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Racconti Erotici Etero

Tropico del Cancro

By 4 Febbraio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi &egrave difficile parlarne.
Infatti, sono passati tantissimi anni da allora.
Perché?
Forse una sorta di pudicizia, il timore di apparire ridicolo narrando le sensazioni, i sentimenti, quella specie di nuvola rosa nella quale ho vissuto. Sì, può essere ritenuto ridicolo chi, ormai non più adolescente, indugia in atteggiamenti che possono chiamarsi sdolcinati, mielati, vezzosi, e usa frasi da romanzetti rosa del secolo scorso.
Tutto questo mi ha sempre spinto a tacerne, come se fosse una cosa sconcia, riprovevole.
No, Margherita era, per me, un essere meraviglioso, quasi irreale. Per questo &egrave stata una meteora, nella mia vita. Una stella luminosa, abbagliante’ che poi &egrave caduta e si &egrave perduta nell’immensità dello spazio.
E’ stato l’essere che mi ha fatto provare quanto &egrave possibile sperimentare nella vita: amore, passione, dolcezza, gelosia, e l’infinita solitudine dell’abbandono irreversibile.
Ha racchiuso in sé tutti gli esseri: figlia, madre, sposa, amante’
Mi sono sorpreso a ringraziare dio per avermela fatto incontrare e poi l’ho rinnegato, disconosciuto, abiurato, per avermela strappata.
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Inizio banale.
Avevo lasciato ai miei collaboratori di scegliere una segretaria, per me, anzi una specie di assistente, con capacità di ‘filtrare’ chi non avevo proprio voglia di vedere o sentire. Io mi riservavo l’OK finale. Meglio scegliere al di fuori della Società, perché le ‘interne’, chi più chi meno, erano tutte legate a personaggi che, in un certo modo, e a volte giustamente, mi vedevano un po’ come l’importuno innovatore, imbevuto di principi organizzativi e gestionali un po’ troppo avanzati per loro, messo lì dall’azionista che aveva potere di controllo e decisionale.
Castore e Polluce, come chiamavo i miei ‘vice’, mi chiesero se e quando potevo ricevere quella che per loro era la candidata ideale.
La scheda diceva:
Margherita Fidalma, anni 32, segretaria d’azienda, sposata, un figlio di sette anni. Diplomata segretaria d’azienda. Esperienze in strutture di media grandezza, da segretaria a capo della segreteria dell’Amministratore Delegato. Dimessasi per ‘ragioni personali’. Castore mi precisò che non gradiva certe attenzioni sempre più pressanti. Disponibile subito.
La candidata aveva accettato l’inquadramento e il trattamento economico propostole, in equilibrio con l’andamento della scala retributiva interna che, secondo la nostra politica, era ‘equa’ e ‘competitiva’.
Fissai l’incontro per l’indomani, presto, alle otto.
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Margherita si presentava molto bene.
Abbastanza alta, abito semplice, alquanto elegante, lieve trucco sulle labbra carnose, volto ovale, bionda, snella ma non magra, petto e fianchi proporzionati. Voce gradevole.
Non una vamp, ma una donna giovane, piacevole, e si comprendeva che era abituata a comportarsi in ufficio: atteggiamento collaborativo, disinvolto, attento, senza indulgere al servilismo.
Così, a prima vista, e dalle poche parole scambiate, mi sembrava che valesse la pena un breve periodo di prova. Accettò.
Sarebbe tornata l’indomani.
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Se desideravo un ‘filtro’, Margherita era una barriera insormontabile. Sapeva che Castore e Polluce avevano accesso diretto, ma per gli altri c’era prima la sua valutazione e poi la comunicazione interfonica con me, lontana dall’orecchio dell’interessato.
Quello che, credo, non era molto accetto dalle colleghe era quel suo sentirsi, mostrarsi e agire come la segretaria del ‘capo’.
Era precisa, attenta, e, se richiesta dava pareri molto equilibrati.
Per mostrarmi files, per farmi firmare, notare qualcosa, si metteva accanto a me, in piedi, e sentivo il suo profumo tenue e gradevole. ‘Scent of woman’, profumo di donna, anzi Meg scent, profumo di Margherita.
Con la coda dell’occhio vedevo la curva dei fianchi, il tondo delle natiche e, quando si chinava, il seno si evidenziava piacevolmente.
Lo faceva intenzionalmente?
Forse, ma era decisamente attraente, interessante.
Il fatto, poi, che ero lontano da casa e che conducevo una vita abbastanza’ castigata, faceva sì che quel profumo cominciava ad eccitarmi, quelle forme ad attrarmi.
Margherita era una gran bella figliola. Sì, poteva essere quasi mia figlia, io avevo diciotto anni più di lei.
Ormai erano diversi mesi che le cose andavano avanti più o meno così.
Venerdì sera aereo per Roma, lunedì mattina qualche scusa per andare alla locale sede della società, martedì primo aereo per tornare sul luogo di lavoro. A volte, in inverno, avevo dovuto prendere il WL, causa avversità atmosferiche. Ora, però, eravamo in piena primavera.
Con Margherita le cose andavano bene, c’era una buona intesa professionale, ed anche Castore e Polluce ne parlavano positivamente.
Mentre mi sottoponeva alcune pratiche, avevo trovato il modo per accertare la consistenza dei suoi glutei. Formidabili, per forma e solidità. Lei era rimasta imperturbabile. Non insistevo troppo perché, a quanto ci risultava, aveva lasciato il precedente impiego proprio per le’ attenzioni del suo Amministratore Delegato. Non volevo perderla, era valida, e si era impadronita presto e bene dei compiti assegnatile.
La pregai di venire da me.
‘Margherita, domani devo essere a Milano abbastanza presto, preferisco andarci questa sera, col treno. Per favore, prenoti al Principe di Savoia ed anche il treno. Mi fermerò due sere.’
‘Sa che io invidio un po’ i suoi viaggi? E’ da tanto tempo che non vado a Milano.’
‘Vuol venire?’
‘Guardi che la prendo in parola.’
‘OK, allora pensi lei alle prenotazioni di tutto. Io penso di partire verso le cinque del pomeriggio’ veda lei.’
Tornò dopo un’ora.
‘Questo &egrave il biglietto del treno, dottore, alle 17.07, sarà a Milano alle 18.45. L’albergo &egrave prenotato. Io penso di viaggiare separati, &egrave meglio. E, se permette, prendo il pomeriggio libero, sa, devo andare a casa, prepararmi.’
La guardai sorridendo.
Quindi, aveva accettato l’invito.
‘Anche lei, logicamente al Principe di Piemonte.’
‘Logicamente.’
‘Grazie, se vuole può andare anche adesso. Devo riguardare il lavoro per Milano. Ho tutto.’
‘Arrivederla a Milano.’
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Poco più delle diciannove, Reception desk dell’Hotel.
Dico che ho una prenotazione.
Guarda sul libro, mi risponde che &egrave il numero 412, e che ‘la signora &egrave arrivata da qualche minuto’.
Il commesso mi accompagna, si ferma dinanzi alla porta 412.
‘Vuole che apra col passepartout?’
‘Si, grazie.’
Apre la porta, prendo la valigetta dalle sue mani, gli do la mancia, Ringrazia e se ne va.
Entro.
Margherita &egrave in poltrona, legge una rivista.
Si alza, mi viene incontro sorridendo.
E’ elegantissima, nel suo abito da viaggio, pettinata e truccata alla perfezione. Sembra un’altra.
‘Già qui?’
‘Si, sono arrivata da poco.’
‘Ma questa, &egrave la sua o la mia camera?’
Mi guarda. Il sorriso &egrave sparito dalle sue labbra. Indugia un po’, prima di rispondere.
‘Credo che sia la sua, io’ me ne farò dare un’altra”
‘Un momento”
Mi guardo intorno.
Letto matrimoniale, camera ampia, con angolo salotto.
”un momento’ io credevo’ niente’ va benissimo così’.’
Avevo poggiato per terra la valigetta.
Margherita la prende e la pone sull’apposito sgabello. Accanto alla sua.
No, non sono ipocrita.
Io un pensierino su Margherita lo avevo fatto da tempo, ‘vuol venire’ era stato detto più come una battuta, e quando mi ero accorto che l’aveva preso sul serio mi era sorta una speranzella, ma non immaginavo, insomma, di trovarmela in camera!
Meglio così.
Dissi che andavo a farmi la doccia.
‘La comprendo, io l’ho appena fatta.’
Mi veniva da sorridere, avevamo deciso di andare a letto insieme e ci davamo del ‘lei’. Che fa, la dovevo baciare? Inavvertitamente mi accorsi che avevo alzato le spalle. Aprii la valigia, presi alcune cose, andai nel bagno.
Mentre lasciavo che l’acqua tiepida scorresse sulla mia pelle, pensavo che, forse, stavo facendo un errore. Dopo di allora i rapporti con Margherita, ovviamente, non sarebbero stati più gli stessi. Come ci saremmo trovati una volta tornati al lavoro? Avrei dovuto assegnarla ad un’altra struttura’ ma mi privavo di una valida collaboratrice e, in un certo senso, la punivo.
Perché lo faceva, Margherita?
Aveva un marito, che non conoscevo, poteva accettare uno dei tanti che le ronzavano intorno insistentemente. Certo non mi ritenevo irresistibile, ed avevo venti anni più di lei. Più o meno.
Che fosse una furba di tre cotte? In fondo, ero il suo gran capo, da cui dipende carriera e soldi.
E se, invece, si trattava di una semplice ‘avventura scopereccia’, come le chiamo io?
Mentre mi rivestivo cercavo di scacciare dalla mente questi ragionamenti contorti che rischiavano di rovinare tutto.
Quando riapparvi in camera, lei s’era aggiustato il trucco, ed era pronta per’
Per che cosa? Uscire, andare a cena, andare a letto?
La prima mossa toccava a me.
Cercai di essere moderatamente allegro.
‘Allora, Margaret, fatti vedere”
Avevo calcato il ‘ti’.
Lei girò su sé stessa.
‘Le piaccio?’
‘Credo che la risposta tu la possa trovare nel fatto che sei qui.’
Insistevo col ‘tu’.
‘Grazie, molto gentile.’
Impersonale. Abile la signora!
‘Che ne dici di andare a cena? Non qui, però, ma in un posticino migliore.’
‘D’accordo.’
Ci facemmo portare dal taxi in Galleria.
Locale discreto, e, malgrado la fama, ‘discreta’ anche la cena. Risotto allo champagne, filetti di sogliola, macedonia.
Conversazione vaga, un po’ sul lavoro, sulle famiglia, sul tempo.
‘Allora, Margherita, preferisci tornare in Hotel o andare al cine?’
‘E’ da molto che non vado al cine.’
‘OK’
Uscimmo dalla Galleria, verso il sagrato, voltammo a sinistra, sotto i portici, giungemmo al cine.
La locandina presentava ‘Bella di Giorno’, con la Deneuve.
‘Va bene questo film?’
‘Ne ho sentito parlare’ va benissimo.’
Entrammo, la ragazza ci accompagnò ai posti.
Devo dire che, con molto tatto e delicatezza, fu lei ad accostarsi alquanto, e allorché le presi la mano, se la portò in grembo.
Ecco, ora si comincia a comprendere perché non ho mai parlato di Margherita. Mi comportavo come un adolescente ai primi approcci! Io, a cinquanta anni, già nonno!
Poi fu la volta del braccio intorno alla vita, e lei pose la testa sulla mia spalla. Per chi ci vedeva dovevamo sembrare i fidanzatini di Peynet!
Comunque, andavo sempre più eccitandomi.
Qualche palpeggiamento, anche abbastanza deciso.
E il film finì.
Fu lei a parlare per prima.
‘Andiamo?’
Taxi, hotel, camera.
Credetti che fosse il momento di baciarla.
Doveva essere d’accordo, perché il bacio fu lungo e appassionato, le mani la strinsero a me, e sentii il suo grembo aderire come una ventosa, avida, impaziente.
Quando ci staccammo, le sue nari fremevano, gli occhi lampeggiavano.
‘Vado prima io al bagno’ faccio presto”
Attesi e, intanto, mi misi in pigiama.
Riapparve in vestaglia, con i capelli sciolti, veramente attraente, affascinante, stuzzicante. Ormai ero su di giri’
Non ci misi molto per le abluzioni di rito, e quando rientrai era a letto.
Un secondo dopo ero accanto a lei.
Non nascondo che, di solito, amo indulgere in qualche altro tipo di ‘contatto iniziale’, prima di andare a letto.
Per fortuna fu lei a prendere un po’ l’iniziativa: sedette sul letto e tolse la camicia da notte. Era una mossa intelligente perché sapeva benissimo che al naturale, senza la copertura delle stoffe, le sue tettine erano davvero commendevoli, statuarie, scolpite in alabastro rosa con venuzze azzurre, l’areola più scura e deliziosi capezzoli, di quelli a ciliegia, che sembrano invitarti a gustarli. Non mi feci pregare.
Come le labbra accolsero quei meravigliosi frutti, la mia eccitazione divenne prepotente, e mentre le mie mani percorrevano il vellutato di quella pelle tiepida e voluttuosa, le sue avevano sbottonato i pantaloni del pigiama e li stavano sfilando. Afferrò il fallo con dolcezza, lo carezzò teneramente. Volevo nascondere il volto tra le sue gambe, lievemente dischiuse, in quel vello morbido che le dita avevano sentito come riccioli di seta, avrei voluto lambire, succhiare, il piccolo clitoride che vibrava’ Fece un piccolo gesto di diniego col capo, smuovendo i lunghi capelli dorati che le coprivano le spalle, mi spinse delicatamente sul letto, salì su di me, a cavallo, e portò il mio glande impaziente e smanioso all’ingresso del più bel nido d’amore che abbia mai accolto il mio ‘uccellino’.
Un insieme di dolcezza, tenerezza, passione, vigore, voluttà che non conoscevo, che mi eccitava, infiammava, mi faceva ascendere a vette meravigliose, mi avvolgeva, mi illanguidiva deliziosamente.
Sentivo il piacere che saliva, impetuoso, in me, in lei, e fu una cosa meravigliosa raggiungere insieme l’acme dell’ebbrezza sentirla abbattersi, sfinita, sul mio petto, mentre il suo grembo andava lentamente rilassandosi, irrorato dal dilagare in lei del mio seme.
Una notte indimenticabile, ma non poteva essere l’unica.
L’indomani tutto mi sembrava più luminoso. E mi sembrava come se da tempo immemorabile i nostri corpi si conoscessero, si cercassero, si godessero.
Uscimmo, ed eravamo tentati di tenerci per mano. Solo che l’età, almeno la mia, avrebbe reso ridicola la cosa.
Ci fermammo dinanzi alla gioielleria.
Avevano avuto una simpatica idea. Un cartello diceva: il ciondolo d’oro con la vostra targa. Un elegante ciondolo in oro giallo, fatto a forma di targa automobilistica, nel quale si potevano inserire sigla e numero, in oro bianco.
Presi Margherita per mano ed entrai.
Chiesi di formarmi una targa MIA63004 la detti a Margherita. Mi guardò con fare interrogativo. Pagai, uscimmo.
‘Ora, posso sapere cosa &egrave?’
‘Guardala attentamente, &egrave la ‘tua’ targa, leggila: ‘mia sei, 30 aprile’, la data di ieri!’
Ora i suoi occhi brillavano.
‘Ma hai speso troppo!’
”troppo poco!’
Non poteva rimanere un episodio isolato.
E non lo fu!
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Lo so che mi ripeto, ma mi trovo a disagio di parlare di una specie di innamoramento, anzi di cotta, di infatuazione in età non più giovanissima e con una donna che aveva venti anni meno di me.
Pensate: essere attratti dalla vicinanza al cine; sentire il desiderio di proclamare a tutti che ‘sei mia!’, fissarlo in un prezioso portachiavi. Regali da giovincelli (non per il prezzo!).
Essere in ansia per rivederla e, cosa gravissima per la doverosa serietà professionale, essere distratti dalla sua presenza. Guardarla e ricordarne la pelle, il tepore, la sfericità; l’ardore della sua passione, la voluttà del suo godere e far godere. E desiderarla, spasmodicamente.
Era tenera, dolce, e nel contempo ardente, focosa, impaziente.
Mi aveva detto che non era mai stata per tutta la notte tra le braccia di un uomo completamente nuda. E che le piaceva.
Si strofinava a me, come una gatta, e la incantava sentirsi carezzare, si muoveva voluttuosamente, languidamente, mi cercava con le labbra, mi lambiva con la lingua, emetteva un sordo gemito, come le fusa di una splendida gattina.
Mi faceva impazzire.
Logicamente, cercavamo di tenere segreta la nostra storia, ma’ non so se ci siamo realmente riusciti.
Trascorremmo il fine settimana ad Orta, in uno splendido albergo che una volta era un convento. Andammo a San Giulio. Al ritorno, in camera, ci spogliammo reciprocamente, quasi con furia, e fu un amplesso selvaggio, irruento. La sua pelle serbò il segno della mia veemenza, io mi sentii completamente ingoiato dal suo grembo, nel quale mi svuotai fino all’ultima cellula.
La mia lingua aveva trovato i punti di maggior sensibilità, su tutto il corpo, nel tiepido umido recesso della sua palpitante vagina.
I suoi orgasmi erano impetuosi, travolgenti, appassionati, intensi, e la lasciavano esausta, sfinita, disfatta, con una espressione estatica nel volto, e gli occhi incantati e incantevoli.
Ero capace di stare quasi fermo a lungo, a letto, con lei seduta sulle mie ginocchia, il fallo tra le sue natiche tonde e sode, una mano sul seno, l’altra tra le gambe. E lei dormiva, con quel suo tenue russare.
Poi, si muoveva un po’, si svegliava, allungava la mano, afferrava il mio sesso e lo avvicinava alla vagina, si arcuava, si faceva penetrare’. Ancora!
Eravamo a Venezia (io per ragioni di lavoro).
Avevamo fatto l’amore, a lungo, golosamente.
Ero rimasto sul letto, appagato ma non sazio.
Lei s’era alzata, così, nuda com’era.
S’era messa dietro al balcone. Guardava di fronte, San Giorgio Maggiore, la Chiesa, l’edificio della Fondazione Cini. Con la testa poggiata sul vetro.
Silenziosamente, mi alzai e mi avvicinai a lei, senza far rumore. Dietro di lei.
L’abbracciai, si accostò a me.
Bastò quel contatto per eccitarmi di nuovo, come se non la possedessi da tempo immemorabile.
Lo sentì, voltò appena il volto per sorridermi e farmi comprendere come anche lei fosse ancora desiderosa di sesso.
Mi piegai appena sulle gambe, mentre le dischiudevo delicatamente le natiche, e il glande fu vicino alle tumide labbra della sua vagina, le oltrepassò, entrò in lei, nel suo tepore incantevole.
Non posso descrivere esattamente come andarono le cose.
Ci ritrovammo sul tappeto: lei carponi, io che, da dietro, stantuffavo vigorosamente ghermendole il seno, strizzandole i capezzoli, frugando tra le sue gambe, titillandole il clitoride. Poi, dopo i fremiti del suo e del mio piacere, si distese, bocconi, e restai in lei, a lungo, fino a quando l’ansare diminuì, e andò pian piano spegnendosi. Mi alzai appena, si voltò, supina. E giacqui su lei, godendone il morbido del seno, il vello del pube, la dolcezza delle labbra.
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Mi telefonò da casa.
Durante la notte aveva avuto febbre alta, e non sapeva descrivermi esattamente se e quali disturbi avvertiva. Attendeva il medico.
La pregai di farmi avere sue notizie dopo la visita del dottore.
Quando mi richiamò era quasi mezzogiorno.
Il medico, dopo un esame attento della persona, ed aver ascoltato i sintomi, si era indugiato sulla sensibilità degli arti, della pelle’ e aveva insistito per un immediato ricovero in ospedale. Lei stava uscendo. Il marito l’avrebbe accompagnata. Il medico aveva già telefonato e predisposto tutto.
Ero in ansia, ma non era proprio il caso di precipitarsi all’ospedale dove stava per essere ricoverata.
Attesi nervosamente la sera.
Mi disse che avevano fatto dei prelievi, ed erano programmati ulteriori accertamenti per l’indomani. Sulla diagnosi non si erano ancora pronunciati.
Le dissi che sarei andato a trovarla, il giorno dopo, in fondo era la mia assistente.
‘Grazie, ma ritengo che solo sul tardi del mattino rientrerò nella mia camera’ terzo piano’ oncologia”
Quella parola mi colpì come un fulmine: ‘oncologia’.
Feci chiamare il nostro consulente sanitario, un luminare dell’Università. Lo pregai, se possibile, di farmi sapere qualcosa. Fu gentilissimo e mi assicurò che avrebbe fatto il possibile per avere notizie.
Era quasi mezzogiorno quando mi richiamò.
Disse che, sì, stavano conducendo accertamenti, ma che si sospettava qualcosa di serio. Si temeva che potesse trattarsi di leucemia mieloide .
Chiesi chiarimenti.
Si tratta, mi spiegò il mio interlocutore, di una iperproliferazione dei granulociti, che giungono quasi a completa maturazione, parallelamente a un incremento dei precursori dei granulociti a livello del midollo. Nella fase iniziale i segni sono astenia e perdita di energia, dovuti ad anemia di media entità, notevole ingrossamento della milza e modesto aumento di volume del fegato. Aggiunse anche che, allo stato della scienza, ci possono essere sviluppi abbastanza rapidi e non arginabili. Bisognava attendere.
Il pomeriggio andai a trovarla.
C’era il marito, il figlio di sei anni.
Mi presentai, fui accolto con fredda cortesia.
Margherita era molto pallida. Non la vedevo da due giorni, ma sembrava trasformata. Lo sguardo non aveva la solita vivacità. Le gote sembravano flosce. Come se qualcuno le avesse strappato il suo solito aspetto.
Non potei che formularle l’augurio di guarigione ‘solite parole- dicendo che tutti la aspettavamo di nuovo al suo posto.
Non mi piaceva come la vedevo.
La sera, tardi, mi telefonò.
Mi pregò di non tornare’ ‘sai’ per gli altri”, ma mi sembrò che non voleva farsi vedere in quello stato.
Dopo alcuni giorni la dimisero, ma doveva seguitare una terapia mirata.
Gli effetti non furono soddisfacenti.
Venne a trovarci, accompagnata dalla mamma. Era malferma sulle gambe.
Sembrava una bambola di gomma, di quelle gonfiate ad aria, che andava pian piano afflosciandosi. L’aria &egrave la vita di quelle bambole, ed era la vita che sfuggiva da Margherita. Inesorabilmente.
La mamma sapeva tutto di noi.
Mi salutò affettuosamente nell’accomiatarsi, scuotendo la testa e gli occhi pieni di pianto.
Margherita sorrideva, ma aveva un’aria assente, come incantata: il male, la terapia!
La porta dell’ascensore si chiuse lentamente.
Dopo qualche giorno tornò in ospedale’ peggioramento rapido’
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Parenti, colleghi, amici’ sfilavano lentamente, si soffermavano per una preghiera, un segno di croce, un saluto.
Era irriconoscibile.
Il volto contratto, come mummificato. Le dita scarne, esili.
Reggevano una corona, e un ciondolo, un portachiavi: MIA63004 !
La madre era seduta su una sedia, poco distante.
Mi avvicinai per porgerle le mie condoglianze.
‘Ha voluto sempre tenerlo tra le sue mani! Mi ha fatto promettere che l’avrei messo tra le dita per l’ultimo viaggio!’
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E’ una storia vera.
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