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Racconti Erotici Etero

Profumo di lui

By 4 Marzo 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Antico Caff&egrave Greco, Via Condotti, dove sono passati Liszt, Bizet, Gogol, Wagner, Goethe, Casanova, Stendhal. E, insieme a loro, tutti i grandi pensatori, artisti, letterati degli ultimi duecent’anni, corroborati dallo scambio d’idee e dalla bevanda orientale. &egrave un monumento della Capitale. E se un cardinale siede al Greco? La leggenda vuole che diventi papa. Accadde a Gioacchino Pecci, divenuto Leone XIII.
Sulla via Condotti, quella che parte da Piazza di Spagna e raggiunge via del Corso, una via piena di grandi firme, dell’abbigliamento e di gioielleria.
Chiusa al traffico veicolare, sempre gremita di gente. Di tutte le razze. La maggior parte vestita in una foggia che definirei sub-casual.
I migliori clienti, i Giapponesi, che fotografano tutto e comprano tutto.
Se ti volti verso la Piazza, dov’&egrave la colonna dell’Immacolata, la scalinata di Trinità dei Monti &egrave più stipata delle gradinate dello stadio durante il derby. Luogo dove s’intrecciano saluti, si fa qualche conoscenza. Punto di partenza, a volte, per successivi sviluppi erotici. Punto dove si gettano, spesso, rifiuti d’ogni genere, specie lattine. Ma anche bottiglie vuote e cartacce.
Antico Caffé Greco.
Ero andato nell’ultima sala, quella in fondo e avevo miracolosamente trovato un tavolino libero.
Sedetti, mi misi a sfogliare la rivista che avevo comprato all’edicola.
Quando il cameriere mi chiese cosa desiderassi, gli chiesi un ‘aperitivo della casa’. Lo conoscevo e mi piaceva, Un giusto equilibrio di alcol e amaro. Per me.
La giovane signora, con pacchetti e shoppers, si guardava intorno, alla ricerca dell’introvabile tavolino libero. Era in piedi, accanto a me.
‘Signora..’
Si voltò, mi guardò.
” se vuole, può accomodarsi qui. Sono solo. Metta i suoi ‘impedimenta’ sulla sedia.’
Mi rivolse un sorriso più che splendido.
‘Grazie, lei mi salva’. Posso lasciare qui?’
Mise tutto sulla poltroncina.
Si chinò per parlare sottovoce.
‘Scusi sa, ma devo’. incipriarmi il naso”
Quel suo modo di esprimersi mi fece sorridere.
Ancora oggi qualche donna inglese dice che vuole to powder her nose, per significare che va alla ‘toilette’ e non per usare la cipria.
Lasciò tutto, anche la borsa’ segno che non necessitava di quanto in essa contenuto.
Tornò con passo elastico, volto disteso.
Si vede che era rilassata, dopo’
Sedette, io fece un accenno ad alzarmi, e credetti opportuno presentarmi, solo col nome, logicamente.
‘Piero.’
Mi tese la mano.
‘Mara.’
Una mano affusolata, curatissima, e una pelle liscia, tiepida.
Vide il liquido rosso nel mio bicchiere.
‘E’ buono?’
‘A me piace.’
‘Posso assaggiare?’
Mi stupii moltissimo. Non &egrave normale che una sconosciuta ti chieda di bere nel tuo bicchiere. A meno che’ Ma no, Mara, era una bellissima giovane donna, elegante, raffinata, e vestiva con gusto. Non era ‘una di quelle’. Certo che non doveva superare i trenta, quindi almeno venti anni meno di me, ma non credo che questa distanza anagrafica sia la ragione di tale sorprendente confidenza. Forse nel suo entourage si usava così.
Le porsi il bicchiere.
‘Prego.’
Lo portò alle labbra. Un sorsetto, poi un altro, più lungo.
‘E’ veramente buono’ ma glielo ho quasi finito’ permetta che gliene offra un altro.’
In quel momento passava il cameriere.
Lo chiamai con un cenno del capo.
‘Altri due, per favore.’
Un minuto dopo li portò al nostro tavolo, e con lo sguardo gli feci capire che avrei pagato io.
Come attaccare discorso?
‘E’ di Roma, lei, Mara?’
‘Romanissima. Anche nel cognome: Cesari!’
Doveva essere un tipo che quando cominciava a parlare’
‘Vedo che ha fatto molte spese.’
‘Si. Eppure ero uscita solo per dare uno sguardo alle vetrine. Poi’ la tentazione’ Sa, io resisto a tutto, meno che alle tentazioni.’
E fece una risatina argentina.
‘Tentazioni di qualunque genere?’
‘Più o meno.’
‘A quali resiste meno?’
‘Scusi, ma lei &egrave psicologo, medico o solamente curioso?’
Il tono della sua voce era divertito.
‘Io non direi curioso, ma ‘interessato’.’
‘Interessato a conoscere l’uomo.’
‘Anche la donna?’
‘Soprattutto.’
‘Allora, cosa vuol sapere?’
‘Mi parli di lei.’
‘E lei mi parlerà di sé?’
‘Certamente.’
‘Ho trent’anni, sposata, senza figli, studi interrotti al terzo anno di università, abbastanza disordinata, di carattere allegro, vorrei dire godereccio’ forse un po’ troppo’ io lo so che dietro le mie spalle le mie cosiddette amiche mi chiamano ‘Messa”’
‘Messa?’
‘Si, proprio per non dire Messalina. Non credo, però, di meritare tale nomignolo. Anzi, lei signor interessato”
‘Piero!’
‘Va bene, Piero, voglio proprio sentire cosa ne pensi.’
Era passata al ‘tu’.
‘Cosa ne penso di che?’
‘Se devo ritenermi una’ Messalina.’
‘Sentiamo. Diciamo subito che Messalina &egrave considerata la madre di tutte le traditrici, l’ antesignana delle varie Cleopatre, delle tante Lucrezie; moglie di Claudio, il più cornuto degli imperatori di Roma, donna depravata e orgiastica, che, profittando dell’assenza del marito, ebbe l’ardire di sposare il suo amante, Caio Silio. Messalina, oltre tutto, ha strumentalizzato il sesso. Che ne dice?’
‘A me, non nascondo, il sesso piace, e molto, lo considero il massimo completamento della lussuria ed anche strumento di potere.’
‘Messalina faceva uccidere i suoi vecchi amanti.’
Il sorriso che aleggiava sulle sue belle labbra rosse, era sempre incantevole. Sorrideva anche con gli occhi, con espressione disincantata, maliziosa, ironica, canzonatoria. Era veramente una gran bella donna.
‘In effetti’ dopo’ a cosa altro servono? Ma no, io sono generosa’ li lascio alle altre!’
‘Messalina, a quanto si dice, ebbe una relazione incestuosa con suo zio Caligola. Cosa ne pensa di tale genere di relazioni?’
‘Beh, io non ho zii, ma solo zie. E sono figlia unica. Non so come mi sarei comportata di fronte alle attenzioni di uno zio. Oddio’ se ne valeva la pena’ se mi trovavo in quei momenti in cui hai ‘ un vuoto’ che vuoi, anzi devi, riempire subito e comunque’ Che c’&egrave di male. I nostri impulsi e le nostre esigenze, specie se riferiti al sesso, non discriminano vincoli di sangue, di razza, di religione. Quando lo senti’ voglio dire quando fai l’amore, per usare uno strano modo dire che si ritiene elegante, l’essenziale &egrave farlo, e bene!’
‘Io posso sembrare inopportuno, ma dovrei fare qualche domanda che potrebbe anche apparire impertinente, insolente, ma”
‘Dai, falla’. Fuori il rospo’ credo di capire cosa vuoi chiedermi. Se ho tradito mio marito.’
‘Non le sembri offensiva”
‘Ma che offensiva. Però, per favore, dammi del ‘tu’.
Io, però, devo fare una piccola premessa, sul ‘tradimento’ sulla ‘fedeltà’.
Vediamo di intenderci.
Quasi tutti considerano ‘tradimento’ un rapporto sessuale non col proprio partner. Questo perché nella coppia si ritiene insita la promessa ‘scusa la crudezza del termine ma &egrave quello che dà il giusto senso- ‘scoperò solo con te’!
Se vai con un altro, o con un’altra, hai violato la promessa, sei stato ‘infedele’!
A parte il fatto che la Corte di Cassazione ha detto che il dovere di fedeltà non deve essere inteso soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali, va riconosciuto che la monogamia assoluta contrasta fortemente con la tendenza esplorativa, la voglia di sperimentare, di mettersi alla prova, che ha qualsiasi persona intelligente. Del resto, anche le persone che si proclamano fedeli non lo sono proprio del tutto. Nella maggior parte di loro infatti l’irrequietezza sessuale si esprime sul piano delle fantasie. La fantasia prende il posto dell’azione, consentendo ai due partners di restarsi fedeli fisicamente.
Io alla ‘fantasia’ preferisco la concretezza.
Vuoi sapere se ‘sono stata’ con un altro che non sia mio marito?
Prima volta. Non posso considerarlo tradimento, per quello che ho detto. Mi sono follemente innamorata di un attore che, tra l’altro, era anche un po’ gay. Purtroppo gli ero indifferente.
Ero molto giovane, presa dai sensi, soggiogata da lui, tanto che, pur di averlo, accettai ‘mi vergogno confessarlo- che nei nostri incontri fossero coinvolti anche suoi amanti maschi!
Ti prego non inorridire.
Ero distrutta al punto tale che sono convinta che fu mio marito a favorire la mia storia con quell’essere immondo che mi ha portata su una strada incredibile. Ero schiava di quegli amplessi privi d’amore che purtroppo mi lasciavano triste e perennemente insoddisfatta. Mi sentivo alquanto depressa.
Ero alla ricerca di non so cosa, fino al punto che in uno stesso pomeriggio, dopo un insoddisfacente rapporto con lui, ne abbi altri coi suoi tre amichetti.’
‘Ma non &egrave stato l’unico, quell’attore, né lei si &egrave ‘scusa- tu ti sei fermata dopo i tre”
‘E’ vero. Sono stata sempre alla ricerca del nuovo, con una curiosità che si può paragonare alla golosità: una voglia incontenibile di’assaggiare!’
Scosse lievemente il capo, e il sorriso le si spense sulle labbra.
‘Hai detto ‘sono stata’, vuol dire che ora ti sei fermata?’
‘Diciamo che sono in raccoglimento, per riflettere e valutare.’
‘Valutare cosa?’
‘E’ una effettiva esigenza, la mia? Sono una specie di ninfomane? Non credo, perché, a parte quella squallida esperienza del teatrante e della sua sordida corte, a me piacciono quei rapporti, ci godo, vengo scossa, sconvolta, da soddisfacenti orgasmi. Solo che’ dopo il pasto ho più fame che prìa’
E’ esigenza, cio&egrave bisogno, necessità, urgenza, o ingordigia, incontentabilità, appetito smodato?
Si, rifletto, ma se &egrave solo insolita fame di sesso, perché non saziarsi alla fonte coniugale?’
‘Ma’ lui’ &egrave in grado di.. saziarti?’
‘Qualitativamente e quantitativamente.’
‘E, allora, perché altrove?’
‘E’ il motivo della mia riflessione, ma credo che sto comprendendo la ragione di questo mio modo di comportarmi.’
‘Sarebbe?’
‘Scusa, ma per te hanno tutte lo stesso profumo? Non trovi differenza di pelle, di calore, carezzando l’una o l’altra?’
‘Si, certo, ma a un certo punto”
‘E prima di ‘quel’ punto? Inoltre, giunti a quel ‘punto’, come fai a fermarti? A tal proposito ti racconto una barzelletta. Se la sai, però, fermami.
Eccola.
Due, lei e lui, si incontravano sempre nel boschetto, quello lungo la statale, e al riparo dei cespugli, sull’erbetta morbida, facevano l’amore.
Quel giorno, però, l’acquazzone estivo aveva reso impraticabile il prato, e loro, tristi e delusi, mano nella mano, camminavano ai bordi dell’asfalto che, essendo prima molto caldo, s’era completamente asciugato.
L’asfalto era asciutto, non l’erba del prato.
‘Guarda com’&egrave asciutto’ ‘disse lei- lì potremmo farlo benissimo.
Lui non si fece pregare. La strada non era trafficata, anzi era quasi deserta e poi, se giungeva un’auto l’avrebbero veduta ben in tempo’
Detto fatto.
Lei si sdraiò, alzò la gonna. Previdentemente non indossava altro.
Lui, subito pronto, non stette a perdere tempo, la penetrò, ed iniziarono un impetuoso che andò rapidamente raggiungendo le vette del piacere. Ecco, però, che spuntò, lontana, un’auto che si avvicinò abbastanza velocemente, suonando a distesa. Quelli, però, niente! Seguitavano sempre più freneticamente.
Uno stridore aspro di freni e l’auto si fermò pochi centimetri prima di investire la coppia che, ormai, concluso felicemente il fatto, stava cercando di ricomporsi alla meglio.
Il guidatore dell’auto, infuriato, scese e apostrofò il reduce dall’amplesso.
‘Ma disgraziato, non ti sei accorto che stavo venendo?’
Lui, imperturbabile, seguitò a tirare su la zip dei pantaloni.
‘Sì che me ne sono accorto!’
‘E allora?’
‘Il fatto &egrave che tu stavi venendo, ma stavo venendo anche io e stava venendo anche lei.’
‘Seguito a non capire.’
‘Stavamo venendo tutti e tre, ma’.i freni li avevi solo tu!’
Stupidina, vero?’
‘No, &egrave perfettamente pertinente, ma vorrei sapere qualcosa di più delle differente tattili e olfattive cui ti riferivi.’
‘Ma &egrave tutto chiaro.
Vedi, Sara ed io -Sara &egrave la mia migliore amica- siamo andate in Olanda, ad Amsterdam. Ci &egrave stata proposta una gita a Marken e Volendam, paesi di fiori e di formaggi, con guida parlante italiano.
Piccolo pullman, otto turisti, tutti italiani, l’autista indonesiano, Mutir, e la guida, Acco, che conosceva qualche parola di italiano. Arrangiandosi con inglese, tedesco e fiammingo (lingua a me del tutto sconosciuta) riusciva più o meno a farsi capire.
Sedetti dietro all’autista. Acco venne a sedere accanto a me.
Un bel ragazzone, biondo, alto, robusto ma non grasso, bianco e rosso, e con l’allegria dipinta sul volto.
Nel ‘suo’ italiano, ci dette il buongiorno e ci disse che avremmo visitato un caseificio, poi un vivaio di piante, quindi il souvenir shop, prima di uno snack. Successivamente, saremmo andati a Sneek, seguendo la lunga diga, lì un t&egrave e quindi ritorno ad Amsterdam.
Odorava strano, Acco. Forse il dopobarba, o il bagnoschiuma, o la lozione per i capelli. Un odore che mi sembrava di conoscere ma non riuscivo a identificare. Intanto ci eravamo avviati verso la nostra prima tappa: Volendam.
Appena entrati nel caseificio fui avvolta da un effluvio che, ora riuscivo a riconoscerlo, era del latte tiepido. Lo stesso di Acco. Odorava di latte fresco, Acco, forse per quanto ne beveva, per i formaggi che mangiava’ Un odore che mi faceva venire l’acquolina alla bocca, e deglutivo golosamente.
Spiegazione della lavorazione casearia, assaggi delle diverse qualità di caci, passaggio nella sala vendite e, all’uscita, molti, nella retina in cui erano state messe, esibivano grosse palle rosse di formaggio, acquistate a un prezzo molto maggiore di quello che, in Italia, praticavano i più esclusivi negozi di ricercatezze gastronomiche.
Ora toccava al vivaio.
In effetti si rimaneva incantati da quei colori, dall’ordine delle serre.
Acco si fece dare un fiore, e me lo regalò, con un sorriso incantevole, seguitando a spandere intorno a sé un gradevole scent of milk, fragranza di latte. Gli sorrisi, ringraziandolo. Aveva tantissime efelidi sulle gote bianche e rosse.
Bellissimo il tulipano che mi aveva regalato.
Il tour seguitò. Curiosammo tra le bancarelle, presso i negozi per turisti. Alcuni comprarono i famosi zoccoli olandesi che, poi, a casa, non avrebbero saputo dove mettere e sarebbero finiti come ipocrita dono a un amico dicendo che li avevano scelti proprio pensando a lui!
Andammo, per il lunch incluso nell’escursione, al Van den Hogen, un locale abbastanza caratteristico. Ci fu servita una ‘specialità’ della casa: sogliola alla Volendam. In effetti era buona. Bevemmo Amstel Beer, quindi dessert e una bevanda scura che assicurarono essere ‘espresso all’italiana’.
Acco ci lasciò un po’ di tempo per curiosare, per acquistare dolci e cioccolato, specie quello di Van Houten, fabbricato dal 1828 con la stessa ricetta e lo stesso procedimento.
Risaliti sul pulmino, ci avviammo verso Sneek. Al di là della lunga diga, prima seguendo la A7 e poi la E22.
Ora del t&egrave, al Onder del Linden (viale dei tigli, come quello di Berlino) sulla Markstraat.
Dovevamo tornare ad Amsterdam.
L’odore di Acco sembrava più acuto’ feci finta di addormentarmi per poggiarmi a lui, e avvertirlo’ a diretto contatto. Avevo il tulipano in grembo. Facevo mille divagazioni con la mente.
Acco sarebbe rimasto al nostro albergo, al Grand Hotel Krasnapolsky, nella Piazza Dam, di fronte al Palazzo Reale, perché l’indomani era prevista la gita a Den Hag, l’Aia, e a Scheveningen, la spiaggia olandese, dove era previsto il lunch al Carlton Beach Hotel.
Dopo cena Acco mi propose di fare un salto ‘disse proprio così- in una discoteca. Ballammo, con l’odore di latte che mi infiammava sempre più. Ed era più che prevedibile la conclusione della serata: Acco nella mia camera.
Mentre ero in bagno, a cambiarmi, lui s’era sdraiato sul letto, completamente nudo, ed in evidente stato di eccitazione: il suo fallo mi sembrava un tulipano, eretto sul suo carnoso stelo. Ne aveva tutta la forma.
Vedi, Piero, tu chiedi se c’&egrave una differenza.
Io mi sentivo come una ‘purosangue’ che scalpita per la gara che deve affrontare. Ma non basta la ‘purosangue’ per tagliare vittoriosamente il traguardo, molto dipende da chi la cavalca. Da quello che vedevo, però, lui era più cavalcatura che fantino, e quindi fui io, vestita come lui, di nulla, ad accogliere quel meraviglioso fiore nel mio vaso, in ‘natural vasello’ di Dante, ma non dalla parte dello stelo.
Era delizioso quel tulipano, e come aderiva alle pareti del mio sesso, come le carezzava, e la giumenta si trasformò in amazzone, sempre più appassionata, fino a raggiungere una meta che non dimenticherò mai.
Lui partecipò attivamente, ma l’interprete principale fui io.
Al mattino, nel lasciarmi ‘doveva accertarsi che tutto fosse pronto per la gita- mi carezzò dolcemente, e disse che era stato bello, per lui, sentirsi ‘invocare’ specie quando l’orgasmo stava per travolgermi.
Gli sorrisi appena, ma non volli disilluderlo.
Io non lo avevo’ invocato’ non avevo detto Acco’ ma ecco’. ecco’ ecco’ mentre stavo per’ venire e’ non avevo freni.’
‘Interessante il tuo racconto e quasi convincenti le teorie sui profumi. Sei stata abile a scindere l’odore del latte dal tulipano che non ha odore, e a giustificarne l’attrattiva per la sua indubbia somiglianza a un glande, che &egrave quello che hai accolto in te, avidamente, voluttuosamente.
E se non ci sono tulipani? Se non si va nel paese dei formaggi?’
‘No, vedo che non sono riuscita a far comprendere che non vado ‘in cerca’ di avventure sessuali, ma che mi capita di essere affascinata da sensazioni che nella loro diversità agiscono su me con un’attrazione irresistibile.
Particolare l’odore di Acco, caratteristica la forma del suo sesso’
Realtà molto diverse da altre.
Vedi, ho accompagnato mio marito a Dakar, dove lui aveva un convegno. Non ero mai stata in Senegal e avevo qualche superficiale conoscenza di quei luoghi, quelle genti. Per me Dakar era soprattutto la città dove terminava la Parigi-Dakar. Sapevo che il Senegal aveva avuto un Presidente famoso, L&egraveopold Séngar Senghor, poeta delicato, con riconoscimenti da tutto il mondo letterario. Di lui conoscevo quello che considero l’inno alla donna di colore:
Femme nue, femme noire
Vétue de ta couleur qui est vie, de ta forme qui est beauté ‘
Femmina nuda, femmina nera
Vestita del tuo colore che &egrave vita, della tua forma che &egrave bellezza’
Mi guardavo intorno mentre il taxi ci portava a Le Meridien, tra l’aeroporto Yoff e la città, su una specie di penisola, La pointe des Almadies. Quando Marco, mio marito, me ne aveva parlato io non immaginavo l’incantevole fascino del luogo, e gli dissi che avrei preferito La Croix Du Sud, certamente meno elegante, ma proprio al centro della città, vicino a Place Indipendence, proprio di fronte all’Air France.
Quando giungemmo all’hotel, però, mi ricredetti. Una navetta e i taxi erano sempre pronti a portarmi in centro.
Non nascondo che ero alquanto stanca. Il volo Roma-Milano-Dakar, tra l’alzataccia del mattino e il momento di entrare nella bella camera dell’hotel, di fronte all’Atlantico, mi teneva in piedi da circa dieci ore. Eravamo in pieno pomeriggio. Non era finita, però. Dovevamo scendere nel salone dove alle 19 c’era il benvenuto ai Congressisti che l’indomani si sarebbero riuniti all’Università Senghor per iniziare i lavori: ‘malattie genetiche e modalità di trasmissione’.
Una doccia, vestirsi per l’occasione, e giù.
Come entrammo nel salone, ci venne incontro un atletico ed elegante uomo di colore, sorridente, con le braccia tese verso Marco. Si abbracciarono affettuosamente.
‘Mara, ti presento il mio caro amico, il dottor Namori Konaté, col quale ho condiviso la camera al campus, a Parigi, durante la specializzazione in genetica. Namori parla anche un po’ di italiano.’
Gli tesi la mano, lui si chinò a sfiorarla con le labbra.
‘Incantato, signora!’
Marco non mi aveva mai parlato di questo suo amico, né che era stato a Roma, per un lungo stage, dove Marco lavorava.
Un bell’uomo, il dottor Konaté, alto, di lineamenti più europei che afri, ma di pelle nerissima, lucida, che non riuscivo a distinguere ‘allora- se era serica o grassa.
Andammo verso il tavolo per la registrazione. Marcò andò a presentare le sue credenziali e Konaté mi chiese se era la prima volta della mia visita ‘au Senegal’ e che impressione ne avessi tratto al primo incontro.
Parlava un mix italo-francese, ma si faceva capire.
Era simpatico, e destava subito un senso di sicurezza’ ma’
E’ mio destino che ci debba essere sempre un ‘ma’!
Fiutavo un certo odore che mi sembrava conoscere. Dove lo avevo sentito? Era nell’aria o proveniva da lui?
Marco tornò verso noi.
Era il momento del benvenuto. Andammo a sedere. Io ero tra Marco e l’altro. Non seguivo chi parlava, ma pensavo a dovevo avevo già percepito un simile odore.
Devo essere una fissata, per gli odori.
Forse era un caso atipico di iperosmia, l’accentuazione della sensibilità per gli odori, in genere per alcuni, ma quali per me?
L’olfatto, percezione degli odori, é una funzione importantissima, che ci mette in relazione con il mondo esterno e ci permette di percepire odori piacevoli e sgradevoli, e può essere considerata la più utilizzata del naso, non essere sostituibile con nessun altro organo del corpo. E riveste grande importanza perfino nell’attrazione sessuale, grazie alla sua capacità di percepire l’emissione di ferormoni.
Vuoi vedere, andavo fantasticando, che il mio odorato ha anche la facoltà di identificare messaggi cripto-feromonici?
“L’amore &egrave riconoscersi dall’odore”, dice una vecchia canzone, quindi un olfatto molto sviluppato, come negli animali, percepisce stimoli che sfuggono ad altri, li invia al cervello che li elabora, e li collega a qualcosa di piacevole. Prima che la nostra parte conscia e razionale possa ricordare dove abbiamo già sentito una certa fragranza, l’inconscio risponde rievocando la sensazione registrata nella memoria. Questa comunicazione subliminale &egrave molto rapida ed &egrave istintuale. I feromoni sono veri e propri messaggeri invisibili: sostanze organiche volatili capaci di modificare i comportamenti degli individui della stessa specie.
Ogni tanto, cercando di non farmi notare, davo una sbirciata a Namori: era proprio un bell’uomo.
Quando ‘finalmente- potemmo andare al bar, per un aperitivo, chiesi al medico di colore se fosse proprio di Dakar.
Mi disse che la sua famiglia era del ‘Casamance’, e lui era di razza mandingo.
Ecco perché era un così bel tocco di’nero. Era mandingo, la razza di Kunta Kinte, il protagonista di Roots, il famoso romanzo di Alex Haley.
E questo mi incuriosiva maggiormente. Anzi no, mi eccitava!
Quella sera, a letto, la mia fantasia tinse di nero Marco, lo asperse di quel particolare odore, e il mio corpo cercò appagamento.
Marco, piacevolmente sorpreso, ce la mise tutta, fu eccezionale.
Comunque, un surrogato non &egrave l’originale’
Il mattino dopo accompagnai Marco al Congresso, mi unii ad altre signore, visitai distrattamente Dakar’ aspettavo la sera, Namori sarebbe stato a cena con noi.
Sì ‘gli risposi- Dakar era bella, ma’
Mi disse che i dintorni erano incantevole.
Marco si volse a Namori.
‘Nam, domani &egrave una sessione poco interessante, specie per te, perché non accompagni Mara a Saly? Lungo la costa? Le fai assaggiare il ‘Ceebu jen’, riso-pesce-legumi, a Le Flamboyant la fanno benissimo, senza parlare delle ottime langoustes”
Il dottor Namori Konaté mi guardò con una certa perplessità.
‘Certo, certo, se madame lo gradisce”
‘Mi chiamo Mara, dottore”
‘Ed io, come ha sentito, sono chiamato Nam”
‘Nam’ infatti’ perché nam, in latino, significa infatti. Vero?’
Gli uomini sorrisero.
‘Allora, Mara?’
‘Va da sé che mi piacerebbe vedere ciò che mi hai descritto sempre con tanta passione”
‘Allora, Nam, &egrave fatta. Al mattino andiamo alla sessione, e al pomeriggio, alla tavola rotonda, tu te la squagli e porti Mara a Saly, d’accordo?’
‘Se posso’ farei una lieve modifica. Madame’ pardon’ Mara ed io partiamo verso le undici, così ci troviamo a Saly per il pranzo’ prenoto un tavolo”
Marco si rivolse a me.
‘Per te va bene, Mara?’
Alzai le spalle, come se subissi quello che, invece, anelavo: stare con Nam, inebriarmi del suo odore, che senti sempre, forte e stuzzicante. Qualcosa di animalesco che certamente elaborava il cervello, ma andava a finire’ tra le gambe.
Mi affrettai a rispondere.
‘Benissimo.’
Nam mi raccomandò di portare il costume per un eventuale bagno.
E alle undici precise partimmo per Saly.
L’auto era impregnata del suo profumo, tanto forte da stordirmi.
‘Buono questo odore, cosa &egrave?’
‘Tiouraye.’
‘Tiou’ cosa?’
‘Tiouraye, il nostro incenso, ne porto sempre un granello con me.’
‘Si, incenso, ecco cos’era. Ma un incenso strano, che, in ogni modo, ricordava qualcosa di mistico, una celebrazione, un rito.’
I pensieri che mi turbinavano nella mente non mi lasciavano gustare il panorama che diveniva sempre più bello.
E fu così, fino alle porte di Saly.
Nam era un perfetto guidatore, ogni tanto mi chiedeva se tutto procedesse bene.
Poiché era l’ora del déjeuner andammo a ‘Le Flamboyant’ che aveva un aspetto decisamente ospitale.
Eravamo attesi.
Il tempo per rinfrescarsi e, poi, direttamente al grazioso e accogliente Restaurant all’aperto. Molto grazioso.
Il menu era quello tanto decantato da Marco, un piatto con riso, pesce e legumi, il ceebu jen, appunto. Molto gustoso, alquanto speziato, innaffiato con un fresco bianco francese. Poi la prelibata ‘langouste’ e, per finire, alcuni datteri deliziosamente canditi-
Nam volle che assaggiassi il Bissàp, una specie di t&egrave rosso, come il karkadé, e, in nome della Terangà, parola che significa accoglienza, ospitalità, e così via, una tazza di Ataya, il loro t&egrave con zucchero, vaniglia e menta. Tutto piacevole.
Poi passammo al bar, per un ultima degustazione, latte di zenzero, che era molto buono. Solo dopo, Nam, mi disse che aveva indubbie virtù afrodisiache. Come se mi servissero!
Mi fu proposto una siesta in un luogo solitario e silenzioso della spiaggia arricchita da arbusti verdi e ombrosi. Scelsi un angolo riparato da occhi indiscreti, dal quale si poteva ammirare il mare. Dissi a Nam che mi sarei seduta in terra, lui andò di corsa all’auto e tornò con un largo telo che distese sulla sabbia e sulle foglie. Mi sdraiai sopra.
Inavvertitamente, mi assopii. Quanto ho dormito? Non lo so.
Quando mi svegliai Nam era accanto, supino, con le mani dietro la nuca, profondamente addormentato.
Com’era bello. Una stupenda statua di ebano.
Chissà cosa sognava’ la sua patta riusciva a stento a contenere quella che doveva essere una poderosa erezione.
Lentissimamente mi chinai su di lui.
Al profumo del tiouraye se ne aggiungeva un altro, che aveva qualcosa di agreste, come una leggera usta, l’odore caratteristico che lascia un animale selvatico, o di un fungo dopo la pioggia. Odore di Mandingo, doveva essere. Il riferimento al fungo mi ricordò il tulipano olandese. Questo odore, però, era particolarmente asprigno.
Fungo. Nella mente si presentò l’immagine di un fungo strano, mi avevano detto che si chiamava ‘fallus impudicus’
Fallus, che bel nome.
Impudicus, quali promesse!
Il noto umidore caratteristico mi diceva che anche io avevo qualcosa impudica, lasciva, lussuriosa. Soprattutto ansiosa.
Dovevo’ necessariamente alzarmi e andare alla toilette, ma temevo di svegliare Nam, faccia di un beato angelo nero, sorridente e attraente.
Niente da fare. Massima cautela, ma’ dovevo andare.
Quando tornai Nam era sveglio, in piedi e aveva messo intorno ai suoi fianchi il telo. Come un pareo.
‘Mi spiace essermi addormentato.’
‘Cosa dovrei dire io che ‘ti’ ho preceduto?’
Avevo calcato la voce su ‘ti’, per fargli capire la inutilità del ‘lei’.
Nam si stiracchiò.
‘Sarebbe bello fare una nuotata, c’&egrave un mare bellissimo. Oleografico.’
Gli risposi che ero perfettamente d’accordo.
Lui disse che aveva lo slip in auto, andava a prenderlo. Non ci mise molto.
Io, intanto, avevo tolto gonna e blusa, ero rimasta in ‘due pezzi’.
Lui si fermò di colpo, guardandomi con occhi sgranati. Il bianco degli occhi, la sclera, sembrava quasi stesse per uscire dalle orbite. Poi mi sembrò percorso da un brivido, mi sorrise, tolse la camiciola e cominciò ad armeggiare sotto il telo-pareo. Doveva sfilare i pantaloni e indossare lo slip.
Lo seguivo attentamente con lo sguardo’ ad un tratto’ il pareo cadde a terra’ ecco, quello era il ‘fallus impudicus’. Dio lo benedica e glielo conservi’ Adesso ero io ad essere percorsa da un brivido, che non accennava a finire.
Rapidamente infilò lo slip e, con aria imbarazzata, mi sorrise debolmente.
Lunga e piacevolissima nuotata.
L’acqua rendeva ancor più lucido il suo corpo scultoreo.
Dovevo controllarmi per non rimanere a guardarlo, estasiata.
Quando uscimmo dall’acqua, Nam disse che sarebbe stata opportuna una buona doccia. Propose di farsi dare una camera e andarla a fare. Lui ‘aggiunse- si sarebbe arrangiato alla meglio e mi avrebbe atteso nella hall.
Accettai con piacere l’idea della doccia, ma non vedevo il perché avrebbe dovuto ‘arrangiarsi’ e ‘aspettare’.
E così, lui gocciante e io avvolta nel telo, con i nostri indumenti in mano, rientrammo in hotel e ci facemmo dare una camera, precisando che era per la doccia.
Il concierge, gentilmente, ci fece accompagnare da un ragazzo e ci informò che avremmo trovato tutto il necessario: asciugamani, bagnoschiuma, phon’
Camera ampia, luminosa, con balcone e un invitante letto munito di zanzariera.
Nam sedette in poltrona e con uno dei suoi sorrisi smaglianti e affascinanti mostrandomi la porta del bagni mi disse ‘apr&egraves vous madame’.
Entrai nella salle à bain, appesi i vestiti al gancio, tolsi il costume da bagno, aprii l’acqua della doccia e mi lasciai voluttuosamente carezzare da lei. Scendeva tiepida sulla pelle, sul seno, sui fianchi, sul ventre, sulle natiche” avevo gli occhi chiusi, la testa rovesciata, e mi illudevo che fossero le dita di Nam. Forse si sarebbe offerto di asciugarmi’ che bello!
Mi ricordai che lui attendeva il suo turno. Mi avvolsi in uno degli accappatoi di morbida spugna che erano lì, e, riportando le mie cose, rientrai.
‘Tutto bene?’
‘Benissimo, grazie”
‘Posso andare io?’
‘Certo.’
E sparì, ma lasciò le sue cose sullo sgabello, e lasciò aperta la porta del bagno.
Niente’ aiuto ad asciugarmi.
Così com’ero, in accappatoio, sedetti in poltrona. Pigramente.
Sentii lo scrosciare dell’acqua, girai distrattamente la testa. Nel grande specchio dell’armadio c’era lui, Nam, nudo!
Favoloso, fenomenale, magnifico, splendido!
Al di sopra di ogni immaginazione.
Fui assalita da una vera e propria frenesia: correre da lui’.
Lì era il letto.
Ecco, quello era il ‘luogo.
Tremando come una foglia, andai a sdraiarmi sopra, lasciando completamente aperto l’accappatoio.
Il rumore dell’acqua cessò.
Nam riapparve, anche lui in accappatoio. Gli stava un po’ stretto.
Riuscì a strabuzzare gli occhi ancor più che sulla spiaggia.
Gli tesi la mano.
Vidi che deglutiva a fatica, si avvicinò a me, afferrai un capo del cordiglio che teneva l’accappatoio e lo tirai. L’accappatoio si aprì e, non più trattenuto dalla stoffa, balzò fuori un fallus d’ebano che mi fece venire l’acquolina in bocca e’ altrove.
Nam s’inginocchiò accanto al letto, mi guardava sbalordito, si chinò a baciare il mio seno, poi scese al grembo, sentii la sua lingua tra le mie gambe.
Lingua strana, sembrava una larga spatola di carne calda e palpitante che mi accarezzava con dolcezza infinita il sesso’ poi mutava forma, diveniva lunga e tondeggiante, penetrante, e s’intrufolava in me, roteava, curiosa, dolcissima, facendomi fremere. Non riuscivo a comprendere come potesse fare’
Sentì il mio grembo sussultare, la mia vagina contrarsi, il respiro divenire sempre più affannoso, i gemiti sfuggire dalle mie labbra e, quasi senza che me ne accorgessi, fu su di me, tra le mie gambe. Sollevai il bacino, e fu lui, il fallus impudicus, a penetrarmi lentamente, a dilatare le pareti palpitanti della mia vagina, che si sentiva percorsa da un qualcosa di caldo e vellutato, che s’introduceva voluttuosamente in lei’ la carezzava, si spingeva fino in fondo, tornava indietro, poi ancora’ e fu così’ fin quando non mi sentii mancare per il piacere’ e poi invadermi da un torrente meraviglioso nel quale naufragai deliziosamente.
Che dici, Piero, sono Messalina?’
Alzai le spalle.
‘I nomignoli non contano, specie se affibbiati da amiche invidiose.
Piuttosto’ dimmi’ io di cosa profumo?’
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