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Silvia ed Antonella vanno al mare

By 15 Luglio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Io ed Antonella siamo molto amiche.
Abbiamo molte cose in comune ma siamo anche molto diverse.
Ventuno anni entrambe e scarso amore per la scuola.
Infatti alla nostra età, in genere, si è smesso di andare a scuola, a meno di fare l’università, ma non è certo il nostro caso.
Dopo le medie, concluse con fatica, perché studiare non fa proprio per noi, è venuta la scelta delle superiori. Visto che già avevamo problemi con la lingua italiana, infilarci anche il latino, o peggio il greco, non era proprio il caso.
Alla fine abbiamo scelto ragioneria, non perché la trovassimo interessante, visto che a noi non piaceva nessuna scuola, ma perché una bisognava pur farla, e quella sembrava più facile delle altre.
Facile? Meno male che era facile, ci hanno rifilato sempre almeno tre materie e due volte siamo state bocciate.
Quest’anno io ne ho avute tre e la mia amica quattro.
Ora la scuola, grazie a dio, è finita e possiamo dedicarci meglio alla nostra attività estiva preferita: andare al mare e prendere il sole.
Veramente ci siamo andate diverse volte anche quando c’era la scuola perché siamo maggiorenni e la giustificazione ce la firmiamo da sole.
Questa mattina, di buon ora, ho preparato la sacca con l’asciugamano, la spazzola, la crema solare, l’ipod ed i panini e sono passata a chiamare Antonella, che abita a due isolati di distanza.
è comodo abitare in una città vicina al mare, mezz’ora, quaranta minuti di treno e sei sulla spiaggia.
Finora vi ho parlato di tutte le cose in cui siamo uguali, quasi fossimo due gemelle, ecco, fisicamente non potremmo passare per gemelle.
Io sono alta, magra, ho i capelli scuri quasi neri, ed il viso lungo, lei è bionda e con il viso tondo, piccola di statura e parecchio in carne.
Non intendo dire che Antonella sia grassa, ha un po’ troppo di tutto, le tette grandi, il sedere grande, le cosce grandi ed i polpacci robusti, mentre io ho due tettine che il reggiseno non riesco mai a riempirlo, il sedere piccolo, perché i miei fianchi sono stretti, però non è assolutamente piatto, e due gambe lunghe e snelle.
Vestiamo in maniera diversa, assolutamente opposta e forse dovremmo scambiarci, non nel senso letterale del termine, visto che non abbiamo assolutamente la stessa taglia, ma intendo dire come stile.
Antonella porta sempre delle minigonne eccessive, che non slanciano le sue gambe corte ed io potrei benissimo fare a meno dei miei eterni pantaloni, visto che ho due gambe lunghe e dritte con cui potrei benissimo sfilare in passerella.
è tardi e così decidiamo di passare per la scorciatoia del cantiere.
Vicino alla stazione stanno costruendo diversi edifici e bisognerebbe fare un lungo giro, l’alternativa è una stradina sterrata che costeggia i cantieri.
Di notte, visto che non è illuminata, è meglio evitarla, ma di giorno la facciamo spesso.
E poi ci divertiamo a sfottere gli operai.
Loro rispondono con qualche battuta volgare, in genere riferita al culo di Antonella, che lei fa ondeggiare, approfittando dell’andatura impostale dalle immancabili scarpe dal tacco alto.
Anche questa mattina il suo culo ondeggia vistosamente, mentre lei avanza sugli zoccoli con quattro dita di tacco, anzi visto che sotto abbiamo già indossato il due pezzi, per fare prima una volta arrivate in spiaggia, anche le sue tettone ondeggiano.
A me non ondeggia nulla, sia perché la mia andatura, con le scarpe da ginnastica basse, che porto estate ed inverno (senza calzini quando fa caldo) è molto più regolare, sia perché ho poco da far ondeggiare, anche se so che il mio culetto stretto un poco si muove quando cammino.
Delle volte penso che facciamo male a stuzzicare così tutti questi uomini che stanno a lavorare sotto il sole, ma la mia amica dice che è solo un gioco e non ci può succedere nulla.
Il cancello improvvisato, nel senso che si tratta di un pezzo di lamiera grecata della recinzione, fissato su un telaio di legno messo dalla parte interna, si apre all’improvviso davanti a noi.
Neanche il tempo di capire, delle braccia robuste ci hanno afferrato e tirato dentro al cantiere.
Una mano grande e callosa mi ha impedito di gridare, poi altre mani hanno cominciato a spogliarmi.
C’è voluto pochissimo perché ci spogliassero completamente. Ci hanno lasciato soltanto il costume e poi ci hanno trascinato dentro l’edificio in costruzione.
Non ero mai entrata dentro un palazzo in costruzione, è buffo, dentro è tutto vuoto, non ci sono pareti, porte e finestre, solo il pavimento ed il soffitto, tenuti insieme dai pilastri, e le scale.
Iniziamo a salire le scale, spinte da due di loro che ci tengono le mani dietro la schiena.
I miei piedi scalzi sono a contatto con il pavimento di cemento grezzo, ancora non rivestito, sento con fastidio le asperità dei sassetti e la polvere mentre salgo verso la cima.
Incrocio lo sguardo spaventato della mia amica e continuiamo a salire.
In cima il sole picchia già forte sulle nostre spalle nude e penso stupidamente che la crema è rimasta giù, nella sacca, insieme ai miei vestiti.
Ci fanno sdraiare a terra, a pancia sotto, una di fronte all’altra, poi ci legano polsi e caviglie con del filo di ferro.
Fa male, è duro e ruvido e se provo a muovermi mi scortica la pelle.
Due di loro si avvicinano ad Antonella e le abbassano lo slip del costume.
Lei comincia a gridare ma loro non sembrano impressionati, sicuramente da quassù nessuno sentirà le sue grida.
Le sue grandi chiappe bianche, perché nella spiaggia libera frequentata da famiglie, dove andiamo sempre noi, non è prevista l’abbronzatura integrale, sembrano ancora più chiare, a confronto con il resto del suo corpo scurito da tante giornate al mare.
Arriva un terzo operaio, con in mano un barattolo ed un pennello.
‘Allora, stronzette, stavate andando al mare, vero? Beh, il sole, per oggi, lo prenderete qui.
Adesso abbiamo da lavorare, ma dopo ci divertiremo un po’. Piuttosto, ma che roba sono ‘sti culi bianchi, adesso rimediamo subito.
Quando ero ragazzino al paese, per far venire la pelle più scura, usavamo il succo delle foglie di fico. Bisogna andarci piano, però, perché se ne metti troppo e rimani al sole tutto il giorno, ti scotti.
In fondo al recinto del cantiere ci sta proprio una bella pianta di fico ed io gli ho appena spremuto le foglie, sono sicuro che i vostri culetti questa sera non saranno più così bianchi.’
Non ha aggiunto altro, ha infilato il pennello nel secchio e lo tirato fuori, sporco di una roba biancastra e vischiosa.
Stende con cura una sottile patina di quella roba, lo fa con maestria, tirando le pennellate ed evitando che coli, come se stesse tinteggiando una parete, d’altra parte deve essere il suo mestiere.
Ero tutta presa nell’osservare la scena, che non mi sono resa conto che era tocca a me.
Le mutandine del mio costume vengono abbassate fino alle ginocchia, ed il tizio con il barattolo si avvicina.
Il pennello mi fa il solletico e la sensazione di essere spalmata delicatamente è piacevole, anche se le sue parole mi hanno messo in apprensione. Veramente questa roba mi farà scottare?
In ogni caso, anche senza nulla, se mi lasciano molte ore così, mi arrostirò le chiappe, ma possibile che il fico ‘?
comunque se ne sono andati, lasciando solo una persona a controllare che non ci muoviamo da quella posizione.
L’effetto piacevole della spalmatura è passato nel giro di qualche minuto.
Dopo mezz’ora comincio a sentire la pelle secca che brucia e tira.
Guardo l’ora, sono le nove e mezza, non oso immaginare l’effetto nelle ore più calde.
Il tempo passa ed il bruciore aumenta, non posso vedermi, data la posizione, ma se il mio sedere è ridotto come quello di Antonella, sono messa male.
Le sue grandi chiappe si sono fatte prima rosse, poi violacee, lei si lamenta, chiede aiuto, ma il tizio che ci controlla, seduto all’ombra di una pila di sacchi di cemento, non sembra per niente intenerito.
Quando alle undici ritorna quello con il barattolo, il sedere della mia amica è viola da far paura e pieno di piaghe. Potrei chiederle di descrivere il mio ma mi manca il coraggio.
La fa alzare in piedi.
Guarda con interesse il sue ventre nudo, con appena un ciuffetto di peli biondi sopra la sua fica e le ordina di sdraiarsi nuovamente.
‘Ora abbronziamo l’altro lato.’
Antonella si lamenta quando le sue chiappe ustionate vengono a contatto con il cemento grezzo, ma è quando lui le apre il reggiseno del costume che inizia a gridare disperata.
Ha capito le sue intenzioni e, purtroppo, le ho capite anch’io.
Ma non c’è niente da fare, il pennello, intinto nel succo delle foglie di fico, spalma le sue tettone non tralasciando neanche un centimetro di pelle.
Mi sento alzare di peso da dietro.
Il tizio mi passa il manico del pennello tra le cosce.
‘Poche tette la moretta, quasi quasi quello che avanza lo uso per spennellarti la fica, che ne dici?’
Sono terrorizzata e riesco solo a far cenno di no con la testa.
A me il reggiseno non lo apre neanche, infila una mano e lo fa salire fino a liberarmi i seni.
Quello dietro mi tiene forte, per non farmi muovere, mentre lui fa scorrere il pennello.
Le setole che passano sui capezzoli mi procurano una certa eccitazione e dopo poche pennellate si fanno duri e sporgenti.
Stupide, non c’è nulla da eccitarsi, fra un’ora andrete arrosto come già è successo alle mie povere chiappe, mi viene da pensare.
Poi mi spingono di nuovo giù ed il mio sedere atterra bruscamente sull’asfalto ruvido e bollente.
Ora, per controllare l’evoluzione della situazione, non è necessario osservare la mia amica.
Le tette me le vedo benissimo, sono ad un palmo dal mio viso e si stanno ustionando di brutto, perché ora il sole picchia veramente forte.
Prima rosse, poi viola, ora si stanno formando delle grosse bolle e la pelle inizia a spaccarsi.
Guardo l’ora, è mezzogiorno, fino a quanto vorranno tenerci qui?
Vengono a prenderci che è l’una passata, ci fanno alzare e ci liberano polsi e caviglie dal fil di ferro.
Ci tolgono anche il costume e ci fanno scendere al piano di sotto completamente nude.
Nude e scottate.
Certo, non mi ero fatta troppe illusioni su come avrebbe proseguito la giornata, ma la speranza che dopo questa pesante punizione ci avrebbero lasciate andare, con la promessa che non li avremmo più sfottuti, lo ammetto, l’avevo coltivata.
Il tipo del pennello, che sembra essere il loro capo, se ne sta appoggiato ad un pilastro, fumando una sigaretta.
Gli altri mi spingono verso di lui ed io cerco di divincolarmi ed inizio a gridare.
La causa del mio atteggiamento sta in mezzo ai suoi pantaloni aperti ed è lunga più di venti centimetri.
‘Allora, moretta, hai preso abbastanza sole? Ora ti inginocchi e me lo succhi per bene, sai come si fa, vero?’
Insomma mi aspettavo che avrei dovuto fare sesso con loro, ma sono rimasta comunque sorpresa ed ho iniziato a gridare, ed Antonella appresso a me.
‘Senti, bella, se non vuoi, per me va benissimo, ti spalmo di nuovo le tette e pure la fica, ti riporto su e ti lascio al sole fino a ‘stasera.’
E’ tanta la paura che veramente metta in atto questa minaccia, che mi sono inginocchiata subito, e lo stesso ha fatto la mia amica con un altro di loro.
A me non è mai dispiaciuto fare pompini, già all’inizio delle superiori, visto che non avevo tanta voglia di studiare, andavo sempre in giro con i ragazzi degli ultimi anni e mi hanno insegnato loro.
Passati i primi momenti di imbarazzo, sono diventata brava, riuscivo a farli morire con la mia bocca e la mia lingua, e vi assicuro che non è facile farlo con un adolescente che si massacra di pippe dalla mattina alla sera, e come vede una ragazza che si spoglia viene dentro i pantaloni, prima ancora di cominciare.
Insomma i miei compagni di scuola riuscivo a farli godere bene, con gusto, anche mio, e dopo un tempo giusto.
A loro è sempre piaciuto il fatto che io, a differenza di altre, ingoio, per esempio, alla mia amica Antonella ha sempre fatto schifo, mentre io godo da matti nel sentire lo sperma che mi riempie la bocca, e poi lo mando giù aiutandomi con la saliva.
Mi hanno detto spesso che il sorriso soddisfatto, da vera troia, che mi esce alla fine di un pompino, è quasi meglio del pompino stesso.
A loro non l’ho mai detto, ma quello che più mi da piacere è la sensazione di essere io a controllare la situazione: sono io che decido, con la lingua e con le labbra, il tuo orgasmo, sono io che stabilisco se e quando farti venire.
Ora non è proprio così, se non mi decido subito a fargli un pompino, questo mi riporta in terrazza e mi lascia arrostire, finché delle mie tette, che già sono piccole, non rimarrà più nulla.
Il dolore forte dietro ed assolutamente insopportabile davanti, spazza via i miei ultimi dubbi e le mie labbra si stringono sul cazzo dello spennellatore.
Gli ho fatto un bel lavoretto, con gli altri che guardavano soddisfatti e si prenotavano dopo di lui.
Devo dire uno dei migliori cazzi che abbia mai succhiato, dritto e bello duro.
Anche quando è venuto se l’è cavata bene: belle contrazioni, lo sentivo spingere forte con le anche, nel tentativo di svuotarsi il più possibile nelle mia bocca, tentativo riuscito pienamente, data la quantità di roba che mi ha sparato dentro e che io ho puntualmente ingoiato.
Solo il sorriso temo non mi sia venuto bene perché, quando mi sono staccata da lui, il dolore alle tette ustionate, che avevo momentaneamente dimenticato, si è riaffacciato più forte di prima.
Ad Antonella è andata meno bene, per la sua ritrosia ad ingoiare.
Ha finito dopo di me e quindi l’ho vista bene. Quando lei ha cercato di sputare, il suo operaio le ha bloccato la bocca con una mano e l’ha costretta a sdraiarsi.
L’ha tenuta così per un paio di minuti e, quando ha tolto la mano, Antonella, che aveva fatto il suo primo ingoio completo, non aveva un’espressione molto contenta.
Comunque con i successivi è andata meglio, perché, come potrete intuire, abbiamo dovuto accontentare tutto il cantiere.
Già al terzo Antonella ha ingoiato tutto senza fare storie, e poi non ci ha pensato più.
Alla fine, devo ammettere di essere stanca, ho la bocca indolenzita e mi sento lo sperma dappertutto, in gola, nel naso, anche in faccia e sul collo, fino alle tette, perché, nonostante tutto il mio impegno, qualcosa ogni tanto dalle labbra mi è sfuggito.
Antonella, che all’inizio ha fatto un sacco di storie, è invece completamente impiastrata, al punto che le sue tettone sono piene di chiazze bianche.
A questo punto penso: beh, tutto sommato ce la siamo cavata e ci fanno tornare a casa.
Neanche per sogno.
E qui sono cominciati i problemi, perché hanno deciso di continuare in un’altra maniera.
Non avevo mai provato a farmelo ficcare di dietro con le chiappe ustionate, anche perché non mi ero mai scottata lì, visto che sono sempre stata molto attenta al mio culetto.
Hanno preso due carriole e ci hanno legate sopra, sempre con il fil di ferro, con le gambe allargate, avendole fatte passare di lato ai manici.
Il problema non è stato tanto la penetrazione, visto che con i miei compagni di scuola non mi ero impratichita solo di pompini. Ma il contatto con le mie povere chiappe.
La pelle, arrossata, spaccata e piena di vesciche mi duole terribilmente già senza il minimo contatto, immaginate cosa possa significare avere uno dietro che ti sta inculando e sbatte forte e struscia la stoffa dei pantaloni aperti sul tuo culetto ridotto in quelle condizioni.
Antonella ha gridato per tutto il tempo, mentre io ho cercato di trattenermi, perché mi ero accorta che quei bastardi, sentendo le nostre grida, si eccitavano di più e sbattevano ancora più forte.
Antonella grida anche perché lo ha sempre fatto poco, io invece, specie quando eravamo più giovani, preferivo prenderlo di dietro, perché era più sicuro, e non volevo finire incinta come certe mie amiche.
Cinicamente dicevamo che se lo prendi in culo, al massimo nasce uno stronzo.
Insomma, il culo di Antonella, anche se così grande, ha, o meglio dopo questa giornata dovrei dire aveva, un buco quasi vergine.
Ma quanti sono? Quindici, venti, forse anche di più.
In ogni caso ci è voluto un bel po’ e quando alla fine ci hanno fatto scendere dalle carriole, avevamo le gambe completamente anchilosate ed il mio buco era allargato ed indolenzito come non mi era mai capitato.
Do un’occhiata nella mia carriola e dentro c’è una bella pozza di sperma mentre il mio culo continua colare e sgocciolare.
La mia amica neanche riesce a stare in piedi, piange ed è rimasta aggrappata alla sua carriola.
Beh la capisco pure perché io ci sono arrivata un po’ per volta, mentre lei è stata sfondata tutta insieme.
Guardo il capo, quello del pennello, e gli chiedo se ora possiamo andare.
‘Veramente ora vogliamo vedervi divertire un po’, sono sicuro che oltre che troie, siete anche un po’ lesbiche. Fammi vedere se la tua lingua se la cava bene anche con la fichetta bionda della tua amica.’
Così mi sono avvicinata ed ho cominciato a leccarle la fica. Lei all’inizio non voleva, ma è bastato un mio sguardo a farle capire che non era proprio il caso di non accontentarlo.
Non l’avevo mai fatto, ma mi è riuscito bene e dopo un po’ lei gemeva come una cagna in calore, mentre gli operai, tutti intorno, facevano il tifo.
Quando ha raggiunto l’orgasmo è addirittura caduta nella carriola, sbattendo il sedere sul fondo dell’attrezzo.
Poi ha dovuto farlo lei a me, all’inizio era impacciata, si vergognava e mi diceva ogni momento ‘scusa, scusa’.
Ma scusa di che cretina, fallo bene e sbrigati.
Quando è stato il mio turno non sono caduta nella carriola, per fortuna.
Ce l’hanno fatto fare diverse volte, sia usando la lingua sia con le mani, finché alla fine non resistevamo più, eravamo così eccitate e sensibilizzate che sobbalzavamo alla minima toccatina.
Era solo la preparazione al gran finale.
Insomma si sono messi in fila ed hanno voluto scoparci tutti, nel senso che tutti lo hanno fatto sia con me, sia con Antonella.
è stata un’esperienza stimolante ma terribile, ero così eccitata che passavo da un orgasmo all’altro, gridavo, gemevo e mi contorcevo, mentre sobbalzavo sotto le spinte di questi uomini che cercavano di ficcarmelo sempre più in profondità.
E come uno finiva, un altro prendeva il suo posto, incurante dello sperma che fuoriusciva a fiotti dalla mia fica dilatata.
Quando hanno deciso che poteva bastare, stava facendo buio e la temperatura si era fatta fresca.
‘Adesso gli facciamo una bella doccia rinfrescante e le rimandiamo a casa, ‘ste due troie.’
Ci hanno annaffiato a lungo con un tubo di plastica trasparente da irrigazione, indirizzando spesso il getto in mezzo alle gambe e fra le chiappe.
Si sono fermati solo quando non c’era più traccia di sperma sui nostri corpi.
A questo punto ci hanno restituito le sacche e gli abiti e ci siamo potute rivestire.
Quando il pezzo di recinto da cui eravamo entrati questa mattina si è aperto di novo, per lasciarci uscire, era notte fonda.
Una breve visita in farmacia per comprare una pomata contro le ustioni e poi di corsa a casa mia, prima che torni mia madre, per spalmarci a vicenda le nostre rotondità ustionate.
Accidenti, per un bel po’ niente mare!

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