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SIGNORE OLTRE LE RIGHE

By 26 Febbraio 2017Dicembre 16th, 2019No Comments

Qualche parola di spiegazione.

In un altro caso ho spiegato da dove mi giungano alcuni spunti. E’ però faticoso e sempre noioso decifrare le lettere sbiadite di una vecchissima macchina da scrivere, quando non è una calligrafia disordinata con l’ inchiostro smarrito. Qualche pagina persino a matita…
Talvolta mancano pagine, spesso sono mescolate. Tantissime pagine che vengono da molti anni addietro. Quando pubblico qualcosa di questo devo riportare il tutto a tempi diversi e prendere comunque tutte le precauzioni per non permettere a nessuno di collegare un fatto ad un nome, ad un fatto anche lontanissimo nel tempo. Non penso possa avvenire ma è un impegno preso…e non mi pesa poi molto. Ho alcuni brani che non posso legare tra loro ma pubblicare come un insieme logico.
Vi sarà un titolo, Signore ‘oltre le righe’ ed una numerazione. Ogni brano, anche le rare volte che sia non breve sarà unico. Sempre o quasi sempre.
Buona lettura

Marcella, io. Maura, Arturo, Valerio.

Ho già fatto il giro di casa. Letto in ordine, camera ben arredata e pulita, bagno rifornito di tutto. E’ la prima volta che vengo qui; non sono mai stata nella stessa casa più di due volte e sempre a distanza di alcuni mesi almeno.
Case in centro od almeno semicentrali, perlopiù palazzi che ospitano numerosi uffici. Mai capitato mi chiedessero dove andassi.

Bussano. Mica male penso soddisfatta vedendoli. Mica male perchè nelle mie fantasie…ne preferico due invece che uno ed anche perchè sono giovani, trenta, trentacinque anni al massimo e ‘fusti’.
Tre sarebbe l’ ideale o quasi, sempre nelle mie fantasie, 4 ancora meglio. Mentre uno o due ricaricano le batterie gli altri…ma non è mai successo purtroppo..

Bella senza essere una vamp ma abbastanza da guadagnarmi spesso una seconda occhiata di apprezzamento, potrei avere tutti gli amanti che voglio e spesso non mi lascio scappare un bel maschiotto in fregola, mai però del mio giro, e preferisco comunque farlo in questo modo. Non posso certo andarmeli a cercare nei bar o la sera lungo i viali.

Quando ne ho voglia, il che succede non di rado ma neppure troppo spesso, faccio una telefonata e mi fissano anche da un giorno all’ altro un appuntamento.
Ci guadagno persino qualche soldo, non tanti a dire la verità, potrei pretendere di più se io non avessi le mie di pretese. Do ut des mi hanno insegnto al liceo.
E’ anche bella l’ attesa, fantasticare su come sarà, se preferirà questo o quello…certo, alcuni talvolta sono un poco al disotto delle aspettative ma altri le superano…

‘Li voglio rudi senza esagerare, rudi ma educati, che conoscano i loro limiti, fino a che punto possano spingersi ed accettino, se richiesti, di piantarla li. Niente botte ovviamente e neppure…’ ed avevo proseguito spiegando le mie aspettative. ‘niente uomini puzzolenti, si lavino, niente vecchietti spompati o ragazzini che…’.

Sorpresa. C’ è una terza persona. Una bella donna, una morettina elegante che saluta i due con un cenno della mano senza toglirmi gli occhi di dosso. ‘Mi chiamo Maura, ti piaciono i miei cuginetti?’
La mia risposta è un sorriso sincero che interpreta nel modo appropriato.
‘ io mi chiamo Marcella, ed anche tu mi piaci.’ ‘Sul serio non ti spiace avermi qui?’ ‘No certo, sei bella e se da sola con un’ altra donna non ci sono mai stata… con i cuginetti…sei come la giusta dose di peperoncino rosso su un piatto che lo merita’ Insomma, ci siamo trovate subito simpatiche a vicenda, ci siamo ‘capite’.

Mi abbandono tra le braccia dei cuginetti ma è’ Maura a guidare le danze e deve in materia essere una esperta veterana.
Se non ha il doppio di miei anni poco ci manca, quaranta e forse qualcuno in più ma oltre che bella di suo è in forma. In gran forma. Certo palestra e massaggi, una dieta attenta, magari sport o lunghe camminate…e tanti soldi. La abbronzatura non viene da una lampada solare ma dal sole. A dicembre il sole di chissà dove. E’ già parecchio che sono arrivati ma non sembrano avere fretta, sanno che entro il logico non hanno limiti di tempo, anzi, se per me…

‘I miei cuginetti non amano pasticchette od altre porcherie, ci teniamo alla salute.’
‘E fanno bene,’ rispondo convinta. Io sono piuttosto su di giri. Tranne che chiavarmi, mettermelo nel sedere od in gola, hanno fatto tutto. Tutto? Niente di molto concreto. Me ne meraviglio. Baci carezze, morsi deliziosi…e niente altro ma sono andata su di giri anche così mentre lei guarda, soride, suggerisce ma solo di tanto in tanto e senza neppur sfiorarmi. Un lampo esplode nella mia testa. VOGLIO ANCHE LE SUE DI CAREZZE!
Non sono lesbica anche se ho accettato qualche volta un compagno di letto e la sua amica.

‘Mettiti qui cara’. Un invito che alle mie orecchie suona quasi un ordine, cortese fin che si vuole ma un ordine, nonostante il sorriso che la illumina. Mi aiuta a stendermi sulla schiena con le natiche quasi oltre il bordo inferiore del letto. E’ più forte di me, le carezzo il fianco, ritiro pero’ subito la mano, incerta, timorosa di infastidirla, poi mi do della scema… Per un attimo ci siamo solo lei ed io. Mi solleva lentamente. Ne sento la forza, tra le sue braccia mi sento leggera e maneggevole. Istintivanmente protendo il capo per baciarla, voglio baciarla. Maura con mia delusione si sottrae.

‘Sei bella, incantevole, ma tutto a suo tempo.’ Poi mi fa arretrare, cadrei sul letto se braccia robuste non mi trattenessero per poi calarmi lentamente a sedere leggermente protesa all’ indietro sul cazzo di…non so quale dei due cugini. Non serve soverchia fantasia per capire… esattamente sul grumo di carne tra le natiche sento la testa bagnata di un cazzo.
E’ la spinta nella giusta direzione di mani maschili ed il mio peso che lo fa penetrare sia pur di pochissimo ed allargandomi quel che serve per cominciare, mi piace, chiudo gli occhi, sospiro di gioia, perchè mi solltica la idea, la sorpresa. Non l’ ho mai fatto così . Non mi oppongo, e perchè mai dovrei? Sono qui apposta. Lui si stende sul dorso costingendomi a seguirlo, inarcata, un poco dolorante, incapace di accoglierlo di più mentre le gambe sempre di lui imprigionano le mie tenendole allargate. Non capisco ma non mi importa. Non importa neppure il dolore che provo al modo inconsueto con cui viene visitato il mio culetto. Sussulto un poco, mi inarco, spalanco le ginochia e chiudo gli occhi.

E’ Maura, sono le dita, i polpastrelli, le unghie di Maura che lentamente, quasi centimetro per centimetro percorrono le mie gambe, le cosce schiuse, verso il centro del mio essere donna. E’ però la sua bocca che giunge al traguardo e mi fa impazzire. Ora la lingua dura e puntuta mi penetra, quasi mi scopa, ora passa e ripassa all’ interno delle pieghe del sesso e poi si dilunga sul puntino sensibilissimo già orgogliosamente eretto.

Di nuovo, ricomincia! Si ricomincia per la centesima volta mentre con colpi di reni leggeri l’ altro, Valerio, come so che è Valerio ? prende possesso del mio culo fino alle palle. I sussulti del mio piacere si susseguono ma, sembra quasi si succedano a comando. Mi accorgo ora che Arturo mi sugge i capezzoli. Li sugge e li lecca, li stringe tra i denti o tra due dita e fa male ed al tempo stesso accresce la mia follia di sensazioni, di infinito piacere e di aspettative.
Arturo non c’ è più, esistono di nuovo solo la bocca di lei, neppure ne ricordo il nome in quei momenti ed il mio orifizio anale che si stringe convulsamente, si allenta un attimo per poi contrarsi spasmodicamente di nuovo e di nuovo. Dolore e piacere cui non rinuncrei per tutto l’ oro dl mondo, che si rinnova ad ogni mio sussulto per l’ intrusione nel mio sesso, per il piacere che lei, già, Maura si chiama, mi fa provare. Sragiono quasi.

‘Gli stai facendo un pompino col culo, tesoro, lo sai?’. Non posso rispondere. Il secondo cugino, allontanatosi dai capezzoli, ha posto dei cuscini sotto le mie spalle. Inginocchiato dietro di me guida la testa del cazzo scoperta sulle mie labbra che sembrano non attendere altro. Non va, non riesco, ma qualche attimo dopo chiudo gli occhi soddisfatta. Cerco di ammorbidire le labbra, di rilassare la lingua e farla divenire un tappeto su cui fa scivolare il cazzo. Mi piace fare pompini, mi piace fargli un pompino, mi piace anche quando me lo spinge molto lentamente e senza troppo dolore in gola.

Ricordo poco di tutto questo, ancor meno del resto. Lei non mi chiama ma basta si stenda sul letto socchiuda un poco le ginocchia che la raggiungo in ginochio. Il viso coperto per un attimo dall’ avambraccio mi fa esitare, esito anche perchè devo forzarla ad aprirsi a me. Si abbandona ed io gusto il dolce frutto che mi offre. Minuti od ore non importa. Quasi non avverto che a turno i cuginetti mi forzano le reni doloranti, il sesso fradicio. E’ finito, penso incredula e felice ma al tempo stesso non sazia.

Abbracciate uniamo le bocche, mischiamo gli umori, mi abbandono a lei.

‘Si’ mormoro accedendo alla sua richiesta senza esitare.

I primi sculaccioni sono poco più che carezze brucianti, una sorpresa per me, è la prima volta. Non l’ ho mai fatto, anzi nessuno ci ha mai provato. Poi chiamarli carezze… grido di dolore che diventa insopportabile e sto per supplicarla di risparmiarmi quando invece che colpire la mano scende poco più sotto e mi porta di nuovo in paradiso.

Per giorni penso a Lei. Scruto ogni donna che incontro, spio durante gli intervalli a teatro ogni donna che abbia la sua corporatura, penso di telefonare, di chiedere…
So che questo è impossibile e piango sconsolata.

Chiusura

Per me, un maschio, è quasi impossibile comprendere intimamente ciò che una donna provi in certe situazioni. Da una occhiata insistente di un uomo che conosce, che non conosce, bello o brutto…a situazioni molto più…delicate, inopportune. Non vado oltre. Per questo chiesi anni fa l’ aiuto delle mie lettrici saltuariamente ottenendolo. Una di loro mi è stata e spero continui ad esserlo in futuro, estremamente utile sia in generale sia su un tema specifico, la schiavitù femminile. E’ stata schiava, si è od è stata liberata e forse lo rimpiange. Della schiavitù come è oggi intesa, sa tutto o certo molto. Lo ha provato in prima persona, a lungo. Potrebbe scrivere un trattato su come trovare e trattare una shiava ma non ama scriverne direttamente.
Il suo indirizzo è: wwwsbocciatarosa@gmail.com

Giuliana

Più che un racconto erotico questo è il sintetico riassunto di un fatto accaduto ad una donna della borghesia agiata milanese nei mesi turbolenti che precedettero il 25 aprile del 1945 e la Liberazione. Lo ho letto comodamente ed una volta tanto non ho dovuto “decifrare” lo scritto. Una buona macchina da scrivere elettrica, un ottimo italiano, tutte le pagine ordinatamente numerate e inserite in una cartelletta.
Due le ragioni di non pubblicarlo sia pure in forma riassunta. La lunghezza che sarebbe andata in ogni caso oltre le mie intenzioni, almeno diecimila parole ed il fatto che troppo facilmente sarebbe stato possibile risalire alla autrice. Ho quindi tagliata inesorabilmente sia la prima parte, come cioè la nostra eroina sia arrivata al punto iniziale del mio riassunto, sia i pensieri della stessa eroina durante i mesi descritti, sia infine alcune disgressioni della stessa quando potè tornare a casa. La stessa donna, anni dopo, decenni anzi, ormai più che sessantenne, scrisse, penso, solo per se stessa.
Buona lettura.

L’ uomo si cambia lasciando al giovane compagno stivali, pantaloni e camisaccio da lavoro. Hanno faticato alla vigna cercando di salvare il salvabile, ridando ai numerosi piccoli fossi la possibilità di far scorrere l’ acqua che con le piogge primaverili avrebbe altrimenti messo a nudo le radici senza fornire alle viti l’acqua necessaria. Un lavoro cane. L’ uno un ragazzo al massimo di quindici anni, piccolino anche, l’ altro visibilamente anziano se pur alto e robusto.

Era da tutta la mattina che Giuliana li osservava e non per curiosità. Aveva trascorso la notte tra cespugli e ramaglie, un ottimo nascondiglio anche se nel gelido fine febbraio ma uscirne con i due a cinquanta passi di distanza e che dall alto sovrastavano il suo nascondiglio era stato quasi sempre impossibile o molto, troppo pericoloso, le poche volte che aveva quasi deciso di tentare la sorte. Poi era rimasto solo il vecchio che si era girato ad orinare dandole le spalle. Non le serviva di più.

Sono stanco ed ho da fare un bel pezzo di strada. Mi avvio sperando di non fare brutti incontri. Qui sono da temere tutti. Tedeschi ed Alleati, partigiani e repubblichìni, le camice nere sono l peggiori. Percorro il sentiero meno scosceso fino alla bicicletta che ho alla meno peggio nascosto tra i cespugli ancora senza foglie.

E’ una sorpresa. A due pasi c’è una contadina che sta rassettandosi gli abiti, la vera sorpresa consiste nel fatto che sia ancora li con la sua roba nello zaino, che non se la sia filata con la mia bicicletta.

I soliti convenevoli. E’ di Milano e cosa faccia da queste parti lo dice ma non è molto plausibile. Le spiego che sono sfollato li vicino e che attraversare il Ticino è impossibile. “Tutti sparano su tutto quello che si muove sul fiume e nelle vicinanze. “Ma gli Americani non sono già da questa parte del fiume?” “Pochi, riforniti con gli aerei ed aiutati dai partigiani, pochi anche questi e male armi. Ma forse i tedeschi son messi anche peggio. Stan qui perchè lo ha ordinato Hitler o sono disertori o Dio sa cosa ma i reparti ancora efficienti se la sono già filata.”

In due più la valigia che prudentemente ha tenuta nascosta fino all’ ultimo. Mi mostra un documento che non commento e che grida “bugia!” “Dove sei diretta?” Le chiedo. Quasi sessant’ anni di differenza di età mi consentono di fare domande e di darle del tu. Nomina un paese dall’ altra parte del fiume al confine quasi con il Piemonte. “Speravo di trovare lavoro come cameriera” E’ possibile, penso, convinto però solo in parte. Usiamo la bici per portare il bagaglio: una valigia di cartone che pure cade sciorinando la miseria di questa poveraccia e lo zaino.

Due ore per fare pochi chilometri in linea d’ aria evitando le strade ed i crocicchi più pericolosi. Sono sfollato e le dico da dove, un nome che nessuno conosceva ma sede di due stabilimenti superbombardati.
La fregatura al bivio per casa mia di cui già si vede il tetto. Alt! Proprio questo , un partigiano, ma anche uno che si dice abbia ammazzato gente senza andare troppo per il sottile. Un sergente dell’ esercito, dice lui…Ci sono però solo due uomini della squadra che comanda, una dozzina. Altri uomini armati escono allo scoperto e questo mi tranquillizza. Indossano solo i resti delle loro divise, divise da Carabinieri. “Buon giorno Maresciallo… Brigadiere.” “Buon giorno Colonnello. Tutto bene?” Guarda la ragazza con qualche sospetto, normale di questi tempi.”

Basta con queste storie, voglio tornare alla normalità. “Sto portando a casa Daniela, la signorina sostituisce Maria…” “Allora il marito è tornato!” “Si Maresciallo ma non sta troppo bene e va ad assisterlo.” “Non sarebbe restata lo stesso, anche suo padre non sta bene” interviene il Brigadiere, “deve assistere anche lui. Di quei ceffi che stavano col sergente ne sono rimasti un paio solo. Sanno che li teniamo d’ occhio ed anzi adesso li portiamo in caserma, quella che hanno riaperta…”

Poco dopo siamo a casa. “Sul serio mi prende a servizio, signor Colnnello”. “Se a te sta bene si, dovremo arrangiarci però, e non chiamarmi colonnello. Il grado ce lo ho ed anche la pensione quando arriva, ma è una pagliacciata, chiamami dottore, è più giusto, questo me lo sono meritato alla Ca’ Foscari a Venezia”

Dire che dobbiamo arrangiarci è vero. La casa del dottore è minuscola ed io dormo nel corridoio. C’ è un bagno con uno scaldabagno a legna però ed io non mi faccio un vero bagno da tre mesi. La dispensa è discretamente fornita, farina e polenta, sale ed olio, il burro in campagna non manca…Lui esce tutte le mattine, va a lavorare alla vigna. Ha qualche altro piccolo appezzamento di terra. Si porta da mangiare e torna prima di sera.

La casa è piccola. Tenerla in ordine anche badando all’ orto ed alle poche galline, arangiandomi a cucinare e rammendado la sua e la poca roba mia… mi resta abbastanza tempo e curioso per casa anche se alla fin fine non c’ è niente di interessante tranne il vasetto di vetro nella scatola di legno deliziosamente intagliato ed imbottita di stoffa, seta forse, vecchissima. Deve essere tra le sue cose da una eternità. Mi incuriosisce, la guardo spesso. Una volta, posato il vaso di vetro sul tavolo la scatola cade a terra. Temendo si sia danneggiata la guardo con più attenzion del solito. Un angolo della imbottitura si è stacato dal legno ed il fondo si è staccato del tutto. Sotto c’ è qualcosa. Sono alcuni fogli coperti da uno scritto a caratteri minuscoli, sbiaditi, assolutamente incompresibili sopratutto alla luce fioca di quel giorno uggioso e coperto…e il padrone dovrebbe già essere a casa. Ripongo tutto e metto un bel ciocco nel camino, la giornata è stata al solito fredda, molto fredda, ho sempre il moccio al naso.

Quando arriva saluta cortesemnte e va a lavarsi, poi ceniamo subito alla poca luce che sta per svanire, è pronto e consumare il poco petrolio che abbiamo per illuminarci a tavola è assurdo. Corrente elettrica quella sera niente. La abbiamo un giorno su due o tre, anche meno e solo se siamo fortunati. E’ stanco, invecchiato in pochi giorni…Ma è vecchio…e quella sera mi racconta senza far nomi come e perchè lo abbiano promosso da giovane sottotenente a colonnello di artiglieria, senza fargli indossare più la divisa e percependo il “soldo” e poi la pensione. Mi racconta anche del viaggio in India…Lo devo mettere a letto, ha bevuto oltre al vino anhe un bicchierino di grappa e la mattina è grigio in viso, nondimeno fermarlo in casa, a letto, mi è impossibile. Faccio in fretta i lavori consueti poi prendo la scatola armata di una sua grossa lente di ingrandimento. La lente unita alla luce di una giornata finalmete chiara, luminosa, mi permettono di decifrare i fogli. A scrivere era una una maestra indiana che spiegava per conto di altri, grati di qualcosa, le funzioni delle minuscole bacche che sosteneva somigliassero solo a piccolissimi chiodi di garofano ma che erano piante diverse. Nel tempo conservavano i loro poteri, diceva però… Ridavano il vigore ai vecchi, accrescevano la vitalità ai giovani…

Quella sera glie ne propinai due pestati nel vino caldo. Altrettanto feci il giorno dopo e non vedendo risultati apprezzabili, quattro la terza sera. Una per sera era la dose suggerita. Il giorno dopo, domenica, si alzò tardi e dopo colazione chiese di bere un vin brulè, “sembra quasi mi scaldi dentro.” Pensai che la dose raggiunta correggesse la vecchiaia di quelle bacche.

Mentre rassettavo la cucina arrivò un gran rumore. Lo trovai a terra in bagno e poco vestito. “Sono inciampato, scusami.” Poi. “Non ce la faccio, aiutami.” E poco dopo, “voglio mettermi al sole.” Invece poi volle fare da solo e mi mandò via. La metà abbondante, quasi tre quarti del vino che gli avevo preparato era nella coppa di peltro, esitai, lo odorai ed il sentore era quello di vino cotto. Accostai il calice alle labbra, era gradevole anche se ormai solo poco più che tiepido e lo finii…andai poi a vedere come stesse. Dormiva con il cappello in testa. Sotto la vecchia vestaglia di seta non avveva nulla e cercando di coprirlo con una coperta, ne scoprii l’ iguine. Almeno sorpresa notai un improvviso, repentino e penso notevole risveglio della sua virilità. Prima la sorpresa ed una certa vergogna per essermi soffemata a spiarlo, poi divenni impovvisamente frenetica. Dimenticai ogni pudore. Dimenticai il marito, dimenticai la educazione ricevuta dimenticai il mondo e per la prima volta strinsi in mano un organo maschile. Mi eccitava fino a farmi sragionare ma guardarlo non mi bastava. Mi inginochiai tra le gincchia schiuse e lo baciai, ma non mi bastava ancora. Tra le partigiane del mio gruppo c’ erano due altre donne, due prostitute. Si sono sacrificate per permetterci di fuggire…questo solo basta a redimere la loro vita cui forse furono costrette…dai loro discorsi sapevo cosa fosse un pompino e, per sentito dire da loro, come praticarlo.

Prenderlo, serrarlo tra l labbra non mi diede fastidio e tantomeno ebbi quell’ attacco di vomito, quei conati di vomito che sentendo le descrizioni delle mie “amiche” avevo pensato certamente mi avrebbero colpita. Lo leccai, poi cominciai a chinare ed alzare la testa. Alla fine ne ricevetti sul viso come ricompensa un fiume del suo liquido seminale, una carezza sul capo ed uno sguardo attonito ed incredulo. Ero pure io incredula. Scappai nascondendomi ma tornai…Gli raccontai qualcosa di me ma il resto finii per raccontarlo nei giorni seguenti, nelle notti e nei pomeriggi seguenti nel suo letto. Lui mi raccontò i paticolari della sua strana “vita militare”. Passegiammo abbracciati per il giardino. Io lo volevo e lui voleva me. Amavo mio marito ma quella sera diedi la mia verginità al mio amante. Nelle ultime settimane che trascorremmo insieme in un ructus spasmodico volli dargli anche l’ orifizo posteriore. Aveva confessato di averlo fatto solo con donne mercenarie, mai con una come me. Vivevo in uno stato di trance ed il resto del mondo non esisteva. Ormai però Milano era stata liberata, ragioni accettabili per restare non ne avevo più.

Non avevo ragioni di preoccuparmi di mio maito e della perduta verginità. Eravamo saliti nella camera preparata per noi dopo il pranzo di nozze, qualche ora e lui sarebbe partito. I suoi commilitoni, uficiali come lui però lo avevano fatto ubriacare. Lo spogliai e piansi. Poi pensai alle burle cui sarebbe andato incontro, alle chiacchiere della servitù.

Stappai la mezzina di champagne che vuotai nel lavandino e puntami un dito, sparsi il poco sangue necessario a formare tre piccole macchie sul lenzuolo. Quando fu l’ ora non fu facile svegliarlo e con tutta la prudenza necessaria e la vergogna di una donna sposata da poche ore feci in modo credesse…

Sono a casa da pochi giorni, ci siamo riuniti dopo anni. Abbiamo subito fatto l’ amore e non avrà dubbi sul fatto che il bimbo che forse porto in grembo sia suo.

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