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Secchione! Genesi di un padrone – parte 01

By 20 Ottobre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Raleigh (North Carolina) – Dresden High School

‘Ho riportato i compiti…’ disse il professor Avery nel disappunto generale della classe.
‘Eh, si! Fate bene ad essere preoccupati, perché a parte pochissime eccezioni, è stato un disastro!’ il vecchio insegnate era basso e piuttosto grasso e, probabilmente per compensazione, provava una buona dose di sadico piacere a spaventarli con la sua inflessibile severità.
‘Harris! Tieni! Consegnali!’ abbaiò al ragazzo seduto al terzo banco. Questi si alzò come un soldatino e, sebbene troneggiasse di fronte ad Avery, dai suoi occhi si capiva che aveva una paura fottuta di aver preso un brutto voto.
Damian Flanagan osservava dall’ultimo banco mentre il suo compagno di classe, un tizio molto più interessato allo sport che allo studio, serpeggiava tra i banchi seminando brutte notizie, chiaramente leggibili sulle espressioni disperate degli studenti.
Quando lo vide avvicinarsi a lui, notò una smorfia sul viso del giovane atleta, una sorta di ghigno derisorio, quasi disgustato. Gli gettò con sdegno il foglio dove spiccava una A+, guardandolo dall’alto verso il basso:
‘Secchione!’ gli disse sufficientemente piano in modo che il professore non sentisse ma abbastanza forte da far sghignazzare i suoi amici fighetti seduti lì attorno.
Damian non rispose. Prese il foglio e tenne gli occhi bassi. C’era abituato, succedeva di continuo. Ma lui era introverso e poco loquace e non gli andava di replicare, era bravo a trovare sempre la via più intelligente e sicura per districarsi nelle situazioni.
L’epiteto con cui il suo ottuso compagno l’aveva apostrofato era praticamente diventato il suo nome di battesimo in quella scuola. La gente di solito tendeva a non notarlo, il suo aspetto trasandato non lo rendeva esattamente memorabile, cosa di cui era grato, sarebbe stato più che contento di essere invisibile. Sfortunatamente non gli era facile non attirarsi le antipatie dei suoi compagni perché era sempre, perennemente il primo della classe, lo era sempre stato, sin dalle elementari e non poteva farci niente, studiare gli risultava così facile. La sua naturale curiosità lo portava a voler sapere sempre di più, ad andare a fondo nella conoscenza di ogni argomento, poco importava quale fosse il campo, gli interessava tutto. O per meglio dire, tutto ciò che si potesse fare con la testa, l’attività fisica non era esattamente il suo forte, anzi era il momento in cui i bulletti della sua classe, primo tra tutti l’insipido Bobby Harris, si divertivano a tormentarlo maggiormente. Del resto non aveva la prestanza fisica per dare loro torto né, tantomeno, per intimorirli in alcun modo. Non era basso, ma neanche un gigante. Sul metro e settantacinque ma era molto magro e poi mancava del carattere adatto ad attaccar briga.
La sua famiglia era di origine irlandese, suo nonno era emigrato negli Stati Uniti dopo la guerra e i tratti somatici erano arrivati fino al giovane Damian. I capelli molto scuri e la pelle chiarissima, i lineamenti delicati, quasi elfici, il visetto imberbe e due zaffiri penetranti al posto degli occhi. Erano di un blu quasi innaturale, acceso e brillante, anche se erano perennemente nascosti dietro un paio di occhiali piuttosto improbabili e senza dubbio poco, poco cool.

Alla fine dell’ora la campanella suonò e gli studenti cominciarono ad uscire dall’aula maledicendo il loro insegnante con un turpiloquio davvero poco lusinghiero. Come spesso accadeva in quel corso Damian uscì per ultimo, da solo. Si avviò verso il suo armadietto per prendere il materiale necessario all’ora successiva ma una spinta lo fece finire per terra, sparpagliando in giro tutto ciò che aveva in mano. Si voltò e vide un gruppo di ragazzi dell’ultimo anno capeggiati da Brent Miller, il quarterback della squadra di football.
‘Guarda dove vai, sfigato!’ gli disse il ragazzo più ammirato e temuto della scuola e i sui tirapiedi risero divertiti. Damian, alzò gli occhi al cielo ma non reagì, non era il caso, l’avrebbero disintegrato. Analizzò la situazione e decise di lasciar correre e così, semplicemente, cominciò a raccogliere le sue cose, sperando che la gang passasse oltre, dimenticandosi di lui. Ma la scarpa di Brent sul suo libro di fisica gli fece capire che così non sarebbe stato.
‘Cazzo! Ma non hanno niente di meglio da fare questi microcefali?!’ pensò tra sé e sé, già rassegnato ad un’umiliazione prolungata. Poi, però:
‘Brent, lascialo in pace!’ Damian alzò lo sguardo.
Pamela Van Buren era a pochi metri da loro. Bella, bellissima. Con le forme al punto giusto su quella corporatura minuta ed aggraziata, la pelle abbronzata e un sorriso da copertina. Come tutti i maschietti, neanche un secchione poteva rimanerle indifferente anche se, ovviamente, non le aveva mai rivolto la parola e probabilmente mai l’avrebbe fatto. La regina della scuola non aveva certo tempo da perdere con i pivelli del secondo anno. I loro sguardi, però, s’incrociarono per una frazione di secondo e il giovane accennò un fugace sorriso di gratitudine, ma:
‘Hey piccola!’ le rispose Brent andando da lei. Si baciarono. Le mani di lui affondarono nei suoi lunghi boccoli castani e Damian tornò ad essere invisibile.

‘Sei pronto per stasera?’ Brent fece un sorriso tronfio alla sua ragazza.
‘Ci puoi scommettere, vinciamo di sicuro!’ Ripresero a pomiciare. Si erano appartati in un angolo del cortile, insieme ad altre coppiette. Era proprio carino il suo ragazzo, una montagna di muscoli e l’espressione da duro. La loro storia sembrava lo stereotipo di qualunque filmetto di quart’ordine sul liceo. Il quarterback bello e arrogante e la bambola bella e viziata. A Pam non andavano a genio le etichette ma era l’ordine sociale delle cose. Aveva popolarità, un’infinità di amici e di fan che le sbavavano dietro. Era una vita così semplice e comoda. Perché cambiare?
La campanella suonò a segnare, impietosa, la fine dell’intervallo. Pam sbuffò:
‘Devo andare. Ho appuntamento dalla Devon, vuole parlare del mio andamento scolastico…’ sbuffò di nuovo.
‘E dai solo un minuto!’ Brent provò a infilarle di nuovo la lingua in bocca ma lei lo respinse.
‘Non posso fare tardi altrimenti non la smette più con la predica!’ si liberò dal suo abbraccio e lui, malvolentieri la salutò.
‘Ci becchiamo all’uscita!’

‘Pamela, non puoi continuare così.’ la signorina Devon era una donna corpulenta, di mezza età, con la faccia buona e tanta, tanta, tanta pazienza. Era la vice preside e aveva l’ingrato compito di monitorare l’andamento degli alunni e, in caso di problemi, doveva cercare di risolverli parlando con gli stessi.
‘Su nove materie che stai seguendo hai la sufficienza soltanto in due!’ Pam l’ascoltava con le braccia conserte e le gambe incrociate, ovviamente scocciata dall’incontro.
‘E’ perché sono stupida!’ disse guardando la donna con fare impertinente. Questa non si scompose:
‘Eh, no! Non te la cavi così! Non è affatto vero che sei stupida! Sei più che sveglia, il problema è un altro!’ alzò gli occhi al cielo esasperata, non gliela si dava a bere.
‘L’anno scorso sei passata per il rotto della cuffia ma quest’anno hai i test di ammissione al college signorina, cosa intendi fare per quelli? Dubito fortemente che il tuo charm funzioni su dei questionari da riempire! Sbaglio?’ la ragazza non rispose, visibilmente stizzita. La Devon chiuse gli occhi per un attimo, massaggiandosi una tempia, li riaprì e riprese, calma:
‘Ascoltami…’ le disse alzandosi dalla sedia dietro la scrivania e accomodandosi accanto a lei per metterla più a suo agio ‘…perché non mi dici qual è il problema. Vediamo se possiamo trovare una soluzione!’ L’altra tacque per qualche secondo, poi sbuffò e disse:
‘Io mi ci metto a studiare, tutti i giorni, accidenti!’ cominciò ‘Solo che la roba non mi entra in testa, ecco!’ concluse.
La Devon la guardò per qualche istante meditando.
‘Beh, direi che il tuo problema, Pamela, è il metodo di studio.’ la giovane la guardò aggrottando le ciglia.
‘Quale metodo di studio?’ disse, confusa. La donna alzò un sopracciglio.
‘Appunto! Non ce l’hai! E devi impararne uno se vuoi sperare di diplomarti con i tuoi compagni a giugno!’ Pam alzò di nuovo gli occhi al cielo.
‘La cosa migliore è che tu trovi un tutor.’
‘Un tutor?!?’ disse sdegnata la giovane.
‘Esatto…’ continuò la donna ignorando it tono del commento, tornando a sedersi alla scrivania ‘…qualcuno che ti aiuti a studiare, potrebbe essere qualcuno dei tuoi compagni più brillanti, per esempio…. vediamo un po’…’ scorse l’elenco sul computer ‘Terriot? Oppure Wallowitz?’ La ragazza scoppiò in una risata quasi isterica.
‘Miss Devon, per cortesia, siamo seri! Terriot perde forfora anche dagli occhi e Wallowitz è sempre sporco di cibo…’ allargò le braccia come se non potesse rendere la cosa più lapalissiana di così.
La donna prese un gran respiro e per un istante sembrò lottare con sé stessa per non prenderla a schiaffi.
‘Molto bene…’ riprese poi, meno indulgente ‘…allora scegline uno ADATTO…’ sottolineò ‘…entro la fine della prossima settimana altrimenti sceglierò io per te, ci siamo capiti?’ l’altra cominciò a protestare:
‘Ma miss Devon…’
‘Buona giornata!’ tagliò corto. Il colloquio era finito. Pam alzò indispettita e uscì dall’ufficio sbattendo la porta.

Era imbestialita, doveva sbollire un po’ di rabbia e subito! Per sua fortuna, sapeva esattamente come fare.

‘Ah, ah, ah, Pam sei fantastica!’ Bobby Harris era quasi arrivato all’orgasmo. La bella fanciulla contro cui premeva il suo corpo era appoggiata con la schiena alla parete di uno dei cubicoli del bagno dei ragazzi. Lui la sosteneva dalla cosce aperte mentre scopavano. Il suo commento la fece ridere tra i gemiti:
‘Si, dimmi qualcosa che non so Bobby! Mmmmm…’ questo era uno dei tanti pupazzetti con cui si sollazzava. La verità era che alla dolce Pam piaceva il cazzo, non uno in particolare, tutti i cazzi, di ogni forma, dimensione, colore, odore, sapore e soltanto quello del suo povero, ingenuo ragazzo non le era proprio sufficiente. Adorava sentirsi riempire ancora e ancora e l’ascendente che aveva su tutti questi giovanotti le garantiva che non avrebbero aperto bocca con nessuno, se non altro per la paura che Brent li avrebbe polverizzati a suon di pugni, cosa di cui, tutti lo sapevano, era capacissimo.
Oggi aveva scelto Harris, un avanzo di palestra del secondo anno con lo sguardo da bulletto che però si scioglieva come cera tra le sua braccia. Era uno dei pochi che riuscivano a farla venire perché aveva una discreta resistenza. La chiavava già da una quindicina di minuti buoni. Non c’era miglior modo per sfogare un po’ di tensione nervosa e bruciare, al contempo, qualche caloria in eccesso.
Poco dopo, però, il giovane venne con la bocca aperta, il viso un perfetto ritratto del piacere.
Lentamente la lasciò e si appoggiò alla parete di fronte per riprendere fiato. Le sorrise.
‘Io ti adoro…’ le disse gongolante. Lei ridacchiò mentre si puliva con della carta igienica.
‘Lo so Bobby…’ poi gli fece l’occhiolino mentre si rimetteva le mutandine e si aggiustava la gonna ‘…dai ora torna in classe, muoviti moccioso, prima che la prof di letteratura ti mandi a cercare!’ lui si sfilò il preservativo e lo buttò nel cesso. Si dette una pulita prima di tirarsi su la zip dei pantaloni e le si avvicinò per baciarla. L’altra non glielo permise:
‘Ah, ah! Hai finito per oggi stallone! Alla prossima chiamata, fila!’ gli disse e l’atleta si rassegnò.
‘Ok…’ le disse uscendo, con la coda fra le gambe.
D’un tratto, Pam sentì la porta principale del bagno aprirsi e si affrettò a chiudere quella del cubicolo dove si trovava.
‘Hey, secchione! Che cazzo hai da guardare!?’ sentì l’arrogante tono di Bobby. Nessuna replica, solo una risatina e la porta si aprì e si chiuse nuovamente. Il suo giovane amante doveva essersene andato lasciando chiunque fosse entrato da solo.
‘Stronzo!’ sentì una voce sconosciuta commentare. Era particolare. Un po’ acerba, forse, ma così profonda, grave, ricca. La ragazza si accucciò sulla tazza per fare in modo che i piedi non le si vedessero da fuori. Vide un paio di scarpe da ginnastica nere con la punta di para bianca, una di quelle copie di Converse da due soldi. Chiunque fosse, s’infilò nel cubicolo accanto al suo. Lo sentì armeggiare con la zip, poi lo scroscio consueto.
Un sorriso le si dipinse sul volto. Poteva farsi scappare un’occasione simile? Salì in piedi sul coperchio della tazza cercando di non fare rumore, settò il suo iphone sulla telecamera e sporse il braccio in alto, oltre il muretto che la separava dal misterioso avventore.
Riprese tutto, aspettò che il ragazzo tirasse lo sciacquone ed uscisse dal bagno, dopodiché si riguardò con calma il filmato.
Le scappò un deliziato ‘HA!!!!’, a metà tra un grido e una risata. Non poteva crederci. Davanti ai suoi occhi c’era qualcosa che non aveva mai visto prima. Il ‘secchione’ come l’aveva chiamato Bobby aveva in mano un cazzo enorme. ENORME!!! La ragazza non riusciva a smettere di rimirarlo. Era moscio, eppure sarà stato… quanto? Almeno quindici centimetri buoni, se non di più e poi era spesso, pieno di venature. La pelle chiara lasciava il posto a una cappella bella rossa, semicoperta dal prepuzio. Era, in una parola, il pene perfetto.
Pam cercò di capire chi accidenti fosse quel…. quel toro da monta. Gli sembrava familiare. Bobby non aveva avuto torto a chiamarlo secchione, ne aveva decisamente l’aria. Gli abiti erano sciatti e portava degli occhiali assurdi, anche se il viso sembrava carino, per quel che riusciva a vedere dall’inquadratura. Ad ogni modo tutto questo le importava molto poco. Aveva appena deciso che doveva avere quel cazzo, in un modo o nell’altro e se c’era una cosa in cui Pamela Van Buren era brava, era ottenere ciò che voleva.

‘E dai Damian, non voglio andarci da solo! Accompagnami, che ti costa?!’ Danny, uno dei pochi amici che aveva a scuola, era tornato all’attacco.
‘Danny, lo sai che detesto il football, no? Perché continui a chiedermelo?’ era la fine dell’ultima ora, educazione fisica e i ragazzi nello spogliatoio si stavano rivestendo.
‘Perché so che se ti rompo le scatole abbastanza alla fine mi dici di si per sfinimento, ti preeeeeeegoooo!!!!’ Damian guardò il viso supplicante dell’altro. La natura non era stata particolarmente generosa. Era più basso di lui, aveva un nasone spigoloso e qualche brufolo di troppo perché fosse appetibile al gentil sesso.
Rifletté sulle sue parole, sfortunatamente veritiere. Era più facile arrendersi. Alzò gli occhi al cielo e gli disse.
‘Un’ora Danny! Alle dieci me ne torno a casa, chiaro?’
‘Siii! Grazie amico, a buon rendere!! Vedrai, ci divertiremo!’ gli sorrise dandogli una pacca sulla spalla ed egli scosse il capo.
‘Si, come no!’ borbottò baritonale.

Appartamento della famiglia Flanagan

‘Sono tornato!’ Damian entrò in casa. La madre gli venne incontro e lo baciò sulla fronte.
‘Ciao tesoro! Com’è andata?’
Ho preso un’altra A+ con Avery…’ le disse in tono piatto. Non gli piaceva sbandierare trionfi, semplicemente la rendeva edotta sui suoi progressi scolastici. Lei gli sorrise e gli struffò i capelli.
‘Bravo il mio genietto!’
‘Mamma smettila!’ le disse con finto imbarazzo. Era in quell’età in cui, se da un lato tutte le attenzioni della madre lo infastidivano, dall’altro non voleva che smettessero.
‘Damiiiiiiiii!!!!!!’ fece in tempo a voltarsi per vedere un marmocchio non più alto della sua coscia corrergli incontro e avvinghiarsi alla sua gamba destra. Il giovane sorrise dolcemente al fratellino.
‘Hey Sammy!!!’ gli fece il solletico sul collo e il bimbo rise.
‘Giochi un po’ con me?!’ gli chiese con due occhioni speranzosi. Damian dovette farsi violenza per dirgli.
‘Sammy, devo studiare, lo sai…’ il bimbo gli fece il broncio e lui guardò la madre per chiedere aiuto ma lei prima gli sorrise e poi copiò l’espressione del figlio minore. Il ragazzo scrollò le spalle piacevolmente vinto.
‘E va bene, andiamo in camera mia!’
‘Evviva!!!’ il bimbo gli si mise a sedere sul piede abbracciandogli lo stinco, come faceva di solito, tutto contento, pronto per essere trasportato dal suo fratellone ‘Andiamo!!!’ gli disse impaziente.
‘Vi porto uno spuntino…’ disse loro la madre mentre si avviavano ‘…Sammy non far perdere tutto il pomeriggio a tuo fratello, però!’
‘No mami, faccio il bravo!’ rispose e Damian sorrise.

Campo sportivo

Il caos era incredibile. Il vociare tonante di un mare di persone intente a guardare 22 bestioni che correvano con in mano un pallone ovale, dandosele di santa ragione. Questa era la definizione più gentile che al giovane Damian veniva in mente per descrivere quel tedioso rituale.
‘Dai che sono sotto di due punti!!!’ Danny lo strattonò per un braccio, entusiasta. Lui, al contrario, sbadigliò annoiato.
‘Quanto dura ancora questo strazio?’ si chiese guardando l’ora. Altri venti minuti… da non credere.
Miller stava dando spettacolo, aveva fatto più touchdown di qualunque altro giocatore e, a giudicare dalla falla nella difesa avversaria, stava per segnare ancora. Di colpo c’era un silenzio di tomba e gli occhi di tutti erano incollati alle sue chiappe mentre correva verso la meta. Tutti lo seguivano. Tutti tranne una. Damian notò con stupore che Pamela, seduta in prima fila, diversi metri più giù, si era voltata a guardare lui, e gli sorrideva. Il ragazzo aggrottò le ciglia, poi capì e si voltò convinto che stesse salutando qualcuno dietro di sé. Ma così non era, tutti guardavano la partita, concentrati. Possibile? Ma quando si voltò di nuovo, la ragazza gli dava le spalle. Scosse il capo.
‘Ho le allucinazioni?’ si chiese assordato da un nuovo boato della folla.
‘Sarà uno stronzo ma gioca come un dio!’ commentò Danny, sempre più infiammato.

Alle dieci in punto, nel bel mezzo di un’azione, Damian si alzò per andarsene e salutò l’amico, dicendogli che si sarebbero visti il giorno dopo. Danny lo ringraziò ancora per avergli fatto compagnia e lui gli sorrise.
Scese le scalinate in fretta, mentre Miller segnava l’ennesimo punto per la loro squadra. Passò accanto a Pamela, impegnata in conversazione con un’amica, poi imboccò l’uscita del campo sportivo e sospirò felice di lasciarsi, finalmente, quella dannata confusione alle spalle. C’erano centinaia di macchine nel parcheggio ma si diresse verso il palo a cui aveva legato la bicicletta.
Rimpianse di non essersi fatto la doccia nel pomeriggio. Aveva preferito passare un po’ di tempo con Sammy ma adesso gli toccava farsela con l’acqua fredda, la caldaia funzionava male e di sera…
‘Ciao!’ gli venne quasi un infarto. La catena della bici gli cadde di mano, non si aspettava ci fosse nessuno là fuori, erano tutti alla partita.
Eppure davanti a lui, illuminata dalla tenue luce di un lampione, c’era Pamela, sorridente, come sempre. Indossava una minigonna e un top succinto. Sulle spalle aveva il giacchetto con l’emblema e i colori della squadra.
‘C… ciao…’ balbettò il ragazzo. Lei gli si stava avvicinando pericolosamente sinuosa.
‘Che… che ci fai qui?’ le chiese. Aveva, d’un tratto la bocca secca. Era a pochi centimetri con quei bellissimi occhi neri puntati sui suoi. Il giovane indietreggiò finché non rimase intrappolato contro la fiancata di una macchina, dandole modo di adagiare il suo corpo su di lui. Gli sorrise.
‘Faccio solo un po’… di ricerca…’ e con questo gli mise le braccia al collo e lo baciò. Damian era nel panico, non l’aveva mai baciata una ragazza e non sapeva cosa fare. Certo, sono cose che vengono d’istinto ma era impacciato da morire e il cuore gli batteva a mille. Cercò di rispondere al bacio, inebetito dal suo profumo, mentre lei gli infilava la lingua in bocca, voleva pomiciare di brutto. Che situazione! Era completamente impreparato. Ad un tratto sentì la sua mano scendere sul pacco e cominciare un lento massaggio. Poi gli tirò giù la lampo.
Ma che diavolo succedeva? Non era vero, non poteva esserlo, come poteva esserlo!?!?! Il ragazzo era come in trans. Si stava scambiando saliva con Pamela Van Buren e, se era un sogno, non voleva assolutamente svegliarsi.

Pam strofinava la sua mano sui boxer di… accidenti, neanche sapeva il nome. Non riusciva a contenere tutto il ben di dio che questo novellino aveva tra le gambe. Doveva assaggiarlo a tutti i costi. In un attimo si staccò dalle sue labbra e s’inginocchiò. Il giovane fece appena in tempo a dirgli:
‘No, aspetta… vedi io ho un problema, sono…’ ma gli aveva già tirato giù la biancheria. Incredibile. Era ancora più bello che sullo schermo del suo telefonino. Una lunga vena partiva dalla base e arrivava fino alla punta di quell’asta possente. Aveva un po’ di peluria scura ma non molta e due palle gonfie e basse. Innegabilmente MERAVIGLIOSO!
Lui la guardò tra l’imbarazzato e l’arrabbiato.
‘Ecco, adesso lo sai…’ le disse scansandole le mani e tirandosi su i boxer ‘…sono una specie di scherzo della natura, contenta?! Va’ pure a dirlo a tutti, così tu e i tuoi amici potete sfottermi per l’ennesimo motivo!’ lei aggrottò le ciglia.
‘Vuoi stare zitto, secchione?!’ lesta come una gatta glielo tirò fuori di nuovo.
‘Ma che fai?!’ le chiese tentando di coprirsi, evidentemente impaurito che qualcuno li vedesse. Non glielo permise, però, e gli disse:
‘Chi l’avrebbe detto che il nostro… com’è che ti chiami?’
‘Da… Damian…’ Pam sorrise e riprese:
Chi l’avrebbe detto che il nostro Damian avesse un bastone formato extra-extra-large, hehe!’ glielo prese in mano e lo scappellò, sentendo la vigoria emanare dalla verga.
‘Ti prego… ti prego… basta…’ tentò di fermarla. Lei, per tutta risposta, avvicinò il viso e baciò la cappella, dolcemente. Il giovane la guardò con la bocca aperta.
‘Hehe! Qualcuno si è dimenticato di lavarsi dopo ginnastica, eh?’ arrossì visibilmente e tentò di nuovo di scansarla.
‘Mi dispiace… avrei dovuto… ma io non…’ era imbarazzatissimo.
‘Rilassati secchione, mi piace molto quest’odore… mmmmm’ e cominciò a passare il naso su tutta l’asta, poi sullo scroto annusando quanto poteva. Non era solo sudore doveva essere il testosterone a mille che il ragazzo emanava da ogni poro e che lei avrebbe annusato ad oltranza. Che goduria. Lo stuzzicava terribilmente e non seppe resistere oltre.

Quando Pam aprì la bocca e cominciò a succhiarglielo Damian cominciò a non capire più niente. Quel poco di razionalità che gli era rimasta gli diceva che era meglio lasciarla fare, invece di continuare a protestare.
Avvertì la sua lingua calda massaggiargli la cappella, poi la vide ingoiare il mastodontico pezzo di carne che aveva tra le gambe fino a poco più di metà, poi tornare indietro e poi ingoiarlo ancora. Il giovane, naturalmente, sapeva cosa fosse un pompino, non era nato ieri, ma non si era mai sognato che una ragazza potesse fargliene uno, soprattutto visto il suo… problema. Eppure una dea come lei gli era inginocchiata davanti e glielo stava succhiando di sua spontanea volontà, non l’aveva certo costretta… chi avrebbe mai potuto costringere a fare niente?
Tra l’altro sembrava gli piacesse di brutto, non ne era spaventata, anzi faceva un sacco di moine e mugolati e poi aveva un’espressione così beata sul viso. Damian si tirò su gli occhiali dal ponticello, in un gesto abituale. Era incredibile vederla lì. La ragazza lo guardò. Sembrava divertita dalla sua faccia e, senza preavviso, cominciò a pompare sempre più velocemente e con maggiore suzione. Cominciò a respirare con fatica crescente e sentì l’orgasmo salirgli pian piano su per l’asta. Incapace di contenersi le mise le mani sulla testa e le spinse il cazzo in gola esplodendo di un piacere mai provato prima.

Pam non se l’aspettava, ma non disdegnò certo il trattamento. Sentire un cazzo come quello che gli viene forzato giù per la trachea era così eccitante, così come l’odore maschio che la circondava. Il problema fu la quantità infinita di sborra che il ragazzo le sparò in gola. Sembrava non finire mai, calda, anzi bollente. Per forza di cose buttò giù quello che non poteva contenere in bocca, fino a che il getto rallentò e si spense. Lui abbassò la testa e, rendendosi conto di cos’aveva fatto, le lasciò la testa subito.
‘Mi dispiace… non volevo… è che…’ cominciò a scusarsi ma lei gli sorrise con gli occhi e, molto lentamente, succhiò via, compiaciuta, le ultime gocce di sperma che gli erano rimaste nell’asta. L’enorme cazzo ballonzolò sulle palle mentre ingoiava la mistura di seme e bava che aveva in bocca. Si leccò persino le labbra contenta.
‘mmmm… buona!’ gli disse e l’altro la guardò con le sopracciglia alzate e un accenno di sorriso attonito.
La ragazza si tirò su asciugandosi le labbra e gli toccò la punta del naso, con fare civettuolo.
‘Beh, caro il mio secchione, penso proprio che dovremo rifarlo…’ gli tirò su gli occhiali, lui era allibito dalla scena ‘…non dirlo a nessuno, mi raccomando!’ gli fece l’occhiolino e se ne andò.

Damian la guardò sparire nell’oscurità, esterrefatto, ancora completamente incredulo dell’accaduto con un atipico sorriso ebete stampato sul viso.
Dopo qualche secondo, si ricompose, prese la bici e tornò a casa. Andò subito in camera sua, chiuse a chiave la porta, si tolse le scarpe e si sdraiò sul letto.
‘Pamela Van Buren mi ha fatto un… un pompino nel parcheggio dello stadio…’ disse tra sé e sé. La mano gli scese e sentì il cazzo indurirglisi al pensiero. Si slacciò i pantaloni e se li tolse. Era di nuovo di marmo, pronto all’uso. Infilò la mano sotto il materasso e tirò fuori quella che una volta era stata una vecchia t-shirt ma che ora era talmente incrostata di sborra secca da essere irriconoscibile. Se l’avvolse intorno al cazzo e cominciò a masturbarsi. Per quanto remissivo, sfigato e… secchione, come tutti amavano definirlo, era un adolescente prima di tutto e i suoi impulsi sessuali non erano diversi da quelli dei suoi compagni atleti o fighi che fossero.
Venne nello straccio soffocando il piacere, come sempre. La casa era piccola e le pareti molto fine. Si ripulì e lo ripose sotto il materasso.
Stette immobile, nudo, sul letto a pensare alla bella Pamela, sicuro che, nonostante le sue parole, niente del genere sarebbe mai più accaduto. D’un tratto gli venne da ridere pensando:
‘Domani devo assolutamente ringraziare Danny, se non fosse stato per la sua insistenza…’ e, sorridendo a sé stesso, si alzò per andare a farsi una bella doccia fredda.

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