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STANZA N. 303 – Ascoltando “Dance me to the end of love” di Leonard Cohen

By 9 Aprile 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

A Francesco piaceva giocare. A Elena piaceva Francesco. E questo era un motivo sufficiente per assecondare ogni suo desiderio, anche se ogni volta era costretta a fare i conti con il superamento dei suoi limiti. Il suo sms era arrivato proprio durante la riunione, non lo aveva letto subito, non era stato facile trattenere la curiosità e inoltre quella vibrazione leggera le aveva scatenato un brivido così denso che aveva fatto fatica a ritrovare l’equilibrio e la concentrazione. Era stata distratta tutto il giorno, moriva dalla curiosità e aveva tanta voglia di rivederlo. Lasciava passare settimane senza chiamarla. E quando lo faceva, riusciva, con un sesto senso infallibile, a telefonarle sempre quando lei era costretta dalle circostanze a mascherare in qualche modo il suo turbamento. Non sapeva molto di Francesco, anzi a dire il vero non sapeva quasi niente di lui, probabilmente Francesco non era nemmeno il suo vero nome, ma conosceva ogni centimetro della sua pelle, ogni reazione alle sue carezze, il lampo nello sguardo quando assecondava docile le sue voglie e quegli occhi e le pagliuzze che li illuminavano, quando un pensiero indecente attraversava la sua mente e che sapevano accenderla di una bramosia che non aveva mai provato prima.

Francesco era stato molto chiaro, Elena aveva fatto come lui le aveva chiesto. Le regole del gioco le stabiliva sempre lui, lei aveva il ruolo di protagonista ma nessuna voce in capitolo, non c’era discussione, lui dettava le regole lei le eseguiva alla lettera. ‘Via Cavour 213, stanza 303. Ore 21, leggi le istruzioni’, persino il tono impersonale del messaggio la eccitava. Questa eccitazione la pervadeva in un crescendo man mano che l’ora dell’appuntamento si avvicinava.

Alla reception, insieme alle chiavi, il concierge le consegnò una busta bianca con il suo nome scritto a mano. Ebbe una leggera esitazione nel prenderla come se avesse paura di bruciarsi, come se a quel punto, così come ogni volta, non avrebbe più potuto tirarsi indietro. Prese l’ascensore, era tesa. La busta stretta fra le dita. Entrò nella stanza. Un grande letto matrimoniale con una spalliera in ferro battuto con intricati arabeschi. Il copriletto rivestiva con eleganza ogni lato, era di uno spesso tessuto da tappezzeria nei toni del bordeaux e dell’oro. Soffitti alti con stucchi e parquet di mogano. Una grande finestra con le imposte spalancate su palazzi d’epoca, un divanetto, un piccolo tavolo da tè, un armadio intarsiato e lampade ovunque, sulla parete destra si intravedeva il bagno la cui porta era accostata, sul letto un grande specchio con una cornice barocca. Era in anticipo, aveva tutto il tempo per prendere confidenza con l’ambiente e posticipare l’apertura della busta. Osservò la sua immagine allo specchio e lentamente sciolse la cintura del soprabito e lo sbottonò. Indossava un tailleur grigio e una camicia bianca di seta. Accarezzò languidamente il collo indugiando sulla scollatura, la pelle le restituì un brivido e i capezzoli risposerò con prontezza al richiamo dei sensi.

Sollevò la busta e la aprì mentre le gambe le cedevano. ‘Apri l’armadio, indossa quanto ti ho lasciato, siediti sul bordo del letto, bendati gli occhi e poi aspetta.’ Elena ripiegò a metà la lettera e la infilò nuovamente nella busta. La appoggiò sul piccolo tavolino e aprì l’armadio. L’unico capo appeso era un babydoll striminzito, un capo che non avrebbe mai acquistato da sola. Lo prese fra le mani per guardarlo meglio, la parte superiore era una sorta di reggiseno ma aveva solo i sostegni, al centro era senza stoffa, sottilissime spalline che si aprivano in due triangoli sostenuti da una fascia di pizzo nero. Un velo accarezzava i fianchi ma rimaneva aperto come una tenda sul ventre. Gli slip avevano una fascia di pizzo identica a quella sotto il seno dalla quale partiva un triangolo aperto, come quello dei seni, con l’unica differenza che al centro c’era un fiocco che aveva tutta l’aria di voler essere sciolto. Un foulard sottile di seta nera cangiante e impalpabile completava il tutto. Si spogliò lentamente ammirandosi allo specchio. Tolse la giacca, la gonna avvitata, la camicetta di seta, li appese con cura. Indossava un completino intimo che aveva comprato apposta per Francesco, ma stavolta non glielo avrebbe visto addosso, delle calze autoreggenti nere con un alto bordo di pizzo contrastavano con il chiarore della sua pelle. Slacciò il reggiseno. Sfilò le mutandine. La sua nudità la sorprese. Si sfiorò con la punta delle dita prima di indossare il babydoll. I triangoli lasciavano scoperto praticamente tutto il seno che si ergeva fiero e turgido fasciato dal pizzo. Ma quando si infilò la parte inferiore era così eccitata che il fiocco di seta che le accarezzava quel triangolo di pelle così sensibile le sembrò una lingua, la lingua di Francesco, vellutata e bollente. Pochi passi per raggiungere il bordo del letto, se anche lui non fosse arrivato quella sera, quell’appuntamento avrebbe già avuto un senso per lei.

Era seduta come aveva chiesto lui e stava per completare il suo compito. Sollevò le braccia e si bendò gli occhi, strinse bene e due code di seta scivolarono sulle sue spalle nude facendola rabbrividire.

L’attesa.

L’attesa silenziosa.

L’attesa densa.

L’attesa è il piacere prima che diventi urgenza.

Il tempo dilatato.

Lo scatto della serratura la fece sobbalzare. Il profumo di Francesco le inondò le narici. Non disse una parola. La prima cosa che sentì furono le dita che accarezzavano i suoi capezzoli esposti. Poi la lingua che li bagnava, le labbra che la mordevano dolcemente. Le divaricò le gambe e sciolse il fiocco che la copriva a malapena e fu allora che la sua eccitazione, già portata all’estremo dall’attesa, divenne incontenibile, non l’aveva mai leccata così, con quel trasporto e con quella lentezza. La portava al limite e poi riprendeva lento. Le mani di Elena stringevano con forza, alterandone la piega perfetta, lo spesso copriletto. La testa reclinata, il bacino proteso, le tremavano le gambe e i seni danzavano al ritmo del suo respiro che precipitava sempre di più. Le succhiò il clitoride fino a farlo indurire e pulsare e poi la penetrò con la lingua così profondamente che il piacere le esplose fra le gambe incontrollato e violento, facendola ansimare forte mentre gli spasmi la scuotevano dentro. Sentì il respiro sulle sue labbra, ancora vibravano di piacere. Lo senti alzarsi, le prese il volto fra le mani e la baciò profondamente facendole assaggiare il suo stesso sapore. Mentre le lingue si esploravano con avidità, con una mano sciolse il nodo che le assicurava la benda dietro la testa, scivolò dagli occhi in un fruscìo e mentre li apriva piano per abituarsi alla luce realizzò che stava baciando una donna.

Francesco era seduto sul divanetto di fronte a lei, l’erezione che premeva dentro i pantaloni e quello sguardo che era croce e delizia per lei. Invito e ordine. Approvazione e voluttà. Elena si alzò. Attirò a sè quella creatura che le aveva regalato un piacere così intenso fra le gambe, le labbra ancora aperte e umide del suo orgasmo e la baciò con passione davanti a lui. Poi l’accompagnò alla porta. Si avvicinò a Francesco, con decisione gli sbottonò i pantaloni liberando il suo cazzo turgido che si muoveva con scatti leggeri e ravvicinati, con un movimento lento e preciso lo afferrò con la mano destra e se lo fece scivolare tutto dentro abbassandosi piano mentre lui le baciava i seni che gli offriva inarcando sensualmente la schiena.

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