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Racconti Erotici Etero

Ricordi d’Erasmus

By 3 Gennaio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

RICORDI D’ERASMUS
Era il luglio più caldo degli ultimi anni. Quasi quanto la terribile estate del 2003. Ormai Parigi iniziava a esserci abituata a quelle stravaganze. Un po’ meno i suoi abitanti, che boccheggiavano per strada, e trovavano sollievo nella frescura artificiale della metropolitana. E Frida con loro.
Parigina d’adozione in quanto studentessa Erasmus, Frida stava in piedi nel vagone affollato. Aveva cercato di essere il meno vestita possibile, e i sandali e quel vestitino corto la aiutavano; quella mattina era stata talmente esasperata dalla calura da tagliarsi i lunghi capelli biondi mossi, che ora le incorniciavano il viso con qualche ricciolo in più.
Etienne ne sarebbe stato sorpreso. O forse no, forse era stato più sorprendente quello che era successo la sera prima. Etienne, il dottorando che condivideva con lei la grande passione per l’arte giapponese. Quel ragazzo nero alto, tonico e dal passo elegante l’aveva conosciuto per caso in biblioteca mesi prima. Frida aveva scommesso che studiasse antropologia o cooperazione allo sviluppo. Invece sbirciando sul suo tavolo aveva intravisto libri in giapponese e un volume su Utamaro, il maestro che aveva ritratto la vita nei quartieri di piacere della vecchia Tokyo in modo insuperabile. Il binomio eros e arte interessava anche a lui. Per questo si erano avvicinati. Le loro conversazioni durante le pause caff&egrave e gli aperitivi con altri accademici avevano esaltato la mente vivacissima di Frida, che ogni volta tornava a casa arricchita ed entusiasta.
Ma la sera precedente lei ed Etienne si erano spinti oltre. In quello scambio puramente intellettuale era entrato un nuovo protagonista: il corpo. Un corpo reso sfrenato dall’alcol e dalla danza, durante una festa in una residenza studentesca. Era iniziato tutto come al solito, con loro due che conversa-vano amabilmente assieme ad altri borsisti, più allegri ad ogni bicchiere versato. Poi qualcuno aveva collegato un iPhone alle casse, e i più temerari avevano rotto il ghiaccio iniziando a ballare.
Frida era allegra, ma ancora pienamente padrona di sé. Etienne invece sembrava già alticcio, con quella risata sguaiata che nessuno, in dipartimento, aveva mai sentito. E che si era interrotta quando lui l’aveva guardata e le aveva sorriso prendendola per mano e conducendola in un angolo della sala per un lento. Frida si era lasciata portare: non disdegnava certo ballare con un bell’uomo, fosse anche un superiore. E aveva sorriso tra sé, pensando a quanto diversi dovevano apparire: lei bionda e minuta, lui color ebano, alto e atletico. Una foto di Toscani. Piano piano il vino e la musica avevano reso tutto più lontano e sfocato: l’università, le gerarchie, i loro ruoli. Si era lasciata cullare tra le sue braccia forti, inebriata dal contatto con quell’uomo bello e colto.
Si erano stretti l’uno all’altra quasi a volersi compenetrare. I corpi resi madidi dalla calda sera estiva, dondolavano lentamente al ritmo di una canzone anni Sessanta. Era stato allora che la ragazza aveva avvertito quella pressione contro l’inguine, che rivelava l’inequivocabile eccitazione di lui. Le gerarchie erano saltate; Dioniso dettava l’unica legge, che era quella dell’eccesso.
Frida aveva assecondato il suo istinto, ma con la cautela di non farsi scoprire dagli altri; con movimenti quasi impercettibili aveva premuto il suo sesso contro il pilastro coperto dai jeans. Erano rimasti così, a strusciarsi nella penombra, l’eccitazione che saliva assieme alla temperatura tra loro. Era proibito, o quantomeno disdicevole, e questo non faceva altro che invogliarli a continuare darsi quel piacere nascosto.
Frida stava per raggiungere l’apice del godimento, quando una delle invitate l’aveva chiamata a gran voce. Louise, la sua coinquilina, aveva esagerato con il vino, non si reggeva in piedi. Bisognava che qualcuno la riportasse a casa.
A malincuore la ragazza si staccò dal moro, che la guardò. Non, je ne regrette rien, cantavano i suoi occhi infuocati.
-A domani- sussurrò lei con un sorriso malizioso, prima di affrettarsi verso l’amica.
Louise era effettivamente ridotta a uno straccio. Non sapeva proprio regolarsi. Frida aveva chiamato un taxi , e una volta a casa l’aveva messa a letto, avendo cura di accenderle un ventilatore in camera. ‘Chissà che mal di testa domani’, aveva pensato coricandosi a sua volta.
Invece il giorno dopo lei aveva appuntamento con Etienne per rivedere la tesi. A casa di lui, come da accordo. Ma dopo quello che era successo la sera precedente, chissà se il ricercatore avrebbe mantenuto l’appuntamento? Quella mattina non le aveva scritto. Niente e-mail, chat, nemmeno un semplice sms. ‘Deduco che il piano sia rimasto invariato’ pensò Frida mentre si ripassava il trucco, un sorriso malizioso che affiorava sulle labbra. In fondo sperava che l’abitino succinto lo istigasse a proseguire quello che avevano iniziato alla casa dello studente.
All’uscita della metropolitana il caldo torrido la investì, impietoso. Fortunatamente Frida non dove-va fare troppa strada prima di raggiungere l’appartamento dove viveva Etienne, in una palazzina ben tenuta di un quartiere residenziale. Come nelle grandi avventure, le batteva forte il cuore quando premette il campanello e rimase in attesa. Il portone si aprì senza una parola. La ragazza si precipitò in ascensore.
Etienne comparve in pantaloni di lino e t-shirt, gli occhiali da studioso ancora sul naso; le sorrise e la invitò a entrare. Senza che dicessero una parola, un’atmosfera di attesa scese tra loro. Un piacevole conto in sospeso accompagnava ogni loro gesto e parola. L’uomo le mostrò la casa resa semibuia dalle imposte abbassate per fiaccare la presa del caldo. Era arredata con una semplicità che esaltava le proprietà tattili dei materiali, punteggiata qua e là da elegantissimi oggetti d’artigianato giapponese. Su un tavolino laccato Frida scorse la foto dei genitori adottivi di lui, una ricca coppia bohemien. Notò che, a differenza dell’università, lei ed Etienne stavano parlando del più e del meno, quasi a voler nascondere sotto una coltre di parole vuote l’attrazione che cresceva tra i loro corpi.
La ragazza si avvicinò al tavolo che lui utilizzava per studiare, incuriosita dal libro aperto su un’immagine a doppia pagina: un samurai che possedeva una cortigiana, l’uno alle spalle dell’altra, quasi vestiti del tutto, eppure sconvolti dal piacere. Arte ed eros, il loro terreno di ricerca comune. Etienne la raggiunse, e Frida poté sentire il suo dietro di sé. L’eccitazione le faceva battere il cuore in gola.
-Era questo che avevi in mente ieri sera?- le mormorò lui all’orecchio. Quindi scese con le labbra lungo il collo, vellutato come una carezza.
-L’idea non mi &egrave passata- replicò Frida chiudendo gli occhi e godendosi i brividi di piacere che quel tocco le procurava.
Etienne avvolse i piccoli seni bianchi tra le mani grandi scure; pizzicò i capezzoli, sentendoli indurirsi sotto i suoi palmi; massaggiò quelle tenere albicocche in cerchi ipnotici. Il fatto che lei non indossasse il reggiseno rendeva tutto così facile.
-Ti ho desiderata fin dalla prima volta che ti ho vista- ammise lo studioso affondando il volto sulla spalla di lei, mentre la spogliava lentamente ‘Sei una forza della natura. Calda, solare, forte, intelligente-. Le parole accompagnavano il vestito che cadeva a terra.
Frida era nuda davanti a lui, in febbrile attesa di vedere come sarebbe proseguito l’incontro iniziato la sera precedente. Avrebbe voluto che loro due venissero ritratti durante l’amplesso come nelle stampe giapponesi, corpi di panna e cioccolato che istigavano l’istinto voyeuristico dei lettori.
Si baciarono a lungo. I baci sembravano il mezzo migliore per comunicare il desiderio irrefrenabile. Le mani di Etienne percorsero il corpo di Frida con carezze lente, movimenti casuali eppure sapienti, perché capaci di accrescere la sua voglia. Clavicole, seni, fianchi, inguine erano le tappe del viaggio che la faceva sospirare. Erano ancora in piedi, quando le dita di Etienne si addentrarono nell’anemone liscio e bagnato della ragazza. Il moro prese a leccarle i capezzoli, mentre faceva entrare e uscire le dita con ritmi diversi, dal più lento all’andante. Frida perse ogni controllo, e rimase a godersi quelle attenzioni appoggiata al tavolo con le gambe spalancate. Se quello era l’inizio, non poteva immaginare quanto rovente sarebbe stato il finale.
Ma Etienne non era soddisfatto, voleva anche assaggiarla. Scostò il libro dal tavolo e vi fece stende-re la giovane. Le aprì le cosce con un gesto imperioso che la eccitò ancora di più, e s’inginocchiò così da poter sfiorare con le labbra il fiore umido.
-Dimmi, ma in metropolitana te la vedevano tutti con quel vestitino corto?- sorrise lui mentre cominciava a leccare i petali interni. Frida tremava di eccitazione. La ragione era esplosa, e il suo linguaggio obbediva unicamente al piacere.
-Sì, tutti me la guardavano. E volevano toccarla come stai facendo tu- rispose ansimando. Avvertì la lingua penetrarla ripetutamente con delicata decisione, mentre nell’occhio della mente era ancora vivida l’immagine di una processione di uomini che volevano vederla e toccargliela a turno, come fosse una calamita irresistibile. Ma il quadro venne velocemente dissipato dalla realtà del piacere che l’uomo le stava dando, ora unendo le dita alla bocca. Frida venne con un fremito, una scossa di piacere accecante.
Quando si fu ripresa dall’orgasmo, la giovane desiderò donare piacere a sua volta. Si rialzò e scambiò posizione con Etienne, che rimase in piedi di fronte al tavolo. Frida si inginocchiò di fronte a lui, e iniziò ad accarezzare il membro da sopra i pantaloni, sentendolo crescere sotto il suo tocco. Era davvero grosso e potente, tanto da riaccendere l’eccitazione della ragazza. Quindi Frida lo liberò dalla stoffa, e iniziò a leccarlo con golosità; titillò la cappella, facendo sfuggire al moro un mugolio di godimento, per poi scendere lungo l’asta con una catena di baci bagnati fino a raggiungere i testi-coli, che prese tra le labbra e lappò con frenesia. Etienne si abbandonò a quelle piacevoli cure, accarezzandole la testa di tanto in tanto. Quando glielo prese in bocca, la sua presa si fece più decisa, in modo da guidare il ritmo; non aveva nulla contro la parità dei ruoli, ma in quel momento voleva comandare. E Frida non l’avrebbe mai ammesso, ma farsi imporre quel grande fallo che entrava e usciva dalle sue labbra non le dispiaceva affatto: pubblicamente voleva dare l’immagine di una donna forte, a cui nessuno avrebbe messo i piedi in testa; nel privato, indugiava in fantasie masochiste che la vedevano eseguire, mai dare gli ordini.
Per questo obbedì senza battere ciglio quando Etienne la interruppe e la condusse verso il divano, facendola inginocchiare e piegare a novanta gradi. Poi l’uomo sparì brevemente dalla propria stanza, da cui riemerse con un fagotto di seta nera. L’oggetto misterioso, per di più avvolto da un involucro così elegante, scatenò la curiosità di Frida.
Etienne le si avvicinò per un bacio, e iniziò a massaggiarle il fiore di carne in piccoli cerchi. Le chiese di non voltarsi, ma semplicemente di godersi le sensazioni che le avrebbe procurato. Frida obbedì. Avvertì delle gocce (olio?) cadere al centro della regione sacrale, per poi rotolare giù tra i glutei; sentì le dita del suo amante spalmarle accuratamente attorno all’ano, massaggiato a sua volta con delicate spirali. La ragazza chiuse gli occhi, e si lasciò guidare nel regno di un piacere diverso, ma immensamente intrigante. Poteva sentire le dita di una mano fare timidamente ingresso nella fessura anale, mentre quelle dell’altra deliziavano il suo anemone. I due piaceri si intrecciavano e rafforzavano l’un l’altro, facendola ansimare. Ed ecco finalmente l’oggetto misterioso. Frida avvertì delle perle entrare nella fessura posteriore dalla più piccola alla più grande; la lentezza con cui lo facevano era studiata, e permetteva a lei di riconoscere e godere delle diverse sensazioni che riceve-va.
Sentiva quel movimento ripetersi lento e intenso, che accresceva il godimento che proveniva dal suo sesso. Ad un certo punto Frida notò che nel suo fiore Etienne stava sostituendo le dita con il proprio membro possente. Il nero la possedeva ad un ritmo serrato, mentre manteneva volutamente un tempo rallentato con le perle, costringendola a concentrarsi su due fonti di piacere allo stesso tempo. Grazie a quella combinazione, l’estasi montò velocemente, facendola gemere senza controllo. Frida subito avrebbe voluto chiederne ancora, tanto era stato grande e totalizzante il godimento. Etienne la accontentò. Assieme si divertirono a trovare un’applicazione pratica ai propri studi, così ripeterono le scene erotiche che avevano visto ritratte dai grandi maestri delle stampe giapponesi. Dopotutto, entrambi sapevano che era possibile rendere la vita un’opera d’arte. E quel pomeriggio ci erano riusciti.

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