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Racconti Erotici Etero

Quattro anni

By 9 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi giro verso il batterista mentre martello sull’ultimo accordo della serata, un MI, trascinato a lungo mentre lui apparentemente cerca di spezzare le bacchette contro la batteria, movendo le braccia ad una velocità che dopo tanti anni continua a sembrarmi assurda. Poi lui fa un cenno con la testa, apre le braccia a colpire i piatti, e in due secondi il concerto &egrave finito. Salgono un po’ di applausi dal pubblico, una cosa molto, molto lontana dall’essere un’ovazione, scambio un cinque col chitarrista che al solito barcolla un pelo ubriaco, e giro sullo zero tutti e quattro i controlli della Gibson.

Mentre mi tolgo la chitarra (pesa una tonnellata, quella maledetta) e spengo il Marshall, mi chiedo ancora una volta chi me lo faccia fare. Certo non lo faccio per soldi, perché per una band come quella di cui faccio parte il massimo che si riesce a spremere da una serata sono centotrenta euro scarsi, e con quelli riusciamo a malapena a pagarci l’affitto della sala prove per un mese, figuriamoci. Certo non lo faccio per la gloria, perché ormai viaggio spedito verso i trent’anni, e quel tipo di sogni li ho definitivamente chiusi in un angolo parecchi anni fa.

E dannazione, non lo faccio nemmeno più per le donne, perché quelle cadono regolarmente ai piedi del bassista, che &egrave giovane e carino. Il chitarrista solista passa per quello figo, non chiedetemi perché. Io invece… beh, io ho una bella voce, sono quello che scrive le canzoni, e in genere vengo bellamente ignorato.

Il batterista, sudato com’&egrave a fine concerto, naturalmente non fa testo.

Il dopo concerto &egrave sempre un po’ impegnativo. Si deve smontare in fretta il tutto, perché poi tutta l’apparecchiatura va riportata in sala prove, e si deve passare a scambiare quattro chiacchiere con la gente che &egrave venuta a vederti, accettare con un sorriso modesto i complimenti (e le critiche) che arrivano dagli sconosciuti. Non ho mai capito perché, ma le donne fanno quasi sempre solo complimenti, mentre gli uomini, soprattutto quelli che hanno alzato un po’ il gomito, di solito vogliono dimostrarti che s’intendono di musica, e criticano più o meno tutto. Beh, &egrave questo il bello, no? mi dico mentre ripongo la ES335 nella sua custodia rigida.

Sento una mano sulla spalla sinistra. Chiunque abbia deciso di poggiarla proprio lì non ha fatto una buona scelta, perché sulla spalla sinistra poggia la fascia, e dopo due ore di concerto il sudore mi ha incollato la maglietta alla pelle. Però la mano non si ritrae, anzi: mi tira gentilmente indietro, invitandomi a ad alzarmi. Io faccio scattare le chiusure della custodia mentre giro la testa, cominciando a disegnarmi in volto, per abitudine, il classico sorriso modesto da dopo concerto.

“Complimenti, stasera siete stati proprio bravi!”, mi dice lei, e mi accorgo che si tratta di una vecchia conoscenza, l’amica di un’ex del chitarrista solista, una che ci segue più o meno regolarmente ormai da quasi quattro anni.

Sono quasi quattro anni che alla fine di ogni concerto mi dice la stessa frase.

Ringrazio, come di solito, e forse anche lei sta pensando che sono quasi quattro anni che le rispondo nello stesso modo.

Cazzo, stiamo invecchiando, penso, stiamo invecchiando tutti e due.

Mi alzo, e accetto i due baci che lei mi stampa sulle guance. Percepisco l’odore del suo alito da non fumatrice, dolce e caldo, e per un attimo mi ritrovo a pensare che non sarebbe male abbracciarla lì, anche se solo per pochi istanti, e stropicciarle per qualche secondo i capelli sulla nuca. Al diavolo, mi dico, stiamo invecchiando, stiamo invecchiando tutti e due. Non perdere tempo.

Così lo faccio. La abbraccio, la mano sinistra poggiata poco sopra il sedere, e sento il suo seno premere lievemente contro il mio petto. Poggio la mano destra sulla sua nuca, e le stropiccio pian piano i corti capelli biondi. Lei s’irrigidisce per un istante, poi congiunge le braccia dietro la mia schiena, poggia il viso contro il mio collo, e mi ci dà un piccolo bacio.

Ed &egrave in quel momento che io comincio a non capire più niente. Sono convinto che sul corpo di ognuno madre natura abbia posizionato uno o più interruttori del sesso: basta sfiorarli, ed entra in azione il pilota automatico. Beh, io ne ho di per certo due, e sono piazzati ai due lati del collo, cinque centimetri circa sotto le orecchie. E’ strano, &egrave vero, ma la reazione &egrave quasi immediata, e qualcuno laggiù, poco meno di una spanna sotto l’ombelico, ha un risveglio brusco e improvviso. Lei se ne accorge, lo so, perché mi sospira appena nell’orecchio, e questo mi dà il colpo di grazia. Ma ho tutto questo maledetto materiale da smontare, tutti questi cavi da arrotolare, tutti questi maledetti amici da salutare! E allora le do un bacio sulla tempia, lei sorride mentre la mia erezione &egrave schiacciata tra noi due, e le chiedo se poi possiamo bere qualcosa insieme.

‘Certo!’, mi dice lei, e sorride di nuovo, strofinandosi appena appena contro la protuberanza pulsante che ormai ha finito di crescere, e io mugolo un po’, riuscendo persino a trovare il tempo di notare che lei ha davvero dei bei denti. E gli occhi, come le brillano gli occhi!

Beh, lei torna al tavolo dei suoi amici, e sembra che nessuno si sia accorto di quello che &egrave successo fra noi in una manciata di secondi. Certo non se n’&egrave accorto il chitarrista solista, che barcollando sta arrotolando i suoi cavi biascicando di tanto in tanto una mezza bestemmia. Meno male che non &egrave riuscito a diventare una rock star, perché altrimenti a questo punto sarebbe già morto e sepolto da un pezzo.

Mi chino ad arrotolare i mie cavi, mi stropiccio furtivamente il pacco per posizionare meglio il contenuto, e cerco di smontare quanto più in fretta possibile. Riesco a dribblare abbastanza agevolmente gran parte degli amici, rifiuto con cortesia tre birre medie che mi vengono offerte, ma faccio una mezza cazzata quando mi fermo a salutare un mio ex collega sbronzo perso, che mi presenta la sua ragazza e mi obbliga a tracannare d’un fiato una birra. Perdo mezz’ora con lui, poi con la scusa della vescica piena riesco a rifugiarmi in bagno: alleluja, sono salvo. Ma lei dove s’&egrave cacciata?

Beh, lei &egrave in bagno, e si sta guardando allo specchio con un occhio solo, mentre massaggia con un polpastrello la palpebra dell’altro, chiuso e lacrimante. Lenti a contatto, penso, ne sono anch’io un portatore e mi si arrotolano sotto la palpebra ogni due per tre. Lei mi sorride dallo specchio, e si costringe ad aprire l’occhio che teneva chiuso. La sclera &egrave bella arrossata, ma evidentemente la lente &egrave ritornata al suo posto. Ottimo, un piccolo problema in meno. Io sorrido, non dico niente, divoro i tre metri che ci separano e poggio il mio pube contro il suo sedere, un sedere che quando avevamo vent’anni avremmo definito ‘importante’ (vale a dire: un po’ grosso, ma dalla bella forma). Del resto lei &egrave ormai una trentenne, e i mammiferi con gli anni tendono a mettere su peso, no? Io faccio eccezione, continuo ad essere magro come un chiodo, ma un po’ di ciccia non mi &egrave mai dispiaciuta. Le poggio le mani sul ventre e le bacio il collo tenendo le labbra socchiuse, carezzandola appena con la lingua. Il mio amico lì sotto si sta risvegliando. Lei mugola, si gira verso di me, unisce le sue labbra alle mie, apre la bocca, mi fa sentire il sapore della sua lingua. Il mio, tra sigarette e birra, non deve essere granché, ma lei per mia fortuna sembra non badarci. A dire il vero, sembra badare molto di più a cosa sta succedendo dalle parti della mia zona pubica. In perfetta sintonia, mentre le mie mani scendono dalla sua vita al suo sedere, la sua mano destra comincia ad accarezzare il mio allegro amico turgido che preme contro la stoffa dei miei pantaloni. Le nostre bocche sono incollate, le lingue turbinano l’una contro l’altra, e sia i miei respiri che i suoi si fanno in un attimo più profondi e affannati. Ragazzi, siamo in pieno arrapìo totale. Peccato che io debba fare pipì con una certa urgenza, maledizione.

Le prendo il viso tra le mani, la bacio ancora mentre lei continua a massaggiarmi il pene, e glielo dico: ‘Roby, mi scusi un attimo? Devo andare a fare pipì e”

Lei stringe forte la mano sul mio pisello, ridacchia, mi morde un labbro quel tanto che basta per farmi arrapare ancora di più, poi mi sussurra: ‘Se pensi di non riuscire da solo, e vuoi una mano”. A questo punto mi slaccia i bottoni dei jeans, scosta le mutande (io sono uno di quegli orrdidi individui che indossa gli slip), e mi prende in mano il membro, passando delicatamente il pollice dal meato uretrale al frenulo, e premendo forte appena sotto quel filetto di carne. Io comincio ad ansimare.

Ci fiondiamo in bagno, ci chiudiamo dentro, lei armeggia con la mia cintura e le mutande, libera finalmente il mio pene che a questo punto mi sembra aver raggiunto la consistenza del marmo.

‘Il nostro bimbo deve fare pipì’, dice, ‘povero piccolo’. Si accovaccia, porta il viso verso il mio membro, lo afferra con la mano alla base e si strofina il glande sulle guance, sulle labbra. ‘Povero piccolo’, ripete, e me lo prende in bocca. Con la mano destra mi massaggia i testicoli, stringendo forse un po’ troppo, ma l’effetto mi piace troppo, e non mi sogno nemmeno di protestare. La sua lingua gira intorno al mio glande, scorre lungo l’asta, va a leccare lo scroto, poi torna su, ancora sul glande. Lei di tanto in tanto mi guarda, sorride con la bocca piena della mia carne, e sembra divertirsi parecchio.

Beninteso, anch’io mi sto divertendo parecchio.

‘Se te lo tengo in mano io, riesci a fare pipì?’, mi chiede, e io faccio segno di sì con la testa, anche se dubito di potercela fare, duro com’&egrave in questo momento.

Mi metto di fronte alla turca, piegato un po’ in avanti per riuscire a puntare il pisello verso il basso quel tanto che basta, e cerco di urinare. Niente, l’erezione mi blocca completamente. Roby mi si posiziona a fianco, masturbandomi lentamente con la mano destra, mentre con la mano sinistra accarezza la mia zona perianale.

‘Dai, piccolo, fai pipì, che poi ti lecco tutto’, dice, e si inumidisce di saliva le dita della mano sinistra. Da lì a poco, la sento penetrare pian piano nel mio ano, cercare la prostata e andare a premerci sopra ritmicamente, mentre con la mano destra prende a masturbarmi con piglio più deciso.

‘Adesso, piccolo, adesso, fai pipì adesso, dai’, dice, e sale a leccarmi il fianco mentre con le dita preme forte sulla prostata e con la mano destra alterna strizzate di palle a spremute di pisello. Io faccio un respiro profondo, e l’urina comincia a zampillare nella turca, mentre lei preme sulla prostata e mi masturba, mi lecca le natiche e mi stringe i testicoli’ Non capisco come faccia, e non capisco nemmeno cosa stia facendo, ma mi piace. Sto solo facendo pipì, dannazione, ma &egrave più eccitante di qualsiasi scopata mi sia mai fatto in vita mia.

Finito di urinare, lei mi sfila le dita dal culo, mi pulisce il glande con un pezzo di carta igienica, dà un’altra leccata al mio amico di pietra, poi si mette a ridacchiare.

‘Oddio, dobbiamo essere impazziti. Arrivare a trent’anni e fare queste cose nel bagno di un locale”

Mi metto a ridere anch’io, perché mi rendo conto dell’assurdità della situazione. Voglio dire: ho una casa, vivo da solo, possiamo tranquillamente aspettare un po’ e fare tutto a casa mia, e invece’

‘Fattelo rimettere dentro, e vediamo di tagliare la corda in fretta’, mi dice mettendomi a posto le mutande e allacciandomi i jeans, ‘stasera voglio fare con te tutto quello che mi passa per la testa. Posso?’

Io rimango per un attimo in silenzio, poi fortunatamente mi ripiglio: ‘Se puoi? Oddio, ti prego, sì!’

Qualcuno entra in bagno, e di fronte allo specchio aspetta che si liberi il cesso. Soffochiamo le risate, e usciamo fingendo di essere bellamente sbronzi.

Faccio tutto il viaggio in macchina con lei che, seduta al mio fianco, giocherella col mio pene. Rischio di fare dritto una curva quando lei me lo prende in bocca senza preavviso, ma nonostante tutto penso di cavarmela abbastanza bene. Decido di non portare l’apparecchiatura in sala prove, e vado dritto a casa. Prima di scendere dalla macchina insisto per annusarle la passerina, e anche da attraverso i jeans l’odore della sua eccitazione mi risulta così eccitante da ottenebrarmi. Poco prima di entrare in casa, mi dice che adesso tocca a lei fare la pipì, e che io le devo dare una mano.

Entriamo in casa, e io comincio a spogliarla freneticamente. Le levo la camicia, gettandola in un angolo, faccio volare da qualche parte le sue scarpe, le sfilo i pantaloni palpando le sue cosce così femminili, così sode. Sono completamente partito, ragazzi, lei &egrave ancora in mutande e reggiseno, e io già sto leccandola ovunque, scostando la stoffa con le mani. Il profumo della sua passera &egrave denso e inebriante, e il suo sapore mi eccita al punto da farmi gemere. La sua clitoride mi pare lunga un dito, turgida sotto la pressione della mia lingua. Lei geme, adesso, e guida i miei movimenti ponendomi una mano sulla nuca. Le sfilo le mutande, lei in piedi, io in ginocchio, le passo di lato e guardo il suo sedere dal basso. &egrave bello, ragazzi, &egrave davvero bello. Che vadano a farsi fottere le modelle proto-anoressiche, il sedere di una donna per quanto mi riguarda deve essere così. Tondo e carnoso, bello pieno senza essere macchiato da smagliature post dieta idiota. Non vedo buchini sparsi sulle natiche, e mi sento di poter pienamente confermare la mia impressione originaria: &egrave un culo importante, ma &egrave un gran bel culo, signori, ed io potrei stare delle ore a guardarlo. Lo accarezzo, le divarico appena le natiche, osservo il buchino perfetto, e la mia lingua saetta verso quella direzione. Lei geme ancora, si china un po’in avanti per facilitarmi l’accesso. Spingo un po’ con la lingua, e sento immediatamente il suo buchino dilatarsi. Irrigidisco la lingua a stiletto, e gliela infilo dentro. La mia erezione ormai mi fa quasi male.

‘Devo andare a fare pipì’, mi ricorda lei, e io cerco di mormorare un ‘già, scusa’, ma con la lingua infilata tra le sue natiche &egrave difficile parlare, e quello che mi esce dalla gola pare più che altro un rantolo.

‘Devo proprio, mi scappa’, ridacchia lei, e si raddrizza. La mia lingua scivola fuori dal suo ano con un lieve risucchio.

Mi alzo in piedi, lei mi bacia slacciandomi i jeans e liberando il pene dalle mutande, si china , mi toglie le scarpe e le calze, quindi mi sfila pantaloni e mutande dalle gambe. Si sposta alle mie spalle, mi divarica le natiche e mi lecca l’ano per qualche secondo, poi si ritrae, mi sfila la maglietta, afferra il mio pene e mi ripete : ‘Andiamo a fare pipì’.

In bagno, lei si siede sul water al contrario, divaricando le gambe. Io mi inginocchio accanto a lei, e osservo la sua vagina turgida e spalancata. ‘Masturbami, ti prego’, mi chiede lei, e io allungo una mano a sfiorarle la clitoride con movimenti circolari. Lei accompagna i miei movimenti roteando il bacino, ansimando, e immediatamente incomincia a scaricare la vescica. Urina a lungo, e i suoi movimenti diventano via via più frenetici. Quando ha finito, io l’asciugo con della carta igienica, ricambiandole il favore fattomi nel bagno del locale, quindi le chiedo di alzarsi e finisco di pulirla con la lingua. Parto dalla clitoride, scendo verso il meato, e finisco in vagina. Il suo sapore mi ottenebra.

In qualche modo ci trasciniamo verso il divano. Lì lei s’inginocchia a terra, poggiando col busto sul divano, offrendomi lo spettacolo delle sue natiche divaricate. Il suo buchino &egrave fremente, più sotto la sua passerina &egrave un frutto carnoso luccicante e bagnato. E’ un chiaro invito, e io forse non aspetto altro: strofino le labbra contro il suo ano, quindi la lecco delicatamente tutt’intorno, seguendo il ritmo dei suoi sospiri. Il suo ano si dilata, il buchino diventa una bocca carnosa e famelica. Lo lecco a lungo, introducendo a fondo la lingua, carezzandole intanto con le dita la clitoride. Lei si agita, comincia a roteare il culo. Io continuo a leccare, e passo le due dita fradice dei suoi umori sul suo ano, allargandolo mentre lecco, introducendole senza incontrare resistenza. Riusciamo a metterci lentamente l’uno con la testa fra le gambe dell’altro senza che io debba toglierle le dita da dentro il culo, e io prendo a leccarla furiosamente movendo sempre più in fretta le dita nel suo ano. Da parte sua, lei si sta prodigando in un soffocone magistrale, e dopo aver ben invischiato due dita nella sua saliva comincia ad introdurmele nell’ano. Come prima nel bagno, va a solleticare l’uretra, ed io capisco di non poter durare per molto tempo ancora.

‘Basta’, le dico, ‘aspetta, prima voglio”

Non faccio in tempo a finire la frase. Si gira verso di me, prende il mio pene, lo poggia contro la vagina, e in un attimo le scivolo dentro, lei sopra di me, il viso arrossato e il respiro strozzato, con ancora il reggiseno addosso. Tiene gli occhi aperti, mi fissa negli occhi, e intanto rantola e sospira, le labbra a due millimetri dalle mie. Io comincio a spingere come un invasato, non capisco più niente, e mi va benissimo così. Mi trattengo forse una mezza dozzina di volte, pregandola di rallentare, prima che lei lanci un grugnito liberatorio, irrigidendosi tutta, stringendomi forte tra le gambe e ansimandomi in un orecchio. Poi rimane immobile, completamente abbandonata su di me, riprendendo fiato. Stiamo così per qualche minuto. Il tempo scivola via leggero, io non ho nessuna fretta, e penso che questi siano fra gli attimi migliori della mia vita.

‘Vuoi entrarmi dietro?’, mi sussurra, e io faccio cenno di sì. Lentamente lei solleva il bacino, liberandosi del mio pene dal davanti, e subito catturandolo grondante con la mano, poggiandolo poco più dietro, appena oltre il perineo. Non devo fare granché fatica per entrare. Lei mi accoglie facilmente, abbassandosi lentamente sulla mia asta, facendola completamente scomparire nel suo sedere. Si muove appena, contraendo ritmicamente l’ano, stringendomi forte dentro di lei, carezzandosi la clitoride con movimenti circolari.

‘Mi piace’, mi dice fissandomi, ‘mi piace tanto. Oddio, spingi un po’ di più, mi piace”. Piace tanto anche a me, devo dire, perché ormai non mi trattengo più. Spingo come un forsennato per qualche decina di secondi, notando appena i sonori applausi prodotti dalle sue natiche contro le mie pelvi, applausi accompagnati da un verso profondo, di gola, che lei fa ogni volta che le entro dentro. Poi esplodo dentro di lei, e come al solito le orecchie cominciano a fischiarmi, e per qualche secondo semplicemente non capisco più nulla, il mio membro che va rilassandosi ancora stretto dentro di lei, inseguendo il mio respiro affannoso, il battito del mio cuore fuso con quello di Roby.

Andiamo insieme a fare la doccia. Io insapono lei, lei insapona me, ci baciamo sotto il getto tiepido dell’acqua, e mi sembra di conoscerla da sempre. Quattro anni di concertini nei locali fumosi, e non ero quasi mai andato oltre ad un ciao. Una prova in più a sostegno del fatto che probabilmente sono davvero un idiota, da come la vedo io.

Lei sorride, sorride spesso, labbra rosee su denti bianchi, occhi grigi che m’incantano. La asciugo pian piano, come se stessi lucidando una scultura, e lei fa lo stesso con me, continua a sorridere, ed io penso d’essermi finalmente innamorato.

Stanotte non dormirò da solo. Forse non ho più bisogno di torturare una Gibson per sentirmi vivo, forse non ho più bisogno di inseguire concerti in locali di serie C per dirmi che forse, nonostante tutto, valgo ancora qualcosa. I suoi denti bianchi, i suoi occhi grigi, quelli sì, ora contano davvero, quelli sì, adesso, mi fanno sentire pieno e vivo.

Del resto stiamo invecchiando, stiamo invecchiando tutti e due, e forse non c’&egrave davvero tempo da perdere, forse non ce n’&egrave mai stato.

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