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Racconti Erotici Etero

Vattene

By 29 Agosto 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Vattene!

quello che non t’ho mai detto’.

Fa freddo, i vento spazza via le foglie che vorticando impotenti, si piegano al volere del soffio silenzioso, suono a quel portone, che ha visto centinaia di anni, suono, e Lara viene ad aprire, un buongiorno forzato ai colleghi, persi tra fogli e inchiostro, arrivo fino alla scrivania, tento di sistemare la carta sparsa sul piano di legno
Entri spalancando la porta semichiusa
-Buongiorno- Come al solito sorridente, la voce cristallina inno alla gioia
sorrido e stacco gli occhi immediatamente dal viso gentile, sorrido e torno alle mie carte, ai fogli pregni di lettere, per non pensare al nero dei tuoi occhi, resti li, immobile trascurata dal mio sguardo, dalla testa, che tenta soltanto di ignorarti, sento la tua presenza, gli occhi che si spostano leggeri sui miei, tutta la potenza del tuo fascino sollevarmi dai buoni propositi
‘Vattene! Vattene o rischio di parlare, Vattene o rischio di dire quello che non devo, che non posso’
Maledico il giorno che ho messo piede in questo ufficio, maledico quell’amica comune che m’ha detto parla con lei, ricordo ancora, il primo incontro un colloquio formale
-Dammi del tu- Mi dicesti tentando di mettermi a mio agio, non sapevi che gia valutavo donna e femmina
-Non riesco se sto seduto da questa parte- Io l’alunno e tu professoressa dietro la cattedra di noce laccata, no non era il momento quello ma azzardo, come se la tua ‘confidenziale’ richiesta mi autorizzi ad azzardare
-Sei bella- Dico solo quello che vedo’
Non eravamo soli, qualcuno s’&egrave voltato a guardarmi, per guardarci, non hai mosso un muscolo, m’hai solo regalato un sorriso
-Grazie, e tu sei gentile-
Il grazie di chi sa d’essere bella, di chi &egrave abituata a ricevere complimenti,
Sono giorni che ci incontriamo, scontriamo, dispute a volte inutili sui temi di sempre, sei la donna più buona di questo mondo, te l’ho mai detto? Si, si che te l’ho detto, sempre disponibile con tutti, per tutti, sempre a dannarti l’anima per i problemi degli altri, poi ti fermi prendi fiato, ti allontani per un attimo dall’inferno che &egrave il tuo lavoro’ un angelo tra i dannati’mi racconti di tuo marito, tuo figlio.

‘Vattene! Non voglio mancare di rispetto a una donna sposata, alla moglie di un amico, muoviti esci dallo studio Katia, vai fuori dalla stanza dalla testa’.
Sai che sbatto la mia ragazza immaginando occhi neri, no, non lo sai, non sai che quando la scopo sento quasi il bisogno di pronunciare il tuo nome, povera la mia piccola Silvia, sempre disponibile gentile, innamorata, parla del matrimonio e della casa da comprare, organizza vacanze e compra libri sulla cucina, parla senza essere ascoltata, la guardo sorridente, fingo d’ascoltare e la mia testa torna a quel vestito pastello, che ti fascia come carta un cioccolatino, che leccherei, succhierei fino a consumare.

Esco dalla stanza, dall’ufficio, ho bisogno di caff&egrave, caffeina per svegliare i sensi addormentati, ossigeno , aria pulita, che non sia piena del tuo profumo, entri nel bar dietro di me, mi perseguiti’ non riesco a capire, perché ho sempre Katia intorno, in testa, mi vien quasi da pensare’. No non tu’
Qualcuno ti guarda, con insistenza, osa, rischia, rischio, rischio di difenderti come fossi cosa mia, quando mia non sei, alla fine le parole escono, senza ordine del cervello, escono, governate dal cuore
-Lascialo stare, &egrave un cretino ubriaco-
Ubriacato dalla tua bellezza, dalla tua gentilezza, dal passo regale e il viso gentile, il collo lungo posato su spalle dritte, la vita si legge stretta sotto il tessuto che carezza la pelle, le natiche perfette mai volutamente osteggiate, gambe lunghe, dritte, invidiate dalle donne, bramate da uomini, le movenze da dama d’altri tempi, la testa alta e l’occhio mai troppo a lungo fisso su un punto , potessi diventare un cavaliere, legare il tuo fazzoletto al braccio e affrontare il drago, potessi, riuscissi’.

Ti guardo mentre infili la sigaretta fra le labbra scarlatte, non ti appartiene, &egrave quasi volgare, mi osservi turbata
–Non guardarmi in quel modo, mi imbarazzi—
Eppure sai che non voglio che fumi, lo sai e lasci cadere nel portacenere la sigaretta quasi intera,

–Ok, ok non fumo, usciamo dal bar, e, una frase, arriva all’orecchio, mi sconvolge
Mi volto come un cane rabbioso ‘

—Lascialo ti prego—

Non ho sentito, capito, non &egrave vero’

Restiamo li a parlare dell’uno o dell’altro, non riesco a non guardarti, non credo d’essere mai stato innamorato davvero, non so se si chiama amore, &egrave sicuramente qualcosa che si avvicina, che sbatte contro il rispetto e la forma, la fede che porti al dito, &egrave quella che blocca le parole, &egrave per quello che non t’ho mai detto quello che sento, quello che voglio
l’auto non parte, ti offri d’accompagnarmi, so gia che Silvia non salterà dalla gioia, ho gia sentito la sua voce ,maledire il tuo nome, &egrave strano, dovrebbe maledire altre, magari la parrucchiera con occhi di gatto, che incontro il lunedì mattina, tutte ma non te, sei pura, la tua &egrave soltanto gentilezza, parliamo del tempo, delle nuvole, palle d’ovatta bianca, come l’ovatta bianca che mi riempie la testa quando t’ho vicina
—Si– dici sempre fissandomi negli occhi, —la pioggia piace anche a me— restiamo li sotto casa, a raccontarci stronzate, vorrei invitarti a salire, poi guardo il dito, l’anello, la fede, marito e figlio
scendo,
—A domani— ma il domani tarda ad arrivare, e allora sono io a muovermi, torno, ritorno al bar della mattina, quella frase mi sbatte ancora nel cranio, rimbalza, da un lato all’altro del cervello, e rimbomba nelle orecchie.
Entro nel bar, il Cretino Ubriaco &egrave ancora lì, lo sguardo fisso sullo schermo di un video poker, il viso serio o felice che segue le carte virtuali, non so se prenderlo a calci e farlo parlare, non so se offrire da bere e chiedere con gentilezza, viltà, il barista mi conosce, posso azzardare
—Bella cavalla quella di stamattina— dico fingendomi un coatto con voglia di spacconate, si gira mi guarda, pago birra su birra, &egrave mezzo ubriaco, sconvolto, iniziamo a parlare di te, mi vergogno quasi per quello che dico, ma ho bisogno di sapere, di capire’
—L’ho sodomizzata sul cofano della macchina— Mi dice ghignando, gli occhi lucidi e la bava alla bocca, ho voglia di picchiarlo, pestarlo, cancellare lui e l’infamia che insozza il tuo nome, poi continua’ tuo marito, la tua vita, mi racconta mille cose, cose personali, mi parla e uccide l’ultimo angelo, non mente’ sa troppo, troppe cose, ti sta spogliando, violentando, distruggendo, una parola dietro l’altra, la dolce Katia che conosco, l’angelo diventa diavolo, il ragazzo gentile diventa cattivo
Vado via, l’auto &egrave pronta, riparata, di rotto ora c’&egrave solo la mia calma, ho voglia di correre, di prendere il raccordo e vagare, macinare chilometri, fino a scordare quello che ho appena sentito.
*****
La sera, dovrebbe essere calma, mani dolci della ragazza di sempre, dell’angelo del focolare, massaggiano trapezi incordati, si muovono leggere, tentano d’allontanare una rabbia che non conosce, un malessere che neanche immagina da cos’&egrave partorito.
–Silvia, resta—, resta dorme con me, stavolta scopo solo lei, non neanche voglia di pensare agli occhi neri, sono disgustato’
Entro nell’ufficio tento di comportarmi normalmente
—Sei sempre l’ultimo— E tu sei una puttana, questo vorrei dire, ma non lo faccio, non lo meriti, non meriti neanche la mia rabbia, parole feroci, la mattinata va avanti, mi guardi, mentre estrai la sigaretta dal pacchetto, una provocazione passi’. fuma, fuma pure quanto vuoi’
C’&egrave un ordine da fare, devo uscire dall’ufficio
—Vieni con me?— Non so perché l’ho chiesto, solo la mia voglia di sapere
Ti guardo mentre nell’auto sistemi la gonna
Immagino, ti vedo, piegata alle voglie dell’ubriacone mentre sbuffando entra ed’esce dal tuo stupendo culo, si angelo mio, divento cattivo, volgare quanto vuoi, quanto neanche riesci ad immaginare
— Cos’ hai oggi?—
Cos’ho? Ho perso lo sguardo ammirato,
—Nulla, ieri son tornato al bar’ —-
Lo sguardo si riempie di paura, gli occhi si fanno lucidi, hai gia capito tutto’
—-Cosa ti ha detto? L’ho solo aiutato a prendere un prestito, siamo amici e non aveva abbastanza garanzie ma’—- Lo specchio &egrave liscio, bagnato e scivoloso, non riesci ad arrampicarti, giustificazioni inutile, sono un giudice senza autorità, ma un giudice che gia ha emesso condanna

—Gli amici ti danno dell’abile pompinara?—

Resti in silenzio, sbalordita, &egrave l’Alessio che non conosci, gli occhi si fanno lucidi, piangi’
Non ho pena, solo rabbia, neanche fossi tuo marito, il cornuto’ stranamente penso anche a lui, a lui che spesso ho invidiato
—Smettila Katia non frignare, odio le femmine che piangono—

Non cerchi difesa, muta fino all’ufficio, consegno la bolla, sparisci tra corridoi e stanze, Lara mi guarda, ci guarda, capisce che qualcosa non va’
Sistemo un quadro sul muro, passi dietro di me, non mi volto stavolta, ti fermi, entri nell’ufficio, posso guardarti, il manifesto appiccicato alla grossa vetrata non me lo impedisce, ti affacci
—-Ale parliamo’—
Ti seguo irritato, non ne ho il diritto, ma non comando le emozioni
Mi siedo, lì, come al nostro primo incontro, t’ho detto sei bella, ricordi? E lo sei maledettamente.
Giù, di nuovo lacrime a bagnare il viso d’angelo, gli occhi scorrono, stavolta si fermano in ogni curva, sospiri, afferro la manina curata, unghie che non conoscono smalto, la porto sul sesso, gli occhi tradiscono sorpresa, imbarazzo ed eccitazione. ‘&egrave una donna calda’, m’ha detto l’ubriacone, e allora brucia’ ecco la torcia per accendere il rogo.
Sono io a slacciare i bottoni dei jeans, la mano dietro la nuca, mi osservi sorpresa per un istante, abbassi il capo, vedo solo la massa di capelli che coprono il ventre, sento le labbra che stringono il glande che inizia ad ingrossarsi nella bocca di fata, scivoli, per tutta la lunghezza dell’asta, scivoli, tra sospiri del vecchio pianto e nuovi d’eccitazione,
Non pensi nemmeno alla tua reputazione, potrebbe entrare chiunque e vedere tutto, ma quella stanza fa parte di un altro mondo, di un universo parallelo, di momenti e piaceri da me vissuti mille volte, ma con altro stato d’animo, quelli chiusi nelle quattro mura, sono un altro Alessio un’altra Katia, la testa si muove, sento la lingua posarsi sul meato, e l’orgasmo arriva, doloroso e potente, non pensi per un istante di toglierti, ti alzi solo quando il sesso ha perso consistenza, alzi il capo e mi guardi, poso la bocca sulla tua assaggiando i resti del mio piacere, sei tu stessa a racchiudere l’uomo nei pantaloni.
Usciamo, niente consegne stavolta, appena la strada si fa libera isolata riprendi in mano la mia eccitazione, la bocca sul collo, rischiamo d’ammazzarci, mi fermo, quando &egrave ancora presto, quando ancora non siamo completamente soli, auto che passano, possono vederci, ma non hai nulla da obbiettare.
Senza parlare sposto all’indietro il sedile, a fatica trovo spazio per inginocchiarmi davanti a te, alzo la gonna e sfilo le mutandine viola, il tessuto e bagnato, odoroso d’eccitazione, il capo si fa strada tra le cosce, la lingua si tuffa nell’apertura bagnata, inarchi la schiena, continui ad avanzare altalenare col bacino, come un serpente ferito mentre la bocca si riempie di umori, la voglia si nutre del tuo sapore, gridi, parole tartagliate, sospiri, le unghie affondano nei deltoidi, il tuo orgasmo &egrave il mio..
Fuori dall’auto, i vestiti sparsi sui sedili posteriori, affondo, come coltello caldo nel burro, di nuovo scossa, i seni schiacciati sul metallo, ti giri mi guardi,******************************

Il corpo scosso dai colpi di bacino, le mani che cercano un appiglio inesistente, ti sento miagolare serrare i muscoli interni sul membro duro, infuocato, poi ti volti, mi mostri il piacere che viene a prenderti, non posso fare a meno di baciarti, i denti serrano le labbra, ‘godo’ riesci a dire, mentre sudato rallento gli affondi, &egrave quasi doloroso uscire dal tuo ventre.
Sei oscenamente bella seduta sul cofano bagnato dall’eccitazione e dal sudore, allargati, così, perversamente, apriti, offriti fino a sentire i tendini tirare.
Non sei più un angelo da adorare, ma un diavolo da sbattere, poso il glande sul forellino scuro, tenti di difendere l’avamposto serrando le cosce sulla vita, tenti fino a quando ti guardo negli occhi, fino a quando ti bacio, entro, con la lingua nella bocca e il sesso nella parte nascosta, scivolo a fatica nel canale stretto e bollente, ti blocco con le mani fino a che non sei mia completamente, finalmente domata ti lasci accarezzare, la mano scende, poso il pollice sulla perla bagnata, continuo a limare, scavare, fra lamenti di piacere e dolore.
Ti accorgi, mi vedi, mi senti, quando sto per annegare nel piacere, stimolato dal canale caldo della pancia, posi le labbra sulle mie’. un bacio’ che non ha nulla d’osceno’. di ‘diabolico’

Restiamo immobili, senza fiatare, ti guardo, mentre ti asciughi dal sudore e dal piacere che ancora bagna le cosce, lo fai con cura e delicatezza, fazzoletti di carta e kleenex, bagnati e sporchi d’adulterio li affidi al portacenere dell’auto per non sporcare il prato verde.
Un sorriso, uno dei tanti, uno dei mille il solito se non fosse per il viso scarlatto e le occhiaie, l’ansare che ancora spezza il fiato.

—Non sono mai stata con quel uomo’
Lo dici fissandomi negli occhi, senza incertezze e parvenza di bugia’ lo dici, come fosse confessione di un moribondo. Le mie certezze vacillano’
Il danno ormai &egrave fatto
Ti guardo e l’eccitazione ritorna, mi gonfia, ti bagna’
Angelo o diavolo, resti sempre la persona più buona e altruista che io abbia mai conosciuto, errore irreparabile, giudicare, non dividere la femmina bollente, dalla professionista’.

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