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Racconti Erotici Etero

Schiavo di lusso,

By 31 Luglio 2017Dicembre 16th, 2019No Comments

05:00 della mattina: solitamente a quell’orario, nella mia vecchia vita, camminavo lungo la circonvallazione in direzione del mercato. Scaricavo le casse delle varie bancarelle, spazzavo la strada, aiutavo come potevo i commercianti, facevo di tutto per racimolare qualche soldo per campare. Ero solo, non avevo nessuno, l’unica cosa che avevo era la mia bellezza: alto, capelli mori, carnagione olivastra, muscoli temprati dal lavoro, occhi scuri. Questa bellezza mi permetteva di conquistare qualche troietta da scopare nel cesso di qualche bar, oppure mi facevo fare un pompino dietro qualche macchina parcheggiata, ma mai niente di serio. Ero spesso trasandato, a volte mi facevo la barba con dei pezzi di vetro, i miei vestiti erano sempre trasandati, e data la mia situazione economica, vivevo in un tugurio. Anche un zingaro o un barbone aveva più soldi di me.

Un giorno, proprio mentre tornavo dal mercato, sulla strada del ritorno vidi una donna, una specie di dea, che camminava verso di me. Ne rimasi abbagliato, tanto era bella: risultava molto appariscente, ma si vedeva che la base c’era. Platinata, tacchi alti, griffata dalla testa ai piedi, camminava a testa alta, spavalda. Stupenda! Sicuramente meglio delle troiette da quattro soldi che mi fottevo prima di andare a dormire. Rispetto a loro, Lei era una figa griffata, una vagina dalle ovaie d’oro, ed entrando in quell’antro umido e dorato, avrei sicuramente potuto sistemarmi almeno un po’.
Ma uno come me non poteva attrarre una donna, una dea, di quel rango. Il mio cazzo non era degno di chiavare quella purosangue, quindi abbassai gli occhi e tirai dritto.

“Ehi tu!”, mi sentii chiamare da dietro, :”Dici a me?”, le risposi.
“Certo che dico a te, vedi altri intorno?”, rimasi folgorato. Stava parlando a me.
Non riuscii a spiegarmi perché si era disturbata a parlare con me, ero in un imbarazzo ed in una soggezione tali che avrei voluto scappare via. Mi rassicurò e mi disse di sederci al tavolino di un bar.
Pensai:” Magari le piaccio, magari vuole portarmi a casa per scopare. Ci sedemmo ad un tavolo. Lei accavallò, la pelle abbronzata risplendeva al sole di quella giornata primaverile, aveva delle gambe stupende, lunghe, affusolate, leggermente toniche, ma perfette. Mai visto un paio di gambe così! Il suo vestito firmato interrompeva la sensualità di quelle gambe a metà coscia.

Improvvisamente mi sferra un piccolo calcetto sullo stinco dicendomi:” Piantala di guardarmi le gambe, ordina quello che vuoi, offro io.”

Le chiesi come mai avesse voluto parlarmi, perché mi avesse invitato a quel tavolo. Nel frattempo la osservavo, e più la osservavo, più sentivo il cazzo ingrossarsi.

“Perché ti ho fermato? Semplice: non &egrave la prima volta che ti vedo, e mi sei sempre interessato. A te servono soldi, io posso dartene quanti ne vuoi, ne ho talmente tanti che non saprei cosa farci. Ed in cambio tu, mi dai la tua dignità. Diventa il mio schiavo e prometto che non te ne pentirai.

Ero allibito! “In che senso, tuo schiavo?”
Lei rispose:” Non intendo che devi pulirmi casa, lucidarmi la Spider, o cose del genere. Per quelle mansioni c’&egrave già del personale che se ne occupa. Io voglio uno schiavo sessuale, qualcuno da dominare, da comandare, che sbavi dietro le mie Louboutins’.cose del genere. In cambio ti garantisco tutta la copertura economica che vuoi”.
Io, da uomo rude e virile quale sono, o meglio, ero, risposi, prontamente:” Assolutamente no! Non esiste, non diventerò mai il tuo cagnolino!”. Lei non si scompose. Si accese una sigaretta, tolse i suoi grandi occhiali di Chanel e disse:” E allora perché, mentre ti parlo, qualcosa si muove dentro le tue mutande? Scommetto che il pisellino ti sta venendo duro vero?”, e scoppiò in una risata malefica. Improvvisamente si alzò :” Hai tutto il tempo per pensarci, puoi trovarmi qui per ogni cosa”, e mi allungò un bigliettino da visita con i suoi recapiti.

Quell’incontro mi aveva stuzzicato. Lei aveva proprio ragione, e la mia vita non poteva essere peggiore. Meglio essere prigionieri in una gabbia d’oro, piuttosto che essere liberi dentro una di alluminio.
Mi presentai a casa sua, non fu sorpresa di vedermi:” Credevo ci avresti messo di più per decidere. Dai entra. Ovviamente prima di accettarti definitivamente come mio schiavo devo provarti.”
“Che cosa significa?”, risposi :” Lo scoprirai presto. Intanto vatti a lavare”.

Una vasca Jacuzzi con idromassaggio, cromoterapia, e tutti i comfort possibili era davanti ai miei occhi. Godei di infinito godimento in quella vasca. Improvvisamente lei entra in bagno, vestita solamente con un completino intimo targato “Gucci” e i suoi tacchi di Fendi. A quella visione, mi inebriai ed il mio cazzo, in tiro, svettò attraverso le bolle della schiuma del bagno. Voleva che camminassi a quattro zampe, fino a lei, e le leccassi la vagina. Una figa abbronzata, glabra, due labbra carnose, bagnata al punto giusto. Mi immersi in quel ben di Dio, assaporando sin da subito la sua broda divina. Lei gemeva di piacere, si sdraiò, ed io inserii un dito dentro.
Ad un tratto lo tolsi da quel gineceo paradisiaco e glielo avvicinai alla bocca. Mi arrivò un ceffone.
“Stupido schiavo celebroleso! Quello leccalo tu!”, ed io, istintivamente, risposi:” Si Padrona!”
Il gioco proseguì: mi mise al collo un collare di pelle targato D&G al quale collegò una catena dorata; inoltre mi ammanettò le mani. Si sedette sulla tazza del cesso, e, accendendosi una sigaretta, mi intimò di leccarle i tacchi. “Forza! Devono essere splendenti, e guai se me le righi con i denti! Se vendessi un tuo rene al mercato nero, non riguadagnerei metà di queste scarpe”.

Mi sentivo benissimo, godevo nell’essere usato, nell’essere il suo animale, il suo cane, il suo schiavo. Volevo essere lo zerbino su cui strusciava le sue “Gucci” quando tornava a casa, volevo essere il lavandino in cui sputava dopo essersi lavata i denti, volevo essere l’oggetto di sfogo della sua libidine e delle sue frustrazioni.
In quel momento, sentii un suono molto familiare, un suono che io definirei “Acqua contro Acqua”. Stava facendo la pipì.

Mi guardò e dissi:” Pensi che la mia figa si pulirà da sola? Forza, mettici olio di gomito. Anzi, di lingua!”.
Dopo un po’ di repulsione iniziale, soppressa prontamente dalla padrona con una frustata e uno schiaffo, immersi le mie labbra nel suo liquido di scarto, assaporandone il gusto amaro e pungente. Lei rise soddisfatta :”Magari un giorno te la farò anche bere, ma non &egrave questo il giorno”.

Mi fece rivestire e poi mi mise davanti un foglio :” Che cosa &egrave?”. Lei rispose subito:” Il contratto con cui suggelleremo la nostra “unione”. Te lo riassumo in breve: tu diventi il mio schiavo, mi obbedirai senza sbuffare e senza sbagliare, eseguirai ogni mio ordine, ed ogni mio volere o desiderio per te dovranno essere la priorità. Se un giorno mi sveglio storta e riterrò giusto frustarti lo farò, se vorrò pisciarti in faccia lo farò, se avrò il ciclo e ti chiederò di cambiarmi gli assorbenti lo farai. Ogni cosa la dovrai fare con la massima felicità e accondiscendenza. In cambio io ti offro un tetto sopra la testa, una stanza tutta per te, vestiti nuovi e una cifra pari a dieci volte quello che guadagnavi al mercato, ogni mese, direttamente sul tuo conto in banca. Inoltre la mattina sarai sempre libero, dovrai essere a disposizione tutti i pomeriggi e le sere a seconda delle mie esigenze e dei miei voleri. Potrai uscire il pomeriggio o la sera solo se io ti do il permesso. Che ne dici?”

Risposi:” Hai una penna?”, mi arrivò un ceffone:” Si dice, Padrona non avrebbe gentilmente una penna da prestare al suo umile cane?”
Ripetei quello che disse.

Da quel giorno incominciò la mia vita da schiavo di lusso: una vita spesso dura e difficile: &egrave molto difficile soddisfare una donna, molto più difficile &egrave accontentare una padrona. La mia vita in quella gabbia d’oro, nell’olimpo di piacere della Padrona, in quel pregiato e costoso paradiso, stava per cominciare’
Dopo la firma del contratto, la Padrona mi portò nella stanza che dà quel giorno sarebbe stata mia. Una bella camera, grande , ampia, luminosa, con un bel letto grande, un salottino e un bagno spazioso. Quella stanza era per quando non avrei dovuto servire la Padrona: se lei avesse necessitato la mia presenza durante la notte, avrei dormito nella sua stanza dentro la mia cuccia, costruita apposta per me in legno di quercia cesellato proveniente da Damasco.

La Padrona, quando le servivo, pretendeva dormissi lì. Io ne ero felice, anche se era un po’ stretta mi accontentavo. Avevo anche la mia ciotola personale, nel caso in cui la Padrona decidesse di darmi da mangiare o bere.
Negli ultimi tempi la padrona era diventata più vogliosa e porca del solito: spesso mi svegliava nel cuore della notte per farsi leccare la vagina, o per farsi fare un massaggio, o semplicemente farsi scopare i buchi. C’erano momenti che, nonostante la mia condizione di subalterno, mi permetteva di cavalcarla, ma poi finivo sempre sdraiato supino sul letto, con i suoi tacchi che mi penetravano la pelle della schiena.
Chiunque, dovrebbe provare a farsi camminare sulla schiena da una donna: &egrave una sensazione paradisiaca. Più il tacco &egrave fino, più si prova piacere.

Dopo che aveva finito di usarmi mi riponeva nella cuccia, legandomi tramite il guinzaglio ad un gancio appositamente montato accanto alla cuccia. Mi piaceva molto quella nuova vita: a volte invitava delle sue amiche a prendere il t&egrave, ed io da bravo schiavetto sottomesso, con un perizoma di pelle e una piccola camicia con la scritta “Born to be a loser”, svolgevo la mansioni da cameriere. Per volere della mia porca Padrona, spesso dovevo anche accontentare anche le sue amiche: a volte mentre parlavano o fumavano, dovevo farle dei massaggi ai piedi, oppure leccarglieli direttamente, oppure anche lucidare con la lingua le loro scarpe firmate. Prada, Fendi, Dolce&Gabbana, Jimmy Choo, Manolo Blahnik, tutte le loro scarpe dovevano essere lucidate a dovere, così come i loro alluci ed i loro talloni. Le sadiche nel frattempo ridevano, e mi schernivano; a volte partiva anche qualche frustata, ed io con il capo chino rispondevo:” Padrona chiedo perdono!”.

Un giorno venne una delle sue migliori amiche e la Padrona decide di fare un piccolo gioco:” Tu starai su quella sedia, non dovrai alzarti, muoverti ne tantomeno toccarti l’uccello. Sono io che decido quando devi venire, se ti tocchi ti taglio una mano.” Non capivo come mai mi avesse dato quell’intimidazione, ma poi tutto mi fu molto chiaro. Una volta seduto, lei e la sua amica cominciarono a toccarsi, a baciarsi: si leccavano i capezzoli, si masturbavano, si leccavano i genitali in profondità per poi tornare a baciarsi in bocca. La Padrona prende un paio di mutande con incorporato un finto pene di silicone e comincia a fottere la figa della sua amica: la mia Padrona era veramente perversa. Se la montava come uno stallone monta una puledra, infilando il cazzone di silicone prima nella figa e poi nel culo, intercambiando buco ogni cinque minuti.

A quella visione paradisiaca, il mio pisello non poté fare a meno di indurirsi come il titanio, lo sentivo premere contro l’intimo e pulsare, mentre i miei istinti primordiali mi dicevano di alzarmi in piedi e fottere quelle due cagne. Tentai di resistere, ma non era affatto facile. Le due troie sadiche lo avevano capito e mi guardavano, ridacchiavano, godevano.

Non me ne frega un cazzo: mi alzo, vado verso di loro e tolgo il cazzo finto della mia padrona dal culo della sua amica. Lei cade a terra e io infilo il mio pistone bollente nel culo squarciato di quella cagna della sua amica. La monto come una cavalla, la sculaccio afferrandola per i capelli. Lei urla e ride, le squarcio l’orifizio anale con la mia verga, e intanto le infilo in bocca il suo micro tanga targato “Victoria’s Secret” , in modo da limitare i suoi urli, che cominciavano dare fastidio al maschio alpha che ero in quel momento.

Finito l’amplesso, il suo culo &egrave inondato da litri di sperma caldo e denso: lei si accascia sul pavimento, ed io sto per alzarmi, ma da dietro sento muovere, poi dopo qualcosa che mi afferra al collo, lo scatto di una fibbia e’..mi volto e la mia Padrona mi sta tirando per il collo con il guinzaglio: avevo disubbidito ai suoi ordini.
“Schifoso schiavo infedele, hai disubbidito ai miei ordini!”, urlava, colpendo il mio culo e le mie palle con il suo frustino di Armani:” Quasi quasi ti rispedisco nella fogna da cui ti ho pescato. Forza, giù e lecca!”.
Mi costrinse a leccare tutta la sborra che colava dal culo ancora caldo della sua amica: volevo vomitare, mi faceva schifo lo sperma, non l’avevo mai ne leccato ne bevuto. Feci un po’ di resistenza, ma dovetti cedere poiché la Padrona mi spingeva la testa con il suo tacco possente e griffato. Affondai la faccia in quella brodaglia che sapeva di sperma, di salato, e di merda, un’odore nauseabondo mi invadeva le narici, ma, in quel momento, la mia mente ricordò il contratto firmato che confermava il mio status di schiavo, di subalterno, di cane bastardo salvato dalla strada che doveva ubbidire alla padrona.

Leccai tutto, poi la sua amica si alzò e cominciò a slinguare con la mia Padrona:” Amore andiamo a dormire. Penseremo domani alla punizione per questo bastardo disubbidiente!”.
Pensavo che fossero solo parole al vento, pensavo di aver subito già la punizione, ma mi sbagliavo.

Il peggio doveva ancora venire”’.

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