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Racconti Erotici Etero

Turbine

By 23 Dicembre 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Quando papà confermò la sua assegnazione alla dirigenza della sede di Tribove
non ci colse di sorpresa, sapevamo che ci doveva essere uno spostamento. Città non molto grande, Capoluogo, e, ciò che più contava, non troppo lontana dalla nostra residenza abituale. Si prevedeva in almeno un paio d’anni la permanenza nella nuova sede, prima di essere spostati ad altra di maggior importanza.
Per fortuna, c’era l’Università, e io dovevo iscrivermi al primo anno. Forse non era male. Il luogo incoraggiava lo studio, non c’erano eccessive distrazioni, e tutto deponeva a favore di quella parentesi. Nina, mia sorella, si sarebbe iscritta alla prima media.
Mamma sapeva che a Tribove c’era Paola, la sorella minore della sua compagna di scuola, Rosetta. Non la vedeva da diversi anni e, del resto, non c’era stata una grande amicizia, tra loro, dati gli oltre dieci anni di età che le dividevano. La ricordava una ragazza carina. Ora, a trentadue anni, era sposata, madre di due gemelli, e da diverso tempo viveva a Tribove, dove il marito faceva il ferroviere.
Già conoscevamo Tribove, ma decidemmo di andarvi a trascorrere un week-end.
Città con molte attrattive, e un caratteristico quartiere medievale. Ci saremmo sicuramente trovati bene. Papà non disse di quella visita al collega che avrebbe sostituito. La cosa fu abbastanza piacevole. Dopo aver pranzato, la domenica, mamma telefonò a Paola, la informò che eravamo in città, del nostro trasferimento. Paola si disse felicissima, e che ci attendeva per il caff&egrave. Non voleva sentire storie. Non vedeva mamma da diversi anni, la ricordava benissimo, voleva conoscerci tutti, ci avrebbe presentato il marito, Antonio, oggi di riposo, e i piccoli Simone e Marta, i gemelli, di sei anni.
Nina ed io ne avremmo fatto volentieri a meno, ma non ci fu nulla da fare, e così ci avviammo alla casa di Paola, una strada abbastanza nuova, dietro Prato Giardino.
Un appartamento non lussuoso, ma molto ben tenuto.
Fummo accolti con molta cordialità, l’abbraccio tra mamma e Paola fu più che affettuoso.
Ci fecero entrare nel ‘saloncino’, come lo chiamò Paola.
Paola.
Non me la immaginavo, così.
Era una giovane donna che dimostrava meno dei 32 anni che aveva.
Non molto alta, un personale snello, armonioso. Capelli nerissimi, abbastanza lunghi. Occhi verdi, straordinari. Un visetto grazioso, con qualche tratto che ricordava la bimba capricciosa che certamente era stata.
Gambe snelle, che potevano perfino apparire alquanto nervose, ma che, invece, erano perfettamente in proporzione con tutto il resto. Una bambolina, insomma, graziosa e attraente. Un vestito scuro, con risvolti chiari, scollatura a ‘V’. Quello che mi colpì sopra ogni cosa fu la prepotenza di uno splendido paio di tette, non grosse ma evidenti nel vestito che lasciava intravedere perfino i capezzoli. Dio che attrazione. La mia età mi portava sempre a considerare la donna da quel punto di vista: attrazione fisica e’ idoneità a quell’esercizio che, però, per me era solo agli esordi. Inutile dire che ero sempre curioso e’ eccitato!
A fare da contrappeso a quell’affascinante e stuzzicante impianto mammario, un culetto di sogno, meravigliosamente disegnato, rotondeggiante, e la stoffa, lievemente strecht, ne evidenziava perfino l’incantevole ed eccitante incavo tra le natiche.
Per fortuna stavo seduto.
Ma dovetti alzarmi. Entrò Antonio, persona abbastanza giovane, sui quaranta, serio, cordiale ma controllato. Non aveva fatto una brillante carriera, era ancora costretto a viaggiare, come controllore, e ciò non era quanto di meglio sperasse.
Paola mi attizzava.
Per di più, sedette proprio di fronte a me e aveva le gambe accavallate in modo tale che offriva un seducente panorama delle sue cosce, quando, poi, si abbassò sul tavolino per prendere le tazzine di caff&egrave, dalla scollatura s’intravide pienamente la ragione di quei puntuti capezzolini che spingevano la stoffa: non indossava reggiseno.
E che sguardo mi rivolse quando mi porse il caff&egrave.
‘Spero che ti piaccia, Piero. Posso darti del tu, vero?’
Annuii solamente, perché non riuscivo a parlare.
Seguitando a guardarmi fissamente, disse che sapeva che mi iscrivevo al primo anno, e che io, per andare all’Università dovevo passare non lontano dalla sua abitazione e che, quindi, in caso di necessità dovevo considerarla un po’ casa mia, dove avrei trovato sempre un caff&egrave a disposizione. O quant’altro desideravo. Antonio si limitò ad assentire con la testa.
In effetti per andare dall’appartamento che avremmo occupato, messo a disposizione dalla banca, che era nello stesso edificio della Sede, all’Università dovevo proprio passare lì vicino.
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Due settimane dopo, eravamo nella nuova residenza, nella nuova casa.
Mancava poco all’inizio delle scuole medie. Quella di Nina era poco distante dalla nostra abitazione, meno di duecento metri.
Pensai di fare una capatina all’Università, mancava ancora qualche giorno prima dell’apertura dell’anno accademico. Decisi di andarci in scooter, il tempo era abbastanza bello.
Ero sulla strada del ritorno, dovetti fermarmi al semaforo. Paola era sul marciapiede in attesa del verde. Le feci un cenno di saluto con la mano, ma mi guardò con aria seccata e non rispose. Strano, a casa mi dava certi sguardi! Poi capii che avevo il casco integrale. Accostai e lo tolsi.
Il volto le si illuminò d’improvviso. Eh, sì, era proprio bella.
‘Ciao, Piero, non ti avevo riconosciuto. Spero che stavi venendo a casa mia a prendere un caff&egrave!’
‘Veramente sono un po’ in ritardo per l’ora di pranzo, ma le assicuro, signora, che profitterò della sua ospitalità. Magari le telefono prima.’
Paola scoppiò in una risata spontanea, argentina, rovesciando leggermente la testa indietro.
‘Ma come parli, Piero: signora’ mi dai del lei’! Mi tieni a distanza, eh?’
‘No’ veramente’ io”
‘Dai, non farmi sentire una vecchia cadente, dammi l’illusione di essere ancora un po’ giovane. Sono Paola’ guarda che combinazione, Paola e Piero, festeggiamo l’onomastico nello stesso giorno. C’&egrave qualcosa che ci unisce”
Scossi il capo, leggermente, e pensai che io ce l’avevo qualcosa per’ unirmi a lei. Era proprio una gran bella fica. Una bambolina ‘tec’, come diciamo tra amici: ‘tette e culo”
Si avvicinò per salutarmi, con una lieve carezza sul viso.
‘Allora, non deludermi’ ti aspetto.’
Mi feci audace.
‘Certo, aspettami, vedrai che non ti deluderò!’
Tornai a casa. Ormai Paola era divenuta il caso da risolvere.
Io, Piero, avrei fatto del mio meglio, e lui’ ‘pierino” reagì prontamente, era già bello e pronto!
^^^
Dapprima avevo pensato a un approccio lento e progressivo. Ma ‘pierino’ non si disse d’accordo. Per lui bisognava agire subito e decisamente. O la va o la spacca. Perché perdere tempo?
Si, va bene, ma lei come l’avrebbe presa? E se mi illudevo circa il significato degli sguardi, delle parole?
Alzai le spalle.
Le telefonai.
‘Paola? Sono Piero. Sempre valida l’offerta?’
‘Validissima, ti aspetto, quando vieni? Domattina porto i bambini a scuola e poi torno a casa. Sarò sola, Antonio &egrave andato di rinforzo al deposito di Orte, rientrerà domani pomeriggio. I bimbi devo andarli a prendere alle cinque del pomeriggio. Perché non resti a pranzo da me?’
Rimasi un momento in silenzio.
Lei parlò di nuovo.
‘Piero? Sei li?’
‘Si, si sono qui. D’accordo, sarò lieto di restare a pranzo.’
‘Piero?’
‘Si?’
‘Se &egrave possibile, non dire ai tuoi che vieni a trovarmi.’
‘OK. Mi farò dare l’auto da mamma e dico che vado a una gita con un amico appena conosciuto.’
‘Bravo, ti aspetto.’
^^^
Verso le dieci del mattino successivo, le telefonai avvertendola che stavo andando da lei. Mi fermai a comprare dei fiori.
Fui molto sorpreso, giungendo al suo portone, vederla sul marciapiede, con una gonna marrone chiaro, camicetta più tenue, una borsa sportiva e un angelico sorriso sulle labbra.
Mi fermai, si avvicinò, aprì lo sportello e salì.
La guardai sconcertato.
‘Ciao. Ho pensato che &egrave una bella giornata, potremmo fare una passeggiatina, un po’ fuori, magari all’Eremo della Palanzana.’
‘Come vuoi.’
‘una breve camminata, per conoscerci meglio’ poi’ a casa’ per il pranzo. Ho preparato tutto.’
‘D’accordo, e dove devo andare?’
‘Torna indietro, costeggia le mura, poi ti dirò. Non &egrave lontano, &egrave oltre la via IV novembre.’
Le porsi, un po’ timidamente, i fiori.
‘Che belli, sono splendidi, freschi, profumati’ non dovevi disturbarti. Grazie.’
E si avvicinò per rami un bacio sulla guancia.
Non parlai molto, ogni tanto gettavo uno sguardo a lei. Belle ginocchia, niente da dire, e un personalino meraviglioso. Anche lei, ogni tanto, mi osservava di sfuggita.
Dopo un paio di chilometri oltre l’abitato, mi disse di girare in un viottolo, a destra, e di fermarmi.
Scendemmo. C’era un piccolo belvedere. Mi prese per mano e si avviò alla balaustrata.
Ci affacciammo, vicinissimi.
‘Bello qui, vero?’
Annuii.
La mia mano era ancora nella sua, lei, dolcemente la portò sul suo fianco. Morbido, caldo, eccitante. Salii un po’, verso il seno. Lo sfiorai, era sodo e delicato nel contempo. Le dita spinsero. Si accostò ancor più a me, la sua mano si strinse verso lei.
Ma che stavo a fare. La passeggiatina romantica?
Non ci stetti a pensare. La presi tra le braccia, la serrai a me, posai le mie labbra sulle sue, che si dischiusero avidamente. Le lingue, avide, appassionate, tentarono di allacciarsi. Le sue braccia erano attorno al mio collo, mi tirava verso lei, si era sollevata sulla punta dei piedi, sentivo il suo grembo, sussultante, irrequieto, carezzare il gonfiore della mia patta.
Un bacio lunghissimo, e ci staccammo solo per riprendere fiato.
Mi guardò con occhi lucidi, fiammeggianti.
Respirava a fatica.
‘L’ho capito dal primo momento’ Piero’ mi sento presa da un turbine incontenibile, sono confusa. Non mi &egrave mai capitato”
Splendida bambolina, meravigliosa.
La baciai ancora, più ardentemente di prima, e questa volta le mani sotto le sue strabilianti natiche la sollevarono alquanto, tenendola sospesa. La patta, quasi sul punto di scoppiare, era tra le sue gambe.
‘Sei splendida, Paola’. Andiamo a casa?’
Annuì.
Stavo per chiederle se avessi superato l’esame per cui mi aveva fatto andare in quel luogo. Stetti zitto. Potevo rovinare tutto.
Risalimmo in auto, allacciammo le cinture, mi avviai senza fretta. Misi una mano sulla sua gamba, e lei la ricoprì con la sua.
Era bellissima. Sembrava una sbarazzina che avesse marinato la scuola. Ogni tanto mi guardava e sorrideva. Arrivati nei pressi della casa mi indicò uno slargo, sul retro, dove posteggiare. C’era un portoncino, chiuso a chiave. Lo aprì, entrammo, prendemmo l’ascensore, salimmo all’ultimo piano: casa sua.
Mise il catenaccio alla porta. Mi afferrò la mano e mi condusse direttamente nella sua camera.
Stavo vivendo tutto come in sogno. Certo, io speravo in qualcosa, ma non così presto e in quel modo, quasi incredibile, inatteso, fiabesco.
Aveva lasciato la borsa in anticamera. S’era tolta le scarpe. Così era più bassa, ma più deliziosamente amabile, ripeto: una vera e propria bambolina. Ero rimasto ancora col giubbotto. Mi venne di fronte, mi aiutò a sfilarlo, come pure la camiciola sportiva. Mi baciò sul petto.
L’afferrai, ingordo, la baciai sulla bocca, nella bocca, e le mani s’infilarono sotto la gonna, afferrarono il caldo compatto e fremente delle sue natiche tonde e nervose.
‘Aspetta’ aspetta”
Respirava affannosamente.
Si staccò un po’ e tolse la blusa, lasciò cadere la gonna. Rimase con un minuscolo slip solamente.
Incantevole.
Inutile parlare della mia eccitazione che rendeva perfino difficile sfilarmi pantaloni e boxer. Ero a disagio per la mia violenta erezione.
Paola mi guardò, ‘lo’ guardò, con volto pieno di dolcezza, tenerezza.
Cadde in ginocchio, ‘lo’ prese tra le sue dita affusolate, con grazia, quasi con un gesto di religiosità, chinò il capo, ‘lo’ baciò, dapprima timidamente, alzò gli occhi a fissarmi, chinò di nuovo il capo. Sentii il mio fallo avvolto dal caldo umido della sua bocca. Rimase ferma un istante. Poi la lingua girò intorno al solco balanico del glande. Non ne potevo più, stavo per scoppiare.
Paola mi guardò di nuovo.
‘Scusami, bambino, non l’ho fatto mai, ma &egrave così bello, che non ho saputo trattenermi dal baciarlo.’
La sollevai, la presi tra le braccia e la deposi sul letto, le tolsi lo slip.
Fianchi meraviglioso, ventre piatto, un boschetto di riccioli corvini nascondeva il suo sesso.
Le sue natiche erano sulla sponda, le gambe pendenti. Le divaricai. Una visione inebriante, esaltante. Una vulva di forme perfette, senza alcuna escrescenza o frangiatura. Grandi labbra carnose, adornate di serici peli. Poi, il rosa palpitante dell’interno, delle piccole labbra. Le aprii appena. Un grazioso clitoride che sobbalzò al lieve tocco delle mie dita.
Fui io, ora, ad inginocchiarmi, a tuffare la testa tra le sue gambe, e la lingua la lambì dovunque, penetrò prepotente e curiosa a esplorare il tepore della sua vagina, ne saggiò le contrazioni, tornò a sfiorare il clitoride, a lungo. Sentivo Paola gemere, sempre più forte, il suo grembo sussultare, irrefrenabile, convulso, e mentre quel suo lungo mugolio cresceva sempre più, sentii le sue mani sulla mia testa, stringermi a lei, le gambe la imprigionarono, sobbalzava impetuosamente, quasi urlava, e provai l’agro-dolce sapore del suo godimento che distillava sulla mia lingua la testimonianza del suo piacere.
Il mio fallo sembrava esplodere da un momento all’altro.
Paola restò quasi inanimata, solo il suo respiro alzava e abbassava il turgido seno. Le mani erano lungo il corpo, le gambe erano cadute giù, penzoloni.
Il seno, quelle tette bellissime mi dissero che volevano essere baciate, ciucciate. Strisciai su lei, raggiunsi i capezzoli con la bocca. Cominciai a suggerli voracemente.
La sua mano s’insinuò tra i corpi, afferrò il fallo impazzito e lo condusse all’entrata calda e umida della vagina. Mi afferrò i fianchi, mi tirò ancor più su lei. Il glande era proprio al suo palpitante orifizio’ entrò, lentamente, lei inarcò il bacino, mi accolse golosamente.
Ormai non ero più padrone dei miei movimenti. La stavo pompando quasi con furia, ma senza violenza, dolcemente, profondamente. Credo che il glande battesse il fondo della sua vagina.
Le gambe di Paola erano incrociate sul mio dorso, e ritmavano la cadenza. Le mani erano afferrate ai miei glutei, ne assecondavano i movimenti, li guidavano.
Sentivo il fallo avvolto, stretto, munto, succhiato.
Era roca la sua voce, irriconoscibile.
‘Sì tesoro’.sì’ sei un dio’ mi fai morire di piacere’ siiiiii’. Morire’. Di piacere’. Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!’
E in quel momento sentii che non potevo più trattenermi, un colpo di reni più forte degli altri, un attimo di attesa, solo un attimo, le dighe del mio seme crollarono e l’invasi con un fiotto caldo, inarrestabile, che la fece tremare come una foglia.
Poi, giacque, ansante, sudata, con gli occhi chiusi un volto estatico.
Rimasi su lei, in lei, su quel morbido e caldo corpo che respirava ancora affannato, e sentivo sempre vivo il desiderio di possederla, di svuotarmi completamente in quel grembo meraviglioso.
Non fu facile sollevarmi.
Era bellissima, mi guardava con occhi raggianti, le labbra dischiuse, un lieve sorriso.
A malincuore, mi sfilai da lei.
La traccia del nostro comune godimento distillava dalla sua rosa vagina.
Si tirò su, seduta.
Un profondo respiro.
‘Scusami un momento, un solo momento”
Così, nuda com’era, corse nel bagno. Sentii scorrere l’acqua. Io, intanto, avevo preso dal pavimento i miei boxer e mi ero accuratamente asciugato da ogni residuo che m’ imbrattava fallo e pube. Poi mi sdraiai sul letto, con le mani dietro la nuca.
Paola riapparve. Come un raggio splendente, abbagliante. Un corpo perfetto. Tette sode, tondeggianti, con rosse ciliegine che le abbellivano. Ventre piatto, pube reso più bello dal triangolo serico e scuro dei suoi riccioli. Un culetto incantevole, eccezionale, disegnato deliziosamente con due glutei che mi fecero subito venire a mente il nostro gergo goliardico: ‘chiappette prensili’. Certamente, erano stuzzicantemente prensili. Rabbrividii al solo pensiero che il mio ‘birillo’ potesse essere stretto da esse. E nel contempo l’interessato si imbaldanzì, voglioso e desideroso.
Paola notò l’eccitazione. Sedette sul letto, si chinò a baciarlo, poi, lentamente, sempre tenendolo tra le sue dita e baciandolo, si distese su me, in modo tale che il suo sesso fosse proprio sul mio volto.
Aveva le gambe aperte. Sentivo sul viso i suoi peli e sulla bocca il turgore delle grandi labbra. La lingua non perse tempo. La lambì, s’intrufolò in lei, sentì il sapore di quello strano cocktail formato dalle nostre linfe, girò intorno, sfiorò il clitoride, rientrò e uscì, sempre più calorosamente.
Il suo grembo sussultava, i suoi movimenti accompagnavano la mia passione, si strusciava sul mio volto’ Intanto, le sua boccuccia, incredibile, aveva accolto il mio ‘birillo’ e lo stava premurosamente suggendo, mentre la lingua picchierellava di quando in quando il glande e lo carezzava tutt’intorno.
Si sentiva solo il rumore delle nostre bocche.
Movimenti sempre più vigorosi, nervosi, quelli del bacino di Paola, e voracità sempre maggiore nel mungermi il fallo.
Un fremito lungo e possente, e percepii l’acre del suo orgasmo che scendeva nella mia bocca, nello stesso momento sentii il generoso contraccambio del mio seme caldo che lei ciucciò golosamente’
E aveva detto che non lo aveva fatto mai!!!
Come si impara presto nella vita, se si segue la natura!!!
Restammo così, non ricordo per quanto tempo.
Paola lo carezzava dolcemente. ‘Lui’, grato, stava di nuovo incredibilmente ricrescendo.
Paola si rimise seduta, mi guardò con quei suoi occhi neri e smaglianti.
‘Sei un dio, Paolo’. Il mio dio’ ho fatto quello che non immaginavo avessi mai fatto’ e mi &egrave piaciuto’ tanto’ lo rifarei”
Carezzava il fallo.
”sei instancabile, bambino mio’ instancabile’ ed anche io’.’
Si mise a cavalcioni, prese la verga e vi ci infilò con voluttà e dolcezza. Iniziò un lungo, lento ondeggiamento che mi dava nuovamente l’ebbrezza di sentirmi in lei.
Seguitò, sempre più rapidamente, fin quando tornò a emettere il suo lungo gemito, con la testa rovesciata indietro, il seno sussultante, e la vagina che si contraeva sempre più, stringendolo, mungendolo’ si rilassò solo dopo un altro travolgente orgasmo, in attesa del balsamo finale che non le negai.
Si riversò su ne, mi baciò, appassionatamente gli occhi, la bocca’.
Alzò il volto. Bellissima.
‘Scusa’ sto trascurando il motivo per il quale ti avevo invitato: il pranzo!’
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