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Racconti Erotici Etero

Quell’incontro

By 12 Maggio 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Non pensavo sarebbe stato possibile. Non volevo quando avevo deciso di incontrarlo.
Lui era solo un amico, a volte era stato un rifugio, quando avevo avuto bisogno di una parola dolce, di conforto. Anche se in fondo era un estraneo, o forse proprio per questo, era riuscito a darmi quel senso di calore di cui avevo bisogno. Mi sentivo capita, a volte mi era piaciuto sentirmi desiderata da lui, ma finiva lì.
‘Non ne posso più’ mi aveva detto una volta al telefono, ‘devo vederti’.
E così lo feci, non voglio dire per compassione, ma’ non so, c’era un’urgenza, una vibrazione, un balzo dell’anima in quelle sue parole, nel suo tono di voce. Mi sono quasi sentita in dovere nell’accettare di vederlo, sapevo che altrimenti gli avrei fatto del male.
I suoi occhi ora mi guardavano, non si erano staccati da me fin dal primo momento. Aveva gli occhi profondi ma allo stesso tempo dolci. Nelle foto che mi aveva mandato nel corso degli anni non mi era piaciuto. Non che fosse brutto, tutt’altro. Solo non riuscivo a collegare quel viso alla sua voce. Mi sembravano due entità sconnesse. Peccato che dalle foto non si capisse quel suo sguardo, incessante, forse mi sarei decisa ad incontrarlo prima. Non era il mio tipo, razionalmente non avrei detto che era il mio tipo. Però adesso, averlo al mio fianco, averlo vicino’ emanava qualcosa che il mio essere femmina sentiva.
Camminavamo in una parco, a Bologna. Faceva freddo.
‘Peccato’ disse lui, ‘con questo cappotto non riesco a vederti bene’.
Io sorrisi. ‘Forse mi preferisci così’ dissi, e scostai i lembi del cappotto che avevo tenuto sempre ben allacciato. Sotto avevo una camicia rossa con quattro bottoni aperti. Sapevo di piacergli così, la scollatura profonda arrivava fino al solco in mezzo alle tette, in mezzo a quel taglio gonfio e generoso. Fu un attimo e richiusi subito. Il suo viso mi fece morire.
‘Noooooo!’ esclamò con gli occhi sgranati. Era dolce.
‘Di più non si può, &egrave troppo freddo!’ dissi io.
‘Te le posso riscaldare, alitandoci sopra” scherzò lui.
Eravamo rimasti indecisi se entrare in un bar, in centro. Oppure camminare lungo le grandi vie che portano alla piazza. Ma sembrava che ogni persona che incontravamo ci guardasse, che volesse capire cosa ci facevo io insieme a lui. E mi sentivo a disagio. Anche lui se ne accorse e anticipò i miei pensieri.
‘Guarda che non sono spie di tuo marito’ ti guardano perché sei fica”. Mi fece ridere.
‘Andiamo al parco’ continuò lui, ‘voglio sentirti vicina, ti voglio abbracciare, e so che qui in mezzo alla gente tu non vuoi’.
Non avevo risposto nulla, un po’ stordita. Ma mi lasciai portare, continuando a ridere delle sue battute, continuando a guardarlo a mia volta, sempre più stupita di quei suoi occhi su di me.
Eppure, qui al parco, non aveva tentato di abbracciarmi. Rimaneva distaccato, a due o tre passi da me. Mi superava, si fermava, lasciava che gli passassi avanti, e poi di nuovo, mentre continuavamo a camminare. Sembrava un rituale di accoppiamento. C’era poca gente al parco, vista la temperatura e l’ora strana. Mi aveva portato qui per questo ma lui non si avvicinava. Mi girava intorno, semplicemente.
‘Andiamo lì, dietro quell’albero grande’ disse lui.
Non dissi nulla ma mi lasciai portare.
L’albero era davvero grande, un tronco forte con la corteccia rugosa. Rimasi lì in piedi, non sapevo cosa fare, non sapevo cosa dire. Aspettavo. Anche lui stava in silenzio, anche lui aspettava. La situazione era buffa, mi venne da ridere.
‘Che cazzo ridi?’ disse lui, con un tono arrogante. Sobbalzai, stupita. Quel suo tono mi aveva offesa. Ma come si permetteva?! Improvvisamente il suo sguardo era diventato duro, irriconoscibile.
‘Voltati’, disse lui, perentorio, con lo stesso sguardo e la stessa voce. Ma io rimasi ferma, non volevo. Lui fece un passo verso di me. Rimasi salda e impassibile. Se voleva sfidarmi aveva trovato pane per i suoi denti. Avvicinò il volto ai miei capelli, al mio orecchio. Sentivo il suo respiro. Era emozionato.
‘Voltati’ mi disse. Era di nuovo diverso. Di nuovo la sua voce aveva quella vibrazione, come quando mi aveva chiesto di incontrarlo al telefono. Qualcosa al centro del mio petto si sciolse, vibrò e si sciolse. Qualcosa al centro dello stomaco. Qualcosa al centro della fica.
Mi voltai, restando dritta, dandogli le spalle. Non lo vedevo più ma sapevo che era lì, lo sentivo.
‘Piegati’ mi disse. Non sapevo cosa fare. Quella parola mi rimbalzò nella testa, ne sapevo esattamente il significato eppure sembrava detta in un’altra lingua, sconosciuta. Si avvicinò ancor di più a me, poggiandomi dolcemente le mani sulle spalle. Anche se indossavo il cappotto quel contatto mi fece rabbrividire. ‘Piegati’, mi ripeté, con la guancia appoggiata ai miei capelli.
Lo feci senza averlo deciso. Ero piegata col busto proteso in avanti, le gambe dritte. Per tenermi in equilibrio appoggiai le mani sul grosso tronco dell’albero. Era umido, freddo, leggermente viscido. In quel momento pensai solo che mi sarei sporcata e poi avrei dovuto lavare le mani.
Rimasi in silenzio e immobile. Con gli occhi guardai intorno e non c’era nessuno, in ogni caso l’albero ci avrebbe nascosto alla vista di chi passava lungo il sentiero. Lunghi secondi senza che nulla accadesse, infiniti, in un silenzio freddo. Non lo vedevo, non lo sentivo, sapevo solo che era lì dietro di me, in attesa.
Forse per la posizione, il respiro cominciò a farsi più breve, forzato. Sentivo i muscoli del collo tesi, il sangue affluire alla testa. I lembi del cappotto erano aperti, i seni pesanti penzolavano in avanti, riempivano la scollatura della camicia rossa. Me li guardai. I capezzoli si indurirono all’istante.
Un rumore inconfondibile, rapido e secco. La cerniera dei suoi pantaloni.
Non mi aveva più toccata da quando mi ero piegata. Ecco le mani, ora, sui fianchi. Solo appoggiate. Poi sollevarono il cappotto, lentamente ma con decisione. Le mani mi presero il culo da sopra la gonna, lo afferrarono. Poi mi alzarono la gonna che si ripiegò e risalì fino sopra il sedere, lasciandolo scoperto. Ricordai in un lampo l’intimo che avevo indossato, come mi ero guardata allo specchio girandomi su me stessa, la linea di stoffa nera che mi copriva il solco. Ora mi stava vedendo così. Non mi parlava, stava in silenzio, perché non mi parlava?
Le mani sul culo, fredde, le sue dita mi addentarono. Respiravo sempre più a fatica, congestionata, un ronzio nella testa, gli occhi che guardavano la corteccia ruvida, l’erba sotto i miei piedi, il colletto della camicia, il mio seno sotto.
Mi sembrò di sentirlo armeggiare sul mio perizoma, per un attimo. Sentii improvvisamente un soffio di aria fredda sui peli ai lati della fica, sulle labbra. Mi venne naturale trattenere il respiro, eppure quando arrivò mi colse lo stesso di sorpresa. Mi aprì con un colpo solo, la sensazione familiare di un cazzo che ti entra dentro, carne che ti varca e ti giunge in fondo, schiudendo le pareti. Un senso di caldo, di duro, di grosso. Un rimbalzo, un gemito.
Mi scopò. Lo fece forte. Non sapevo di essere eccitata, non me ne ero accorta. Ma lui mi scopava forte e lo sentivo. Si faceva strada senza chiedere il permesso perché la mia fica era aperta e calda e lo lasciava passare, mi inarcai e per la prima volta un suono strozzato mi uscì dalla gola. Cercai di voltarmi per guardarlo ma non feci in tempo, mi prese i capelli e mi costrinse ad abbassare la testa, con forza ma senza farmi male. Comandava lui.
Sentivo le gambe indolenzite e lui non cedeva. Aumentava il ritmo, mi superava, il fremito di ogni botta del cazzo non si era ancora placato nella fica che subito un altro lo sormontava. Era bello. Lo sentivo tutto. Era bello, era bello, era bello’
Poi si piegò anche lui, ma non calava il ritmo, si appoggiò alla mia schiena e si aggrappò con le mani al mio seno, palpandolo da sotto, stingendo i capezzoli attraverso il reggiseno. In quella posizione mi chiavava, ora ne sentivo perfettamente il respiro pesante, sentivo tutto il suo peso sopra, sentivo il peso del cazzo dentro. E cominciai a sussultare, ero presa, mi dava il cazzo e io lo prendevo. Era bello, era troppo bello. Avevo le labbra serrate, soffiavo con forza, sentivo come una schiuma di sangue che mi saliva dentro, giungere sul bordo. Un lampo di nervi mi schioccò dentro, spalancai la bocca e cominciai a godere. Tremai tutta, senza sapere dove ero, vampate lunghe, intense, di fica. Tutto nella mia testa era nero e rimbombava di piacere.
Aprii gli occhi, sentivo che lui non mi sosteneva più, le gambe non mi tenevano e finii a terra, piegata, in ginocchio, appoggiata su un lato. In quella posizione strinsi le cosce e sentii ancora un brivido nella fica, un altro spasmo, l’orgasmo che finiva ma non mi lasciava. Rimasi a terra così, per sentirlo fino al suo fondo.
Mi voltai e lui era in piedi. Respirava con la testa all’aria, piegandola indietro, leggermente. Il petto si gonfiava, ritmicamente, si ricomponeva mettendosi la camicia nei pantaloni, sistemandosi la cintura. Mi guardò e sorrise. Anch’io sorrisi. Non mi ero accorta se lui aveva goduto, mi toccai con delicatezza tra le gambe, ero sensibile al minimo tocco. Ero bagnatissima e tutta colata. Mi era venuto dentro.
Lui si avvicinò e mi fece rialzare, aiutandomi, il perizoma tornò da solo al suo posto da dove lui me l’aveva scostato. Sentii la sua sborra scivolarmi dentro e impregnarlo, lo sentivo tutto bagnato aderirmi alla fica.
Ci guardavamo, io facevo ancora fatica a stare in piedi, ma lui mi sorreggeva. ‘Scusami’ disse, ‘ma sapevo che prendi precauzioni’. Ne avevamo parlato al telefono, ci eravamo confidati questa come tante altre cose. Avrei preferito mi avesse detto altro, forse qualcosa di tenero. O forse nulla.
Appoggiai la testa al suo petto e seppi di non amarlo.

sono graditi i commenti delle lettrici: suskind_70@yahoo.it

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