Skip to main content
Racconti Erotici EteroRacconti Erotici Lesbo

Un mondo all’estremo

By 15 Maggio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Capitolo 1 _ Risveglio

Un rumore metallico. Uno scintillio. Un guizzo elettrico. Infine il sistema di allarme si mise a suonare. Il capitano Jenna Mastricht levò per un attimo lo sguardo dal radar di guida, chiedendosi che cosa stesse accadendo. Il monitor segnalava un’anomalia nel cargo di trasporto, al piano più basso dell’aeromobile. Dal momento che era sola non spiccicò una parola e prese tutte le precauzioni perché il pilota automatico facesse il suo dovere.
Non avrebbe dovuto scendere, non era necessario, ma la curiosità l’attanagliava crescente: non era mai accaduto un guasto in quella sala, e poteva essere solo una cosa. Jenna si tolse le grosse cuffie e i suoi finissimi capelli turchini si adagiarono sulle sue spalle. Gettò il mantello oltre il sedile e si precipitò fuori dall’abitacolo. Sulle scale interne di acciaio il sistema d’allarme suonava un poco più forte. Scivolando giù dalla rampa senza nemmeno accendere le luci sbatté improvvisamente contro qualcuno, che emise un lieve gemito di dolore.
‘Ohi!’ fece la voce familiare.
‘Iris! Scusa! Scusami, andavo di fretta!’
Il capitano Jenna aiutò la sua assistente a rimettersi in piedi.
‘Si figuri capitano! Stavo per salire a chiamarla! Cosa dobbiamo fare?’ fece Iris.
‘Non dev’essere nulla di grave, Iris, me ne occupo io. Vai all’abitacolo e controlla che il pilota automatico faccia il suo dovere. Non si sa mai’.
A un assenso servile di Iris, Jenna le strizzò l’occhio e scese fino all’ultimo piano. La sua carta magnetica le permise di entrare nel cargo di trasporto e con un gesto sapiente sul quadrante generale spense l’allarme. Ora udiva solo un gran silenzio. Accese le luci a led a bassa diffusione e tese le orecchie, incamminandosi all’interno. Le lunghe file di bare criogeniche di acciaio e vetro ultraresistente erano al loro posto. Gli uomini al loro interno pure…
Eccola! Si disse. Uno dei monitor ai piedi delle bare era spento. Anzi era rotto, come si notava dalla ragnatela di crepe su di esso. Forse era imploso per un cortocircuito con il liquido refrigerante, che di norma non avrebbe nemmeno dovuto sfiorare il computer. Guardò allora l’uomo nudo all’interno. Sembrava immobile come tutti gli altri. Ma pian piano quella figura congelata stava prendendo coscienza della propria esistenza e Jenna se ne accorse. Vide uno scatto alle articolazioni. Come da programma, il corpo aveva ripreso a funzionare, e nel giro di pochi minuti il suo colorito divenne meno pallido. Il sangue stava riprendendo il suo percorso naturale in quell’uomo, dopo quasi vent’anni di congelamento artificiale. Jenna assistette al risveglio incredula. Non avrebbe mai potuto accadere una cosa del genere. Solo particolari macchinari avrebbero potuto portare a termine quel processo, e comunque non certo in un aeromobile di trasporto!
Il capitano Jenna trattenne l’emozione grazie ai suoi proverbiali nervi saldi, ma era così difficile. Cinque anni. Erano cinque anni che non vedeva un uomo, un maschio vivo. Mentre l’uomo cominciava a respirare lentamente, ella prese una cartelletta e passò il dito tra i numeri fino a trovare il corrispondente. Questo si chiamava Arshes. Non aveva un cognome. Forse non era neppure il suo vero nome. Addotto alla criogenia nel maggio 2018, a ventuno anni. Quell’uomo, o poteva chiamarlo ragazzo, aveva ancora biologicamente ventuno anni, nonostante fossero ora nel 2037. Quasi vent’anni erano passati! Jenna non si era mai e poi mai posta la questione, ma si rese conto ora che trasportava una trentina di maschi che, nonostante le apparenze giovanissime, potevano tranquillamente essere suoi padri. Arshes ne aveva ventuno, appena due in meno di lei, ed era inutile mettersi a fare calcoli. Il suo corpo non era invecchiato, né la sua coscienza. Aveva a tutti gli effetti ventun anni.
E’ molto bello, pensò Jenna. Ora che il ghiaccio si stava sciogliendo grazie alla temperatura esterna, poteva vedergli il viso in tutti i suoi lineamenti: molto fine e non troppo mascolino, a dire il vero. Arshes aveva capelli di media taglia, ora completamente bagnati, ma il colore giallo grano nelle sue fibre già risplendeva.
Il suo corpo, non molto muscoloso, quelle mani affusolate, e là sotto, ancora a riposo, ciò che Jenna non aveva mai avuto occasione di vedere davvero, e potrà il lettore saperne il motivo un po’ più avanti.
Jenna si sentiva confusa per l’eccitazione che la sola vista di quel fiore in sboccio dalle fattezze di uomo le stava donando. Dentro di sé sapeva che un uomo vero non era affatto come tutti i macchinari e i vibratori che l’equipaggio possedeva in dotazione per calmare i propri istinti. Doveva essere meglio. Perché respira. Perché &egrave vivo, e si emoziona. E allora il gioco si fa in due, i traguardi sono due! Jenna era sì un capitano di esperienza, la più saggia e preventivata donna dell’equipaggio, la più pacata, la più ferma e la più coraggiosa, ma in quel momento per lei nuovo (e forse rivoluzionario per chiunque, in quel tempo) aveva completamente perso la testa. Aveva conservato un briciolo di buonsenso che le permise di scrutare i dintorni semibui prima di passarsi le dita sotto la gonna di acrilico. Ora che si era bagnata, ed era pura emozione fatta goccioline, ora che con l’altra mano toccava il membro gelido di Arshes, curiosa come una bambina, ora sì che si sentiva realizzata. Il suo fiore irrorato di rugiada le inviava scariche elettriche al cervello come non le aveva mai sentite, e più il membro di Arshes si induriva naturalmente, più lei godeva. Da semplici carezze a una violenta masturbazione, non tanto per il timore di essere vista (il senso del pudore, tra quelle ragazze, era cambiato parecchio nel corso dei decenni) bensì per la pura professionalità gettata al vento! Chissà cosa avrebbe detto Iris se l’avesse vista a masturbarsi convulsamente, trattenendo i gemiti quando avrebbe voluto ululare, mentre malmenava il pene a un maschio che si stava risvegliando a causa di un ignoto guasto tecnico. Avrebbe dovuto sistemare tutto, chiamare il medico di bordo e assistere all’evento straordinario con la massima sicurezza e cautela. Invece no, poiché l’assoluta novità l’aveva assorta. E era inutile negare quanto gli piacesse questo Arshes! La sua verga era ora ai massimi livelli, potremmo dire che nessuno avrebbe potuto sperare in un risveglio migliore dalla criogenia. Peccato che in quel frangente Arshes di certo non poteva avere il sesso per la testa!
Jenna c’era quasi, era così vicina all’orgasmo che una piccola lacrima fece capolino dagli occhi. Era paonazza e nel pieno del vigore quando la voce debole del ragazzo la riportò indietro.
‘Cosa’ cosa..?’
Jenna urlò d’istinto e cadde indietro. Si era svegliato! Era stordita, anche un poco delusa. Mancava così poco’ Ma ci mise poco a rimettere ordine alle idee. Asciugandosi le dita sulla gonna si alzò e osservò curiosa Arshes che aveva aperto gli occhi. Ora si fissavano, e rimasero immobili per quelle che sembravano ore. Non era uno sguardo d’amore, l’amore Jenna non sapeva nemmeno cosa fosse. Non esistevano più relazioni da dieci o più anni, dopo la terza guerra. Non per qualche regime politico assurdo, semplicemente perché mancavano uomini, mancava il tempo, mancava la voglia, dacché la quasi totalità del mondo era ancora alla fase di riparazione del disastro. Loro stesse, lei e il suo equipaggio, si occupava di trasportare quei pochi maschi preventivamente congelati in luoghi dove serviva il ripopolamento. Arshes, come tutti i suoi compagni era niente più che un donatore di sperma. Peccato (si fa per dire) però che tutti quei ragazzi avevano passato l’adolescenza in tempi molto più lieti, quindi avevano ben assimilato quel grande dono che &egrave l’amore, al contrario delle povere generazioni successive.
Per questo agli occhi di Jenna quel maschio, quella cosa nuova, aveva dato tante emozioni fino a rapirla e a farla sprofondare nell’unica cosa che il suo istinto le aveva suggerito, una grande eccitazione. Questo l’aveva sconvolta a dir poco perché in fondo aveva visto più volte quei maschi, sempre sotto un vetro, e mai aveva provato anche solo l’idea di avere una reazione del genere. Ora si sentiva una bambina che doveva ancora scoprire tutto quanto.
‘Ho freddo” mormorò flebile Arshes.
‘Oh!’ esclamò Jenna ritornando alla realtà ‘Aspetta, aspetta! Santo cielo”. Corse al quadrante generale e schiacciò il pulsante per l’altoparlante: ‘Iris! Kora! Qualcuno scenda qui con una coperta!’.

———————————————————
Commenti a lestat.arteus@yahoo.it
Capitolo 2 _ L’istinto non ha pudore

Arshes sedeva nella vasca piena fino all’orlo. Mentre godeva del tepore che gli rinvigoriva ossa e muscoli sbatté le palpebre pesanti: faceva ancora fatica a vedere ma più il tempo passava, più la foschia si diradava.
Quella ragazza aveva scherzato sorniona, diceva che l’Ipersonno aveva completamente compromesso le sue capacità di parola. Arshes aveva sorriso come un ebete quando era riuscito a farfugliare ‘sto bene!’, e lei era scoppiata a ridere: ‘E’ la cosa più assurda che abbia mai visto. Un auto-risveglio!’.
Già. Chissà cos’&egrave successo, pensava Arshes passandosi un unguento sui capelli. Era lieto però di ricordarsi tutto quanto perfettamente. Quando era in quel corridoio del bunker in coda con altri uomini, quasi tutti militari. Quando parlottava con loro nell’attesa di firmare il loro volontario sonno glaciale, della paga straordinaria che avrebbero ricevuto al risveglio. Allora nessuno di loro sapeva il motivo di quel bando segreto che cercava volontari per addurli alla Criogenia, ma era certamente meglio venir segregati nella massima sicurezza che andare a morire in guerra, specialmente per chi come lui non aveva niente da perdere. O meglio, chi come lui aveva già perduto tutto quanto. Era impaziente di conoscere la situazione. Aveva chiesto a quella ragazza con la divisa rossa se la guerra fosse terminata, ma lei sembrava avere molta fretta. Aveva detto soltanto: ‘Ora rilassati. Ti faremo qualche controllo medico e poi mangerai qualcosa. Quando sarai in forma parleremo’. Ricordò che usava un tono autoritario ma il suo timbro di voce era molto delicato. Arshes era così frastornato da non ricordarsi nemmeno il suo volto. Non il volto ma la sensazione di calore che l’aveva pervaso quando le sue mani l’avevano sollevato dalla cella. Arshes non aveva ancora forza nel corpo, e si lasciò guidare dalla sapiente donna che lo sosteneva. Si era lasciato avvolgere da una coperta, la stessa che giaceva lì accanto alla vasca, e aveva adagiato il suo viso nel seno del medico. Mentre si concesse un altro getto di acqua calda pensò al profumo del medico. Gli era rimasto impresso, e non sapeva perché. Era qualcosa di familiare, un’essenza di fragola, piuttosto forte in realtà, a non tutti sarebbe piaciuto. A volte certi odori rievocano passioni che non hanno volto né nome, e allora si arriva al bivio: tormentarsi per la vita fino a trovare una risposta, o lasciar perdere? Arshes non era un poeta, non era un ragazzo tormentato né amava rimuginare sull’incomprensibile. Non ci diede quindi molto peso, ma certo, questo se lo segnò a mente. Il medico portava un’essenza che a lui piaceva. E piaceva per un motivo ignoto, come un quadro può rapire lo spettatore senza apparente motivazione. Lo fa e basta. Perché il subconscio &egrave in grado di collegare i fili di emozione per la via più breve nelle grandi trame colorate dell’arcolaio della vita.
A ogni modo fu contento di sentire il suo corpo prendere vigore. Aveva ancora dei dubbi. Certo capì che non avrebbe dovuto risvegliarsi in quel posto (non sapeva nemmeno dove fosse), e chissà cosa gli avrebbero fatto. Era lì, nudo, solo e disarmato. Solo il pensiero di essere stato trattato in quel dolce modo fino ad allora lo convinse di trovarsi in un posto amico. Ancora un rumore metallico, un fruscio robotico lo sospinse a voltarsi di scatto: la porta automatica si era aperta. Ed era apparso qualcuno.
‘Disturbo? Come stai?’ fece Iris, l’assistente.
Arshes divenne paonazzo e tentò di coprirsi mentre lei avanzava e si sedeva con nonchalance sul bordo della vasca. Iris era piuttosto alta e aveva capelli lunghissimi, color blu scuro (chiaramente colorati artificialmente), degli occhi piccoli su cui poggiavano un paio di occhiali grandi e squadrati. Dalla divisa rossa, che si componeva di un insieme di corpetto, gonna corta e spalline, tutto in acrilico lucido e poca stoffa sui ghirigori dorati, faceva capolino un seno piacente di media misura. Ai piedi portava un nero paio di scarpe basse e molto aperte, probabilmente più comode che belle. Una bella visione, nell’insieme. Arshes, nell’assurdità del momento, non voleva mostrarsi troppo curioso sul suo aspetto. Goffamente tentava di nascondere le sue parti più intime, senza riuscirci, causa mancanza di qualsiasi tipo di schiuma.
‘Ah! Tranquillo, su! Sei ancora rimasto indietro coi tempi!’ sorrise lei con leggerezza.
‘In.. in che senso?’.
Iris ebbe un guizzo di malizia negli occhi e con uno scatto felino prese i polsi a Arshes e glieli bloccò, scoprendo la sua asta. Rideva come una ragazzina.
‘Ma che fai..?!’ esclamò Arshes.
‘Dai! Va bene che sei antico, ma ai nostri tempi non ci si scandalizza per così poco!’
‘Antico” fece lui massaggiandosi i polsi. La sua carne era ancora debole, lo sentiva.
‘Non volevo farti male, dai’ Giocavo un poco’ Iris cambiò espressione e si alzò dandogli le spalle ‘E’ vero, che idiota che sono! Professionalità! Professionalità, Assistente Iris!’ disse tra sé e sé.
Allora Arshes si alzò in piedi.
‘No, aspetta’ Non volevo essere brusco’ Sono ancora così’ ho mal di testa’
‘No, no! Scusami tu, Arshes! Sono stata una sciocca. Dovresti abituarti da solo a queste cose, e non ci vorrà molto. Ma io ora dovrei mostrare tutta la..’
‘..la professionalità’ la interruppe Arshes ‘Non so chi tu sia, ma sembra che tu ci tenga molto al tuo lavoro”
Iris si illuminò, fissandolo negli occhi. ‘Guarda questi gradi! Non ci speravo, così giovane, ma sono il secondino di questo aeromobile, il vice capitano, capisci?! Sono ancora emozionata come se fosse il primo giorno!’
‘Aeromobile?’
‘AH! Poter contribuire attivamente alla ricostruzione! E’ un incarico delicato, trasportarvi lo sai? Quindi perdonami’.
Arshes non poté fare a meno di notare di quanto Iris fosse logorroica. Non sembrava altezzosa, ma una bambina super emozionata. Si chiese se fosse sempre così, la sua ‘professionalità’.
‘Perdonami’ ehm..’
‘Assistente Iris McLoy’ fece lei col suo tono artificiosamente riverente.
‘Sì’ Iris’ Posso avere dei vestiti?’
Iris ebbe un altro guizzo. Si era resa conto solo ora di quanto fosse piacente quel ragazzo. Come descritto pocanzi, anche per lei si mosse quella nuova curiosità. Nell’istante di quello sguardo pensò a quanto fosse assurda la situazione su quell’aeromobile. Trasportavano uomini destinati al ripopolamento della stirpe umana (processo rigorosamente regolato dal nuovo governo provvisorio, affinché si evitassero orge di massa con eventuali disastri anagrafici e famigliari), e a loro, addette al trasporto, schiacciate dalla grande responsabilità di quel compito, a loro non era permesso avere un uomo. Non ora. Non in questi tempi. Era una questione delicata che soltanto ora era spuntata fuori nella semplice testolina di Iris. Il suo senso del dovere le impose di parlarne col capitano. Non avrebbe temuto ritorsioni, erano da sempre buone amiche.
‘Iris? Assistente?’
‘Oh! Dei vestiti. Sì! Almeno credo.. ehm” Iris si svegliò ‘ma hai già finito di lavarti?’
Arshes ammiccò, non comprendendo appieno quelle parole. ‘Sì, certo’
Iris si avvicinò. Era curiosa. Il suo istinto la guidava a scoprire. Quell’odore di maschio la inebriava, nonostante gli unguenti del bagno avessero l’essenza standard che permeava l’aria da anni. Arshes fece di tutto per non mostrarsi vergognoso, in fede a ciò che le aveva detto appena entrata nel bagno. Iris le passò la mano sulla spalla, osservandogli il braccio destro e il petto.
‘Sì, sembri pulito, anche se”
” Cosa?’
‘Scusami” fece Iris togliendosi gli occhiali.
Arshes rimase immobile mentre lei saggiava l’odore della sua pelle a occhi chiusi. Le mani di lei tastavano le sue braccia rigide. Il respiro di quella ragazza non poté fare altro che portarlo al limite, alla soglia dei sensi. Gentilmente, mentre il suo membro si risvegliava (e ora non aveva affatto voglia di nasconderlo) le passò una mano bagnata nei capelli, proprio sulla nuca e godette di quel contatto umano. Entrambi stavano abbandonandosi alla scoperta. Iris, anche lei era caduta in quel vortice di passione, a riprova di come l’istinto sia in grado di riallacciare i rapporti con l’emozione anche se non si sono mai incontrati.
Per Arshes era diverso. Arshes era di un’altra epoca, così lontana ma anche così vicina, e non erano cose nuove per lui. Anzi, combatteva tra la sua eccitazione e lo stupore per quello strano comportamento. Si chiedeva se questa ragazza avesse mai visto un uomo. Sembrava un animale che si affida al suo fiuto per capire, ma un animale che in pochi minuti si evolve e riscopre la natura umana. E una volta evoluta, Iris gemette in un sospiro lieve ‘wow”, e cominciò a leccare il petto di Arshes con decisione, non tanto per donargli piacere, ma per capire. Capire! Quella cosa’ Era buona, e le dava un piacere immenso. E il suo istinto la portò inevitabilmente a bagnarsi. Ad Arshes si spezzò il respiro. Non stava capendo più nulla.
Improvvisamente Iris si staccò da quel vortice di passione con un sonoro schiocco di labbra e lo guardò fisso negli occhi.
‘E’ incredibile’! Allora &egrave vero! E’ provato! Devo parlare’ devo’ Jenna!’ farfugliò confusa.
Arshes rimase a occhi spalancati guardandola uscire, il membro duro come il marmo. Non ci stava capendo niente, ma aveva ripreso quella voglia sessuale di cui da troppo tempo, capiva dentro di sé, era stato privato.
Quella ragazza (e se aveva capito bene, anche tutte le altre) era strana, spudorata e senza peli sulla lingua. E aveva un rapporto assurdo con la sessualità. Questo lo sconvolse un poco, e lo eccitò.
‘AH SCUSAMI!’ Squillò di nuovo la voce di Iris.
Sbucò dentro con la testa e sorrise sorniona!
‘Ho dimenticato gli occhiali!’
Sfrecciò dentro, li raccolse (Arshes non mancò di vedere che non portava indumenti intimi, sotto la divisa), e altrettanto velocemente scivolò fuori dalla stanza gridando ‘Capitano! Capitano! E’ importante!’.
Arshes era rimasto immobile, in piedi nella vasca.
‘Ehm’ i vestiti?’.

———————————————————–
commenti a lestat.arteus@yahoo.it
Capitolo 3 _ Intime confidenze

‘Cosa stai dicendo, Iris?’
Il capitano Jenna era sconcertata.
‘Ma come! Non sapremo quanto andrà avanti tutto questo. Siamo costrette da anni alla totale astinenza da amore. Non vorrebbe anche lei”
‘Iris, Iris, che ne sai tu dell’amore? E che ne so io? Ti sei lasciata trasportare da ciò che &egrave successo poco fa, e non stai più ragionando!’
‘Ho provato ciò che mai in vita mia mi &egrave stato concesso! Perché bisognerebbe ragionare?’
‘Perché siamo dipendenti governativi, e anche di un certo livello! Quei maschi sono poco più che oggetti, preziosi per giunta, preziosi e pochi! Se dovessimo liberarli tutti solo per i nostri desideri, che nemmeno conosciamo del tutto, una volta arrivati a Jowston ci aspetta la galera come minimo! L’emancipazione femminile non &egrave mai stata così tanto ai vertici come ora. Perché dovremmo rovinare tutto dando un cattivo esempio dell’organizzazione? Chi più crederà al governo?! A chi ti dà da mangiare?’ Jenna era furibonda, nonostante sentisse la confusione pressarle il cervello. Era davvero convinta di ciò che stava dicendo?
Iris si fermò a riflettere. Il viaggio sarebbe durato ancora un paio di settimane.
‘E allora che ne facciamo di Arshes? Lui &egrave una falla nel sistema, se la metti così! Un fallimento della tanto acclamata organizzazione!’
Già, Arshes, pensò Jenna tristemente. Che cosa avrebbero raccontato ai loro superiori? Avrebbero creduto davvero che l’infallibile macchina criogenica si era rotta? Quei geni della meccanica, pieni solo del loro disgustoso empirismo scientifico che li faceva credere eroi della ricostruzione. No. Avrebbero passato comunque dei guai, anche se avessero mostrato la totale onestà. Tutte le ragazze, lei e il suo equipaggio. Arshes doveva essere occultato, dovevano nascondere la sua bara, lui e ogni prova del misfatto.
Jenna espose al suo vice questi pensieri e Iris non poté che convenirne sorridendo, sembrava aver ritrovato la serenità.
‘Lo vede’ Capitano’ Anche lei’ anche tu, Jenna. Anche tu non vuoi lasciare Arshes al suo destino!’
‘Non che abbia un futuro certo con noi’ Ma hai ragione. Voglio’ tenerlo’. Pesò molto sulle ultime due parole.
‘Allora un po’ mi capisci’
‘Certo Iris. Ho’ provato anche io quelle cose’
‘Davvero?!’
‘Sì’ Non volevo dirvelo ma’ beh, la tua sincerità mi ha fatto capire che &egrave inutile tenere segreti tra noi, anche se sono stupidaggini. Dobbiamo essere una squadra, specialmente in questo frangente.’
‘Che cosa &egrave successo?’
‘Ho provato anche io quelle sensazioni, quando ero con lui’ Nel cargo’ Mentre si risvegliava. Ho assaporato quei brevi istanti che ti legano a una persona. Per la prima volta. Che accadono solo e soltanto se le circostanze sono uniche e irripetibili’ Quando devi prendere o lasciare”
Jenna stava arrossendo al solo ricordo. Ripercorse quel momento e le sembrò di sentire ancora quell’asta gelida che prendeva forma nella sua mano, si maledisse per non aver ancora avuto il tempo per sfogare le sue voglie, che insistevano nel prendere il posto al suo senso del dovere, forti di quel coraggio che il solo contatto con Arshes aveva impresso loro. La partita era in mano a Arshes. Jenna si era abbandonata a raccontare ciò che era successo. Le vibrava la voce e di nuovo le lacrimucce sbucavano dagli occhi smeraldo. Iris ascoltava ora, non come una sottoposta, ma come un’amica del cuore. Seduta nel sedile di emergenza, ascoltava il racconto di Jenna, che forse scendeva un po’ troppo nei particolari. Ma fu tutto così naturale. Quell’emozione che aveva preso forma nella loro confidenza aveva traboccato in qualcosa di più, da quando Jenna aveva cominciato a mimare tutto quello che aveva fatto, non tanto per illustrare, chiaramente, ma per riviverlo. Iris prese la mano di Jenna, stringendola forte, e in un movimento quasi involontario Jenna aprì le gambe mostrando tutto il suo bendidio, e gemeva. Lo voleva.
‘Capitano, io’ mi spiace’
‘No! Non fermarti! Per favore”
‘Ma noi non abbiamo mai”
Jenna spazientita prese di forza Iris per un braccio e la tirò a sé, cercando la sua lingua. La trovò, titubante, calda e accogliente.
‘Dimmi che male c’&egrave, Iris? Siamo eccitate entrambe oltre la misura del comprensibile! A chi possiamo rivolgerci se non a noi?’.
D’accordo. Iris abbandonò ogni problema. Si trattava di istinto, e ancor di più di affetto, di bisogno! Caddero a terra, cercandosi l’un l’altra, il seno che cercava il seno, le mani che carezzavano a vicenda i propri antri di lussuria, il crescendo furioso che tracimò in vere e proprie penetrazioni scatenando nelle due giovani urla da tempo sopite. La prima volta, per la prima volta non dovevano arrangiarsi o accontentarsi di freddi marchingegni, ma godere del caldo corpo umano, poter subire ciò che le faceva qualcun altro e a proprio modo ricambiare in maniera sempre più vivace e lussuriosa, in una sorta di gara in cui chi arriva prima’ perde!
E arrivò prima Iris, poiché Jenna aveva un tocco deciso che avrebbe resuscitato i morti.
Jenna c’era quasi, finalmente, pensava, non ne poteva più! E più Iris, nel vortice di ciò che ormai non ha più senso se non il piacere fine a sé stesso, cercava i suoi seni con le labbra ancora ansimanti per l’orgasmo, più Jenna sentiva il kundalini farsi strada fino alla sua testa. Arrivò finalmente, strinse le gambe fino a far male alla mano di Iris, ma non le importava. Voleva urlare al mondo il suo traguardo, il suo imponente e maestoso orgasmo che la sconquassò come una corda che si spezza dopo essere stata troppo tesa. Dei rigagnoli d’umore scivolavano ora tra le gambe delle due giovani, che avevano ora trovato qualcosa in più nella loro vita. Rimasero abbracciate per lunghi minuti affinché il loro respiro si calmasse.
Iris si sistemò con calma gli occhiali storti, ancora mezza stordita, e guardando il sinuoso corpo mezzo nudo del suo capitano, della sua amica adorata, i suoi seni prorompenti oltre il corpetto, la sua gonna rovesciata all’insù, e una delle scarpe basse che le mancava, cominciava a capire il senso profondo di quello che chiameremmo amore. Quello che prende forma in mille modi diversi, e in questo caso quel qualcosa di più dell’amicizia, il desiderio di aiutare veramente le persone vicine. Lei lo provava, e non c’era bisogno di domandare a Jenna se provasse la stessa cosa. Il suo gesto fu molto eloquente: dacché si riprese, guardò Iris e la baciò di nuovo, stavolta con dolcezza, le diede uno schiaffetto sulla spalla e le disse con il solito tono ‘responsabile’: ‘Via, Iris. Bisogna decidere cosa fare con quel ragazzo!’
‘Cosa pensi che sia meglio per lui?’ chiese Iris pettinandosi i suoi lunghi capelli alla bell’&egrave meglio.
‘Forse dovremmo tenerlo all’oscuro di tutto’ O almeno’ Di qualcosa. Per ora facciamo che collabori, che ci aiuti. Facciamocelo amico insomma’ Jenna sorrise con una leggera malizia che non mancò all’occhio attento di Iris, mandandola su di giri.
‘Evviva!’ Esultò la vicecapitano.
‘Cerchiamo solo di non entrare in competizione, ah ah!’ rise Jenna. ‘Ora vai da lui, e portalo da Kora, non hai detto che aveva mal di testa?’
‘Oh, &egrave vero! Ah! E mi servono dei vestiti per lui!’
Jenna alzò un sopracciglio. ‘Non’ so se abbiamo vestiti da uomo’
‘Oh!’ Iris arrossì lievemente, uscendo dalla cabina.

——————————————————————————-
commenti a lestat.arteus@yahoo.it

Leave a Reply