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Racconti Erotici Etero

Quinta Essenza

By 15 Aprile 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Non c’&egrave sboccio senza precedente annullamento.
Non c’&egrave rinascita senza distruzione.
Vita nuova senza il ‘morire’.
La vita porta in continuazione ognuno di noi inevitabilmente al limite della sua resistenza, al punto in cui non ne può più, dove non &egrave più capace di reggere un vincolo troppo pesante, una sofferenza, un dispiacere.
E’ attraverso il superamento di questo limite, che l’uomo comprende l’annullamento delle proprie esigenze,’.. che si apre a lui la porta del mistero.

Jean-Yves Leloup

———-

Big Pay Day!!
Giorno di paga. Finalmente Francesca era riuscita, come la saggia formichina, ad accumulare abbastanza per potersi permettere un nuovo viaggio.
Si sentiva eccitata ed euforica come se fosse stata la prima volta. Si incamminò decisa, quasi saltellando e reprimendo l’impulso di mettersi a correre, verso la sua desiderata e programmata meta.
Provava le stesse sensazioni di quando s’innamorava. Il cuore che batte forte ed un nodo in gola che le impedisce il libero afflusso di aria ai polmoni.
Eppure avrebbe dovuto esserci abituata. Aveva speso e continuava a spendere tutto quello che aveva per provare ancora una volta quell’emozione.
Già da quella stessa mattina aveva deciso di uscire dal lavoro ed andare direttamente alla NTF (la New Travel Frontiers). Così si era preparata tutto il necessario. Non che le servisse molto a dire il vero, ma poiché l’unico requisito che l’agenzia richiedeva era un bel taglio di capelli quasi a spazzola, era già passata dal parrucchiere.
Accelerò maggiormente il passo mentre una vetrina interattiva, chiamandola per nome:
‘Francesca! Con quel nuovo taglio di capelli ti starebbe proprio bene questo completino.’
Con la coda dell’occhio vide la sua figura intera, snella e lanciata, fasciata da un’aderentissimo vestito di pelle lucida rossa e stivali a mezza coscia. Giusto il tempo di pensare : ‘Mhhh, in effetti non &egrave niente male! Ci farò un pensierino al mio ritorno!’
Il taglio di capelli così selvaggio ormai era divenuto un segno distintivo di tutti quelli che, come lei, viaggiavano.
Si riconoscevamo e si facevamo un cenno di saluto quando le loro strade s’incrociavano, con uno sguardo di complicità e d’intesa.

Era la loro droga.

Nel corso degli anni le droghe sintetiche erano diventate più forti, più veloci ed il loro effetto sempre più breve cosicché le persone avevano aumentato la domanda ed i produttori l’offerta, facendo crollare i prezzi.
Intorno agli anni 20 ci fu il boom della ketamina. Inizialmente i fenomeni di Near Death Experience da essa creati furono tenuti nascosti, contrastati ed imprigionati dalle benzo-diazepine, ma in poco tempo le persone cominciarono a capire il vero effetto di questa sostanza. In un epoca in cui la tecnologia e la scienza avevano sgretolato tutti i dogmi della fede, riuscendo inoltre a spiegare quasi tutti i misteri della creazione, gli uomini cercarono nelle droghe le risposte alle domande spirituali. Il desiderio era quello di capire. E la ketamina rispose a quella esigenza, facendo ‘staccare’ l’essere dalla sua prigione di carne.

Il popolo dei ‘True Belivers’, un terzo della popolazione mondiale, quelli che non avendo un identità forte facevano propria l’idea di qualcun altro, diventando fanatici e pericolosi, si dispersero cercando disperatamente un capo spirituale da seguire.

E pochi anni dopo arrivarono i viaggi. Costosi, ma con un potente richiamo: l’innalzamento dell’adrenalina sino al limite estremo.

Immersa nei suoi pensieri arrivò all’agenzia. I due ‘Guardiani’ all’entrata la fecero fermare in attesa di controllare il suo ‘Angelo’.
Non facevano entrare nessuno se non risultavano crediti al suo attivo.
Il denaro era scomparso lentamente intorno agli anni 80, sostituito completamente dai crediti, caricati e scaricati immediatamente dal Digital Angel.
Un microchip che si era evoluto sino alla perfezione.

Alla fine dello scorso millennio, intorno agli anni 90 l’azienda americana ADS (Applied Digital Solutions), divenuta poi la Digital Angel Corporation, quotata in borsa, acquisì i diritti sul brevetto denominato Digital Angel.
Un bel nome per una futura schiavitù.
Una scoperta sensazionale passata inosservata ai molti. Infatti la novità stava nel fatto che il microchip impiantato sottopelle aveva il vantaggio che, oltre ad emettere un segnale GPS costantemente rintracciabile, poteva essere ricaricato semplicemente elettro-meccanicamente attraverso il semplice movimento dei muscoli.
Inizialmente utilizzato per monitorare le funzioni del corpo, venne poi impiantato su criminali recidivi al fine di prevenire ulteriori crimini.
Il progetto ebbe una tale successo che il microchip venne impiantato su tutti coloro che ricevano una condanna. Il tasso di criminalità scese del 80%.
Gli uomini si sentirono più sicuri e protetti ed i governi, in nome della loro sicurezza, decisero unanimemente di impiantare il Digital Angel a tutti i nuovi nati.
Il microchip divenne poi così ben elaborato che, oltre a non poter essere rimosso, iniziò non solo a trasmettere dati ma anche a riceverli, consentendo uno scambio continuo con le banche dati dislocate su tutti i territori.

Ognuno consapevole che qualcuno, da qualche parte, sapeva dove fosse, con chi fosse e cosa stesse facendo.
Ed in nome della sicurezza, perdemmo la libertà.

Quando i Guardiani la fecero entrare si diresse immediatamente nella stanza di Ernesto. Lo trovò praticamente sdraiato sulla sua scrivania, intento a decifrare numeri che per lei erano arabo.
Quando la vide il viso gli si illuminò grazie ad uno splendido sorriso sincero. Alto, con gli occhi scuri, capelli ancora più scuri ed una corta barba.
L’aspetto attraente del poeta maledetto.
‘Ma sei già qui!! Hai fatto in fretta questa volta a metter via crediti!’
‘Già’ disse passandogli dietro e dandogli un bacio sulla guancia ‘non so stare lontano da te, lo sai!’
‘Sì, da me un corno! Tu vuoi farti un altro viaggio! Ok! Ho capito. Non perdiamo tempo. Dove vuoi andare questa volta?’
Lo guardò dritto negli occhi e sorrise maliziosa. Bastò quel sorriso per creare un’intesa perfetta.
‘Ma no! Dai! Cazzo! Francesca, non vorrai tornare là?!’
‘Sì’ disse voltandogli le spalle ‘sai quanto mi piace, no?!’
‘Sì lo so! Ma quattro viaggi! Sei l’unica che conosco così monotona nelle scelte. Dai allora, entra spogliati e preparati.’

Entrò decisa nella piccola stanzetta illuminata a giorno come se fosse la sua seconda casa. Ormai tutte le apparecchiature, i fili ed i monitors erano diventati piacevolmente famigliari.
Si tolse la maglia ed i pantaloni. La pelle leggermente abbronzata dal sole primaverile risultava ambrata ed invitante. Quando giunse al momento di togliersi il reggiseno ed il tanga guardò l’uomo che la fissava dall’altra parte del grande vetro divisorio.

‘Ernesto! Ma sei proprio un guardone!’ disse scherzosamente ‘Fissi così tutte le clienti!?!’
‘No, Cara! Solo quelle con un bel culo e che me lo fanno diventare duro.’

Stette al gioco e si spogliò lentamente come una ballerina da night, muovendosi al ritmo di una musica immaginaria. Slacciò prima il reggiseno nero e lo sfilò senza smettere di guardarlo dritto negli occhi; lo fece volteggiare in aria prima di lanciarlo sulla sedia posta accanto. Si girò poi di schiena e lentamente fece scendere il tanga, mantenendo le gambe dritte ed assumendo una posizione a 90 gradi. Quando lo guardò per godersi l’effetto prodotto, dal labiale intuì le sue parole.
‘Che stronza che sei!’
‘Scusa Ernesto? Non ti ho sentito?’ disse sorridendo e sdraiandosi sul lettino.
‘Ti diverti a farmelo diventare duro? Ti ricordo che sarai a mia disposizione per un po’ di tempo. Non fare la furbetta con me!’
Sapeva che stava bluffando dato che tutto veniva accuratamente registrato e monitorato.
Il tecnico le collocò tutti gli elettrodi nei piccolissimi e quasi invisibili forellini nelle scatola cranica e poi la lasciò sola nella stanzetta.
Lo poteva comunque vedere dall’altra parte del vetro. Lui era il suo angelo custode.
A quelli come lui era stato dato il fantasioso nome di Nephelim, gli angeli caduti della genesi.
Era lì per tirarla fuori in caso di pericolo, cio&egrave quando il corpo non reggeva ai forti impulsi di adrenalina.
‘E ricorda che questa non &egrave una macchina del tempo”’ recitò lui meccanicamente ‘Bla’.Bla’Bla’Tu non sei veramente là. Bla’.Bla’Bla’.Sei qui.’
Era un avvertimento dovuto, una specie di cantilena che dovevano ripetere a chiunque volesse fare un viaggio.

Nei libri di storia si potevano trovare i primi tentativi di realtà virtuale. Con il casco ed i sensori sul corpo per andare a catturare le derivazioni nervose periferiche.
Da allora avevano fatto passi da gigante.
Il corpo veniva sollevato di qualche centimetro e fluttuava nell’aria per evitare qualsiasi sensazione tattile.
All’inizio avevano anche provato con le vasche di privazione sensoriale, ma molti soffrivano di claustrofobia e così le avevano abbandonate.
Durante il viaggio la memoria presente veniva quasi completamente annullata. Quasi, dato che alcune persone rammentavano frammenti o parti indistinte.
L’unica cosa che rimaneva era quello che chiamavano il ‘Path’ o destino.
Una traccia che la persona metteva e decideva a priori per portarla dove desiderava.
Le causalità e le coincidenze erano frutto del Path.
Anche il momento della fine del viaggio era deciso a priori; l’unica limitazione era che si poteva scegliere il quando, ma non il come.
Durante il viaggio venivi posto di fronte a bivi e scelte da affrontare ed il computer rielaborava tutti i dati in base a quelle scelte. Una persona avrebbe potuto, per assurdo, rientrare mille volte nello stesso gioco ed arrivare alla meta finale attraverso mille strade diverse. Era questo il bello del viaggio. Il non sapere cosa sarebbe accaduto; affrontare sfide più o meno difficili sapendo di essere solo.
Potevi scegliere chi essere. Alcuni preferivano viaggi facili, altri viaggi avventurosi, altri dolorosi. Alcuni facevano viaggi brevi o entravano solo per accarezzare il corpo della donna che desideravano, altri erano più temerari e si spingevano ai limiti estremi.
L’importante era avere scariche di adrenalina sempre più forti, perché solo allora potevi sentirti ancora vivo.

Le sensazioni trasmesse al cervello erano reali, come il freddo provato in quel momento in quella piccola stanza di quel maestoso grattacielo.
Il tempo naturalmente aveva una valenza del tutto diversa.
Una vita intera, dalla nascita alla morte, poteva durare in questo tempo non più di due giorni.

‘Va bene Francesca, siamo pronti. Anno?’
‘ A.D. 1310!’ disse senza esitazione.
‘Luogo?’
‘Linguadoca” terra di Catari ed eresia!’
‘Ok! Ma fai attenzione. L’ultima volta ti ricordi com’&egrave finita, vero?’
Certo che se lo ricordavo. L’aveva proprio fatto incazzare per bene il vescovo Fournier, diventato poi Benedetto XII.
‘Non &egrave simpatico scherzare con la Santa Inquisizione!’
‘Giusto’ pensò. ‘Specie se poi ti torturano per farti confessare’
Ma in quel particolare viaggio, nelle carceri di Avignone, in vesti maschili aveva conosciuto un uomo speciale. Dotato di intelletto superiore, di conoscenze segrete e di un animo tanto passionale da preferire il carcere piuttosto che rinnegare le sue idee. Un religioso che aveva osato definire la chiesa ‘Una prostituta Babilonese’ di fronte al Papa Clemente VI. Un uomo passato alla storia, ma sconosciuto a molti.
Conosciuto però dai ricercatori dell’essere.

E così’..
Crebbi in una piccola famiglia nel villaggio di Roquetaillade. Mio padre aveva imparato tutte le arti del fabbro da suo padre, che lo imparò da suo nonno e così in su sino a tempi immemorabili. La nostra lingua l’Occitano.
Mia madre era una donna timorosa e rispettosa nei confronti di quell’uomo spesso violento, che la prendeva sul pagliericcio comune senza troppi scrupoli. Mia sorella, schiva e solitaria, mi teneva lontana perché mi riteneva troppo presuntuosa ed arrogante.
Era troppo arrogante rifiutarsi di sposare Pierre! Un aiutante che mio padre aveva istruito nelle arti della forgiatura ed aveva accolto nella nostra casa per supplire alla mancanza di figli maschi!
Pierre era un maiale. Puzzava come un maiale e mangiava come un maiale. Aveva il doppio dei miei anni e mi faceva ribrezzo al solo guardarlo. Sempre con le mani sporche di fuliggine e grasso; con l’alito reso sempre pesante dalle troppe birre scolate alla taverna.
Quando mi trovava da sola nel fienile ad accudire alle bestie, mi prendeva da dietro stringendomi il seno ed appoggiando il suo membro turgido contro il mio sedere. ‘Lo senti questo arnese! Appena ci saremo sposati te lo farò sentire tutti i giorni e ti assicuro che cancellerò quel sorrisetto arrogante dalla tua bella faccina!’
Piuttosto che sposarlo l’avrei trafitto con il forcone che avevo in mano.
Ed un giorno osai ribellarmi alla sua presa, ai suoi modi bruschi, dandogli un ceffone con tutta la forza che avevo.
‘Sei una puledra da domare, mi piace!’ mi disse prendendomi per il collo e lanciandomi di peso sul fieno ‘ed ora ti do un assaggio di quello che significa avere a che fare con un vero uomo!’.
Tenendomi la mano intorno al collo sciolse il nodo dei pantaloni, mentre le mie braccia fendevano l’aria in cerca di un posto per afferrarlo e per colpirlo. Se avessi trovato le sue carni vi avrei affondato le unghie sino a farmi male le dita.
‘Stai ferma cagna!’ disse mentre spingeva maggiormente la mano sul mio collo.
Mi arresi temendo che mi avrebbe soffocata.
Mi alzò la veste e guardò la mia nudità. Guardava quel triangolo scuro di peli come un miraggio; gli occhi velati da un desiderio che offuscava la ragione e portava alla luce l’istinto animalesco dell’accoppiamento.
Cominciai a sentire che l’aria nei polmoni fluiva con maggiore fatica. Respirare mi sembrò l’unica cosa importante.
Dalla sua mano vidi spuntare quel membro duro che io avevo immaginato esser nero come le sue mani.
In realtà tanto pulito non doveva essere. Mosse la mano su e giù lungo il membro turgido, più per constatarne la durezza che per trovare un’ulteriore eccitamento.
La sua mano andò ad accarezzare il mio pube ‘Sei ancora vergine? Sì, immagino di sì! Adesso t’insegnerò a rispettare un uomo e quando avrò finito con te dovrai andare in giro a gambe aperte per giorni’
Le dita delle mie mani, trovato il suo braccio nudo, vi si conficcarono così a fondo che sentii brandelli di pelle accumularsi sotto le unghie.
In quel momento realizzò che se mi avesse lasciato il collo per allargarmi le gambe e tenermi le mani mi sarei divincolata, sfuggendo alla sua presa.
Avvicinò la mia faccia tanto da portare le mie labbra a contatto con la dura e rossa cappella del suo membro.
Sentii l’odore acre di urina e sudore; mi ritrassi con ribrezzo, voltando il viso di lato e cercando di sfuggire a quella sorte.
‘Apri la bocca! Mia bella puledra!’ spingendomi il membro contro le labbra per farmele aprire.
‘Soffoco!’ dissi con un filo di voce.
Lui allentò la stretta intorno al mio collo, un po’ restio a lasciarmi andare ed io sputai sul quel suo membro lurido con tutto l’odio possibile.
La sua reazione fu così veloce che non vidi il dorso della sua mano colpirmi in pieno viso. Sentii solo il forte bruciore quando tentai di rialzarmi a fatica dal fieno.
In quel momento entrò mia madre allarmata dalla mia prolungata assenza.
‘Cosa succede qui?’ chiese mentre Pierre si riaggiustava i pantaloni ed io mi asciugavo il sangue che colava dal naso.
‘Aquò’s pas gr&egraveu ! (Niente di grave!) le risposi in puro occitano.
‘Cerca di non farlo arrabbiare! Diventerà tuo marito.’

Già! Pensai. Bella prospettiva.

Quando giunsi al diciasettesimo anno dalla mia nascita decisi di fuggire.
Era il giorno della festa del solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno; mentre tutti erano intenti a bere e danzare intorno alle decine di fuochi accesi per proteggere i campi, approfittando di una carovana di musici che ogni hanno attraversava la regione, lasciai la terra dei miei natali.
Temendo che si potesse vedere che ero una ragazza e sapendo i pericoli che avrei corso, mi fasciai il seno con dei bendaggi stretti e mi tagliai i capelli cortissimi. Indossai, non senza disgusto e repulsione, dei pantaloni laceri di Pierre ed una sua camicia.

Rimasi con quella compagnia per due solstizi, sino a quando arrivammo in un piccolo paese di nome Aurillac nella regione dell’Aquitania.

Quel giorno vidi dei fraticelli che chiedevano l’obolo lungo il cammino. Spinta da una curiosità ed un attrazione inspiegabile saltai giù dal carro senza esitazione alcuna e li seguii sino alle porte del convento, rimanendo affascinata da quella solida costruzione di pietra, chiusa con un enorme portone di legno scuro.
Sembrava un castello. Inviolabile e forte.

E quel giorno decisi che sarei entrata in quella fortezza.
L’alba della mattina seguente mi presentai al convento e bussai con le lacrime agli occhi.
‘Ragazzo mio! Cosa fai a quest’ora in giro per la campagna?! Vieni entra!’
‘Mi sono perso padre. Sono fuggito ad una banda di briganti che mi tenevano prigioniero, costringendomi a derubare i passanti! Vi prego datemi ospitalità!’
Il buon frate, credendo alle mie parole, mi fece entrare.
Il mio piano stava funzionando. Adesso dovevo convincerli a tenermi con loro. Fui condotta in una grande e lunga sala dove vi erano disposti parallelamente due lunghi tavoli.
Era un ambiente spoglio e nient’affatto solenne, ma incuteva un non so che di timore.
Il frate mi fece accomodare e mi portò una tazza di brodo caldo e saporito.
‘Ma dimmi ragazzo, quanti anni hai?’ chiese scrutandomi attentamente, quasi a cercare una bugia nella mia risposta.
‘Non lo so padre. Nessuno si &egrave mai preoccupato di calcolare il tempo della mia nascita’
‘Ma, a vederti così non direi che hai più di 15 anni! Sembri così giovane’
Bene! Pensai. L’avevo ingannato. Probabilmente mi attribuiva una così tenera età a causa della mancanza di peluria sul viso.
Mi condusse di stanza in stanza verso lo studio del frate priore. Il silenzio dei corridoi era magico. Non vi erano voci o suoni tranne i nostri leggeri passi sul pavimento di pietre.
Le lampade ad olio appese ai muri disegnavano le nostre ombre sul terreno che scorrevano veloci dinnanzi e dietro di noi.
L’odore era quello di una stanza chiusa da anni, ma nel sottofondo aleggiavano particolari profumi mai sentiti.
Dopo il colloquio con il frate priore decisero che potevo rimanere per un breve periodo.
Mi accompagnarono in una stanza ove un frate giovane e snello stava versando dell’acqua in una tinozza di metallo. Aperto uno sportello alla base introdusse delle braci ardenti e mi fece segno di accomodarmi.
‘Acqua calda?’ chiesi sgranando gli occhi.
‘Questo &egrave un lusso che riserviamo solo agli ospiti. Per noi &egrave un’abitudine puramente igienica. Le abluzioni vanno fatte velocemente, con acqua fredda e non devono procurare piacere.’
Il mio primo bagno caldo! E se fosse stato l’ultimo? Me lo sarei goduta. Però se mi fossi spogliata di fronte a lui avrebbe immediatamente scoperto il mio inganno. Che fare?
‘Mi scusi fratello’ dissi esitando e abbassando gli occhi in senso di vergogna ‘ma preferirei rimanere solo’.
‘Certo’. Certo’ rispose con un certo imbarazzo ‘Sulla sedia ci sono degli abiti puliti. Quando avrai terminato ti mostrerò la tua cella.’
‘Grazie’ dissi accompagnando alla porta con gli occhi.
Feci quanto dovevo. Mi immersi in quell’acqua calda e resa profumata da un’erba a me sconosciuta.
Un piacere inaspettato avvolse le mie carni ed un sospiro di pace uscì dalla mia bocca.
Rimasi immersa sino a quando l’acqua divenne troppo fredda per resistere ulteriormente.
Continuando a fissare la porta con il timore che entrasse qualcuno mi vestii con il saio grigio scuro
lasciatomi dal gentile frate e lo strinsi in vita con la corda come avevo visto che veniva indossata dai frati.
Fortunatamente l’abito era piuttosto largo ed il mio seno piccolo, cosicché non avevo timore di venire scoperta.
Con mia sorpresa trovai il frate che mi attendeva proprio fuori dalla porta. Mi condusse attraverso un’infinita serie di corridoi tutti uguali verso la mia cella. Pensai che non sarei riuscita a percorrere a ritroso quella via senza rischiare di perdermi. Giunti di fronte ad una piccola e bassa porta di legno il frate mi disse ‘Questa &egrave la tua cella. E’ piccola, ma pulita. Sono certo che ti troverai bene con noi.’ Detto questo mi lasciò, indicandomi la via per arrivare alla biblioteca ove ero atteso.

Era una stanzetta piccola con un pagliericcio appoggiato al muro, un tavolino ed una sedia di legno.
La figura di Gesù, dal suo crocifisso appeso sopra il letto, dominava tutta la cella.
La piccola fessura nel muro faceva passare poca luce e quindi l’illuminazione doveva provenire dalla lampada ad olio posta sul tavolino ed ora spenta.

I mesi trascorsero sereni. Il convento divenne la mia casa e la mia cella il mio rifugio.
Rimasi sempre un ospite, non sentendo la vocazione per prendere i voti e sentendomi in colpa per l’inganno perpetuato.
Lavoravo più degli altri per compensare quella preziosa ospitalità e partecipavo a tutte le attività del convento.
I ritmi della vita in quella isolata comunità erano rigidi e ripetitivi. Sveglia all’alba. Preghiera comune. Riunione nel refettorio per consumare un poco di latte e di pane e poi tutti si dedicavano alle loro occupazioni. Preghiera pomeridiana e poi di nuovo le occupazioni giornaliere sino alla Santa Messa che indicava la fine della giornata lavorativa.

Solo mesi dopo ebbi modo di entrare in contatto con fratello Jean.
Lo incontrai casualmente nel giardino delle erbe.
‘Guarda come ti hanno conciato le lumache!’ dissi rivolgendomi ad una pianta di acetosella.
‘Fai bene a parlare alle piante! Sentono il tuo amore e ne traggono beneficio’
Mi girai e lo vidi.
‘Come ti chiami?’
‘Mi chiamo Fran’ois” dissi chinando la testa in segno di rispetto
Non so perché ma ero attratta da quel frate, che più volte avevo visto solo di sfuggita. Per me, pur non conoscendolo (o forse lo conoscevo?) era la persona più importante della mia vita. Il fulcro su cui si bilanciava la mia esistenza. Era il mio destino.
Entrai nelle sue grazie e cominciai a trascorrere sempre più tempo con lui.
Lo seguivo ammirata ed m’immergevo nelle sue parole, nutrendomi del suo entusiasmo.
All’inizio mi portava con lui solo nel giardino delle erbe o a visitare le vigne per assicurarsi che le viti producessero un vino speciale.

Un giorno camminando nel bosco mi chiese: ‘Fran’ois, che albero &egrave quello?’
‘Un acacia’ risposi senza esitazione.
‘Bene! E’ giovane; l’ho piantata io. E’ un’acacia nilotica e per la sua natura di sempreverde ci rammenta l’immortalità dell’anima. Il suo nome deriva dal greco e significa ‘libertà dal peccato o innocenza’. Un tempo, a Gerusalemme, veniva utilizzata per segnalare le tombe dei defunti onde evitare che i sacerdoti ed i religiosi le potessero accidentalmente calpestare.’
‘Guarda attentamente quell’albero’ disse poi volgendo lo sguardo lontano verso un grande e maestoso tronco ‘e vi troverai lo specchio della vita, con i suoi due opposti che convivono e senza i quali la vita stessa non potrebbe essere.’

Molte delle sue parole avevano inizialmente un oscuro significato per me, ma io mi sentivo attratta da lui come se i nostri destini fossero fatti per viaggiare di pari passo, traendo da quelle parole spunti di riflessione e studio.

Ogni giorni mi insegnava qualcosa di nuovo, misteri antichi e scienze moderne.
Attingevo a lui come un pozzo per dissetarmi da quell’arsura che solo la mancanza di conoscenza può dare.

Lui si rinchiudeva per ore in una piccola stanza del convento da cui provenivano strani odori ed un continuo fumo nero.
Trascorrevo ormai tutto il tempo con lui, tranne quando entrava in quella stanza, ormai per me divenuta una chimera da scoprire.
Mi insegnò tutti i segreti e le proprietà curative erbe; come alleviare il dolore delle punture con la dulcamara, placare i dolori con la verbena, detta anche era di San Giovanni o erba della croce e rispettare la pericolosa forza dello stramonio e della belladonna; ma quella primavera mi introdusse in un mondo magico.

Di fatti, non appena entrammo sotto il segno dell’Ariete, iniziammo a stendere, durante la notte, ampie lenzuola sull’erba ed prima dell’alba le ritiravamo, strizzandole e sottraendogli la preziosa rugiada.

Con il recipiente in mano mi guidò sino alla sua stanza segreta.
Prima di entrare nella stanza vera e propria ci fermammo in un piccolo antro ove vi era solo un basso leggio ed una panca su cui inginocchiarsi ‘In questo luogo prego prima di entrare nel laboratorio affinché io abbia la forza di portare a termine il compito prefisso’
Così dicendo aprì la porta; il mio aspetto era calmo e tranquillo, mentre il mio cuore sembrava percuotere la cassa toracica a dimostrazione che non tutto poteva ricadere sotto il mio diretto controllo.

Io e Jean diventammo un unico essere. Io e lui sempre insieme, a disquisire sulle leggi naturali e divine.
Varcammo tutti dogmi e ci spingemmo al di là del conosciuto per poter avanzare ipotesi costruttive. Ridevamo e scherzavamo, ritornando seri quando si parlava di argomenti spirituali.

Entrando nella stanza provai la sensazione unica di trovarmi in un luogo dove i comuni esseri umani non possono entrare. E non per via di banali leggi fisiche, ma perché la loro mente non era pronta.

La stanza, lunga e stretta, illuminata egregiamente dalle lampade ad olio, conteneva oggetti mai visti, contenitori di vetro e porcellana, ed ancora pinze, martelli ed un mantice per attizzare il fuoco. L’odore che permeava la stanza era un misto tra dolci erbe e sostante sulfuree.
In un angolino in fondo alla stanza vi era un pagliericcio.
‘Dormi qui Jean?’
La nostra intimità nel tempo era cresciuta al punto che al rispetto si era unita una profonda amicizia. Lui vedeva in me l’allievo perfetto: attento, curioso e non timoroso di spingersi al di là del conosciuto.
‘Sì, a volte. Quando il processo di trasformazione richiede lunghe ore di lavoro.’
‘Cos’&egrave di preciso questa stanza?’gli chiesi ormai abituata a porre qualsiasi tipo di domanda con l’audacia di chi non teme nessuna risposta..
‘E’ un laboratorio. Lì c’&egrave l’alambicco e questo &egrave il crogiolo’ disse ponendo delicatamente e quasi con timore, la mano su una piccola costruzione cilindrica dotata di un piccolo sportello.
‘L’Atanor, al cui interno, in questa sede’ aprendo il piccolo sportello laterale ‘ viene collocato l’uovo filosofale. La ricerca della Pietra filosofale &egrave parte integrante della mia esistenza, ma’.nonostante abbia in numerosi tentativi cercato di trasmutare i metalli vili in oro, mescolando la materia prima con sole e luna”
‘Sole e luna?’
‘Sì Fran’ois, Zolfo e Mercurio. E molte volte ho visto il Leone divenire verde, ed ho visto le 7 Aquile combattere il Leone’ disse mentre il suo sguardo volgeva verso l’alto, intento a pensieri lontani ”..ma in realtà mi accorgo che non &egrave quello il mio principale scopo’

Le parole che uscivano dalla sua bocca mi parevano suoni senza senso. Vedendomi così dubbioso mi disse ‘Vedi Fran’ois, se io riuscissi a trovare, attraverso la pratica alchemica, il mezzo per unire stabilmente il corpo e quindi la materia, con l’anima ed il suo carattere incorruttibile !! Allora potrei creare un elisir che può mantenere libero il nostro corpo dalla corruzione, guarirlo e conservarlo, curarne le malattie e ridonargli le forze’
‘Devo arrivare a creare la quinta essenza!’
‘Quinta essenza?’ chiesi.
‘Sì, amico mio. Di essa già parlava Aristotele definendola Etere, l’essenza del mondo celeste, una quinta sostanza incorruttibile che non &egrave aria, terra, fuoco o acqua. Ma essa, a differenza di quanto alludeva egli, ‘.essa non &egrave in un mondo separato, ma costituisce il nucleo generativo di quest’ultime. Matrice di tutte e non identificabile con nessuna. Può bruciare come il fuoco ed essere liquida come l’acqua.’
‘Ma come può esistere una tale sostanza?’

‘Distillando in un vaso sigillato, e sottoposto a ripetute circolazioni, io posso dal vino creare una nuova sostanza, trasparente e cristallina. E poiché essa non &egrave sostanza inerte, ma trattiene le proprietà di ciò con cui viene a contatto, mi sto preparando ad unirla a sottili lamine d’oro, che incorpora in se tutte le proprietà del sole celeste’

‘Tra qualche giorno sarò pronto al mio esperimento. Ma ahim&egrave temo che poco tempo mi rimanga in questo luogo di pace’ disse accendendo il fuoco di legna.
Si muoveva sicuro tra quegli strani attrezzi ed io mi sedetti sul pagliericcio per ascoltare quanto mi veniva detto.
‘Viviamo in tempi bui, mio caro. Da quando &egrave stato eletto il nuovo pontefice, Clemente VI, già si hanno notizie di alcuni membri della nostra confraternita messi al rogo. Clemente non sopporta noi zeloti ed il mio scritto sull’avvento dell’anticristo, cosa che avverrà nell’anno 1366, mi ha portato diversi nemici. Non mi lasceranno vivere tranquillamente.’
‘Vuoi dire che ti processeranno per uno scritto?’
‘Non so, ma il tempo &egrave breve’.

I giorni seguenti trascorsero in un clima di tensione generale, avvertito da tutti e non chiaramente esternato.
La mia preoccupazione era tale che una mattina, intenta a fare il bagno, che ormai avevo imparato a fare veloce e con acqua fredda, mi dimenticai di bloccare il chiavistello.
Rimasi immobile e senza respiro quando Jean entrò nella stanza spalancando la porta.
‘Vieni presto! Possiamo procedere con l’unione delle foglie d’oro al’..!’
Da quella posizione lui vide il mio corpo nudo. Ci guardammo negli occhi per infiniti secondi, prima che lui richiudesse la porta con violenza.
Mi rivestii in fretta e lo raggiunsi al laboratorio.
Feci il segno della croce passando attraverso l’oratorio e quando entrai incontrai immediatamente il suo sguardo di disappunto.
Era seduto sul pagliericcio ed il suo sguardo era triste.
‘Perché? Perché hai fatto una cosa così terribile? Ciechi sono stati i miei occhi a non vedere in quel bel viso’. una’..una donna!’
‘Perdonami Jean. Come avrei potuto dirtelo?. Mi avresti cacciata! Volevo rimanerti accanto! Imparare. Nutrirmi della tua saggezza. Non ho fatto nulla di male.’
Mi inginocchiai ai suoi piedi ‘Ti prego Jean, fammi restare! Questa &egrave la mia casa. Voi siete la mia famiglia. Non ho un luogo dove andare!’
Mi guardò a lungo prima di dire: ‘Puoi restare, ma se un altro fratello ti dovesse scoprire dovrai andartene immediatamente.’
‘Te lo prometto, non accadrà!’ dissi prendendogli le morbide e bianche mani.
Lui si ritrasse da quel contatto come se il diavolo lo avesse toccato.
Capii che aveva paura di me. Di ciò che ero: una donna.
Nei giorni seguenti cercò di evitarmi, ma la gioia dei successi nel laboratorio lo spinsero a riavvicinarsi a me, che capivo e comprendevo il suo lavoro più di chiunque altro.
Ricominciammo a lavorare fianco a fianco. Il suo sguardo sempre più comprensivo e più morbido.
Il suo sorriso tornò allegro.

Arrivò finalmente il giorno in cui tutte le fatiche dovevano essere premiate. Dopo un’innumerevole serie di distillazioni eravamo pronti a mirare le prime gocce dell’ ‘oro potabile’.
Entrambe con gli occhi fissi su quella piccola estremità dell’alambicco, in attesa come due bambini curiosi.
E quando la goccia cominciò a formarsi ci guardammo sorridendo ‘Eccola!’ sussurrò Jean guardando estasiato quel nettare.
Nel momento in cui quell’unica, brillante goccia cadde nel piccolo vaso sottostante i nostri cuori esultarono di felicità.
I nostri visi vicini si voltarono a cercare gli occhi dell’altro per gioire insieme e, senza nessuna premeditazione, le nostre bocche s’incontrarono.
Un piccolo bacio, seguito da un altro e poi le labbra si dischiusero lasciando che le lingue s’incontrassero.
Ne seguì un bacio caldo ed appassionato. Il primo per me.
Non sapevo se lui avesse già provato quelle sensazioni durante il periodo di studi trascorsi all’università di Toulouse, prima di prendere i voti.
Solo allora mi accorsi di averlo sempre desiderato.

Le mie mani scesero a slegare il nodo del cordone. Prima il suo e poi il mio.
La sua bocca si staccò dalla mia ed una mano mi accarezzò teneramente una guancia. Mi guardava con amore e con sospetto, indeciso se continuare.

Mille pensieri nella mente. Il primo di tutti che stavamo facendo una cosa sbagliata, vietata ed immorale.
Ma l’attrazione dei nostri corpi era un richiamo più forte di qualsiasi limitazione morale. In quel momento ciò che importava era solo il desiderio di accarezzare il corpo dell’altro, di provare emozioni uniche.
Quando si mosse, mi sfilò il saio e mi guardò attentamente , valutando la situazione. Gli occhi si posarono sulle mie gambe, salirono, si soffermarono sul pube e poi sul seno ed infine mi guardò fisso negli occhi.
‘Un fiore bello e delicato’ disse mentre il suo sguardo divenne morbido e sensuale.
Allungò una mano verso il mio seno e lo accarezzò, lo strinse totalmente nella mano e ne gustò la rotondità. Mi cinse la vita mi attirò a se senza troppa convinzione, credendo o sperando che mi sarei ritratta a quel contato.
Ma io mi feci condurre sino al suo corpo, rimasi così qualche minuto sentendo la ruvidità della tela del suo saio. Mentre il suo membro cominciava a diventare turgido, le sue mani mi accarezzarono la schiena, il collo, arrivando sino alle natiche, risalendo immediatamente come colte da improvviso pudore.
Si sfilò il saio ed io vidi il suo corpo. Avevo già avuto modo di ammirarlo un giorno, al fiume, quando credendo di non esser visto, si era immerso nell’acqua gelida invernale, forse come atto di espiazione.
Il suo corpo era poco muscoloso, ma ben proporzionato.
La sua pelle di un colore bianco perlaceo come la mia.
L’aria resa calda dal fuoco dell’Atanor ci permise di rimanere senza abiti, non sentendo il freddo.
Mi strinse ancora a se ed io sentii tutto il suo desiderio. La sua pelle era calda, morbida. Il contatto mi procurava i brividi.
Non eravamo più in un convento. Eravamo solo in una strana stanza. Un uomo ed una donna uniti da un desiderio atavico e naturale. Due corpi che si attraggono. Gli opposti che si incontrano. Entrambe coscienti che avremmo avuto a che fare con le nostre coscienze alla fine di tutto, ci preoccupammo solo di sentire quel momento, di viverlo nella sua pienezza.
Non ci furono parole. Solo gesti.
Mi condusse sino al pagliericcio ed io mi sdraiai.
Lo guardavo timorosa, tremante. Avevo paura.
Lui si distese sul mio corpo e la ritrovata sensazione della sua pelle calda mi diede pace.
Cercò ancora la mia bocca, la mia lingua. Le labbra morbide giocarono con le mie, succhiandole delicatamente ed io respiravo l’aria calda e profumata di menta che usciva dalla sua bocca.
Scese a baciarmi il collo. Sentii le sue labbra aprirsi in un morbido bacio mentre scendevano verso il mio seno.
Arrivarono ad un capezzolo e lo baciarono lievemente prima di risucchiarlo all’interno della bocca. Cominciai a provare una sensazione unica.
Leggeri gemiti uscirono dalla mia bocca e cominciai a respirare più affannosamente.
Il contatto della sua pelle era inebriante. Il mio capezzolo massaggiato e stuzzicato delicatamente dalle sue calde labbra. Una mano intanto accarezzava l’altro seno, stringendo leggermente il capezzolo tra le dita, mentre l’altra scivolava verso il basso.
Baciò il mio ventre.
Mentre le sue mani continuavano a godere del tocco della mia pelle, io mi gustavo la sensazione inebriante di un eccitamento che prelude a qualcosa di più forte, di più intenso. Non sapevo esattamente cosa avrei provato, ma i sensi erano così stimolati che sentivo sarebbe accaduto qualcosa di incredibile.
Una mano si spostò in basso alla ricerca del mio pube. Giocherellò con i peli e scese ad incontrare il clitoride.
Lo accarezzò con le dita. Il suo viso così vicino alla mia intimità mi fece desiderare quelle labbra e lui, quasi in risposta a quel pensiero, gli diede un breve e lieve bacio.
La sensazione delle sue labbra mi indusse a spingere in alto il bacino cercando ancora quel tocco delicato.
Questo mio gesto provocò una reazione immediata in lui. Sentii la sua passione, intrappolata per anni, riversarsi sul mio corpo. Baciava ogni punto del mio corpo.
Le sue mani correvano sul mio corpo cercando di toccare il più possibile come per far scorta di quelle sensazioni per tutti gli anni a venire.
Allargai le gambe e lui accettò il mio invito silenzioso.
La mia mano scese verso il baso, accarezzando il clitoride e spingendosi oltre. Con le dita aprii le labbra del mio sesso; si fermò a guardarlo come ad imprimerlo nella memoria. Sentivo umori caldi che scendevano sulle mie gambe andando di certo a bagnare il pagliericcio sottostante.
Lui prese un po’ di quel liquido con le dita e lo portò alle labbra chiudendo gli occhi.
Poi si sdraio sopra di me ed io sentii che il suo membro poggiava all’entrato del mio sesso.
I suoi occhi nei miei, le mie labbra sulle sue.

Una strana sensazione mi pervadeva. Il cuore batteva forte ed il corpo sembrava subire delle modificazioni mai sperimentate.
Qualcosa mi spingeva a aprire le gambe maggiormente e ad innalzare il bacino pronta a ricevere quel membro duro.
Sentivo il mio sesso dilatarsi e una voglia incontenibile di colmare quel vuoto interno.
La perfetta congiunzione di due opposti.
Lui mi guardò negli occhi; chiudendoli ed inarcando la schiena spinse il glande attraverso quella piccola fessura.
‘AHHH’ urlai. Lui mi mise una mano sulla bocca per timore che qualcuno potesse sentirmi da fuori.
Il dolore era passato. Dopo essersi fermato, riprese a spingere il suo membro sempre più in profondità nel mio sesso. Sentivo che mi apriva, facendosi strada dentro di me e dando vita ad una sensazione indescrivibile.
Mai prima di allora avevo avuto modo di sperimentare una sensazione similare. La soddisfazione, l’appagamento ed il piacere mentre quel membro duro che entrava nella mia intimità. Niente ti prepara a quella sensazione. Qualcosa di cui non puoi più fare a meno.
Raggiunse il fondo e si fermò a gustare di quella nuova emozione, esattamente come feci io.
Rimanemmo in quella posizione alcuni minuti.
Fermi, immobili. Avevamo una possibilità irripetibile, prima che la ragione riprendesse il sopravvento sui sensi e volevamo godere di ogni istante.
Con fare esperto, come se la natura avesse provveduto ad insegnargli ogni cosa, prese a muoversi facendo scivolare la durezza del suo membro dentro e fuori di me.
Il piacere divenne intenso, quasi insopportabile al punto che i gemiti non poterono esser più trattenuti.
I suoi ed i miei.
La forza praticata nelle spinte aumentò gradualmente d’intensità ed io , con le gambe aperte, sotto di lui, sentivo il suo amore. Sentivo di appartenere a quell’uomo che mi stava possedenso, ribellandosi con la sua forza, con la sua rabbia alle leggi che ci vietavano un tale piacere.
E mise tutta quella rabbia per arrivare in fondo alla mia anima. Per dirmi ‘sei mia!’, per un ora! per una notte! sei mia!’.
Ed io anelavo a questo. Il desiderio divenne passione. La passione gioia, e la gioia felicità.
Ed il mio corpo rispose a quei colpi duramente inferti nelle mie carmi e nella mia anima, con una sensazione di estasi estrema. Le membra si sciolsero in un attimo di estremo piacere, mentre sentivo il glande di quel membro che mi penetrava diventare più grande, gonfiarsi di ardore ed il suo piacere silenzioso mi inondò le viscere.
Si accasciò stremato sul mio corpo e mi baciò teneramente.

‘Sai che non &egrave giusto quello che abbiamo fatto’
‘Lo so Jean’
‘Non potrà più accadere. Non possiamo permettere che accada di nuovo’
‘Sì!’ dissi con la tristezza negli occhi e la gioia di una esperienza unica.

Sette settimane dopo Jean venne arrestato e portato ad Avignone per ordine di Clemente VI.
Il laboratorio filosofale distrutto e gli scritti sequestrati.

Io lasciai il convento sette mesi dopo, incapace di rimanere in quel luogo pieno di ricordi.

E la fine di quella esperienza avvenne al mio ritorno a Roquetaillade. Solo desiderosa di rivedere mia madre, intrapresi quel viaggio senza ritorno.
Mio padre era morto e Pierre aveva sposato mia sorella.
Questo &egrave quello che mi disse Pierre. Non arrivai nemmeno alla mia casa.
Lo incontrai accanto alla taverna. Mi riconobbe e, dimostrando un’eccessiva gentilezza, mi disse di seguirlo verso la loro nuova dimora, dove mia sorella sarebbe stata felice di vedermi.
Lui non era cambiato di molto. Invecchiato, e con gli stessi abiti sporchi e puzzolenti.
Condotta a tradimento sul retro della taverna, si girò verso di me, mi diede uno schiaffo e mi afferrò le mani, spingendomi contro il muro.
‘Sei tornata puttana! Avevamo un conto in sospeso io e te, se non ricordo male.’ Disse con voce roca e rabbiosa.
Mi fece girare, tenendomi le mani salde dietro la schiena.
Stranamente non opposi resistenza, quasi consapevole del mio destino.
Mi spinse contro una botte piegandomi con forza e facendo sbattere il naso contro il legno.
Mi alzo la veste e sputò sul mio sesso. Con la mano liberà lo cosparse di saliva, aprendo le labbra della vagina, disse: ‘Finalmente ho l’occasione di farti provare cosa significa avere un uomo vero tra le gambe!’
Senza esitazione e scrupolo alcuno, spinse in un sol colpo tutto il suo membro dentro di me.
Urali di dolore quando toccò il fondo e questo lo eccitò maggiormente.
Lasciò le mie mani ed io non reagii.
‘Ti piace allora?’
Cercai di rammentare il dolce momento trascorso con Jean ed una lacrima scese sulla guancia.
E così dicendo iniziò a scoparmi con forza. Le mani afferrarono con forza le mie natiche e lo aiutarono nelle spinte. Si piegò sul mio corpo. Sentivo il suo odore acre arrivare sino a me ed il disgusto si tramutò in nausea.
Ma non reagii.
Sentivo i colpi sempre più forti sbattermi le cosce contro la botte. Era doloroso.
‘Lo so che ti piace! Sei sempre stata la mia preferita! Scopare tua sorella &egrave come scopare un cadavere!’
E mentre i colpi aumentavano lui si fermò all’improvviso, come a realizzare qualcosa che gli era sfuggito : ‘Ma non sei più vergine! Ti sei fatta sbattere da qualcun altro! Troia che non sei altro!’
‘Io non mi prendo gli avanzi di qualche ragazzetto borioso che ti ha ripassata per bene!’
Così dicendo tolse il suo membro ed io pensai che fosse finita; pensai che in fondo me l’ero cavata con poco.
Io suo membro era piuttosto grosso ed il dolore provato era meno di quanto immaginassi.
Ma la sua rabbia non era cessata.
Lui mi strinse una mano attorno al collo e con l’altra posizionò il suo membro turgido sul mio ano e, senza preavviso alcuno, mi penetrò con violenza.
Tutto intorno divenne meno consistente e all’improvviso il buio.
Ero svenuta per il dolore.
Quando mi svegliai, lentamente, sentivo qualcosa intorno al collo ed un dolore lancinante nelle mie viscere.
Pierre mi stava ancora scopando dietro, entrando ed uscendo senza pietà.
‘Questo buco era ancora vergine!’ disse ridendo.
‘Ti piace?’
‘Ti piace essere montata così?’
Le sue mani stringevano forte attorno al mio collo, mentre i suoi gemiti crescevano in intensità.
Non sapevo se il dolore maggiore era quello dovuto alle sue mani introno al mio collo o se quello del suo membro che spingeva forte dentro di me.
Lo sentii irrigidirsi mentre un urlo gutturale usci dalla sua gola e le mani strinsero più forte il mio collo.

Aprii lentamente gli occhi e mi trovai nella stanzetta che ricordavo.

Come un sogno troppo vero per esser un sogno, Francesca fece fatica a scrollarselo di dosso, sentendo ancora sulla pelle il bruciore delle mani che stringevano in collo.
Ripercorse tutto quel viaggio, dalla nascita alla morte, soffermandosi sui bellissimi momenti trascorsi nel convento.
‘Addio Jean’ pensò, felice di quelle emozioni intense vissute con lui, condividendo la sua forza e la sua conoscenza; il suo entusiasmo ed il suo genio.

‘Divertita?’ la voce di Ernesto interruppe i suoi pensieri e la riportò alla realtà.
‘Divertimento non &egrave la parola appropriata!’ gli disse ancora immersa nelle sensazioni di quel viaggio ‘Lo dovresti sapere bene anche tu. Tu che viaggi. Tu che sei un cercatore. Tu che, come me, cerchi altrove le risposte per questa esistenza.’

‘Ernesto, dimmi’.’ proseguì mentre ancora non riusciva ad alzarsi dal lettino e lui si occupava degli elettrodi ‘non hai mai pensato che un giorno ti potresti svegliare in un altro luogo, in un altro tempo, con un operatore che ti riporta alla realtà!’
‘Stai pensando ad una specie di scatola cinese?’ gli chiese lui.
Lei ci aveva pensato e non le sembrava poi così assurdo. Ma quella era solo una delle tante strade in salita intraprese per capire.

‘Una realtà virtuale’in una realtà virtuale’..interessante. Ma perché?’ chiese il suo bel Nephelim.

‘Conosci prigione migliore di quella in cui non sai di essere prigioniero?’

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