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Dopo tantissimo tempo che bramavo, inseguendola e pedinandola per cercare d’ottenere un appuntamento, stavolta in maniera inattesa, fortuita e aleatoria c’ero finalmente riuscito, dal momento che non ci speravo più, meravigliandomi e rimanendo di stucco come non mai. In quella benevola giornata, che giammai scorderò, Caterina in definitiva accettò aderendo appieno, poiché riuscii da ultimo a concordare con lei l’appuntamento, fissato nella circostanza per le cinque del tardo pomeriggio nella gelateria centrale della piazza della mia città.

Per definirla con tutta franchezza e per spiegarla con serena obiettività, entrambi c’eravamo scrutati adocchiandoci solamente per mezzo di varie fotografie, talvolta ci eravamo parlati pure occasionalmente al telefono, in poche occasioni c’eravamo scambiati taluni messaggi di posta elettronica con riferimenti spinti e con allusioni libidinose, ma dopo non accadde nient’altro. Caterina, in verità, era candida, inesperta e novizia in tutti i sensi, una femmina semplice e per nulla stravagante, in quanto non padroneggiava quasi nulla nel piacere sessuale né in quello prettamente e squisitamente sadomaso, pratica genuinamente fra il piacere nel dominare e autenticamente tra il piacere derivante dall’essere sottomessi, né aveva dimestichezza né familiarità né nozioni per quanto riguardava le pratiche di subordinazioni, di servilismi e di coercizioni razionali, ma desiderava unicamente mettersi alla prova e in ultimo saggiarle.

Io, alle cinque di quel pomeriggio, ero già accomodato all’interno della gelateria, abbastanza seminascosto, perché in qualunque modo potevo adocchiare distintamente chi entrava senz’essere notato. In conclusione Caterina accedette, s’accostò al bancone per ordinare, io prontamente m’alzai portandomi a ridosso, poiché toccandole da dietro una spalla la salutai. Io avevo selezionato deliberatamente quella gelateria, in quanto non aveva la specchiera dietro al bancone, sicché m’approssimai all’orecchio bisbigliandole con la voce fioca, ma volitiva, di recarsi senza voltarsi verso i bagni. Caterina compì quell’intimazione all’istante senz’obbiettare né eccepire, intanto che io me la squadravo allorquando procedendo sculettava agghindata con una gonna fino al ginocchio, senza calze e con una camicetta vellutata. Dopo qualche istante la raggiunsi, nel tempo in cui entrai lei cercò di gettarmi le braccia al collo e di baciarmi, tuttavia io l’afferrai lestamente per un braccio, facendola volgere con la faccia verso la parete proferendole solamente:

“Caterina non fiatare, ora sta’ ferma” – furono per l’occasione i miei lineari e stringati vocaboli.

Con la mano iniziai a individuare il suo addome, dopo digradai a ispezionarle il resto. Caterina era alquanto impregnata, introdussi soltanto il dito ritraendolo subito appresso. Subito dopo le enunciai d’accodarsi a me, pagai il dovuto e uscimmo alla svelta dalla gelateria dirigendoci verso un alberghetto poco distante. Il mio intenzionale mutismo concorreva ad accrescere elevando maggiormente l’eccitabilità e il fermento. Entrati dentro la stanza io non le palesai nulla, intanto che la soppesavo mentre si denudava rimanendo unicamente con le mutandine indosso, lì in quel frangente la bendai conducendola verso il varco dell’entrata. Attaccati alla parete c’erano gli abituali attaccapanni fissati con dei tasselli sospesi a muro, per me praticamente pregevoli e adeguati supporti per poter annodare una persona con le braccia verso l’alto. Compii lestamente quell’atto senz’ulteriori tentennamenti. La sua faccia segnalava additando un’eccitazione elevata, con un’insolita frenesia mescolata al timore e alla preoccupazione. D’altronde, Caterina non aveva giammai affrontato né trattato nulla del genere, dal momento che era sia curiosa quanto incerta di quello che poteva succederle.

La mia bocca s’accostò sopra le sue tette e addosso a quei formosi capezzoli. Un bacio amabile e gentile, seguito da un famelico addentare, tallonata da un’accennata compressione, per percepirne in ultimo le sue intime e fervide reazioni. Una smorfia comparve d’improvviso sulla sua incuriosita e stuzzicata faccia, poiché ripresi le sue tette fra le mani, stringendole con lussuria, esaminando nel contempo il suo inguine camuffato dalle sue ombreggiate mutandine. Da quel poco che potevo intravedere e intuire, là di sotto, aveva indubbiamente una fitta e compatta boscaglia, segno tangibile di quel tessuto rigonfio e adombrato. Io veneravo per mia inclinazione e indole personale le femmine con la fica pelosa, erano state sempre il mio chiodo fisso, anche se lei era innegabilmente e logicamente per sua natura impreparata e alle prime armi. Iniziai sennonché a tastarle la fica esplorando quel foltissimo e spesso nerissimo boschetto, mentre notavo la sua espressione di beatitudine forse cagionata dal mio tocco o probabilmente per il lieve solletico che le procuravo.

Subito dopo mi riaccostai a Caterina, facendole percepire la mia focosa presenza temporeggiando sul collo e indugiando sulle spalle. Le distanziai le cosce, perché al presente era in una posizione totalmente indifesa e attaccabile di fronte a me, con le mani legate sopra la testa, con le gambe spalancate e la fica libidinosamente esposta. Successivamente mi ricongiunsi a lei, e nel compierlo constatai che la sua fenditura iniziava a dischiudersi. Le mie dita defluivano sul suo addome con delle movenze indolenti, ogni volta discendendo sempre più in basso, fino a raggiungere quel celato interruttore del piacere. In quella circostanza la vidi spostarsi leggermente di lato, come a non voler essere violata. Pacatamente intavolai a introdurle un dito dentro, eppure non fui in grado di compierlo per più d’un istante. Caterina era straordinariamente illibata e pura, eccezionalmente incorrotta e intatta, era una ragazza ancora vergine nonostante la sua età, avendo compiuto da poco trent’anni. In quel preciso istante, per quanta speranza, stima e credito lei avesse accantonato e rimesso in me, peraltro suo confidente e spasimante, lei non si era giammai concessa a nessun altro e aveva scelto me.

In quella circostanza indietreggiai il mio dito e m’accostai alla sua bocca, sovrapposi le labbra e la baciai delicatamente, subito dopo la snodai dalla fasciatura e l’accompagnai sul letto. Sostai là a osservarla per diversi minuti, perché bramavo farla trepidare in maniera aggiuntiva. Dopo mi distesi vicino a lei con la mia faccia adiacente alla sua, mentre Caterina aizzata e carica fremendo in modo inatteso lascivamente m’esortò:

“Sono pronta Costanzo, fa’ di me quello che più ti piace, sono traboccante di desiderio, scopami” – mi proclamò carica ed euforica.

Io esaminai ancora a lungo il suo corpo esplorandolo e setacciandolo in ogni parte, attardandomi e tergiversando in special modo sulla zona riproduttiva. Sovrapposi un dito al clitoride e cominciai a metterlo in azione, da principio a rilento, ulteriormente più speditamente. La sentivo frignare per il godimento, mentre il mio dito invadente s’inserì nell’incavo discinto e schietto, perché era indubbia e lampante la sua gagliarda eccitazione, la sua fica era madida, giacché il dito pacatamente entrò incontrando il varco ostruito.

Udii che gemeva, che si spostava di nuovo, ciò nonostante stavolta erano le continue pressioni della cavità pelvica. Caterina agognava di spingere il dito più all’interno, perché voleva farsi profanare, ambiva farsi violare, aspirava di farsi totalmente invadere da me. Io cavai il dito da quella deliziosa e intrisa fessura, disponendomi comodo e genuflettendomi in mezzo alle sue gambe. Le ghermì un’altra volta un capezzolo tra le dita e abbozzai a giocarci tendendolo e stringendolo con garbo. Simultaneamente con l’altra mano agguantai il suo clitoride tra il pollice e il dito indice e intavolai a compiere la medesima azione con delicatezza. Caterina si contorceva per la soddisfazione e frignava per il piacere provato, tuttavia avvertivo che per mezzo del mio tocco lei era costantemente più gocciolante di secrezioni.

In modo estemporaneo cessai, mi collocai sopra di lei puntandole il glande sulle grandi labbra facendole dischiudere adagio. Strofinai il cazzo sopra quella deliziosa e intatta fica più volte, per bagnarla adeguatamente e dopo poco cominciai un’apatica e graduale penetrazione. Mi bloccai però istantaneamente, perché volevo farle cogliere e percepire in modo appropriato e apposito, quella nuova e sublime sensazione mai provata prima. Caterina incurvò nuovamente la schiena, lo voleva. Retrocessi lievemente dandole una spinta ferma, in quel frangente udii un lieve lamento, una leggera dolenza, rapidamente le slacciai la benda, perché all’istante lei mi manifestò che desiderava solamente godere.

Ricominciai a pigiare, cadenzando colpi sempre più ritmati e veloci, imprimendole spinte costantemente vigorose e attente, mentre lei mi proferiva espressioni lascive, scurrili e turpi, accompagnate da locuzioni sboccate e indecenti. Presagii e captai che s’univa sempre più, la commozione omessa e scordata delle pareti strette, giammai offese e manomesse prima, riaffiorava dai miei ricordi mentre continuavo a scoparla con poderoso fervore e con un veemente slancio. I suoi gemiti aumentarono notevolmente d’improvviso, perché era l’apripista assiomatico e inconfutabile che Caterina stava per venire. Proseguii in tal modo per qualche istante e poi lei venne sfogando la sua travolgente tensione spasmodica.

Il suo fu in realtà un orgasmo agitante, dilaniante e torcente. Caterina si divincolava strepitando, piegandosi e dibattendosi, con le dita che stringevano le lenzuola, intanto che mi faceva sperimentare finanche le sue affilate unghie sulla pelle, ripetendomi nel contempo amorevolmente e premurosamente il mio nome.

Pure io ebbi la mia dissoluta, viziosa, principesca e lussureggiante parte, un’appagante quanto acquietante dose, poiché la riempii tutta, farcendola per bene, imbottendola e subissandola totalmente con la mia lattescente e densa linfa vitale, nell’esemplare e intramontabile a lei nondimeno prediletta posizione del missionario.

La sua faccia è rimasta sempre lieta, ottimista, spensierata e sorridente da allora.

{Idraulico anno 1999} 

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