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Raffiche di vento

By 25 Agosto 2020Settembre 13th, 2020No Comments

E’ da svariato tempo che m’interrogo cercando d’esaminare questo mio personale e privato concetto, investigandomi da sola, spaziando e intercalando su quest’argomento, inframezzando e tentando di darmi un’adeguata e consona risposta, però senza dissotterrarla del tutto. In realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, ci si sofferma poco su questi aspetti individuali, perché essendo noi tutti talmente oberati, così spediti e a tal punto perennemente indaffarati nella vita frenetica e indiavolata quotidiana che conduciamo, non pensiamo alle faccende altrui, anche se quest’atteggiamento è certamente più che normale e comprensibile, naturalmente e senz’altro ovvio e giustificabile.

Io, invece no, per mia natura sono una persona che scruta, esamina, ispeziona e sonda, tentando di carpirne le sfumature e d’arraffarne appieno i segni, d’impossessarmi rubando i toni nel via vai impegnato della gente. Se osservo fuori dalla finestra, per la strada o nei bar, nei grandi magazzini, dal medico, in fabbrica, nei parchi oppure in viaggio e in vacanza, non posso fare a meno di prendere in considerazione sondando la folla che m’attornia e il loro modo di vivere. Ogni manifestazione del volto e qualunque fraseologia nella modulazione della voce, offusca innegabilmente e indelebilmente dei lontani e arcani ricordi, cela e sottintende dei momenti vissuti, lasciandoci impresse le tracce sulla cute. Nel frattempo che rimugino su questi complessi, laboriosi e spinosi concetti, un ragazzo di bell’aspetto s’avvicina frettolosamente alla pensilina dell’autocorriera e mi domanda quale sia la corsa giusta che transita in direzione dell’aeroporto.

A dire il vero, per farla breve, conobbi Patrizio in quella bizzarra quanto inattesa modalità. Con la sigaretta accesa, si vedeva che aveva urgenza di raggiungere l’aeroporto, altrimenti avrebbe perso il volo per Copenaghen. Mi chiese se volessi fumare anch’io, ma garbatamente declinai, perché io avevo smesso a fatica già da oltre due anni e non intendevo ricascarci nuovamente. Tenuto conto che la corriera essendo in ritardo, per dei grandi lavori sulla carreggiata e per via del caotico e frenetico traffico cittadino di quel giorno, e che non sarebbe arrivata in orario, stabilii in ultimo offrendomi d’accompagnarlo autonomamente di persona all’aerostazione di Linate. Io, in quella mattinata, non avendo particolari faccende da sbrigare feci la prima mossa e istintivamente mi buttai, proponendogli che gli avrei dato ben volentieri un passaggio. Ci allontanammo alla svelta dalla fermata, dopo due isolati di cammino acciuffai lestamente la mia autovettura parcheggiata e lo condussi in aeroporto.

Durante il tragitto lui mi rivelò che era originario d’un paese della provincia di Isernia, ma i suoi genitori avendo annullato il matrimonio quand’era ancora un adolescente, aveva vissuto tantissimi anni con la nonna paterna, facendogli in sostanza da madre accudendolo e dedicandosi come meglio poteva. Mi dichiarò che doveva recarsi in Danimarca presso una zia, che lo avrebbe indubbiamente aiutato nel rifarsi un’adeguata vita lavorativa, e nel contempo sperava altresì di costruirsi una responsabile relazione affettiva, perché in vita sua aveva patito e sofferto tanto, ingoiando tanti smacchi e patendo vari tracolli, accumulando altresì numerose disfatte e continui insuccessi. Mi espose infine che era sentimentalmente libero, che aveva avuto solamente qualche sporadico incontro con qualche ragazza, in linea di massima tutte relazioni di qualche settimana, nessun’implicazione né alcun interesse amoroso. Lui aveva occorrenza di quattrini, con la premura e con l’urgenza di ricominciare al più presto una nuova epoca, lasciandosi alle spalle il trascorso vissuto non proprio felice né positivo.

Io restai assai turbata dal suo inedito comportamento, decisamente impersonale e distanziato nell’ascoltarlo che aveva quando argomentava, forse richiamava alla sua memoria eventi amari, vicende incresciose e accadimenti spiacevoli, giacché parlottava in maniera corrugata e stizzita appena li citava. Giungemmo frattanto all’aeroporto, giunti nella sala delle partenze notammo sul monitor che il volo previsto per il primo pomeriggio per Copenaghen era stato soppresso per motivi tecnici e che il successivo volo diretto ci sarebbe stato solamente il giorno successivo. Con grande rammarico Patrizio s’addolorò ulteriormente prostrandosi e imprecando, affermando che il destino amaro gli stava voltando pure stavolta le spalle. Io lo guardavo dispiaciuta e desolata, cercai di tirarlo su confortandolo e incoraggiandolo come meglio potevo, adesso non mi restava che aiutarlo concretamente, sicché subito m’adoperai per agevolarlo nella migliore delle maniere.

Io presi la sua vicenda talmente a cuore che gli chiesi di restare da me, che lo avrei aiutato e confortato in tutti i modi, di conseguenza lo riaccompagnai in città. In verità non potevo accoglierlo nel mio alloggio, in quanto spartivo il minuscolo appartamento con un’altra ragazza. In tal modo, senz’indugiare più del normale, prenotai alla svelta una stanza nell’albergo poco distante dal mio alloggio. Dopo ci assegnarono la stanza ed entrammo. Gli domandai se desiderasse da bere, però Patrizio mi ribatté che al momento non gradiva niente. Io cominciai a esporgli episodi e fatti della mia professione, chi fossi, da dove provenissi e in special modo del capoluogo che m’aveva dato i natali e dove avevo sempre vissuto. La metropoli di Milano, città alla quale ero incondizionatamente affezionata e pienamente legata, che mai e poi mai avrei sostituito con un’altra, perché non sarei riuscita a soggiornare né a mantenermi altrove. Gli spifferavo che in estate andavo in vacanza in Puglia dai miei lontani parenti, del cibo, della cordialità e dell’innata e generosa accoglienza degli abitanti del luogo, prerogativa e dote in genere abituale dell’Italia meridionale, isole maggiori comprese, perché pure in Sicilia e in Sardegna, molto probabile l’ospitalità e l’affabilità è maggiore a detta di molte mie amiche avendoci trascorso in quei luoghi la villeggiatura. Progressivamente Patrizio s’aprì squadrandomi tutta, gradualmente il suo sguardo diventava maggiormente libidinoso, interessato e sensuale, le sue iridi anelavano in silenzio tendendo d’assaporare il gusto del vizio, di gustare altresì quello del peccato, questo assimilavo e identificavo io dai suoi occhi, peraltro in maniera focosa, netta e distinta, perché senza tanti orpelli né giri di parole, tenuto conto che l’atmosfera che si era creata era abbastanza erotizzante, candidamente gli proposi:

“Ascolta Patrizio, vorresti che nel frattempo mi denudassi?” – gl’intimai io in maniera appetibile, invitante e pungolante.

“Realizzalo unicamente se lo desideri Veronica, se veramente te la senti” – fu la sua chiara, schietta e celere quanto insospettata e insperata risposta.

“Io onestamente desidero pigliare il tuo cazzo in bocca, tu mi piaci molto Patrizio” – perseverai io alquanto incalzante, però in maniera delicata e quasi principesca.

“Cara Veronica, sei tu che stabilisci tutto, io sono qua, scegli tu come meglio credi e ritieni giusto che sia, per davvero” – mi espose Patrizio, energicamente noncurante e risolutamente disinteressato, della proposta che gli avevo poc’anzi lascivamente sfoggiato e diligentemente sciorinato.

Patrizio nel mentre, decisamente distratto e non proprio attratto né incline né attualmente propenso di ricevere il mio erotico invito, seguitò ad aprirsi, svelandomi e sottolineandomi i suoi numerosi e tormentati intrighi, di pari passo con i suoi incresciosi retroscena vissuti, riportandomi il suo modo di vivere non semplice, ma arduo e disagevole, che aveva dovuto affrontare e costantemente subire.

Io lo squadravo in maniera appassionata, scossa e piuttosto coinvolta, però decisamente intenerita e finanche attenta, perché in quell’istante palesavo la netta e precisa cristallina differenza, di chi possiede e ha tutto a portata di mano, chi all’opposto, deve affliggersi, sudare, patire e tormentarsi in modo incongruente, irragionevole e sproporzionato. Patrizio mi stava insegnando tantissimo, mi stava snocciolando raffinatezze di saggezza, preziosità di buonsenso e rarità d’oculatezze, mi stava indottrinando e informando di quel modo di vivere oscuro, pesante e difficoltoso, che in modo enigmatico, appannato e astruso ognuno di noi sperimenta, ma che il più delle volte vive e vegeta in modalità silente, che difficilmente viene a galla e si manifesta, mentre noi diamo tante e troppe cose per ovvie, atteggiamenti per scontati, azioni e situazioni per assodate, indubbie e per di più sottintese. Una profonda, rapida e valida lezione di vita la sua, manifestamente esposta in diretta. Quel ragazzo mi stava dominando la psiche, mi anestetizzava con il suo modo di fare, mi sconquassava avvincendo in maniera profonda l’intelletto, in modo positivo beninteso, penetrava dentro me stessa affascinando e rapendo il mio raziocinio, sconvolgendomi l’acume, dissestandomi il discernimento e mettendo a soqquadro il mio individuale giudizio di femmina che avevo fino a poco tempo prima, allorquando valutavo quantitativamente e in modo incoerente, misurando con un altro metro di giudizio, calibrando sia le persone quanto le cose. Patrizio m’aveva in pugno, m’aveva sedotto, aveva scopato abilmente la mia mente, io ero sotto le sue abili, competenti, esperte e ingegnose grinfie.

Io lo guardavo attentamente analizzandolo in silenzio, Patrizio mi esaminava adesso gioioso, redento e affrancato, sì, perché si era finalmente alleggerito, si era completamente svincolato dopo essersi confidato e sfogato con me dei suoi crucci, dei dispiaceri e dei risentimenti che lo avevano lungamente afflitto. Rammento sempre il suo sguardo perso e scoraggiato, m’ispezionava, ma secondo me non percepiva e non partecipava, io non ero là con lui. Lì non c’era nessuno, ma c’eravamo entrambi, perché il mio corpo poteva essere mescolato, accavallato, commutato oppure capovolto e scambiato con qualcun altro. Patrizio non mi vedeva. Io attesi con pazienza, mettendolo a proprio agio, restai in tal modo per svariati minuti, secondo il mio punto di vista, giacché per Patrizio era la prima volta che frequentava seriamente una donna così come me.

Lui mi piaceva, io piacevo a lui, desideravo svisceratamente che per mezzo del nostro incontro intervenisse e in ultimo scaturisse il suo coinvolgimento nei miei confronti. Probabilmente lui poteva compierlo addirittura simulando, io avevo ascoltato le vicissitudini della sua ingarbugliata e complessa esistenza, mentre adesso in cuor mio io bramavo di farmi conoscere per quella che effettivamente ero, regalandogli tutto il mio intimo ardore e la mia smisurata lasciva carnalità di femmina. Ancora una volta, aizzata e sobillata più che mai, fui io a pigliare nuovamente l’iniziativa pungolandolo:

“Patrizio, senti, io ho voglia. Ci stendiamo adesso insieme sul letto?” – lo incalzai io, carezzandogli le mani.

“Sei certa di volerlo Veronica?” – fu la sua timida quanto riflessiva e impacciata replica.

“Non c’è dubbio alcuno Patrizio, tu mi piaci molto, ti voglio come non mai, voglio mangiarti, adesso” – sbottai io, carica, fomentata e magnetizzata, fissandolo negli occhi, con un’insaziabilità e con una cupidigia che non pensavo d’avere indosso, toccandogli intenzionalmente il cazzo sulla patta dei pantaloni.

In breve ci denudammo a vicenda, mentre memorizzo ancora adesso che Patrizio si era svestito in completo silenzio. Rievoco l’indolenza dei suoi gesti, non scorderò gl’indumenti che aveva piegato e collocato con cura su d’una poltroncina, ricordo che si era incurvato per afferrare le scarpe collocandole sul davanzale della finestra, dopo era ricomparso da me e insperatamente in maniera totalmente inattesa si era scatenato in modo smodato, era diventato intrattenibile e sregolato. Io ero attonita, assai esterrefatta, ero rimasta stupefatta e senza parole. Le sue mani avevano bramosamente vezzeggiato il mio sviluppato seno, lo avevano palpeggiato e succhiato gentilmente, dopo avermi acceso e riscaldato, Patrizio si era disposto sul giaciglio e m’aveva sbottonato la vestaglia, conficcandosi all’istante là di sotto nella pelosissima grotta del mio nascosto piacere.

Aveva cominciato a leccarmi la fica ad occhi chiusi, mandandomi rapidamente in completo visibilio. Io ero distesa e gemevo, sussultavo e mi scuotevo, farneticavo urlandogli frasi laide, deformi e inusualmente per me sconce con numerosi vocaboli osceni, osservavo il suo viso e pensavo a quello che stava accadendo, non mi sembrava vero che la faccenda avesse preso quella piega, per di più per me totalmente inaspettata. Patrizio era veramente colto, ferrato e valido nel leccare la fica, perché trascorsero solamente pochi minuti, che io strepitai fragorosamente il mio individuale e travolgente orgasmo clitorideo, impregnandogli tutta la faccia con i miei intimi e abbondanti fluidi.

Nel contempo che mi stavo assaporando quel lascivo e sfiancante istante di goduria, Patrizio m’intimò lestamente di voltarmi, perché voleva scoparmi nella posizione della pecorina. Io senza fiatare acconsentii e mi concessi tutta. Scopammo in varie posture, entrambi infatti volevamo metterci in gioco, perché numerose erano le variabili da considerare: il luogo, la carica erotica, l’affiatamento e via discorrendo. Io non lo avrei giammai supposto né pensato né ipotizzato, che Patrizio padroneggiasse così il corpo d’una donna, scopandola per lungo tempo con le più difformi posizioni. Era un individuo dalle virtù e dalle molteplici doti nascoste, da pregi insabbiati, bisognava solamente scoprirli gradualmente uno per volta.

Lui voleva mettere il cosiddetto pepe a letto, facendomi sperimentare le migliori posizioni, peraltro riconosciute a suo dire, come molto divertenti, brillanti e stimolanti. Cominciammo per prima con quella preferita peraltro dai maschi, la posizione da dietro o alla pecorina, dove lui mi prendeva da dietro, giacché era una penetrazione molto profonda, ma io non ho avuto nessun problema, perché avevo la fica inzuppata al massimo. Patrizio scopandomi in tal modo, m’aveva stimolata enormemente facendomi venire subito. Consigliata e indicata anche per scopare in macchina se lo spazio lo consente. La seconda posizione è stata quella di scopare da seduti, dove Patrizio accomodato con la schiena dritta contro lo schienale, mentre io ero sulle sue gambe che gestivo il ritmo e i movimenti, dandogli la spinta con i piedi a terra. La terza posizione, credo quella del cucchiaio, che trovo francamente una delle posizioni più eccitanti e rassicuranti per me. Ci siamo sdraiati sul letto sullo stesso fianco, la mia schiena appoggiata al suo petto, entrambi con le gambe piegate, mentre io lo guidavo durante la penetrazione da dietro. E’ una sensazione di fusione totale, perché lui mi stimolava pure il clitoride. La quarta fu la posizione del missionario, il grande classico, la regina delle posizioni per godere, la più intramontabile, ma che permette una scopata sfrenata a letto o dove sia possibile sdraiarsi. Io ero sdraiata sulla schiena con le gambe aperte, mentre Patrizio adagiato su di me appoggiato al letto con le ginocchia e con i gomiti, per non pesarmi addosso, là in quella posizione sono venuta due volte. La quinta posizione che provammo, fu quella dell’andromaca, dov’è la femmina che domina. Non c’è dubbio, che sia una delle posizioni sessuali preferite dagli uomini, la regina assoluta delle posizioni con la donna di sopra. Patrizio sdraiato sulla schiena, io seduta sopra di lui rivolta verso il suo viso, oppure in alternativa gli voltavo la schiena. Io lo facevo sragionare, perché stringevo i muscoli vaginali mentre mi muovevo. La quinta che abbiamo collaudato è stata la posizione dell’indra, forse la migliore di tutte per le donne, anche per me naturalmente. Io ero sdraiata sulla schiena, sollevavo il sedere e piegavo le gambe per appoggiare i piedi sulla pancia o sul torace di Patrizio, mentre lui doveva inclinarsi in avanti per penetrarmi a fondo. La successiva non c’è stata, perché euforici e accalorati com’eravamo, abbiamo ripreso fiato, perché eravamo sfiniti. Dopo Patrizio m’ha infilato il cazzo nella fica e nel culo alla pecorina, poi sul davanti, perché dopo pochissimi affondi m’ha totalmente sborrato sulla fica e sull’addome, imbrattandomi tutta con la sua gelatinosa, bianca, squisita e abbondante essenza.

Adesso, dopo che ha Patrizio ha sborrato io lo osservo, ha gli occhi chiusi, penso quale possa essere il suo intrinseco pensiero, il suo interiore e stretto giudizio, il familiare sentimento che lui vive nel momento che ce l’ho davanti o quando mi espone delle storie. Mentre è lì accanto a me, io squadro attentamente la volta di questa camera d’albergo, ponderando e riflettendo sui percorsi della vita d’ognuno di noi, come la stessa sia talvolta atroce, crudele, inafferrabile, ingovernabile e che nel modo più assoluto non sappiamo anteporre né selezionare né scegliere a nostro piacimento la circostanza favorevole e neanche la nostra buona ventura. La vita è come una ruota, che impercettibile e taciturna gira, offrendoci e proponendoci con il suo roteare i suoi indecifrabili, molteplici, tormentosi e talvolta dolorosi assilli, però equamente in modo bilanciato, ci restituisce presentandoci le sue imperscrutabili, numerose, affascinanti e piacevoli meraviglie tutte da scoperchiare.

In seguito, siamo rimasti così per un poco di tempo, esaminandoci in totale silenzio. Ognuno, invero, sviscerando e rintracciando nell’altro qualcosa o probabilmente nulla. Siamo due esseri in bilico, due emarginazioni in comparazione, due individui in parallelo, due modalità d’esigere e d’invocare inconsolabilmente aiuto. Il bisogno angoscioso e disperato di calore e di premura, per la conservazione quotidiana in un cosmo che non è il proprio, equivocato e barattato con la brama di svignarsela e di scappare. Ci rivestiamo in fretta, Patrizio si deve approntare, tra poco lo accompagnerò all’aeroporto, perché il volo per Copenaghen oggi è confermato, finalmente partirà. Noi due adesso ci risentiremo con più tranquillità e con maggior facilità. Ciao, fa’ buon viaggio Patrizio, adorato, caro, esemplare e speciale amico mio, devi sapere che Veronica non t’ha dimenticato e giammai ti dimenticherà, perché quando lo vorrai saprai dove trovarmi, intanto che lo saluto abbracciandolo con le lacrime che mi rigano il volto, appena scompare nella sala delle partenze per l’imbarco.

Ciascuno di noi, nessuno escluso, ha e sperimenta a modo suo, un’esistenza gremita e composta d’appuntamenti, un arco vitale eterogeneo e variegato costituito da colloqui, formato da confronti, plasmato da ritrovi e d’incontri solennemente da rammentare e splendidamente da memorizzare, altri meno, perché sia maschi quanto femmine, procedono inesorabilmente gironzolando di fianco, sgambettando e spicciandosi, muovendosi in lungo e in largo, intersecando e accoppiando loro malgrado, sia inconsapevolmente che fortuitamente, la loro ahimè, privata e generica sorte.

Tempo addietro, non rammento dove di preciso, avevo svogliatamente sfogliato una rivista, dove si menzionava che gli appuntamenti e gli abboccamenti, il più delle volte appaiono sbucando come i soffi d’una comune arietta, perché tu procedi vagabondando per il tuo itinerario e quella raffica di corrente d’aria ti sbatacchia addosso qualcuno o ti cozza di fronte qualche cosa, dal momento che queste entità e queste essenze, le trascinerai persuadendoti e calzandotele in ogni tempo con te. 

{Idraulico anno 1999}

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