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Racconti Erotici Etero

Quella notte a Londra

By 10 Marzo 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Non c’&egrave niente di storico, né di critico.
E’ solo cronaca.
Fredda, quasi impersonale, distaccata.
A distanza di tanto tempo, credo, non ci sono più segreti ‘posto che ve ne siano mai stati- e tutto &egrave così distante che sembra svanito nella nebbia del passato.
Nebbia. Uno degli elementi essenziali dell’accaduto.
Nebbia, come quella che ha avvolto il ricordo di quanto avvenne e che ora, stranamente, si va diradando facendo riaffiorare episodi che a loro tempo non ebbero gran significato nella vita di ogni giorno, ma che, ricordandoli, assumono una diversa connotazione.
Vivevo, allora, momento per momento, sotto una invisibile ma angosciante spada di Damocle che incombeva sul mio capo. E su quello degli altri.
Perché mi trovavo a Londra?
L’ingenuità del pensiero di allora farà certamente sorridere, ma in qualche luogo ‘politico ovviamente- si pensò che io, pur giovanissimo, potessi essere utile alla ‘sicurezza della Patria’.
Era il tempo in cui si asseriva che ‘la Patria si serve anche facendo la guardia a un bidone di benzina’!
E così fu suggerita e favorita una vacanza, subito dopo la maturità, presso i nonni materni, in Irlanda, dove avrei potuto frequentare coetanei, ascoltare discorsi dei grandi, fare domande caute ma precise, e fornire elementi di valutazione sul ‘feeling’ anglo-irlandese nei confronti del mio Paese.
L’ingenuità, ripeto, era tale che si credeva di poter filtrare attraverso le maglie strettissime della ‘Intelligence’ Britannica.
Si vede che i nostri ‘capi’ non conoscevano il detto inglese: ‘their ingenuousness borders on stupidity’. La loro ingenuità sconfina nella stupidità. Forse &egrave più esatto dire ‘fessaggine’.
I nonni abitavano da tempo a Dublino, ma erano originari di Cork, la Contea ribelle.
Nonno Sean, in particolare, non era un tipo remissivo e non simpatizzava per la Corona britannica. Era un Repubblicano convinto, aveva militato nella fila di ‘Fianna Fàil’, i soldati del destino, di De Valera, e nel suo studiolo era affissa la proclamazione della Irish Republic, 1916, mentre sulla sua scrivania era poggiato non il trifoglio, shamrock, d’Irlanda, bensì un quadrifoglio portafortuna, con la scritta. Dio benedica gli Irlandesi.
Nei giorni di festa, sulla mensa dei nonni Connoly, non mancava lo stufato di agnello, con patate e cipolle, cosa che faceva spesso anche mamma, ma c’era pure il Colcannon, una specie di zuppa fatta con rape, cavoli e patate, e condita con latte e burro. Questa a me non piaceva troppo.
Geloso assertore e custode delle ‘roots’, le radici irlandesi, non so come abbia fatto, ma nonno Sean era riuscito a farmi avere il passaporto irlandese.
Io a Dublino stavo bene, e, d’accordo coi miei, avevo iniziato a frequentare il Trinity College. Purtroppo, però, in Europa le cose andavano male, La Germania invade la Polonia, poi, sorda agli ultimatum britannici si espande in Belgio e Olanda.
Per questo ebbi la disposizione, dai miei ‘committenti’, di trasferirmi a Londra, al distaccamento del Gaelic Centre di Glascow, il ché sarebbe stato giustificato dal mio passaporto.
Nonno Sean scuoteva la testa, ed aveva ragione.
A Londra gli Italiani non erano ben visti, &egrave comprensibile, e ne rimanemmo in pochi. Anzi ne rimasero, perché io avevo passaporto irlandese.
Quali informazioni segrete io potessi raccogliere era un segreto anche per me!
La direttiva ricevuta era di ‘ascoltare’ cosa diceva la gente, ai vari livelli sociali, e cogliere motivi di stanchezza per la guerra che stava seminando lutti e distruzioni.
I grandi bombardamenti dei mesi precedenti avevano mietuto vittime, incendiato migliaia di abitazioni, colpito dovunque.
Vi erano state scene che solo tra gli inglesi potevano, allora, verificarsi.
Uffici pubblici in fiamme, pompieri respinti perché ‘non autorizzati’ ad accedervi! E sembra che durante lo spegnimento dei focolari accesi dalle bombe tedesche a Buckingham Palace la Guardia abbia respinto con le armi la Fire Brigade!
Ormai era inverno. Freddo.
Buio pesto, notte di luna nuova e nuvole basse.
Ogni tanto un raggio di luce di qualche fotoelettrica, searchlight. In effetti, la contraerea, la flak, faceva tanto rumore e più vittime in terra, per la ricaduta delle schegge, che non tra gli aerei della luftwaffe.
Strade vuote.
Dove andare?
Si temevano incursioni.
Pensai che ormai intorno a St Paul c’era ben poco da abbattere, inoltre, vi erano le stazioni della subway dove si poteva trovare rifugio.
Avevo mangiato qualcosa, e stavo pensando di andare a casa. Ma mi avrebbero fatto dormire le sirene?
Percorrevo pigramente, malgrado il freddo, Cannon Street.
Prima ancora dell’allarme, si sentirono schianti dirompenti, non troppo vicini ma sempre più prossimi.
Mi misi a correre, verso St Paul, ridotta a poco più di uno scheletro. Mi avviai al West Side, dov’&egrave il Nord Transept, mi sarei riparato lì. Trovai un pertugio, mi infilai, finiva in una specie di nicchia. Poteva essere anche una vecchia tomba. Mi sarei sentito abbastanza al sicuro.
Mi muovevo a tentoni, non vedevo assolutamente nulla. Buio pesto.
Le mani incontrarono qualcosa di morbido. Una stoffa.
Pensai subito che fosse un corpo abbandonato, forse non trovato dopo l’ultima incursione.
No. Era caldo, e sembrava volersi tirarsi indietro, ma non poteva, c’era il muro.
Toccai, non riuscivo a comprendere chi fosse.
Sentivo un respiro alquanto affannoso.
Sottovoce, quasi temessi d’essere udito al di fuori di quella specie di rientranza, chiesi:
‘Chi siete?’
Silenzio.
Toccai ancora, tastoni. Certamente un corpo umano e, a quel che potevo arguire, abbastanza morbido. Forse di donna.
‘Chi siete?’
‘Sono Mary”
Chissà se era il suo vero nome, aveva indugiato a dirlo.
Neanche io risposi subito. Era frastornato, e gli schianti si avvicinavano. Erano verso il Tamigi.
‘Ed io sono Joseph!’
In quel momento lo scoppio fu violentissimo, ci fu un bagliore che ci accecò, malgrado la esiguità del passaggio nel quale ci eravamo intrufolati. Il buio fu peggiore di prima.
Quella che si era detta Mary si avvinghiò a me, con forza. Tremava come una foglia. Fu istintivo abbracciarla, cercare di calmarla.
‘Non aver paura, qui siamo al sicuro”
‘Ma io ho paura’ tanta paura’ I’m terrified’ terrorizzata’ aiutami, please help me”
Voce tremante, rotta, non capivo che età potesse avere.
Cosa importava, era in preda allo spavento.
Cercai di rassicurarla, di cullarla.
M’ero seduto per terra, vicino a lei. La tirai verso me, sulle mie ginocchia, come una bambina. Stoffa pesante, un po’ ruvida, di quella che si può trovare di questi tempi.
Sentivo il singulto di lei. Andava lentamente quietandosi.
Cercai il suo volto con la mano. Pelle liscia, ma di età indecifrabile. Era rigato dalle lacrime. Vi passai il dito sopra, per asciugarle. Come credo faccia un cieco per rendersi conto delle forme di qualcosa, con i polpastrelli andavo lentamente esplorando quel viso. Gli occhi, lunghe sopracciglia, che dovevano avere bella forma e peletti serici; palpebre vellutate; labbra carnose, lievemente vibranti, certo per il singhiozzo che andava spegnendosi.
La carezzai, adagio, piano piano, appena sfiorandola.
Credo ne traesse sollievo, perché appoggiò più decisamente la testa sul mio petto. Andava rilassandosi.
Anche a me piaceva quel contatto tiepido, e mi intrigava il non poter vedere l’essere umano ‘certamente una femmina- che condivideva con me quella notte di terrore.
Buio totale.
Quasi inavvertitamente, la strinsi a me. La mano andò sul suo fianco, si mosse un po’ e s’infilò nell’apertura del paltò, incontro una stoffa più leggera, sempre di lana, e un tepore maggiore.
Ecco, la mano le carezzava il fianco, sentiva la rotondità e la sodezza del gluteo, lo palpava. E lei si avvicinò ancor più a me, al suo rifugio.
Che potenza ha la natura.
Sibili delle bombe, schianti, crepitare della contraerea’ sì, eravamo in una specie di nicchia che sembrava abbastanza sicura, in una zona già devastata dalle precedenti incursioni, ma una bomba può cadere vicino, far crollare ancora, seppellirci’ e chi ti ritrova’!
Ebbene, in questo inferno, con la morte sul capo, o proprio per questo, mi stavo rapidamente eccitando.
Un bel culetto, tondo e sodo’ come erano le tettine?
Su con la mano, carezzando un ventre piatto che sentivo irrigidirsi.
Eccole.
Non molto grosse, ma anche attraverso il vestito sentivo il turgore del capezzolo. Evidentemente quella che aveva detto essere Mary non usava il ‘bra’. E non si sottraeva alla sempre più incalzante carezza. Sentivo che si muoveva, evidentemente quella situazione risvegliava i nostri istinti più primordiali. Nel pericolo della morte si pensa alla vita.
E come erano quelle gambe, quelle cosce?
Come sentì che avevo infilato la mano sotto la gonna, sembrò distendersi, quasi invitando quel contatto che mi stava sempre più accendendo.
Gambe lisce, e da quel che potevo comprendere, di ottima fattura.
Ma quanti anni aveva Mary?
Mille cose turbinavano nella mente.
Incredibile, potevamo morire da un momento all’altro’
O forse era proprio per questo.
Sfida alla morte!
Si, nemici, bombe, potete farmi morire, darmi la morte, ma io ho un potere ben superiore: io posso dare la vita!
Ed era anche questo mi eccitava sempre più: dare la vita!
E la mia mano s’insinuava, sempre più avida, sotto la sua biancheria.
Le mutandine, panties. Abbastanza leggere, ma non di seta.
Di seta era il folto prato che sorgeva tra le sue gambe, saliva il monte di Venere, circondava il sesso. Sentivo lunghi riccioli sottili che sembravano vivere al tocco delle mie dita, come quando il vento carezza le messi.
Mary si stringeva a me, dischiudeva leggermente le gambe, sollevava e abbassava il bacino. Certo aveva compreso la mia eccitazione, e la ricambiava, come testimoniava la rugiada che la mia mano incontrava proseguendo nella sua esplorazione.
Ebbe come un sussulto, si alzò in piedi, di scatto.
Forse ero andato troppo oltre.
Seguitavo a non veder nulla in quel buio impenetrabile.
Allungai una mano, la toccai.
Si muoveva, non riuscivo a comprendere cosa stesse facendo.
Toccavo la sua pelle nuda, le sue gambe, seguitai’ non aveva più i panties!
Sentii le sue mani cercarmi, andare giù verso i pantaloni, sbottonarli’
Mi alzai a mia volta, li lasciai cadere e così il resto, li sfilai completamente.
Faceva certamente freddo, ma non lo sentivo.
Sentii invece lei avvicinarsi, afferrare il mio fallo, alzare una gamba’
Mi flettei leggermente sulle gambe, la presi per i fianchi, la sollevai un po’, lei teneva sempre il mio sesso tra le sue dita sottili e gentili, lo portava all’ingresso della sua vagina, vi si impalava completamente, si aggrappava al mio collo, cingeva i fianchi con le sue gambe.
Sempre con le mani sotto le sue natiche, cominciò un ondeggiamento lento e voluttuoso, accompagnato da un crescente gemito’ la sua testa era sulla mia spalla, sentivo nell’orecchio il suo respiro e il suo incalzante mugolare’
Ad un tratto si strinse fortemente a me; inarcai i reni’ e nello stesso momento fummo travolti da un reciproco orgasmo che quasi stava facendomi cadere per terra.
Aaaaaaah, era quello che ci voleva’
Ero certo di aver vinto la morte, di aver creato la vita.
‘Jo, love is a gorgeus thing’ Una cosa meravigliosa’
‘Si, Mary, e dà la vita”
‘E’ magnifico dare la vita, sfidare la morte”
Ci staccammo lentamente.
Avevo ancora il paltò addosso, e anche lei.
Non sentivo più freddo.
Tolsi il cappotto e lo stesi a terra, mi sedi sopra, presi la mano di Mary e la feci sedere sulle mie gambe nude, avendo cura di alzare ogni stoffa che la ricopriva.
Un culetto delizioso, che accolse la mia non affievolita eccitazione.
Sentii prendermi il volto tra me mani, e le sue labbra incollarsi sulle mie, mentre il dardo della sua lingua si insinuava nella mia bocca e si intrecciava alla mia lingua.
Si alzò un po’, si mise a cavalcioni.
Allungai la mano.
La seta dei sui riccioli era, ora, umida, impiastricciata, quanto avevo deposto in lei stava lentamente stillando, stille di vita’
Non era paga, né lo ero io. Poteva essere l’ultima volta che potevamo fare l’amore’ sorrisi a quel modo di dire che mi passò per la testa’
‘Fare l’amore!’
Era l’imperioso richiamo della natura al fine per cui vivevamo: trasmettere la vita!
S’impalò con una passione finora sconosciuta. Rimase ferma un istante, sentivo che stava facendo qualcosa con le mani. Poi capii che s’era completamente aperta il vestito, sul seno, perché percepii il tepore del suo petto, il capezzolo turgido che s’infilava tra le me labbra, e succhiai voracemente, golosamente.
Cominciò a ondeggiare lentamente, dilatò le gambe, completamente, per ricevere quanto più poteva del mio sesso, e si muoveva impercettibilmente, ma ad ogni mio ciucciare corrispondeva una deliziosa contrazione del suo grembo, una voluttuosa mungitura che mi svuotò completamente mentre lei impazziva di piacere.
Chi era?
Chi ero?
Un uomo’ una donna’
E quello era il nostro Paradiso terrestre.
La nicchia d’una cattedrale semidistrutta.
Come una caverna preistorica.
Lo schianto e i bagliori delle bombe.
Tempesta biblica.
E i nostri sessi che si cercavano, si godevano, e si proponevano di perpetuare la vita.
Quella notte, a Londra.
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