso dell’inferiore le conferiva a volte un’espressione vagamente imbronciata ma voluttuosa dal punto di vista erotico. Due labbra che sembravano due petali di rosa rossa appoggiati sul suo viso. Non aveva bisogno di truccarsi in quanto poteva essere estremamente seducente anche priva di qualsiasi cosmetico. Quando provava ad usarli stava attenta a non eccedere in quanto i suoi lineamenti le conferivano un’espressione da femme fatale o come diceva la sua amica Elisa: “da porca”.
Fisicamente il suo punto forte era il seno, una terza abbondante che durante i giorni del ciclo mestruale sfiorava quasi la quarta. Era un seno alto, sodo, dalla pelle altrettanto chiara come quella del viso e quando usava delle scollature si poteva notare, con occhio attento, l’inizio di una linea perfetta fra i due seni stretti nelle coppe. Una linea su cui molti ragazzi ci fantasticavano sopra. Sapeva che a volte quando parlavano tra di loro venisse appellata volgarmente “la bambolina tettona” ma quest’espressione più che infastidirla la divertiva in quanto era molto elastica mentalmente riguardo ai giudizi dei ragazzi.
Era consapevole che fossero spesso complimenti privi di tatto e delicatezza ma si allietava del fatto di aver scatenato in loro un apprezzamento sul suo fisico. Anche in questo caso tentava di badare più al contenuto che alla forma.
Al di sotto del seno si estendeva un ventre piatto e liscio, dei fianchi non troppo stretti, un sedere non troppo pronunciato e delle gambe snelle.
Aurora era conscia della sua bellezza e non si esimeva dall’esprimerla senza ovviamente scadere nella volgarità o nello squallore. Sapeva che indossando una maglietta scollata o una camicetta un po’ sbottonata avrebbe attirato sguardi di uomini di qualsiasi età rivolti a quel florido seno, idem per le sue gambe quando erano scoperte indossando una gonna di jeans o di altro tessuto.
Era una ragazza colta, studiosa, riservata ma di certo non morigerata o impacciata con la propria sesualità o il proprio corpo. Si divertiva nello stuzzicare e provocare reazioni senza proferire parola soltanto con l’ausilio delle curve del suo seno o la femminilità dei suoi lineamenti. Le piaceva ricorrere al vedo/non vedo e riteneva che il cosiddetto “linguaggio del corpo fosse” una delle forme più efficaci di seduzione dopo l’uso della parola. Quest’ultimo, a suo avviso, era il miglior strumento attraverso il quale esprimere l’erotismo in ogni sua forma, dalla più soft alla più verace.
Dal punto di vista sentimentale la sua ultima storia era terminata circa sei mesi fa. La sua sensibilità avrebbe dovuto teoricamente farla soffrire ma quel rapporto era già logorato da tempo e la rottura definitiva fu quasi una formalità senza rimpianti. La cotta nei confronti di quel ragazzo era frutto di un’infatuazione prettamente fisica avvenuta quando frequentava il liceo.
Con il trascorrere degli anni però il suo bisogno d’instaurare anche delle solide affinità mentali con quel ragazzo era diventato sempre più incessante, componente su cui lui fosse carente. Troppo poco attento all’aspetto psicologico ed affettivo della relazione. La rottura del rapporto era inesorabile, prima o poi sarebbe dovuto succedere.

Aurora aveva tentato invano nel corso del tempo d’instaurare rapporti con qualche coetaneo conosciuto in facoltà o in altre occasioni ma ogni tentativo si rivelò una delusione in quanto tutti i ragazzi che incontrasse le sembravano vuoti, decadenti, privi di maturità e di qualsiasi interesse degno di nota.
Ciò nonostante era capitato qualche volta di giocare in chat erotiche anonime con qualche sconosciuto durante alcune notti chiusa nella sua camera. Trovava però divertenti quegli incontri fugaci soltanto sul momento, una volta chiusa la chat riconosceva amaramente che nulla le restasse dentro.
Il web l’aveva però aiutata a conoscere meglio le sue molteplici sfaccettature erotiche come ad esempio l’apprezzamento verso i “contrasti” erotici e la sottomissione.
Quest’ultima attitudine era stata scoperta gradatamente e non era stata mai rivelata a nessuno, neanche a quegli individui conosciuti in chat. La considerava una sfumatura importantissima della sua sfera erotica e non aveva alcuna intenzione che venisse rovinata dalla scelleratezza di colui con il quale si sarebbe confidata. Ne era estremamente gelosa e la custodiva con ardore. Neanche la sua migliore amica sapeva nulla a tal proposito, voleva aspettare che qualche persona adeguatamente intelligente, acuta, matura e priva di pregiudizi potesse elaborarla insieme a lei in modo costruttivo e stimolante.
Sapeva di essere una ragazza eroticamente valente dal punto di vista mentale e non avrebbe mai svelato tali sfumature a chi non si fosse rivelato alla stessa altezza, uomo o donna che fosse.

Varcò l’ingresso della biblioteca e le sue narici vennero subito investite da quel classico e distintivo odore di scaffali, di pagine sfogliate, di copertine logorate dal tempo, odore di cultura, di sapienza.
Si diresse verso l’ala ovest dove si trovava la saletta della biblioteca che l’aveva sempre affascinata per la disposizione: librerie che si ergevano sulla destra, il tavolo rettangolare in legno levigato al centro e sulla sinistra una finestra dalla quale trapelavano i raggi del sole, colmando di tepore l’interno del locale.
Era il suo piccolo antro in cui si rifugiava dal mondo esterno per qualche ora, senza alcuna interferenza.
Fortunatamente oggi non doveva studiare, era lì semplicemente per passatempo e sgombrare la mente da preoccupazioni e piccole ansie legate alle sessioni d’esami. Sedette al tavolo estraendo dalla borsa due volumi: “Carne e sangue” di Michael Cunningham e “L’amante di Lady Chatterley” di David Herbert Lawrence.
Il primo descriveva la storia drammatica di una famiglia medio borghese alla ricerca di una felicità ordinaria i cui destini, seppur separati nel corso della storia, si sarebbero intrecciati in un epilogo che Aurora non vedeva l’ora di scoprire.
Il secondo titolo l’era stato invece suggerito da un’amica con la quale intratteneva spesso delle conversazioni sull’erotismo. Non aveva voluto farsi anticipare granchè, sapeva soltanto che la protagonista fosse una giovane sposa alle prese con l’evoluzione e l’esplosione della sua sessualità repressa grazie all’incontro con il guardacaccia della tenuta del marito aristocratico.

Prese “Carne e sangue” immergendosi nella lettura fin da subito, riscaldata da quel tepore che trapelava dalla finestra e dal silenzio rassicurante della saletta.
Non si accorse che trascorsero circa due ore piene da quando aveva iniziato la lettura e solo l’avviso di un messaggio su Whatsapp la ridestò dalla concentrazione. Un po’ a malincuore posò il libro sul tavolo e afferrò il cellulare leggendo sul display.
“Cazzo!” sussurrò e con tono indispettito aggiunse “Sono proprio una deficiente!”.
La sua amica Elisa l’aveva appena avvisata dell’incontro previsto al pub vicino l’università circa un’ora fa.
Aurora era costernata e leggendo che Elisa l’avvisasse di essere andata via circa dieci minuti fa, raccattò le sue cose in fretta e furia uscendo dalla saletta con l’intenzione di andarsene e telefonare alla sua amica per scusarsi.
Il suo sguardo era però rivolto al cellulare che teneva in mano e dopo aver percorso pochi passi, proprio verso l’entrata della saletta riuscì soltanto ad intravedere all’ultimo istante una figura scura che si palesava davanti a lei: il contatto era inevitabile.
Urtò frontalmente contro questa persona la quale esclamò un sorpreso “Ehi!”.
Aurora sollevò subito lo sguardo e con tutta la deferenza possibile disse: “M-Mi scusi io…” interrompendosi per osservare meglio colui che aveva urtato.
Si trattava di un uomo sulla trentina, più alto di lei, fisico slanciato, camicia celeste a maniche lunghe al cui colletto era annodata una cravatta dalla tonalità blu scuro, una cintura in cuoio, jeans scuri eleganti e una giacca dello stesso colore della cravatta avvolta sull’avambraccio destro tenuto all’altezza dell’addome.
La ragazza potè, grazie alla luce che investiva il viso dell’uomo, intravedere i suoi lineamenti: capelli rasati, barbetta incolta ma curata, labbra leggermente carnose, occhi blu che però investiti dalla luce rivelavano dei riflessi verdi nell’iride. Non era una bellezza da far girare la testa ma Aurora captò subito qualcosa nello sguardo e nell’espressione di quell’uomo, qualcosa di profondo. Era uno sguardo fermo, deciso ma al tempo stesso espressivo. Quegli occhi sembravano scrutarla in modo quasi analitico.
“…io ero distratta” terminò, Aurora.
L’espressione dell’uomo non mutò, rimase accigliata.
“Bè, stia più attenta la prossima volta. Tenga lo sguardo sollevato quando cammina” rispose l’uomo.
La sua voce era particolare perché aveva un timbro rassicurante, posato, mellifluo ma con una sfumatura autoritaria. Quest’ultima componente risaltò all’udito di Aurora. Il tono con cui l’aveva esortata a stare più attenta non era alterato bensì calmo ma al tempo stesso privo d’indecisione, quasi perentorio.
Rimase un po’ disorientata da questa figura che si era materializzata davanti a lei e mentre stava per controbattere un po’ stizzita da quell’esortazione si accorse che lo sguardo dell’uomo cadde lentamente sul suo petto e notò una leggerissima increspatura sul lato sinistro della bocca a formare una parvenza di sorriso asimmetrico a labbra chiuse.
Aurora corrugò le sopracciglia e schiuse le labbra in un’espressione disorientata e d’istinto abbassò lo sguardo notando che durante l’urto lo scollo della maglietta si era leggermente spostato verso sinistra lasciando un po’ scoperta la linea del suo seno. Niente di troppo evidente ma quel tanto che basta da far presupporre una certa prosperosità.
Sentì improvvisamente avvampare le guance e d’istinto fece scattare la testa verso l’uomo rivolgendo uno sguardo di rimprovero con occhi strabuzzati e labbra chiuse dal risentimento. Si sentiva furiosa ed esposta, nonché violata da quello sguardo invadente ma anche stavolta, inspiegabilmente, non seppe esternare il suo disappunto.
Il sorriso leggermente asimmetrico a labbra chiuse scomparve improvvisamente dal volto dell’uomo mutando in un’espressione seria ma non più perentoria come prima. Sembrava la stesse studiando nel giro di quei pochi secondi.
Improvvisamente e senza rivolgere alcun saluto voltò le spalle alla ragazza e varcando l’entrata della saletta con passo felpato scomparve dalla sua visuale.
Aurora rimase per qualche istante immobile osservando quell’entrata come se vi fosse realmente qualcosa di tangibile d’ammirare. Si sentiva strana e disorientata.
C’era però un’altra sensazione spiacevole che non era riuscita a percepire in quegli istanti e ora, a mente fredda, capì: si sentiva vulnerabile. L’atteggiamento di quell’uomo, il suo sguardo penetrante e il suo timbro posato ma deciso l’avevano destabilizzata emotivamente e le sue difese erano inesistenti.
Per lei, risoluta e sempre tempestiva nella risposta, fu un duro colpo e mentre si voltava per recarsi all’uscita della biblioteca vi fu una domanda che lambiccò il suo cervello minuto dopo minuto: era stato lui a neutralizzare le sue difese o era stata lei a renderle inefficaci? Merito dell’abilità di quell’uomo o debolezza da parte sua?
Una volta varcata l’uscita della biblioteca una brezza fresca le investì il volto, accarezzandole le guance come una mano vellutata. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, come se quella situazione vissuta in sala l’avesse per un attimo privata di ossigeno rendendola oppressa.
Si ricordò di doversi scusare con Elisa ma mentre digitava il messaggio sul display del cellulare, quelle sensazioni le ritornavano in mente, come un dardo scagliato da una parte all’altra del suo cervello.

La sveglia indicava le 23:37 mentre Aurora fissava il soffitto da sotto le coperte. Era stata una giornata particolare, insolitamente stressante nonostante non fosse periodo di lezioni in facoltà.
Cercava invano di prendere sonno ma evidentemente quella sera Hypnos non voleva saperne di lei.
Si sentiva stranamente irrequieta, c’era qualcosa che l’aveva turbata. Dopo qualche istante di riflessione capì che non c’era “qualcosa” bensì “qualcuno” ad averla turbata: quell’uomo.
Continuava a ricordare la dinamica dell’incontro come se davanti a se avesse delle diapositive che scorrevano una dopo l’altra e continuava a non capire quale fosse il motivo di tale turbamento.
“Basta!” sbottò sottovoce “Devo distrarmi…altrimenti stanotte non chiuderò occhio!”.
Spinse le coperte e si mise a sedere sul letto appoggiando la schiena alla parete fredda dietro di lei, un brivido le corse lungo la schiena.
Prese il portatile dalla scrivania e dopo averlo appoggiato sulle gambe digitò Omegle sulla barra di ricerca di Google. Lei stessa si sorprendeva di come una ragazza come lei potesse frequentare a volte un sito del genere. Era riuscita, nel tempo, a trovare una doppia motivazione: divertimento adolescenziale e fascino per quel contrasto.
Si recava su Omegle poche volte, giusto quando voleva farsi due risate prendendo in giro i troll e i maniaci oppure quando decideva di voler trasgredire un po’ nel suo piccolo provando a divertirsi con qualche sconosciuto. Quest’ultima opzione non la entusiasmava moltissimo ma le piaceva molto il contrasto che si veniva a creare perché stuzzicare eroticamente qualche emerito sconosciuto in chat la faceva sentire…”sporca” e provocatrice. Era un contrasto che l’aveva sempre divertita ed eccitata, purezza mista a malizia, curiosità culturale mista a curiosità erotica, compostezza nella vita reale mista a trasgressione virtuale. Inoltre la cam era sempre spenta, si recava solo per chattare, era molto attenta alla sicurezza della sua privacy. Inoltre l’anonimato la faceva sentire protetta.
Quella notte però non trovò nessuno che stimolasse la sua curiosità, nessun messaggio degno di attenzione.
“Ciao, io M sono qui per segarmi, ti va sex chat?”
“Ehi ciao! Qui M, hai kik!? Scambiamo foto?”
“Ciao, vorrei svuotarmi le palle, è da un paio di giorni che le ho piene, ti va di aiutarmi a sborrare?”
Rivolgendo gli occhi verso il soffitto esclamò: “Oh, Signore! Ma si può essere più squallidi?!” e ritornando con lo sguardo sul monitor aggiunse:
“Ho già capito, stasera solo segaioli e nessuno che voglia divertirsi come si deve”
Chiuse il portatile e lo riappoggiò sulla scrivania adiacente, rimettendosi sotto le coperte.

I minuti trascorrevano ma non riusciva a prendere sonno, quella strana inquietudine continuava a pervaderla. Sollevò un braccio per spostarsi una ciocca di capelli dalla fronte e mentre compì questo gesto sfiorò inavvertitamente il seno destro. Indossava soltanto una maglietta dal tessuto molto leggero quando andava a letto ed era priva di reggiseno, di conseguenza quel contatto fu avvertito nella sua totalità.
Sospirò e rimase con la bocca socchiusa per qualche istante ripensando a quella sensazione così bella.
Improvvisamente pensò: “Ma certo…come mai non ci ho pensato prima?”.
Il braccio tornò sotto le coperte e con le dita della mano destra iniziò a sfiorarsi il caldo seno appoggiando i polpastrelli sulla protuberanza causata dal capezzolo.
I movimenti erano rotatori, a mano aperta e procuravano dei brividi che avvertiva lungo tutto il corpo, fino alla punta dei piedi, seguiti da un piacevole formicolìo alla nuca.
Sospirò nuovamente e dopo qualche istante sollevò la maglietta fino a sopra il seno.
Sentì improvvisamente la punta del capezzolo inturgidirsi sia per lo sbalzo di temperatura sia perché la punta ne sfiorava la coperta, procurando un’ulteriore stimolazione.
Intanto il suo corpo iniziava a ondeggiare lentamente e in mezzo alle cosce sentiva un calore intenso che andava placato. Difatti la mano sinistra raggiunse il ventre piatto e vellutato per poi arrivare all’elastico degli slip. Ci passò sopra due dita sentendo il monte di Venere caldo e gonfio e ciò le procurò un altro gemito soffocato mordendosi il labbro inferiore.
Strofinò due dita sugli slip percependo un forte calore e sensazione di umido.
Intanto la mano destra venne portata alla sua bocca dalla quale la sua lingua fu estroflessa per insalivarne i polpastrelli tornando su quel capezzolo. Lo sentì subito inturgidirsi a contatto con quelle dita bagnate, lo titillava strofinandoci sopra anche il palmo della mano mentre tutto il seno iniziava ad inturgidirsi a sua volta.
Intanto con l’altra mano scostò di lato gli slip e appoggiò le dita sulla sua eccitazione calda e bagnata, desiderosa di attenzioni. Sentiva gli umori iniziare a colare a rivoli sull’interno delle cosce e sporcare sicuramente il materasso. Con due dita iniziò a massaggiare orizzontalmente le grandi labbra gonfie e umide.
Cacciò un altro gemito sommesso.
Aurora non poteva vedersi ma in questo preciso istante era bellissima. Una ragazza così attraente con la maglietta sollevata sopra il seno, gli slip scostati, una mano sul capezzolo ormai duro come un chiodino e l’altra impegnata a masturbarsi. Le sue gote erano arrossate e il suo sguardo era vitreo per l’eccitazione.
Era la rappresentazione della femminilità peccaminosa, ricolma di voglia e di eccitazione.
Con la mano destra risalì un po’ più su andando sul clitoride, era già gonfio e quando lo sfiorò ebbe uno spasmo lungo la schiena. Lo stimolò con la punta delle due dita, grattandolo con intensità prima dal basso verso l’alto e poi in senso rotatorio. Grondava ormai umori e diveniva sempre più calda, sempre più desiderosa.
Con l’altra mano strinse il seno affondando le dita in quel globo di carne morbida, soda e calda come avrebbero sicuramente voluto fare tanti ragazzi che la conoscevano. In quel momento si sentì ancora più sporca, indecente. E le piacque. Molto. Le piacque talmente tanto da sorridere in modo lussurioso mentre l’altra mano continuava a torturare il clitoride sempre più vibrante e gonfio. Le piccole labbra iniziarono a contrarsi, avvertiva l’orgasmo montare inesorabile. Il suo bacino ondeggiava sul materasso, si dimenava in preda all’eccitazione.
Improvvisamente nella sua mente apparve quell’uomo ed ebbe un sussulto. Rallentò per un attimo le dita per essersi sorpresa di averlo pensato proprio in quel momento concitato ma dopo una frazione di secondo, come se fosse manipolata da qualcuno, aumentò subito la pressione delle dita sul clitoride gonfio e strinse il seno destro più forte che potesse immaginando che fosse quell’uomo a farlo.
Nell’aria odore di sesso, di femmina eccitata, di sudore.
L’orgasmo arrivò impetuoso, serrò d’istinto le gambe attorno alla sua mano e tutto il suo corpo venne attraversato da convulsioni mentre dei succhi colavano dalle sue labbra sollecitate.
Il battito era alle stelle, le tempie sudate pulsavano e delle scariche elettriche partivano dalla zona del clitoride dipanandosi fino al cervello, facendola tremare per i forti spasmi. Sollevò il bacino dalla superficie del materasso, tesa come una corda di violino. Dovette mordersi il labbro quasi a farlo sanguinare per non farsi sentire mentre rantolava di goduria.
Fu un orgasmo squassante, uno dei più potenti che abbia mai avuto.

Lentamente, dischiuse le gambe flettendole nuovamente lungo il materasso mentre con la mano continuava ad accarezzarsi leggermente le grandi labbra completamente sporche di umori.
Lasciò la presa dal seno destro facendo ricadere il braccio e il suo capo si riappoggiò sul cuscino voltandosi sul lato destro.
Rilassò le membra, appagata benché spossata. L’endorfine provocate dall’orgasmo scorrevano nel suo sangue facendola sorridere ad occhi semichiusi. Il mondo esterno era non più percepibile come prima, i suoni e i rumori della città provenienti dall’esterno giungevano ovattati, le luci divenivano soffuse, tutto si annebbiava in un tripudio di benessere fisico e mentale.
Il sonno l’avvolse come un manto invisibile, accogliente e protettivo.

Aurora non sapeva che l’immagine di quell’uomo palesatasi al culmine dell’orgasmo assumerà un significato considerevole nel corso dei prossimi giorni, divenendo l’inizio di qualcosa di molto intenso che stravolgerà la sua monotona e tranquilla vita da studentessa.

[Continua…]

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