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Racconti Erotici Etero

Scommetti?

By 29 Marzo 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Roma. Adoro la sua maestosità, adoro la storia che emana da ogni angolo, adoro le sue luci e le sue ombre, adoro guidare di notte e godermi le grandi vie che la percorrono.

La mia adorazione svanisce solitamente con l’arrivo del giorno e soprattutto, con la frequentazione dei mezzi pubblici.

Neanche fosse una crociata contro gli infedeli (poi chi sarebbero questi infedeli???), il livello di stress rasenta il punto di non ritorno. Statisticamente le donne sono le più frustrate, insopportabili, soprattutto la fascia che va dai 35 anni ai 45. Gli uomini si limitano a passarti sopra senza proferire parola, che sotto certi punti di vista è di sicuro meglio che affrontare una donna trasformatasi in orco, appositamente per il viaggio sul suddetto mezzo pubblico.

Lo so. Sicuramente poco erotica come premessa.

Questa mattina però, uno spiraglio di luce si è aperto sul grigio mattino lavorativo, uno spiraglio vivido e lucente.

Cuffie nelle orecchie, di sottofondo, mi dà fastidio il volume troppo alto, miracolosamente trovo posto in metro seduta. Sbircio le persone intorno, mi piace inventarmi un po’ di vite, cercare di capire che lavoro fanno, dove vanno, quanti sono effettivamente svegli e quanti no.

Mentre valuto se il tizio di fronte, con auricolare spaziale nell’orecchio, I pad, e orologio multifunzione al polso, ha intenzione di ficcarci anche la testa nelle tette della ragazza che sta guardando oppure si limiterà solo a un’ipnosi temporanea per la durata del viaggio in metro, nelle mie orecchie Secret Garden del Boss, non era più la stessa.

Guardo l’I pod perplessa. Eppure è quella…uhm…

Metto pausa e la melodia, continua. Levo le cuffie, mi affaccio nel vagone e ti vedo un ragazzo con il violino, avrà avuto vent’anni circa, che suonava.

Un colpo al cuore.

 

Pachelbel’s Canon. Come non riconoscerla, come non ricordarla.

Sparisce la metro, il tizio di fronte, le tette della ragazza, sparisce Roma.

Torno a pochi anni prima. Torno a una terrazza a picco sul mare. Torno sulla strada tra Sorrento e Positano. Adoro quei posti, quegli odori, quei colori.

 

“Fermiamoci che voglio una foto qui con te” mi dici.

Scendo, e vado verso il muretto, guardo giù. Cazzo se è alto. “Vieni?” Ti chiamo.

-No, non così vicino, non ti sporgere per favore, lo sai che l’altezza mi dà fastidio!

-Ma come ti sei voluto fermare tu!!!!

-Si ma la foto la possiamo fare anche lontani dal muretto, no?

-No ma che gusto c’è!Vieni qui dai!

-No…lo sai che non vengo.

-…………….scommetti che vieni?!

-non vengooooooo!

-Scommetti!!?

-Cazzo che palle, scommetto va bene.

 

Ti sorrido e mi guardi perplesso.

Mi giro, tu alle mie spalle, io mi appoggio al muretto con i gomiti, giro la testa quel tanto che basta per vedere i tuoi movimenti, anzi…la tua immobilità.

Continui a fissarmi. Mi tiro su e mi metto seduta, ora ti guardo sei di fronte e me. La tua espressione è sempre più contrariata. Allargo le gambe, il vestito di lino si tende, le mutandine verdi sono ora esposte senza ostacoli.

 

-Marti…non mi sembra il caso…stai buona.

 

Ti avvicini, pochi passi soli, ma ancora non mi raggiungi. Non so se è ancora la paura o la curiosità di vedere dove voglio arrivare.

Non dico niente, inizio a giocare con il bordo ricamato delle mutandine, ti guardi intorno ci sono solo macchine che passano nessuno che si ferma vicino a noi. Fai ancora qualche passo, sei combattuto, mi guardi, mi stai odiando, lo so.

Non mi lasci altra scelta. Una scommessa è una scommessa.

Sposto completamente il tessuto delle mutandine da un lato. Ti vedo deglutire.

-Che cazzo fai!!!

Non hai resistito, mi hai raggiunto.

-Ho vinto!!!!

-Sei una stupida esibizionista, sapevi di aver vinto prima che accettassi la scommessa….

-E’ vero…

-Volevi far vedere la tua figa a tutta la costiera amalfitana???

-…uhm…perché no!?

– …piccola sgualdrina impertinente e provocatrice…..

 

Non finisci di pronunciare la frase, sento due dita che senza convenevoli, affondano dentro di me.

Sussulto. Non me l’aspettavo. Tu sorridi.

–         Va bene come pegno per aver perso la scommessa?!!

–         Cavolo se va bene…non fermarti, ti prego.

–         Pensi che la gente che passa, non capisca che ti sto facendo godere con due dita dentro la figa??

–         …mi piacerebbe avere la certezza che lo capiscano tutti, di solito quelli che si indignano di più sono quelli che in realtà provano una furente invidia…quante vorrebbero essere qui ora…

 

Continui a masturbarmi con due dita, il pollice ora si appoggia sul clitoride, il tutto diventa più confuso. Tu stesso sei più confuso, abbassi una spallina del vestito, fai sbucare fuori un senso e prendi a succhiarlo. Oggettivamente ora potrebbe iniziare ad essere pericoloso star seduta su quel muretto.

Ti stringo una spalla, ci pianto le unghie…l’orgasmo sta arrivando.

Come quando aspetti la scena preferita di un film e va via la corrente.

Ti stacchi da me, vedo la tua mano piena di umori, ti guardo sorridere…anzi…stai ridendo proprio.

 

-Ti vorrei ricordare che hai perso una scommessa, devi pagare pegno, torna qui.

– Cara, so che devo pagare pegno ma tu non mi hai detto che dovevo concludere, che in qualche modo dovevo farti venire, perciò…ora basta…adesso decido io quando farti venire.

-Ma sei un bastardo!ma cazzo non si fa così!

-Scendi da quel muretto e non dire parolacce!Andiamo a cena!

 

Entri in macchina sorridendo. Io sono allibita. Non mi preoccupo nemmeno di rimettere a posto la spallina del vestito per raggiungere la macchina.

Mi guardi. Ho il broncio, vorrei non averlo, lo so che ti piace, ma non posso farci nulla.

Ti avvicini cercando la mia bocca, schivo il bacio. Con veramente poca nonchalance, ti guardo di sfuggita per vedere la tua reazione, appena incrocio i tuoi occhi, sbotti in una risata incontenibile.

Ero furente e incazzata, poi interdetta, poi tutto sommato la situazione mi appariva comica, poi ho guardato quel sorriso innamorato e ho iniziato a ridere anch’io.

 

-Andiamo a cena!

 

Come tradizione vuole, non sia mai che il ristorante non sia una tra i migliori del luogo, figurati se non ci sono ansiosi camerieri che rimpinguano il bicchiere appena finisci di bere … non mi arrabbio, lo sapevo, ma non riesco a togliermi da la testa che un’osteria con tanto di oste napoletano non sarebbe stata più goliardica e divertente.

Per adesso sto buona.

Mi guidi verso il tavolo sulla terrazza illuminata da luci basse e colorate (quello che vedo effettivamente non l’avrei visto dall’osteria….di certo è stato uno dei tre momenti nella vita in cui ho desiderato si fermasse il tempo.)

Ero felice, stavo bene e quando una donna è felice e sta bene, è bella.

Ovviamente tutto il romanticismo della serata doveva essere compromesso.

Come io immaginavo il genere di ristorante in cui mi avresti portata, tu dovevi immaginare che avrei fatto qualcosa per metterti in imbarazzo.

Ci portano il vino, scelto da te ovviamente, per me il top è il San Crispino, solo perché mi piace il nonno della pubblicità. Lo assaggi con fare quasi religioso e da galantuomo mi chiedi di assaggiare.

Da brava “signora” assaggio con un piccolo sorso, ti guardo, seria e concentrata. Quasi sorpreso da questa mia cura nell’assaggio che mi chiedi:

–         E’ Buono? Ti piace?

Per tutta risposta, infilo l’indice in bocca toccando l’interno della guancia e faccio il verso del tappo che salta dalla bottiglia aggiungendo : E’ buono!E’ Ronco!

Il cameriere ha dimostrato più senso dell’umorismo di te, non ha trattenuto la risata.

 Tu accenni un sorriso aggiungendo tra i denti : Dopo te la faccio pagare.

 

Mangiamo e beviamo con la solita non-moderazione, abbiamo girato le sedie verso il mare, tu aspetti il tuo amaro, io il mio caffè. Sciolgo i lacci dei sandali che indosso. Segui i miei movimenti senza parlare. Libero i piedi e porto le gambe sulla sedia strette verso il petto, mi appoggio con il mento sulle ginocchia, la gonna dell’abito scivola inevitabilmente lasciando le cosce scoperte.

La tua mano molla l’amaro appena assaggiato, e con l’indice parti a sfiorare la coscia, risalendo verso il ginocchio e scendendo di nuovo verso la caviglia. Ti fermi, ti guardo giocare con la cavigliera d’argento.

–         Ti stanno bene sai?Sembra che tu ci sia nata con questi cosi alle caviglie, rafforzano decisamente l’aria da zingara che hai…

–         Ho l’aria da zingara?

–         Beh si, così selvatica….da zingara dai…

–         Uhm…ok da zingara.

–         ….Cos’hai?

–         ……..me ne voglio andare.

 

Ti alzi come se avessi dato un ordine perentorio. Ti seguo, prendo i sandali in mano, paghiamo e usciamo.

Ti chiederei di fare una passeggiata, magari sulla spiaggia. Oppure di prenderci una birra e sederci sulla sabbia a farci due risate. Ti chiederei tante cose, ma come obbedienti ad un solo desiderio, puntiamo verso la macchina ed il ritorno in Hotel. Niente giochi, niente provocazioni, niente scommesse. Solo promesse.

Entriamo in camera, lascio cadere i sandali vado ad aprire la portafinestra sul balcone. Mi spingi fuori con dolcezza e ti siedi sulla sedia con il tuo sigaro pronto ad essere acceso. Ti guardo. Non sei oggettivamente bello,  sei fascino, sei carisma. Non sei neanche più un giovincello ma cazzo, dentro quegli occhi brucia una vita che farebbe impallidire un ventenne. Mi piaci.

Con un cenno della mano mi chiedi di avvicinarmi a te. Mi avvicino.

 

–         Siediti qui, sulle mie gambe.

 

Mi giro, mi siedo sulle tue gambe e piano piano la mia schiena poggia sul tuo petto. Mi baci la spalla. Scosti la spallina facendola scivolare e continui a baciarmi. Lo sai, lo sai che mi vengono i brividi così, partono dai piedi fin sulla testa. Ridi appena vedi incresparsi la pelle. Immediatamente entrambe le mani si poggiano sui seni alla ricerca dei capezzoli. Era questo che volevi. Sentire i capezzoli duri. Fai scendere anche l’altra spallina del vestito, spingi il vestito verso la vita per scoprirmi i seni. Ora sento le tue mani, chiudersi, coprire interamente i seni e stringerli. E’ istintivo inarcare la schiena e allargare le gambe.

Ti sento sotto di me, sento il tuo piacere che cresce, che preme sui tuoi pantaloni prima e sul mio sedere poi. Mi sistemo per sentirlo meglio. Vorrei alzarmi, vorrei toccarti, non mi lasci fare niente.

 

-Sta ferma, non voglio tu faccia niente se non espressamente richiesto da me.

 

Mi dici solo questo. Neanche rispondo. Sarebbe inutile controbattere.

Mi abbandono su di te, le tue mani addosso, le mi gambe larghe e arrese sulle tue, la tua bocca sul mio collo, la mia testa indietro sulla tua spalla.

La tua mano scende sicura, lascia i seni e scivola sulla pancia lenta, si ferma al contatto col perizoma.

–         Alzati fammi vedere come ti sta.

 

Mi alzo in piedi, il vestito scivola a terra. Rimango così in piedi e tu alle mie spalle seduto. Sento le tue mani stringermi la vita, come ad invitarti ondeggio i fianchi e subito mi stampi due baci sul culo. La tua mano sale tra le cosce, salta la striscia sottile del perizoma scivola lungo la fessura e affonda, diretta, senza preamboli, profonda e sicura.

Mi lasci cosi, in piedi davanti a te, senza nemmeno poterti guardare, e continui a toccarmi, con una mano affondi dentro di me, con l’altra poggiata davanti, torturi il clitoride.

Credo che sia stata una delle torture peggiori e migliori, stare in piedi così mi dava fastidio, mi sentivo limitata, ma mi piaceva quello che mi stavi facendo.

L’orgasmo è montato lento, sentivo i tuoi baci sul culo, le tue mani che si muovevano dentro di me, le tue parole, prima dolci poi dure e perentorie. La testa è diventata pensate, il respiro sempre più forte, i gemiti trattenuti per via dello stare all’aperto sono stati liberati, senza filtri ne censure, le tue mani bagnate hanno subito le piccole scosse e contrazioni dell’orgasmo, le gambe sono diventate molli e deboli.

Pochi passi scomposti all’indietro per sedermi su di te e non cadere, mi fai sedere lentamente, troppo lentamente. Eccolo, lo sento strusciare sulle labbra a inumidirsi, lo sento cercare la posizione giusta, e infine lo sento entrare fin su, fin dove può.

Mi fai rimanere un po’ così, ferma, impalata su di te. Poi mi chiedi di iniziare a muovermi, e lo faccio. Piano. Lo so che mi guardi il culo, lo so che sbirci sotto, per vedere il tuo cazzo sparire dentro di me. Lo so. Vado piano a posta. Mi parli. Ti sento raccontarmi forte il tuo piacere, come solo un uomo sicuro di se sa fare.

Mi eccita sentirti parlare, prendo a muovermi più veloce, mi stringi i fianchi, mi fai male cazzo!

Ora non capisco più se sono io a muovermi o sei tu a sbattermi contro di te…non lo so, ma mi piace. Stai per venire, mi fai rallentare di poco, e poi affondi dentro di me tutto l’affondabile.

La tua guancia si poggia sulla mia schiena, mi stringi. Respiriamo forte, insieme.

 

Il tuo sigaro è ancora lì dà accendere.

Qui forse c’è ancora qualcosa da spegnere.

 

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