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Racconti Erotici Etero

Una necessità improrogabile

By 8 Giugno 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Il mio capo sembra proprio che lo faccia a posta.
Regolarmente di venerdì e magari quando ho da fare.
Si è ricordato di quella maledetta lettera, proprio quando stavo per andare via.
E naturalmente, in questi casi ci si mette di mezzo tutto: il computer che si pianta, la cartuccia di toner della stampante e pure la telefonata di un’amica che non sentivo da anni.
Quando sono riuscita a guadagnare l’uscita ero irrimediabilmente in ritardo, proprio questa sera che ho degli amici a cena.
E proprio mentre mettevo in moto la macchina mi sono ricordata.
ACCIDENTI, NON HO FATTO PIPI’!
Se adesso ritorno su, magari con il rischio che il capo si ricordi qualche altra cosa, non arrivo in tempo, così decido di andare dritta a casa e di tenermela.
Un quarto d’ora, solo un quarto d’ora, ce la farò.
C’è un’altra possibilità: io per tornare a casa prendo una strada che taglia per la campagna, evitando il traffico cittadino, ma per una volta potrei passare per il centro e fermarmi un attimo ad un bar ed andare in bagno.
No, non va. Mezz’ora, quaranta minuti contro un quarto d’ora, sono già troppo in ritardo, terrò duro.
Svolto per la strada che mi porterà rapidamente a casa e, dopo la prima curva, trovo la coda.
Questo non ci voleva. Forse un incidente.
La fila procede con una lentezza esasperante: pochi metri e poi di nuovo fermi, la strada è stretta, non ci sono traverse, perché passa in mezzo alla campagna e, nel frattempo, si è intasato anche l’altro senso di marcia, per cui non posso neanche tornare indietro.
Insomma, sono completamente imbottigliata, mentre lo stimolo aumenta sempre più e già mi immagino, come una bambina di due anni, costretta a farmela addosso.
Finalmente, come un miraggio, vedo in lontananza l’unica possibilità di salvezza, mia e del sedile della macchina nuova: la casa rossa.
Lungo la strada c’è un unico incrocio e, proprio all’angolo, c’è un bar, ricavato in una casa cantoniera in disuso.
Non è proprio l’ideale per una donna sola, per di più giovane e carina, ma lì c’è l’unico bagno nel raggio di parecchi chilometri.
Mi occorrono altri dieci minuti per arrivare al bar e parcheggiare l’auto proprio davanti all’ingresso e quando scendo dall’auto mi accorgo di essere veramente al limite.
Cammino piano, a fatica, perché mi sento come una caraffa piena d’acqua fino all’orlo, ma riesco ad arrivare al bancone senza versare nulla.
Chiedo un aperitivo analcolico, d’altra parte, alle otto di sera non mi posso prendere un caffè, mentre non potrei certo bermi un bicchierone di qualche bibita.
Bevo appena un sorso di aperitivo, sfodero il mio miglior sorriso e chiedo della toilette.
‘Me dispiace signo’, ma il cesso è rotto, lo vengono a riparare domani.’
Il sorriso mi si congela sul viso, come se fossi stata investita da una ventata di freddo polare, mentre sento qualche goccia che mi bagna le mutandine.
Esco senza finire l’aperitivo e mi guardo intorno, disperata.
è buio, non c’è un’anima in giro e sul retro del bar c’è una stradina deserta nascosta alla vista degli automobilisti in coda.
Non sono il tipo di donna che piscia per strada, ma questa è una situazione di emergenza e decido di tentare.
Arrivata a metà della strada mi guardo intorno. Non c’è assolutamente nessuno, ci vorrà un minuto, poi risalirò in macchina e me ne andrò a casa.
In momenti come questo invidio gli uomini perché gli basta avvicinarsi ad un muro e sbottonare i pantaloni e odio chi ha inventato i collant.
Mi nascondo tra un bidone della spazzatura ed uno scatolone vuoto e mi abbasso le calze fino alle ginocchia. Per fortuna ho la gonna, perché, se avessi indossato i pantaloni, sarei stata costretta a spogliarmi completamente.
Decido di non togliermi le mutandine e mi limito a spostarle di lato quanto basta, poi cerco di accovacciarmi il meglio possibile.
Il collant arrotolato all’altezza delle ginocchia non mi permette di allargare le gambe quanto vorrei, ed il mio equilibrio, anche a causa dei tacchi alti, è alquanto precario, tanto più che una mano è occupata a tenere sollevata la gonna, mentre l’altra deve reggere le mutandine tirate tutte da un lato.
Appena in tempo.
Uno zampillo caldo schizza sull’asfalto macchiato ed impolverato e mi sento rinascere.
Mi viene in mente che quando la si trattiene così a lungo, il piacer di farla sia grande quasi quanto quello di una scopata.
Beh, dai Giulia, ora non esagerare.
In mezzo alle mie gambe si è fatta una pozza scura che continua ad allargarsi, e, poiché la strada è in pendenza, finisce contro la mia scarpa destra, ma non posso farci nulla, perché se provassi a muovermi rischierei di cadere.
Ho finito, a questo punto decido di prendere un fazzolettino dalla borsetta, per asciugarmi.
è una manovra di alta acrobazia, ma riesco ad aprire la chiusura della borsa, estrarre il pacchetto e tirarne fuori un fazzoletto, aiutandomi con i denti.
Una bella asciugata alla mia cosina ‘ ah che bello!
Mio sento, leggera, libera, felice e continuo a passare il fazzolettino.
Ormai non servirebbe più, ma le mie dita scorrono ancora piacevolmente sulla fessura.
Mi è sempre piaciuto toccarmi, ma forse questo non è il momento ed il luogo adatto per farlo: è tardi, tardissimo, sono in un posto isolato e poco raccomandabile, ho tutto il tempo per queste piacevoli attività quando sono sola a casa.
Un’ultima toccata, solo una, le mie dita scivolano ancora ed entrano dentro, perché intanto lei si sta aprendo.
‘Una signora per bene non fa queste cose!’
La voce maschile, profonda e tonante mi giunge da dietro ed ottiene l’effetto di paralizzarmi.
Alzati, alzati subito e corri via, solo pochi metri, la tua macchina dista solo pochi metri.
Invece resto ferma, appunto paralizzata, in quella posizione scomoda e ridicola.
Solo il fazzolettino mi scivola dalle mani e finisce nel laghetto della mia pipì.
Resto immobile e paralizzata anche quando due manone, sicuramente appartenenti del proprietario di quel vocione che ho appena udito, mi stringono forte le tette da dietro.
Non faccio nulla e non dico nulla, mentre mi chiedo se quello che una signora non deve fare era riferito alla pipì per strada, oppure si era accorto che mi stavo masturbando.
Le mani, sempre strette intorno ai miei seni, tirano verso l’alto, costringendomi ad alzarmi in piedi, poi scendono, si infilano sotto la gonna e cominciano a toccarmi.
‘Allora, bella signora, posso aiutarti a fare quello che stavi facendo?’
Dovrei mettermi a gridare, chiamare aiuto, invece, forse perché ero già un po’ eccitata, quando sento le dita forti e callose dell’uomo infilarsi nella mia fica, allargo le gambe e mi abbandono.
L’uomo a questo punto sposta le mani sul mio sedere e comincia a spingermi.
Io ho ancora il collant abbassato fino alle ginocchia e cammino a fatica, costretta a fare piccoli passi.
Camminiamo fino ad una piccola porta di legno, che conduce al retro del bar.
Inciampo sul gradino d’ingresso e mi trovo in un piccolo magazzino, ingombro di scatoloni e cassette di bottiglie.
‘Allora, bella signora, non trovi che è meglio farlo in compagnia piuttosto che da soli?’
Mi volto a guardarlo, è un uomo basso e tarchiato, dall’aria greve e volgare, più o meno sulla cinquantina e forse dovrei dirgli che la sua compagnia non è proprio il massimo per me, ma la sua non era una domanda, ha già deciso quello che è meglio per me.
Proprio in quel momento, dalla porta situata sul lato opposto del magazzino, entra un altro tizio, che sembra il fratello maggiore del primo, con la stessa aria greve e più o meno la stessa età.
Mi fanno poggiare la pancia su dei fusti di birra alla spina e capisco subito le intenzioni del primo dei due, che si è piazzato davanti a me ed ha iniziato a sbottonarsi i pantaloni.
Io cerco di rialzarmi ma lui mi spinge in basso, facendo aderire la mia pancia alla parte superiore dell’ultimo fusto di birra.
Intanto l’altro, piazzatosi alle mie spalle, mi infila una mano sotto la gonna, da dietro, poi sposta le mutandine e comincia a toccarmi.
Non me l’aspettavo, mi ha preso completamente di sorpresa, ma quello che più mi stupisce e la mia reazione alla vista del cazzo dell’altro.
Me lo piazza davanti al viso, io apro la bocca e mi sporgo in avanti per prenderlo, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo.
Cioè io incontro un tizio mai visto prima, pure vecchiotto e per niente attraente, lui tira fuori l’uccello ed io glie lo succhio, tranquillamente e spontaneamente, come se si trattasse di prendere un caffè.
Sì certo, probabilmente, data la situazione, se mi fossi rifiutata, mi avrebbero costretta a farlo comunque, però ‘
Sento un rumore di stoffa lacerata, l’altro mi ha strappato le mutandine.
Non perde neanche un secondo e la mia fica aperta e bagnata, lo lascia entrare senza fare storie.
Il tutto dura pochi minuti, poi quello dietro si stacca da me, mentre sento lo sperma che mi scola lungo le gambe.
Devo finire bene il mio lavoro con la bocca, sento il cazzo che si ingrossa e mi preparo, lo serro più forte con le labbra e lui aumenta il ritmo.
Ha finito, mi ha tolto la mano che mi aveva piazzato dietro la nuca, per paura che sul più bello mi tirassi indietro, si scosta da me, io apro completamente la bocca, lo sperma cola fuori ed io sputo più volte in terra.
Subito dopo mi ritrovo fuori, sulla stessa stradina dove era iniziato tutto, estraggo un altro fazzolettino e mi ripulisco come posso.
Quando l’orologio, è tardissimo, i miei amici saranno ormai sotto casa e si staranno chiedendo che fine abbia fatto.
Ormai la coda di macchine si è dissolta, sarò a casa in dieci minuti, magari prima passo a comprare delle pizze.

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