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Le coincidenze mi portarono altrove. Prima con mia grande amarezza, poi con massima gioia. Ero scappato a una vita da borghese, per quanto un discorso del genere possa apparire una declinazione di ‘La volpe e l’uva’. Ma, se mille cose non fossero successe, se non avessi affrontato mille vicissitudini, non avrei mai rivisto Daniela. Cosa che invece accadde, quando un sabato pomeriggio entrai in un liceo classico tra i più famosi di Roma, in pieno centro, per tenere una lezione sul teatro. Perché, a causa di quelle mille vicissitudini, sono diventato un attore di teatro; un artista.
Ho ventisette anni, e ben pochi tra i non patiti del teatro mi conoscono; e se molti cultori del teatro tradizionale conoscessero quello che metto in scena, mi sparerebbero senza provar rimorso. D’altra parte, un normale liceo statale per certi corsi extradidattici può permettersi solo attori emergenti e semisconosciuti. Ma mi piace pensare che tutto sia accaduto per incontrare ancora Daniela.
La trovai in corridoio, a due passi dall’aula, ad attendermi; mi riconobbe senza indugi, mentre facevo i conti col mio stupore. Erano passati undici anni; eppure non mi sembrò sorpresa quanto me. Sembrava che mi aspettasse.
-‘Allora adesso insegna qui, professoressa’, le dissi scherzando.
-‘Sei puntuale come al solito. Sì, finalmente ho un contratto a tempo indeterminato’.
Calcolai che doveva avere appena meno di quarant’anni. Era meravigliosa come quando la conobbi. Era allora solo una giovanissima supplente, in quel magico liceo cui Venditti dedicò una canzone.
-‘Bene, i ragazzi ci sono già?’. Se l’avessi colpita con uno schiaffo, sarebbe stata molto meno basita.
-‘Sì, ma &egrave presto. Non hai nient’altro da dirmi?’
Pensai un attimo. La guardai e, sembrandomi davvero che per lei il tempo non fosse passato, scossi la testa.
-‘Ah, sì. Scusami. Come sta Lauretta?’
Sorrise, ormai arresa. Mi disse che sua figlia stava bene; che stava alle scuole medie. Quante volte, come potrei scordarlo?, la vedevamo in classe con gli occhi ancora chiusi perché l’allora bambina non l’aveva fatta dormire. Non che le guardassi solo gli occhi, ma essendo spesso seduta in cattedra non mi restava molto altro.
-‘Allora ti occupi tu di questo corso di recitazione? Dieci anni fa noi non avevamo niente del genere’.
-‘Sì. Certo che non hai mai detto così tante banalità tutte in una volta’. Forse aveva ragione; e dire che volevo proprio spiegare che per esser buoni attori non si deve mai cadere nell’ovvio. Ma, a parte questo, che razza di interrogatorio era? Cosa dovevo dirle?
-‘Sono incinta’, mi disse di colpo. ‘L’ho scoperto una settimana fa e non l’ho detto ancora a nessuno’. Si toccò la pancia, ma la faccia era spettrale; a differenza della mia, che si illuminò un attimo prima che istintivamente l’abbracciassi e le facessi gli auguri.
-‘Capisci che non potevo accorgermene. Così finalmente Lauretta avrà un po’ di compagnia’.
Diede un’occhiata in aula. ‘No, ma dovevi solo dirmi quanto mi trovi sciupata. Eri stupendo per questo, per dire la verità senza offendere’.
-‘Sei sciupata? Da qui non sembra. Vediamo meglio?’. Mi spostai scherzando, per guardarle il culo. ‘Sì, hai ragione. Lui &egrave totalmente diverso. Scommetto che adesso nessuno dei tuoi studenti si ammazza di seghe come facevamo noi’.
-‘Sempre il solito scemo’, disse ridendo. Non capivo davvero la sua amarezza. ‘Mio marito non mi ama più; forse ha una o due amanti. Volevo lasciarlo ma poi’. La interruppi.
-‘Ma poi hai scoperto d’essere incinta’. Entrai in aula, continuando a parlare. ‘Eppure, sei sposata da quasi quindici anni’. Salutai i ragazzi e mi sedetti in cattedra, mentre Daniela mi raggiungeva. Gli studenti erano al massimo una decina.
-‘E allora?’, mi chiese avvicinandosi a me, sottovoce.
-‘Come pensi che l’amore duri più di un paio d’anni? Soprattutto se ci hai messo in mezzo un matrimonio’.
La guardai intensamente; non sapeva che dire, né se essere divertita o amareggiata da quel che avevo detto.
Alla fine, decise di presentare ai suoi studenti chi era quel signore che avrebbe parlato di teatro. Ovviamente, non parlò di quello che c’era stato tra noi.

-‘Avrei voglia di scoparti proprio qui, su questa cattedra. Lo sogno da undici anni’, le dissi due ore dopo, quando il seminario era finito e avrei tanto voluto occuparmi di altri semi. ‘Tanto &egrave sabato pomeriggio, chi può esserci’.
La abbracciai forte e la baciai. Forse il Destino di cui ho parlato non c’entrava nulla col nostro incontro, visto che lei stessa aveva chiaramente suggerito il mio nome al preside. Ma le strinsi forte i seni, temendo poi di poterle far male. Le piacque, di sicuro. E avrebbe voluto lasciarsi andare.
-‘No, ti prego. Ci sono i bidelli e qualche altro collega’, mi disse allontanandomi con una mano. ‘Ma abbiamo tempo’.
Lasciai perdere, non potevo certo rovinare la sua immagine. Rimasi fermo a pensare al fatto che se non l’avessi posseduta entro un’ora sarei impazzito. Avevo resistito undici anni senza vederla, e non sapevo aspettare un’ora.
-‘Possiamo fare una passeggiata qui intorno?’, proposi allora, quasi sconsolato.
-‘Magari mano nella mano?’, mi disse scordandosi ogni tristezza.
-‘Perché no? Ma ti avviso che non ho ancora ceduto. Ti scoperò oggi stesso’. Mi era venuta una bella idea. E sicuramente lei avrebbe apprezzato.
-‘Bravo!’, scherzò. ‘Peccato che tra due ore devo assolutamente essere a casa mia, e da sola’.
-‘Non aspetteremo così tanto, credimi’.
-‘Sì, adesso il ragazzo prodigio del teatro italiano si inventerà un posto dove scopare in pieno centro senza essere visti’. Mi stava prendendo in giro; e io la prendevo in giro. Undici anni non erano mai passati.
-‘Scommettiamo?’

Ogni volta che passò a Largo di Torre Argentina mi fermo a pensare a Giulio Cesare. Quale sarà il punto preciso in cui fu ammazzato? Questo accade, perché in genere ci passo solo. E quella volta, con la mano di Daniela nella mia, pensavo a ben altro.
-‘Dai, ci fermiamo un attimo coi gatti?’, mi chiese. Sembrava fosse una diciottenne.
-‘Certo. Anzi, c’&egrave una scaletta per scender giù dai volontari, così li puoi pure accarezzare’. Mi guardò incuriosita. ‘Accarezzare i gatti, si capisce’, precisai.
Mentre lei accarezzava un enorme micio grigio chiaro, non si accorse che io parlavo con Nicky, un mio amico americano che faceva il volontario lì. Passavo ogni settimana a lasciare un’offerta e a salutare lui insieme ai gatti. Non poteva negarmi una cortesia.
-‘Ma non fare casino’, si raccomandò.
Corsi a prender Daniela per la mano, strappandola a quel gatto quanto mai inopportuno, che tra l’altro già iniziava a incazzarsi e di lì a poco l’avrebbe graffiata per bene. Le dissi di seguirmi, chiedendo anche di non fare domande. Ma sapevo benissimo che non sarebbe servito a nulla. La feci passare per quell’ambiente dal soffitto basso, fino a una porta socchiusa, in fondo. Era uno spazio privato con tanto di divieto d’ingresso.
-‘Ma sei pazzo? Non si può!’.
Mi fermai e, gravemente, le chiesi di fidarsi di me; e di essere folle, solo un po’. A differenza di undici anni prima.
Chiusi subito la porta. Adesso, che davvero nulla poteva negarmi di venerare totalmente il suo corpo, realizzai che stavo per far sesso con una donna incinta. Senza che io fossi il padre del bambino. Ci pensavo mentre in fretta le toglievo il reggiseno e le abbassavo i pantaloni. Non mi sembrò di trovarci alcunché d’immorale, o, più banalmente, nulla di male. Continuai, quindi. Le tolsi le scarpe e le sfilai del tutto i pantaloni: con mio grande dispiacere, dovevo rimandare i preliminari che amavo quasi più del sesso vero e proprio. Sollevai Daniela tra le mie braccia, fino a farla sedere sul traballante scrittoio, quasi sgombro, che si trovava nella piccola stanza. A quel punto le tolsi il maglione e in pochi secondi le sfilai anche la camicetta: era indecoroso che un uomo abituato a dedicare lunghi minuti per un solo bottone, in pochi secondi avesse totalmente spogliato una donna nel giro di pochi secondi. Cercai di non pensare a quello, e neanche all’eventualità che nei giorni successivi avrei potuto scopare Daniela con maggior calma.
Mi inginocchiai davanti a lei, che mi guardava sorridente dall’alto del suo trono; un piedistallo sul quale si trovava per il sol fatto di essere donna e, nella fattispecie, anche madre. Le leccai i piedi, chiedendomi per quale motivo avesse lo smalto sulle unghie. Non doveva sicuramente eccitare il marito, col quale, era chiaro, faceva sesso al massimo una volta al mese. Eppure, notai, anche la biancheria che le avevo tolto aveva qualcosa di seducente. Mentre, dopo aver indugiato sulle sue caviglie, la mia lingua saliva verso le cosce, capii che voleva eccitare me. Era stata lei a suggerire il mio nome per quel corso, ed era chiaro che sapeva cosa sarebbe successo ai miei ormoni quando l’avrei rivista. Fui eccitato a quel pensiero, tanto da rialzarmi e passare velocemente a solleticarle la fica con la lingua. Chiuse subito gli occhi, mentre era scossa dal piacere. Chiuse gli occhi e li riaprì solo sentendo il mio cazzo che le accarezzava il pube, pronto al suo dovere. Non sembrava che quella vagina avesse già messo al mondo una vita. E lo stesso poteva dirsi di tutto il corpo di Daniela. Non l’avevo mai vista fino a quel punto, ma sono sicuro che non era mai cambiata. In quegli undici anni, ero stato io a cambiare totalmente, nel fisico e nell’anima; avevo sedotto decine di donne, e da altrettante ero stato sedotto. Il sesso non mi emozionava più, ma rivedere Daniela aveva portato indietro le lancette di un tempo che, forse, non scorre affatto. La penetrai con delicatezza, pensando alla vita che stava crescendo in lei. Istintivamente le posai una mano sulla pancia e l’accarezzai. Ma cosa accarezzavo? Una vita che non ero stato io a far nascere?
Spingevo più forte, senza che la donna con cui ero abbracciato desse segno di volermi allontanare. La baciavo, ma soprattutto la stringevo forte. Probabilmente, quella volta volevo tenerla stretta, non lasciarla andar via facilmente. Avvertii le intense contrazioni dentro di lei, poco prima che il suo piacere esplodesse. Allora mi decisi a farla stendere totalmente, e, in quella posizione, tenendole sollevate e spalancate le gambe, la riempii del mio sperma. E rimasi lì, immobile, dentro di lei. Come quando tenacemente non voglio svegliarmi dai sogni che mi emozionano; mentre la realtà circostante, il cuscino, il sole attraverso la tapparella, mi dicono di lasciar perdere.
E anche quell’amplesso, come un sogno al momento del risveglio, svanì. La realtà che esigeva imperiosa il tributo dovutole, nella fattispecie era rappresentata dalla scomparsa della mia erezione. Mi scostai con disgusto da Daniela. E il disgusto non era certo rivolto a lei, né al suo corpo meraviglioso; e neanche alla realtà crudele. Ero solo disgustato da me stesso, perché in quel momento ero perso nei pensieri, invece di godermi il sesso. Nient’altro che il sesso.
Iniziai a rivestirmi, e, mentre Daniela si voltava per raccogliere le sue cose, le vidi il culo; sentendo contemporaneamente il mio membro che tornava subito vigoroso. Mi avvicinai a lei, le appoggiai la cappella ancora umida nel solco tra le natiche, che afferrai con violenza. Ma non andai oltre. La sodomia &egrave un atto che esige i propri tempi e il proprio spazio. Potei solo ammirarla mentre si rivestiva; mentre tornava a essere un’insegnante irreprensibile e lasciava in quell’ufficio il tradimento, la lussuria; insieme a gocce del suo orgasmo. Uscimmo e la accompagnai fino alla sua automobile, rifiutando un passaggio per casa mia. Era necessario che camminassi un po’ a piedi, per capire bene quanto mi aveva colpito quel viaggio nella macchina del tempo. Un viaggio di pochi minuti, in cui ero tornato a essere uno sbarbatello sessualmente vergine, invaghito di una giovane supplente. Ma ero stato, e in quel momento ero di nuovo, anche uno sbarbatello che aveva fatto innamorare una donna sposata, con una famiglia. Con delle certezze.
Giunto a casa, presi in mano uno dei libri cui sono più affezionato, sin da quando Daniela mi allontanò: era ‘Il diavolo in corpo’ di Radiguet, genio della letteratura scomparso troppo presto. Avevo amato quel libro, e per la prima volta, con una punta d’orgoglio, potevo illudermi che Radiguet, nella sua eternità, l’avesse scritto anche pensando a me e Daniela.

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