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Racconti Erotici Etero

Storia dell’Eco

By 7 Gennaio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

PROLOGO

Vi narrai altre volte di un’anima dal volto di donna, che chiamavo la Strega dell’Ovest. Nel tempo in cui le nuvole bianche stregavano i ghiacci, e l’ultimo fiore di primavera moriva nella stretta dell’inverno, ella era meravigliosa.

Abitava nella sua capanna dal tetto d’ardesia, nei boschi, e conosceva la sorte dei mortali prima ancora che s’avverasse, scrutando la sua sfera di cristallo.

S’innamorò di un giovane che dimorava nel villaggio. Egli abitava solo con l’amata sorella, faceva il mugnaio, ed aveva le braccia forti e il volto eburneo. Un giorno le bionde chiome della fattucchiera lo ammaliarono, ed egli ne fu incantato. Accadde nel grande prato, dove crescevano i tulipani.

No, non furono i colori rossi e gialli di quei fiori, ad addormentare il suo intelletto, ma quei baci. La Strega dell’Ovest lo prese per mano, e lo condusse nella sua capanna.

Rammento del fuoco impetuoso che bruciava nella stufa, divorava il carbone, e illuminava la stanza. Ella gli mostrava i suoi grandi seni nudi, e gli morsicava le spalle, lasciandovi il segno del suo rossetto.

– Sì, sei mio! ‘ diceva la Strega al mugnaio.

Durante l’accoppiamento, ella perdette il cappello’ Le finì nel fuoco, e fu divorato dalle fiamme, che lo trasformarono in cenere. La perfida era vergine, e gridò per il dolore, quando il mugnaio le lacerò il grembo.

E mentre era seduta su di lui, e s’accoppiava, gli andava graffiando la schiena, con gli artigli. Si era tolta una delle sue scarpe rosse, col tacco a spillo, l’aveva usata per penetrare il suo uomo, nell’ano, e la andava movendo con sapienza’

Tutto accadde nella capanna solitaria, su uno sgabello d’abete, dinanzi alla stufa.

E da allora nessuno seppe più nulla del giovane mugnaio, il mistero, la leggenda avvolsero come una nube la sua storia.

*******

L’avete sentito mai?

Ha una voce profonda profonda e roca roca, non si sa mai da quali segreti antri dell’immenso si sprigioni.

Forse, dalle immensità dei ghiacci’ Oppure, dalle gole misteriose, dal cuore della montagna. Nessuna lingua mortale mai lo potrà rivelare.

E chi potrà inseguirlo?

Soltanto il pensiero, che gli &egrave compagno.

Ed egli vola, battendo maestoso le sue ali di ghiaccio, amico del silenzio eterno, vola e va, senza fermarsi mai, tanto invisibile quanto il mistero.

E’ l’Eco.

Io l’ho ascoltato, allora, m’&egrave parso che mi accarezzasse la pelle, e passava, come il baleno, così’ Passava, fuggiva, svaniva, per poi fare ritorno, obbedendo agli ordini dell’infinito.

– Dove vai? E da dove vieni, solitario e invisibile passante, che rapisci la mia voce per condurla in ogni luogo?

Una volta gli porsi questa domanda.

Ma egli non rispose.

Perché non concedeva ad alcuno il privilegio di ascoltare la sua vera voce. No, a nessuno mai!

Fu allora che ebbi una visione, mi parve quasi di vederlo’ Sì, perché per destino, egli mi concesse di conoscere la sua storia fatata.

Era prigioniero della montagna’

Sì, io lo vidi, stava lì, tra le rocce, bianche bianche e ricoperte di ghiacci. La sorte lo condannava al gelo eterno. Compagno perpetuo delle nevi perenni, non aveva libertà, poiché le braccia sue erano incatenate.

E c’erano come due, tre sbarre, arrugginite, che lo tenevano rinchiuso nella sua prigione naturale, grigia e misteriosa quanto un sepolcro.

Aveva una lunga barba, che nessuno aveva tagliato mai.

E la chioma sua arrivava a toccare il suolo’ Egli non aveva nome, ma ripeteva in eterno quello degli altri, regalatogli dal vento.

E si vedevano tante aquile, che volavano in alto, nel cielo, là, dove forse neppure il pensiero poteva arrivare. Poi, non vidi più nulla’

Oh, sì, gli occhi miei divennero ciechi a quella visione, il cui grigiore scomparve in un solo istante, come una nube nel cielo di novembre.

Ma nelle lunghe notti di luna piena, continuai a sognare l’incatenato, ascoltavo il suo grido sordo, confuso nell’ululato della bufera.

Forse, erano incubi.

E fu proprio durante una di quelle peregrinazioni dell’animo mio, che mi sentii raccontare quella storia. Adesso io la trascriverò, la trascriverò, sì, benché ciò mi costi alquanto.

Prima che lo imprigionassero, l’Eco era un cavaliere solitario, amico delle montagne e del freddo inverno.

Il destriero suo aveva il manto bianco, e le ali grandi e candide, per volare verso i luoghi ove neppure il mortal pensiero poteva giungere.

Nessuno lo poteva fermare.

E una volta, sul suo cammino, incontrò una vecchia, il cui volto tradiva il destino.

Cielo!

Ella si era buttata in ginocchio, i capelli canuti scarmigliati sul volto rugoso, perché aveva perduto colui che più amava, nel luogo più triste’

Ed era stato uno spettro, ahim&egrave a portarglielo via. Tristezze!

Ah, io non ricordo le macabre parole della vecchia’ Rammento soltanto che ella gli narrò di aquile e di avvoltoi, di bufere impetuose, di maledizioni magiche, e di voti infranti.

Soltanto questo io rammento’

E all’Eco piacque di ascoltarla.

Perché egli era il cavaliere senza nome, amico dei poveri e degli afflitti, che avevano avuto la sventura di incontrare la Signora Morte.

– Riportami il mio fratellino, prigioniero nel mondo dei giganti’ E io ti darò anche l’anima mia, se vorrai!

Ma egli non desiderava l’anima sua’ Per una volta, la vecchia s’era illusa di avere incontrato il malvagio. La tristezza aveva accecato gli occhi suoi, perché ella sapeva di aver vicino il fato.

E dopo che il cavaliere se ne fu andato, ne vide l’ombra oscura, disegnata sulla neve dal freddo sole dell’inverno.

– Sto arrivando anche per te, sì! Sto arrivando anche per te’ – qualcuno le disse.

Ma l’Eco cavalcava verso i luoghi cupi, in sella al suo destriero alato, nessuno mai lo poteva fermare, nessuno mai, vi giuro.

Egli correva per i cieli e per le rocce’

Ma la nemica sua, la Strega dell’Ovest, rise di lui. Ella s’era affacciata sulla terra, dal cupo delle sue caverne.

Lo sguardo suo aveva incontrato quello del cavaliere senza nome, l’Eco.

Ed era da secoli che i due lottavano, fra le oscure montagne. Da secoli le anime loro si fuggivano, celandosi dietro le bigie coltri di bruma che infestavano le gole.

– Questa volta ti coglierò, sì! E tu cadrai, precipiterai nell’Abisso, subito dopo aver compiuto la tua ultima opera buona!

L’odio bruciava in quelle pupille.

La Strega dell’Ovest sapeva che avrebbe pagato il suo sortilegio triste con la sua vita. Ma nulla, nulla poteva toglierle il piacere lugubre della vendetta.

Il piacere della vendetta, sì!

Ella aveva venduto la sua anima agli spiriti dell’inferno. Oh, buon Dio, mai vorrei scrivere di queste cose tenebrose, i brividi mi assalgono, feroci. Ahim&egrave’

Lo spirito del Cielo seguiva il cavaliere alato, l’Eco’ Lo conduceva là dove le anime dei derelitti erano prigioniere dei malvagi.

E quel luogo tetro aveva nome Terra’

Le parole della vecchia seguivano il benefattore senza volto, lo accompagnavano nel suo viaggio, perché egli doveva trovare quel giovane perduto, sì, egli soltanto.

E vistolo, lo prese con sé.

Lo fece salire in groppa al suo cavallo, per condurlo lontano, dove gli artigli dei rapaci non potevano fare male. Oh, ma davvero quei felici lidi potevano esistere, dove la Morte non poteva arrivare con le sue grinfie malvagie?

Io non so.

Rammento soltanto il fatale istante’

Il cavallo alato correva il cielo, quando all’improvviso, la coltre bianca di nubi si squarciò.

Dall’azzurro terso discese un raggio di luce triste, che fendeva il grigiore della Terra. E una gran voce, portatrice di presagio, annunziava:

– Subito dopo che avrai portato a termine la tua opera di Bene, la Morte ti farà precipitare, e sentirai il suo freddo abbraccio avvolgerti’

Io non so chi fosse.

Poteva essere una profezia, sì!

L’Eco si avvolse nel suo mantello, cinse la spada e senza proferire parola ripartì. Era il suo destino.

Una voce nera lo perseguitava, come una maledizione. Egli stringeva forte lo sventurato giovane, non voleva lasciarlo. Ma chi lo inseguiva era la Strega dell’Ovest.

Era nascosta fra le ombre nere dell’inverno, quelle degli alberi morti e spogli’ Nessuno, oh, nessuno, poteva dire dove fosse.

– Sì, presto verrò a prenderti, ih ih!

Così diceva la voce maledetta.

Poi, più nulla.

E io sapevo della bellezza di quel volto, della lussuria di quelle labbra, fatte per baciare, della venustà di quelle forme, celate dietro un manto color della pece.

Sapevo di quegli occhi celesti, di perla, capaci di trasformare in statua di ghiaccio chiunque avesse incontrato quell’appassionato sguardo. Ella era così bella, e fatale!

I neri tacchi a spillo, una farfalla, tatuata alla caviglia, un teschio di legno, appeso al collo come un ciondolo, che le ornava il seno nudo’ Le braccia d’avorio, fatte per stringere e stregare, la bacchetta di legno stretta tra gli artigli dipinti di porpora, di passione’ ah!

La vecchia aspettava, in cima alla rupe’ Allargava le braccia al destino triste, eppur clemente, aspettando che le venisse reso l’amato fratellino.

Rammento che la brezza fredda le preannunziò la fine ormai vicina. Oh, sì, era ad un passo da lei!

L’Eco giunse’

Scese dal suo destriero e le braccia sue restituirono all’infelice colui che le avevano strappato. Fu l’ultimo istante di felicità, prima della fine.

Oh, allora, era sembrato che fiori di primavera spuntassero dalla neve, popolassero i rami spogli e neri, che toccavano l’azzurro freddo del cielo.

Ma tutto questo, solo per un istante.

Illusioni!

L’Eco conosceva il suo destino’ La Strega dell’Ovest e il Cielo, e forse l’Inferno, l’avevano decretato. E nulla più’

Il cavaliere s’avvolse nel suo cupo mantello, galoppava verso l’immenso, sul suo destriero. Ma dalle nuvole nere si sprigionò il lampo!

Egli ne fu colpito, e precipitava, precipitava, precipitava, giù, io non so verso dove, io non so! Per la prima volta aveva incontrato qualcosa più forte di lui: la forza del destino.

Nel lampo, aveva visto lo sguardo d’amore della maliarda, che l’aveva stregato. Aveva scorto le forme di lei, e assaporato il suo bacio’

Mille avvoltoi neri volavano intorno, gracchiando.

L’eroe moriva così’

Ma l’Eco non poteva morire, mai.

Era possibile soltanto una cosa: che la Morte lo facesse suo prigioniero, per sempre. E fu proprio ciò che accadde.

Egli si sentì legare con una corda di fuoco, nel cupo della montagna, due catene di ferro gli serrarono i polsi, nessuno le avrebbe potute spezzare. Due grate gli strapparono la libertà.

E una condanna crudele venne pronunziata a suo danno.

Avrebbe ripetuto per sempre i nomi dei passanti, che il vento, da lontano, gli recava. Li avrebbe ripetuti per sempre, sì, per sempre, nel silenzio dell’eterno.

La Strega dell’Ovest sorrise per un istante, mentre contemplava la sua opera. Dopo aver mostrato i denti d’avorio, si passò il rossetto sulle labbra, tinse ancor più le sue belle ciglia nere, pronta, per un nuovo bacio.

E si fregava le mani, sghignazzando, perché c’era riuscita, sì, c’era riuscita’ Il piacere della vendetta le riempiva il seno. Ma fu solo per poco.

Un giorno, ella s’incamminò lungo un sentiero infido’ Voleva fare una passeggiata, perché anche gli occhi suoi nutrivano il vivo desiderio di veder sbocciare la primavera.

Rammento che voleva giungere fino in cima alle rocce, là dove le era parso di vedere un fiore, il primo fiore, sbocciato tra i ghiacci.

Desiderava coglierlo, oh, sì, le mani sue bianche desideravano sentire la tenerezza di quei petali, anche la perfida voleva amare, sia pure per un istante’ sia pure per un istante’

Ma tutto diveniva lugubre lugubre. Oh, c’erano tante rocce, s’udivano i versi rochi delle aquile e degli avvoltoi, che scendevano dalle nubi, e le cascate facevano a scherzare.

Il vento s’era incarnato in un giovanotto scherzoso, saltava, correva, rubava il suo cappello, ella voleva riprenderselo, ma la testa le girava’ C’erano tanti sassi, tante nevi che si scioglievano e correvano verso il sole, tanti occhi che guardavano’

Follie, sì! Queste erano le follie della mente sua, che delirava.

– Ti prego, amico vento, non farti beffa della tua amica! Facciamo la pace, e ti regalerò uno dei miei baci! ‘ disse la maliarda.

Ma il suo complice la tradì, la sospinse, ed ella cadde, in un burrone.

La ritrovarono senza vita.

Era precipitata sui rovi, giaceva sulla neve con gli occhi chiusi, le rugose mani contorte, il volto sfigurato dalla morte. Io non lo so dove fosse l’anima sua’

Dalle dolci labbra, socchiuse in una smorfia triste, le era uscita una goccia di sangue, che macchiava la neve.

Altro non ricordo.

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