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Racconti di DominazioneRacconti Erotici Etero

questo è per dirti che sono tornato.

By 28 Dicembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

L’estate torrida non accennava a diminuire i suoi effetti sulla città. Solamente una lieve brezza, di tanto in tanto, leniva la canicola di giornate che sembravano non avere mai fine. Il mese di agosto era scivolato lento e sonnacchioso, con le ore che si sommavano alle ore e i giorni che duravano un’eternità. Finalmente era arrivato settembre, carico delle sue promesse, delle sue aspettative. Sapevo che il mio signore sarebbe tornato dalle sue vacanze, che ci saremmo rivisti. Non sapevo quando sarebbe successo, sapevo solo che sarebbe successo.
Io avevo già ricominciato a lavorare da quasi venti giorni, ma i miei superiori non erano ancora rientrati dalle ferie, così potevo indugiare durante la pausa pranzo e rosicchiare qualche altro minuto per me. Quella mattina ero stata particolarmente distratta, tanto che avevo dimenticato il cellulare aziendale a casa. Aspettavo la telefonata importante di un fornitore, che altrimenti avrei dovuto rincorrere ancora a lungo. Approfittai così della pausa pranzo per prendere il motorino e schizzare a casa, a recuperare il bene prezioso: chi non ha testa ha gambe, continuavo a ripetermi senza sosta.
Indossai gli occhiali da sole, le cuffie nelle orecchie e mi lasciai accarezzare dal sole settembrino, cercando di lasciare che la mia testa si liberasse di ansie e preoccupazioni. Arrivata quasi a casa, i miei occhi si fermarono sull’ultima persona che avrei pensato di incontrare per strada. Il mio cuore iniziò a battere senza ritmo, le mie mani iniziarono a sudare e la mia testa a pulsare: il mio signore era lì, a pochi passi da me. Si voltò quasi insieme al semaforo che decretava il rosso e ci guardammo. Fu un istante eterno, che disse molto più che le parole. Un saluto veloce, quasi freddo, due parole di circostanza senza troppo valore e la specifica che entrambi eravamo molto di corsa.
Fu strano vedersi così, dopo tanto tempo, dopo tanto silenzio e tanta assenza. Questo pensiero mi turbò per il resto del giorno, sebbene io cercassi di non pensarci.
Quella sera, tornata a casa, come ogni sera da qualche tempo a quella parte, indossai la mia tenuta ginnica e andai a correre. Avevo un terribile bisogno di schiarirmi le idee, di liberare la mente e il corpo. Corsi a lungo, senza fretta, lasciando che tutta la stanchezza e la frustrazione si allontanassero da me e già, al mio ritorno, pregustavo una doccia rilassante. Entrata a casa, lanciai un’occhiata al cellulare che avevo lasciato sotto carica e non potei fare a meno di notare che avevo un messaggio. Era lui. Il mio signore che mi scriveva. Avvertii immediatamente il vuoto nello stomaco. Allora non aveva dimenticato. Mi chiedeva dove fossi, che cosa stessi facendo. Gli risposi tranquillamente ‘meno male che il telefoni nascondono i visi che scrivono messaggi- che ero appena rientrata dalla mia corsa serale, pronta per fare la doccia.
‘Non lavarti. Così come sei indossa un vestitino leggero, tacchi alti e metti due mollette sui capezzoli e sulle grandi labbra. Scendi la scala, lentamente, passo dopo passo. Vieni nel nostro posto, entro e non oltre le 20.30. Se tarderai, non mi troverai più e verrai punita per il tuo ritardo’.
Di questo messaggio chiaro, lineare, semplice e a prova di errore, non so dire che cosa mi abbia turbato di più: il fatto di vedere finalmente il mio signore dopo tanto tempo? Il fatto di vederlo senza potermi lavare, dopo avere fatto esercizio e quindi non essere profumata e pulita? Il fatto di dover andare per strada, senza nessun tipo di biancheria intima e con le mollette dei panni addosso? E se qualcuno se ne fosse accorto? E se una mi fosse caduta dalle gambe? Sarei morta dall’imbarazzo e il mio signore mi avrebbe punita perché sarei arrivata in una condizione diversa da quella che lui mi aveva ordinato. Eppure tutta questa situazione mi eccitava terribilmente e fu per questo che ebbi qualche difficoltà ad applicare le mollette: scivolavano troppo! Dovevo anche fare abbastanza in fretta: non avevo molto tempo a disposizione e la strada da fare, benché non lunghissima, era comunque parecchia.
Mi incamminai ed ogni passo sembrava una tortura infinita. Le mollette mi procuravano fra le gambe una sensazione incredibile fra le gambe: sentivo farle attrito fra di loro e sulla mia pelle. Una delle quattro (perché 4 mi erano state ordinate di applicare) era pericolosamente vicina al clitoride e così ogni movimento era estasi e inferno, godimento e terrore. La strada sembrava infinita: guardavo con terrore l’orologio, pregando di non arrivare oltre l’orario indicato. La sua punizione non si sarebbe fatta attendere ed era l’ultima cosa che avrei voluto. Arrivai al luogo stabilito che ero in orario, qualche minuto prima delle 20.30. Nel vedermi sorrise, guardò l’orologio e mi disse che ero stata brava. Mi fece entrare, abbassò la serranda del garage che dava su strada e mi guardò. ‘Sei abbronzata’, mi disse. Sapevo dove voleva andare a parare.
Durante l’estate mi aveva dato dei compiti da svolgere e mi aveva imposto di annotare su un diario ogni cosa: lo svolgimento dei miei doveri ma anche eventuali mancanze. Avrebbe letto ogni cosa e poi mi avrebbe fatto sapere il suo verdetto. Quel quaderno era diventato un diario, in realtà e quelle pagine, che oggi gli avrei riconsegnato, erano diventate qualche cosa di molto intimo e privato, non solo il conto delle mancanze e delle cose fatte bene. Mi tremavano le mani, nel consegnargli quel diario dalla copertina nera: gli stavo affidando un pezzo importante di me, che avrebbe dovuto trattare con estrema cura e attenzione. Solo quella era la mia richiesta. ‘Sei abbronzata’ mi ripet&egrave e con la mano lasciò scivolare la parte superiore del mio abitino. La prima cosa che vide furono le mollette. La seconda il segno dell’abbronzatura. ‘Vedo che porti i segni del costume e che quindi non hai eseguito tutti i miei ordini’. I suoi occhi si fecero di fiamma e prese i miei capezzoli fra le sue dita, stringendoli con forza. Fra quella pressione e la presenza delle mollette a me parve di perdere l’equilibrio e mi sentii quasi mancare. Ma mi feci forza, e sostenni lo sguardo. ‘Non ci sono solo mancanze, mio signore’, provai a sussurrare quando fui in grado di articolare parola. ‘Vedremo. Intanto, voglio darti il ben tornata’. Mi prese per i fianchi e mi fece accomodare sul tavolo che si trova al centro del garage. Mi fece sedere sollevandomi da terra e allargando con forza le mie ginocchia. Tirò su l’orlo della gonna e guardò che cosa avevo tra le gambe. Le 4 mollette erano lì, fisse alle grandi e alle piccole labbra, lucenti di umori. Si avvicinò con la testa e lo sentii respirare profondamente e poi, senza preavviso, staccare una delle 4 mollette. Sentii il sangue rifluire all’improvviso e un dolore acuto pervadere la mia intimità. Lo stesso trattamento fu riservato alle altre tre mollette, in un tempo che a me parve infinito. Più il dolore era acuto, più mi rendevo conto di essere un lago. Lui se ne rese conto e mi fece sdraiare sul tavolo, ordinandomi di tenere divaricate le gambe. Quella posizione mi eccitava moltissimo: si avvicinò alla mia intimità con la punta della lingua raccogliendo il nettare che colava dalle mie gambe. ‘Vedo che ti sono mancato’ molto bene’. Io avrei voluto muovermi, agitarmi, fremere dal piacere di quel contatto ma non potevo. Dovevo imparare a stare ferma. Il mio signore alternava colpi rapidi con la lingua a leccate lente e profonde. Io ero in estasi. Poi, con un dito, mi penetrò all’improvviso, scivolando nel mio accesso più profondo. Portò quel dito alla mia bocca, chiedendomi di succhiarlo, per poi penetrarmi ancora. E ancora. Io non sarei stata in grado di resistere ancora a lungo e lui se ne accorse. Fu allora che, con il dito che frugava nella mia intimità, avvicinò anche la sua bocca alle mie labbra inferiori, colpendo il mio clitoride con la sua lingua. Fu un orgasmo che non potei arrestare. Mi scosse nel profondo, dalla punta dei piedi. Mi chiese di gridare e io gridai per il piacere, per il godimento, per quell’esplosione di sensi troppo a lungo repressa. Fu un’esplosione vera, visto che anche il tavolo si bagnò di me. Non so dire quanto durò ma a me sembrò un tempo lunghissimo. Il mio corpo praticamente nudo e violato giaceva molle sul tavolo del garage, mentre gli occhi del mio signore non abbandonavano neppure per un momento i miei.
‘Questo &egrave stato per dirti che sono tornato. E che da ora in poi si fa sul serio’.

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