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Sex in the Work

By 2 Gennaio 2017Dicembre 16th, 2019No Comments

«Tiberio! Dove diamine è Tiberio?» sbraitò Carla in mezzo alla stanza

«È andato in bagno- le sussurrò Stefano passandole affianco con una pila di documenti- Tesoro, questi sono i documenti per la presentazione delle liste» disse rivolto a Monica

«Grazie, mi servirà una mano, non posso gestirli tutti da sola»

«Fatti aiutare da Antonio» urlò Carla sbattendo contro la porta chiusa del bagno degli uomini

«Antonio è con Chiara, l’ha accompagnata dal ginecologo»

«Chiamatelo! In questi giorni non esiste il concetto di privacy, siete tutti a mia disposizione»

«Sei odiosa quando fai il capo intransigente» si lamentò Monica
«Taci tu!- poi cercando Stefano con lo sguardo- Fai uscire l’invertebrato dal bagno. Mi deve spiegare un po’ di cose» annunciò con tono minaccioso Carla rientrando in ufficio. 

«Tiberio, sono Stefano. È rientrata nel suo ufficio, puoi uscire» sussurrò alla porta del bagno

«Oh Signore, meno male!- disse l’uomo uscendo dal bagno- È una vipera del cazzo»

«Quella un cazzo non l’hai mai preso, secondo me» sentenziò Stefano

«Tu, invece, sei esperto di cazzi, vero?» lo prese in giro Monica con gli occhi fissi sui fogli

«Chi è un esperto di cazzi, qui?- chiese Giacomo appena entrato nella sala. Cadde il silenzio a sentire la sua voce- Suvvia, sarò anche il candidato e vostro capo, ma non sono un mostro»

«Giacomo! Che ci fai qui? Devi andare a tagliare due nastri oggi pomeriggio!» chiese Carla apprensiva uscendo dall’ufficio

«Carla, non puoi pianificare tutta la mia vita» si lamentò il candidato

«Sì che posso. Vuoi vincere? Fai quello che dico io, leggi quello che io approvo, vai dove ti dico io. Ora vai! Devi essere lì tra mezz’ora» disse lei sbrigativo

«Lì dove?» 

«Qui!» indicò Stefano sulla mappa che gli porgeva
«E che ci vado a fare io lì?»

«Vai a tagliare il nastro- poi urlando- Tiberio, non provare a svignartela! Vieni subito nel mio ufficio!- poi tornando a rivolgersi a Giacomo- Scusa, ora ho da fare» rientrò nell’ufficio e si sedette ad aspettare Tiberio che in silenzio raggiungeva la piccola stanza che lui e tutto lo staff della campagna avevano ribattezzato: La stanza della tortura.  Chi vi entrava poteva avere il più bel sorriso a 32 denti, ma ne usciva sempre con uno sguardo triste e distrutto, Carla aveva il dono di annullare qualsiasi persona avesse davanti.
Non era di certo arrivata dov’era per merito del suo corpo, era lì perché era la migliore e aveva schiacciato chi gli si era opposto, alcuni letteralmente. Era una persona forte e dispotica, in grado di prendere decisioni in un attimo e senza il minimo dubbio, capace nel suo lavoro, forse la migliore
«Si può sapere cosa ti è saltato in mente? Chi ti ha autorizzato a condividere un simile contenuto?- iniziò a sbraitare appena Tiberio ebbe messo piede nel suo ufficio, l’uomo non riusciva a capire neanche l’argomento trattato, figurarsi abbozzare una difesa- questo errore ci costerà probabilmente un intero punto! Ti rendi conto di quello che hai combinato? I nostri sponsor vorranno la tua testa e io gliela darò!»

«No, ti prego! Ho sbagliato, ma non puoi licenziarmi!» disse il poveretto senza aver ancora capito cosa avesse sbagliato

«Non ho nessuna intenzione di salvarti! Chi sbaglia paga, caro mio. Cosa credi che sia arrivata qui chiedendo scusa a tutti? Ti consiglio di impacchettare le tue cose, per stasera sarai licenziato!»

«E si è giocata pure Tiberio» commentò con tono neutro Monica dalla sua scrivania

«Ha bisogno di una scopata! Di una bella, selvaggia e lunga scopata! Una di quelle che ti lasciano stremate a terra senza forze» sentenziò sicura Sara

«Quella servirebbe a me, non vedo un uomo da mesi» commentò Monica

«Allora stasera andiamo a divertirci nella speranza che tu non sia un caso perso come quella»

«Non è neanche così male fuori dal lavoro»

«Per forza, è un soprammobile fuori da qui. Non riesce a scopare e si sfoga con noi durante la settimana. Vi ricordate come trattava il computer quando faceva il lavoro di Tiberio?» commentò la bionda
In un angoletto, immerso nelle fotocopie fino alle ginocchia Stefano ascoltava le cattiverie delle due giurandosi di riferirle a Carla il giorno dopo. La poverina aveva pure il diritto di difendersi contro simili subdoli attacchi, ma lui aveva diritto ad andare a casa e la serranda stava per calare anche su quella stancante giornata di lavoro, era il momento di distrarsi dal lavoro.
Carla ovviamente fu l’ultima ad uscire, anche dopo uno sconsolato Tiberio, che come annunciato, uscì portando via le sue cose, aveva vinto lei ancora una volta. Quando fu sicura che non ci fosse più nessuno e visto che ormai tutto si era fatto tardi spense la piccola luce della sua lampada da scrivania e senza parlare si vestì ed uscì chiudendo la serranda ed innescando l’allarme. Non possedevano dati sensibili, ma era sempre meglio non rischiare, le voci sull’altro candidato non facevano sperare in una battaglia combattuta secondo le regole, era molto più facile che fosse piena di colpi bassi. 

«Ti aspettavo, sai. Mi chiedevo quando saresti uscita»

«Giacomo! Mi hai fatto spaventare» rispose Carla abbassando istintivamente lo sguardo

«Dai, vieni. Sono tutti al bar, manchi solo tu»

«Io…ecco…non so se è il caso che venga…ecco» disse lei timorosa mentre nervosamente si grattava il braccio sinistro
«Sciocchezze! Ti accompagno!» le passò un braccio dietro la schiena e la spinse leggermente verso la direzione del pub.
La serata fu come l’aveva prevista, con lei rintanata nell’angolo più buio del tavolo mentre tutti chiacchieravano tra di loro. Ci aveva anche provato ad entrare nelle conversazioni, ma per loro era come se non ci fosse, non la degnavano di uno sguardo e lei non aveva la forza per imporsi. Un paradosso considerando che la mattina dopo, esattamente come la giornata appena passata, sarebbe stata di nuovo il loro capo pronta a distruggerli al minimo errore. 

«Non va bene che stai tutta qui da sola» le disse Giacomo avvicinandosi

«Tu non dovresti stare qui a bere con noi»

«E perché? Mi fa piacere»

«Non fa bene alla tua immagine»

«Basta parlare di lavoro! Parliamo d’altro. Perché non chiacchieri con gli altri?»

«Non mi vogliono parlare» disse Carla scappando verso il bagno. Giacomo rimase sorpreso da quelle parole, era timida e spaurita fuori dal lavoro. La raggiunse verso il bagno con il cocktail in mano

«Carla! Carla! Dai, esci!» le chiedeva da fuori Giacomo 

«No, non esco!»

«Allora fammi entrare»

«No! Vattene»

«Carla, non era una richiesta. Ho detto fammi entrare!» passò qualche interminabile secondo e poi la serratura scattò, la porta non si aprì. Giacomo inspirò profondamente e posata la mano sulla maniglia scivolò nell’angusto bagno del locale
«Si può sapere che hai?»

«Giacomo, per favore…» prima che potesse continuare lui posò la mano libera sulla sua spalla e strinse, non eccessivamente, ma abbastanza perché smettesse di parlare e sentisse un po’ di dolore

«Dimmi cos’hai!»
«Non sono brava a socializzare e loro non vogliono parlare con me» rispose con una smorfia

«L’ho notato, in effetti» Carla si sentì sprofondare a quelle parole

«Ma…tu…»

«Sta zitta!- la fulminò lui, Carla ubbidiente tacque e abbassò gli occhi- Togliti il maglione!» ordinò sicuro di sé Giacomo

«Ma fa freddo…» provò a rispondere la ragazza, ma la replica non era considerata come una risposta possibile. Giacomo fece un passo verso di lei, ora erano a molto vicini, potevano sentire l’uno l’alito dell’altro sul viso

«Davvero?» chiese inarcando un sopracciglio. L’uomo posò il cocktail e portò le mani al collo del maglione, con un unico forte strattone improvviso lo slabbrò

«Fermo! Cosa fai?» Giacomo continuò a strappare il maglione fino a quando non lo distrusse del tutto. La cucitura aveva ceduto e lui lo aprì come se ci fosse una cerniera lampo, non poteva più uscire in quelle condizioni
«Non ti consiglio di rispondermi. Senza maglione puoi usare il cappotto, ma la gonna non la puoi sostituire» senza aggiungere altro l’aiutò a sfilarsi il maglione per ammirarla meglio. Si avvicinò al lavandino, recuperò il cocktail, si voltò un’ultima volta verso Carla e senza dire una sola parola la baciò. Non era un bacio di possesso, non era rabbioso, era un bacio dolce, delicato. Le labbra entrarono dolcemente in contatto e le loro lingue si toccarono appena facendo scattare tante piccole scosse in Carla. Rimase sola nel bagno, a pensare, a pensare a Giacomo. Era un bell’uomo, curato e sempre in ordine, più grande di lei, un uomo da ammirare con grandi idee e grandi pensieri, avrebbe fatto tanto nella vita ed era ancora giovane, certo non quanto lei, ma comunque giovane. Era un uomo forte, sapeva quello che voleva, sempre disponibile ad aiutare, a prendersi a cuore una causa, per molti un difensore dei deboli, degli ultimi e lei, in fondo, questo si sentiva: una debole, un’ultima. Giacomo, la voleva aiutare, come gli altri, ne era certa. Si guardò il maglione, non poteva restare in quella maniera, il maglione era tutto rotto e le si vedeva tutto, dal collo bianco fino all’ombelico, si poteva intravedere non solo il reggiseno, e già questo l’avrebbe fatta diventare un peperone, ma pure le mutandine. Usando le mani per tenere chiuso il maglione corse verso l’ingresso dove aveva lasciato il cappotto e con mille acrobazie riuscì ad infilarlo senza che nessuno avesse visto nulla, almeno lo sperava. Corse a casa più veloce che poté, ma quando arrivava il suo cuore batteva ancora all’impazzata e non per la breve corsa per le scale, non per l’agitazione, ma per la paura di essere vista. Non quella paura che provoca l’imbarazzo, una paura diversa, come se un lato di lei avesse voluto essere vista, sì un lato lo voleva. Voleva essere vista in mezzo alla strada in quelle condizioni e avrebbe voluto gridare che così ce l’aveva ridotta Giacomo, ma non per denunciarlo, no, lei ne era felice. Un bell’uomo l’aveva considerata, l’aveva fatta eccitare perché si era fatto avanti con lei, si sentiva felice, felice ed eccitata, le sembrava di essere una bambina. Si toccò, si toccò ancora vestita, si accarezzò le tette, la fica e si penetrò, sentiva il bisogno di venire, di godere e venne. Venne tanto e più volte, in piedi, appoggiata alla porta di casa, sul letto pensando a Giacomo e in cucina la mattina dopo quando vide un suo messaggio sul cellulare: “Non fare tardi stamattina”. Non diceva nulla di ieri, ma non ne aveva bisogno, glielo avrebbe detto a lavoro, l’avrebbe accolta baciandola, se lo sentiva. Si vestì e corse al lavoro, doveva arrivare per prima, se fossero stati da soli sarebbe stato più romantico.
La giornata passò, ma non accadde nulla. Giacomo non passò neanche dalla sede per colpa dei tanti appuntamenti in agenda, appuntamenti che lei aveva fissato nei giorni e nelle settimane precedenti, si sentì una stupida, non era possibile che Giacomo fosse interessato a lei, lui era bello, ricco e bravo, che aveva da spartire con lei che non riusciva nemmeno a inserirsi nelle conversazioni. Sì, era stata una stupida.
Chiuse la serranda senza licenziare nessun altro quel giorno, ma non avrebbe voluto lavorare proprio, era stata meno capace e meno attenta del solito. Era appena salita in macchina quando ricevette un nuovo messaggio sul cellulare: “Lavora sodo, mi raccomando. Giacomo” Si ricordava di lei, la pensava con lei pure a fine giornata, allora le interessava. Perché, allora non era venuto al comitato elettorale? Certamente non poteva far vedere che pensava a lei durante la campagna elettorale, che stupida era stata. Povero Giacomo, costretto a non poterle stare vicino, continuava a pensare a lei e le scriveva per farle sentire la sua presenza, doveva aver saputo com’era stata oggi, non avrebbe più commesso un errore simile, voleva renderlo fiero di lei.
Ogni giorno delle settimane seguenti, fu sempre la stessa storia: Giacomo non passava e quando passava stava pochi minuti e non poteva intrattenersi da solo con lei per via delle malelingue. Carla aveva continuato a fare il suo lavoro con diligenza, erano il miglior gruppo che Giacomo potesse avere e questo perché lei dava il duecento per cento ogni giorno, era stanca a fine giornata, ma valeva la pena per renderlo fiero di lei. Lo sapeva che lui era fiero di lei, le scriveva un sms ogni giorno, quel messaggio ogni giornata non faceva altro che renderla felice, lo aspettava non solo per poterlo leggere, ma per perdersi nelle parole, costruire pensieri e futuri, lo aspettava per sognare.

Una sera, una delle ultime sere, spense la luce del suo ufficio e si avviò per chiudere l’ufficio quando si accorse della luce che filtrava dall’ufficio di Giacomo e si avvicinò curiosa

«Entra, entra» le disse l’uomo dall’interno. Non si era neanche accorta che era arrivato, com’era possibile? Da quanto era lì? Quante altre volte era successo?

«Ecco…- iniziò a dire Carla in un attacco di timidezza- io stavo…ehm…andando a casa. Tu…-si fermò a riprendere fiato- resti qui?» riuscì a dire alla fine. L’uomo non smise di leggere i fogli e prendere appunti

«Vai al bar e aspettami lì» si sentì volare, la voleva incontrare, di nuovo. Giacomo, l’uomo più bello e bravo che avesse mai conosciuto, la voleva incontrare di nuovo. Aveva ascoltato ogni minima chiacchiera che si era detta in quel periodo in ufficio su di lui, dal fatto che fosse omosessuale perché non era mai in giro con una sola donna, ma lei sapeva il perché, del fatto che fosse superdotato, c’era chi lo aveva soprannominato Big Giacomo per questo. Si sentiva bagnare e se le avesse proposto di fare sesso? Forse non era il caso di correre così tanto con la fantasia, ma poteva accadere. Perché non sarebbe dovuto accadere? Erano due adulti consenzienti

«Prima di andare,- la richiamò alla realtà Giacomo- dammi le tue mutandine» rimase sconvolta da quelle parole, da quella richiesta così inaspettata. Il suo cuore batteva all’impazzata, le tempie le pulsavano, le aveva davvero chiesto le mutandine? Se le doveva togliere in quel momento? Davanti a lui? Stava ancora pensando quando lo vide alzarsi e andarle incontro, istintivamente al ricordo di quanto accaduto nel bagno si cominciò a spogliare per accontentarlo, quasi tremava quando lui le arrivò davanti, prese le mutandine che Carla porgeva nella mano tesa quasi a volerlo allontanare dai suoi vestiti e senza dire una parola le schioccò un dolce bacio a stampo sulla guancia, poi infilò le mutandine in tasca e andò verso i bagni. Sconvolta, Carla si avviò verso il locale senza mutandine e con una notevole eccitazione addosso.

Guardava con insistenza l’orologio, preso il bar avrebbe chiuso e lui non era venuto, si sentiva delusa, era in un’ambiente a lei ostile, in cui era a disagio, senza mutandine e…ed era eccitata, tremendamente eccitata. 

«È libero questo posto?» chiese una voce improvvisamente

«Oh, certo Giacomo» rispose rapida Sara facendolo accomodare tra lei e Carla. Giacomo, ordinò un cocktail e rimase lì tutto il tempo a chiacchierare con gli altri, senza degnare di uno sguardo la povera ragazza alla sua sinistra. Tutto il contrario di quella alla sua destra che tentava in ogni modo di sedurlo mettendo in mostra corpo e voce, cercando di continuo un motivo per toccarlo e avere un contatto fisico, quando non ci riusciva gli metteva sotto gli occhi le sue grandi tette ben messe in mostra dall’ampia scollatura. Era infastidita dal fatto che Giacomo non la guardasse, che non respingesse quell’oca, ma anche inorgoglita dal fatto che l’uomo che aveva le sue mutandine in tasca fosse conteso da un’altra donna, anche se era una troia di professione come Sara.

«Ma che diamine?!- esclamò sorpreso ad un certo punto Giacomo- chi è il cretino che ha rovesciato un cocktail sul divano?» Carla non si era nemmeno accorta che il divano fosse bagnato, non le era sembrato che nessuno ci avesse rovesciato nulla

«Strano, non me ne sono accorta…non era bagnato…» cercò di giustificarsi lei quando capì. Non era un cocktail ad aver bagnato il divano, era lei, la sua eccitazione, i suoi umori. L’ansia che Giacomo non arrivasse, il suo continuo oscillare nervoso, i piccoli movimenti con le gambe per la circolazione, si era strusciata, non ci aveva fatto caso, ma stavolta era senza mutandine. Si sentì umiliata, si alzò di scatto e corse in bagno a nascondersi dai presenti, piangeva quando Giacomo bussò alla porta

«Fammi entrare» non ci fu bisogno di altro, di per favore, di una domanda,bastarono quelle due parole per smuoverla. Carla aprì la porta che ancora singhiozzava, Giacomo entrò senza proferir parola come già aveva fatto l’altra volta. Posò il cocktail e alzò delicatamente il mento di Carla fino a guardala negli occhi, sorrise e la baciò. La prese di peso e la depose sul marmo del lavandino, la baciò ancora e si liberò il cazzo, una voce era vera, Giacomo era superdotato. La penetrò lì, seduta sul marmo del lavandino Carla gemette e accolse il suo cazzo dentro di sé. La scopo a lungo, sempre in silenzio, e lei godette in una maniera che non credeva possibile e, infine, lo sentì venire dentro con grugnito animalesco di soddisfazione

«Rimettitele!» disse Giacomo restituendole le mutandine poi senza dire altro uscì dal bagno e salutò il resto del suo staff mentre Carla restava ancora in bagno a riprendersi dalle incredibili sensazioni e cercava di riprendere un normale battito cardiaco, con le mutandine addosso. 

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