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Racconti Erotici Etero

Vere Signore

By 3 Agosto 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Anna era nella semioscurità procurata dalla serranda della finestra non completamente abbassata dalla quale filtravano i raggi del sole al tramonto. Era nuda sul letto e, al suo fianco, c’era Giorgio. Il letto, infatti, era di Giorgio ma Giorgio non era suo marito.

Giorgio era un giovanotto che viveva da solo in un appartamento al secondo piano e che, a giudicare dal via vai di ragazze, aveva un discreto successo con le donne. Lo avevano notato tutti perché, a chiunque abitasse in quel condominio, era capitato di incontrarlo in ascensore con una ragazza nuova che, immancabilmente, sorrideva ai vicini e s’infilava nel suo appartamento. Non c’erano dubbi. Giorgio aveva un discreto fascino, anche se forse il portafoglio non era il suo punto forte. Probabilmente anche per questo le ragazze non duravano moltissimo: solo qualche settimana o qualche mese. Ciò che metteva in apprensione i condomini era che, ancora prima di mollarne una, ne aveva già un’altra nuova e, a volte, due. In ogni caso, era nel suo pieno diritto portare a casa chi gli pareva. Nessuno, pertanto, lamentava niente verso di lui. Un giorno il marito di Anna tornò a casa e, tra il serio e il faceto, raccontò che al bar aveva entito che Giorgio era un superdotato.

“Cos’è un superdotato?” aveva chiesto Anna.

“Insomma! Dove vivi?” Il superdotato è uno che ne ha di più!”

“Ne ha di più di cosa?”

“Semplicemente è dotato di un ….. sesso più grande!”

Ad Anna venne da ridere. E rise. “E tu cosa ne sai?”

“L’ho saputo al bar, dove mi son fermato per prendere un caffè. Lui stava uscendo ed ho sentito i discorsi dei suoi amici rimasti dentro, tra i quali c’era una ragazza, piuttosto carina, che l’aveva provato e poteva assicurare che ce l’ha molto più grosso e lo usa molto bene”.

“Ma dai! Non è possibile che al bar facciano questi discorsi! E se poi la ragazza fosse stata una che ha incontrato solo ragazzi poco dotati?”.

“Ma no, figurati, ne avrà incontrati di normali. E poi, comunque, l’ha confermato un giovanotto che ha detto che è suo amico e che negli spogliatoi di calcetto l’aveva visto più volte e, in effetti, era molto più grande.”.

Il racconto finì così, con qualche altra battuta. Anna non poté fare a meno di pensare che, sulla base delle proprie esperienze con quei pochi uomini con i quali si era spinta ad avere un rapporto sessuale, suo marito, convinto di essere “normodotato”, era assolutamente al di sotto della media.  In ogni caso, nonostante le ripetute defaillance del marito e le numerose volte durante le quali aveva dovuto completare l’opera da sola, Anna tacque su quest’aspetto che, in verità, l’interessavano poco.

Cenarono, guardarono un po’ di tivù e poi andarono a letto. Anna, dopo aver letto un po’, spense la luce. Lui dormiva già. Lei, però, aveva troppa voglia e cominciò a fantasticare su Giorgio e, senza nemmeno accorgersene, cominciò a toccarsi. Dapprima lentamente, poi sempre più veloce fino ad un orgasmo violento che la trovò, una volta in più, sola e per il quale non riuscì a trattenere qualche gemito. Ma suo marito non si svegliò nemmeno allora.

Qualche giorno dopo Anna incontrò Giorgio all’ingresso del portone e non le riuscì a mettere a freno la sua curiosità. S’inventò qualcosa a proposito dell’ultima decisione del condominio e Giorgio per gentilezza la invitò a entrare in casa per guardare insieme il verbale dell’ultima riunione condominiale.  Una volta entrata in casa, fu facile per Anna vincere la sua timidezza e, con poche manovre, spingere Giorgio a fare la prima mossa e finire con lui nel grande lettone.  

Come Anna poté costatare, Giorgio era dotato di un uccello davvero più duro, più grosso, più lungo e più turgido di quanto mai avesse visto. Si baciarono a lungo mentre Giorgio le accarezzava il culo e risaliva su fino a stringerle le tette e strizzarle i capezzoli.

Anna, nonostante la timidezza, afferrò il randello di Giorgio rimanendo così colpita da desiderare di sentirne la consistenza in bocca. “Ho sognato tante volte questo splendido cazzo e pensando a lui mi sono sditalinata con furia. Ora lo voglio , infilamelo in bocca , tutto, in gola , fino ai coglioni.” disse Anna e prese a baciargli il cazzo con furore. Alzò il volto ed appoggiò la bocca sull’enorme cazzo. Aprì la bocca e tentò di imboccare la cappella. Solo dopo molti tentativi e con molto sforzo, riuscì a farsi entrare la cappella in bocca e, con una mano, gli circondò l’asta e cominciò a segarlo con lentezza e con forza. Sentiva il suo nettare che usciva e le impastava la bocca, sentiva la sua figa che colava come una fontana.

“ Hai visto che sberla di cazzo? Ti piace vero? Tra poco ti sfonderò la figa, sei proprio una gran bella troia” disse Giorgio.

“Si, si… mi piace, sono una troia e voglio essere sfondata. Tu sei un toro ed io voglio esser montata come una vacca.”

Giorgio non esitò a spingerle il cazzo in profondità, nella gola quasi a soffocarla. Poi la fece montare su di se infilandole l’enorme cazzo nella passerina che urlava la sua urgenza di essere scopata da quel portento della natura. Anna si sentiva piena, si sentiva riempita. Quel che più la impressionava, era, tuttavia, la inesauribile carica sessuale di Giorgio che non smetteva di pompare. Anna sentiva esaltata la sua sensibilità di donna. Giorgio non solo aveva un uccello di proporzioni enormi, ma anche una produzione di sperma gigantesca che, ben presto, le regalò una serie di orgasmi più intensi e più forti.

Quel che stupì Anna fu che dopo la sua eiaculazione, Giorgio aveva di nuovo una potente erezione e la durezza dell’uccello era tale da poter ricominciare immediatamente. Ma lei era completamente svuotata, senza un briciolo di forze e lo pregò di aspettare un po’ prima di ricominciare. Sentiva la passerina in fiamme e aveva bisogno di riposo.

Era lì in quel letto nella penombra mentre ascoltava i discorsi di Giorgio e giocherellava con il suo randello. Ascoltava Giorgio e gli sorrideva, rispondendo a monosillabi. La passerina era infiammata dal sesso selvaggio: impensabile ricominciare. Ad Anna, però, venne in mente che aveva il sederino ancora vergine. Aveva tanto desiderato provare il sesso anale. Nonostante non avesse la dolcezza del sesso vaginale, le sue amiche lo avevano decantato utilizzando parole di fuoco e inequivocabili. Qualcuna le aveva detto che se fosse riuscita a lasciarsi andare, a rilassarsi, avrebbe goduto moltissimo, molto di più del sesso vaginale, perché l’orgasmo arriva improvviso, come un terremoto e ti scuote tutta. Suo marito, nonostante ci avesse provato molte volte, non era mai riuscito a entrare lasciandole in bocca il sapore della beffa. Anna pensò che quella fosse l’occasione buona.

https://mail.google.com/mail/images/cleardot.gifAnna iniziò a sfiorare il petto, poi il ventre di Giorgio. Lo baciò con passione mentre stringeva il suo uccello nella mano destra. Gli mordeva il collo e gli leccava le orecchie finché Giorgio non rispose ai baci e cominciò a morderle le labbra… il collo…(era il suo punto debole) e le infilò le sue grosse dita dentro la passerina.

Anna lo fermò, portò alla bocca le dita di Giorgio ancora intrise dei suoi umori e le leccò. Poi disse tutto in un fiato: “No, no, amore, la passerina è in fiamme, mi farebbe solo male. Voglio che mi sfondi il culo. Non l’ho mai fatto prima e voglio che sia tu il primo”.

“Lo sai – rispose Giorgio – ce l’ho molto grosso, potrebbe farti molto male.”

“Non m’interessa lo voglio ancora e la passerina l’hai già distrutta. Fammi il culo, ti prego”

Giorgio non si fece pregare molto. Lei era stesa sulla pancia con il suo magnifico culo in bella evidenza. Giorgio allungò la mano appoggiandola sul culo di Anna, le divaricò le chiappe ed avvicinò la lingua, le lecco il buchino e depositò un po’ di saliva. Con un dito cominciò ad accarezzare lo sfintere cercando di spalmare la saliva. Poi lavorò sul buchetto disegnando cerchi concentrici sempre più stretti, con veloci affondi verso la figa. Senza smettere di carezzare lo sfintere, prese dal cassetto del comodino una confezione di lubrificante e ne versò una generosa porzione sullo sfintere. Poi cominciò a spalmarlo fuori e con veloci incursioni dentro. Quando ebbe finito, se ne spalmò anche sulle mani.

Giorgio riprese a disegnare, con il dito, cerchi intorno allo sfintere di Anna finchè il dito non sprofondò nel culetto fino al palmo. Anna non riuscì a trattenersi e un grido liberatorio le usci dalla bocca: “Ahhh, si …finalmente, dai affondamelo nel culo. cosa aspetti ? non vedi che muoio dalla voglia di essere sfondata?”

Giorgio si chinò e la sua lingua calda cominciò a torturarle il buchetto. “È delizioso – disse Anna che cominciò a sculettare e ad incitarlo – si, cosi, cosììììììì ……. come lecchi bene, dai infila la lingua nel mio culo , scopami con la lingua”.

”Oh si, mia bella troia, te lo lecco il tuo bel culo e dopo te lo sfondo, te lo riempio di cazzo”

Giorgio smise di leccare ed entrò dentro con un dito e cominciò a ruotarlo e muoverlo al suo interno. Anna sentiva quel corpo estraneo con un sottile piacere; sentiva che si muoveva spingendo le pareti del retto, allargando lo sfintere. Anna aveva molta voglia e allungò la mano verso la passerina, che era già un lago. Sentì la figa che gocciolava come una fontana e cominciò a sollecitare il clitoride con due dita: era splendido.

Giorgio infilò un secondo dito e poi un terzo simulando le spinte dell’uccello. Lavorò con le dita in modo da massaggiare lo sfintere. In questo modo, in poco tempo lo sfintere si rilassò e si lasciò aprire. Anna cominciava ad abituarsi a quel corpo estraneo e fu presa dal disappunto quando Giorgio estrasse le dita. Giorgio versò ancora un po’ di lubrificante sullo sfintere, poi ne versò sul suo uccello e lo spalmò su tutta l’asta con gesti lenti.

Anna fremeva nell’attesa, senza smettere di masturbarsi.”. Lo voglio dentro… infilalo, spaccami, sfondami, presto! Martellarmi con tutta la forza che hai”

Giorgio avvicinò la sua enorme cappella al buchino, afferrò Anna per le tette e cominciò a spingere. Anna era fuori di testa, sentiva quella bestia che tentava di forzare il suo culo, lo sentiva come una nerbata e spinse il culo all’indietro andando incontro al cazzo. Giorgio, sapientemente, entrava per qualche centimetro e poi lo sfilava. Poi entrava ancora un po’ di più e lo sfilava. Anna sentì la cappella che veniva risucchiata, sospirò e lo incitò ancora “Figlio di puttana, inculami così, sfondami il culo, riempimi il culo col tuo splendido cazzo, sono la tua vacca, la tua troia da monta, bravo, spingi, sfonda, incula, sborrami in culo, dammelo fino ai coglioni, riempimi di sborra incandescente fino alla gola!”.

Giorgio, sempre più eccitato, diede un ultimo formidabile colpo e il suo cazzo sprofondò fino ai coglioni nel culo di Anna. Arrivato in fondo, Giorgio tirava fuori l’uccello alla medesima velocità procurandole, appena fuori, la sensazione che le mancasse qualcosa di se. Giorgio ripeté l’operazione più volte fino a quando anche il sederino di Anna cominciò a produrre un proprio liquido lubrificante e quell’enorme cazzo scivolò a meraviglia. Il piacere aveva sostituito il dolore iniziale e Anna immaginava la scena di lei a pecorina con una cazzo enorme piantato nel culo.

Giorgio la penetrò fino in fondo….. fino ai testicoli ……. Anna s’incurvò ancor di più per farlo entrare di più, voleva che entrassero anche i testicoli, desiderava che entrasse anche Giorgio, desiderava che il suo culo esplodesse. Giorgio l’afferrò per i capelli e cominciò a tirarla verso di se in modo che la sua schiena si inarcasse ancor di più, favorendo la penetrazione.

Anna sentiva l’uccello di Giorgio scivolare dentro così come una portaerei che entri in un porto amico. Giorgio era in piena azione pompava come un disperato, come un ginnasta, come il pistone di un’auto le stava aprendo il culo strappandole grida di piacere. Poi lo ritirava fuori strappandole gemiti di desiderio.

Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, come un terremoto nella notte, Anna sentì montare prepotente un orgasmo irresistibile di dimensioni gigantesche al quale non si poteva opporre. Ne fu travolta, le sembrava di morire di piacere, il suo respiro aumentava e il cuore andva a mille o forse a centomila. Riprese a gridare frasi senza senso, ma che mostravano solo il piacere intenso che stava provando. Anche Giorgio cominciò a grugnire: “Tieni, tieni , prendilo tutto, fino in fondo, fino ai coglioni te lo sbatto. Ti ho aperto bella Anna, ti ho aperto il culo, ora potrai farti infilare da tuo marito anche un intero razzo della NASA”

Anna sentì Giorgio irrigidirsi e poi tremare tutto spingendo il suo cazzo ancor più dentro di lei. Fiotti caldi le riempirono il culo. Fu un piacere travolgente sentire quella iniezione di sperma. Giorgio la tenne ferma fino a quando i suo cazzo non perse consistenza, poi le sgocciolò sul culo.

Dopo lo tsunami dell’orgasmo anale, Anna, in silenzio, pianse di gioia. Quando riuscì ad alzare il viso, mostrò chiari segni di adorazione per quell’uccello che l’aveva fatta godere così tanto. Lo strinse tra le mani, lo baciò, lo portò in bocca. Anna si chiese se da quel momento in poi avrebbe mai potuto fare a meno del sesso anale. 

Quando Anna si ricompose e riuscì a tornare a casa, trovò suo marito che era tornato da poco. Suo marito le si avvicinò e la baciò teneramente, poi le sorrise e le disse: “Avevano ragione al bar. Lui deve essere un toro. Mentre salivo le scale, davanti alla sua porta, ho sentito la puttanella di turno che gridava come un’ossessa e si sentiva in tutte le scale.”.

“Sciocchezze! Sarà stata una ragazza alle prime scopate della sua vita. In fondo, il sesso è una attività ripetitiva” rispose Anna, mentre sentiva salire le lacrime. Suo marito le si avvicinò e le disse “Questa notte faremo l’amore e ti farò gridare anche io”

“Lascia stare – rispose Anna trattenendo le lacrime – per questo mese lo abbiamo già fatto!”

 

 

 

Marta fumava una sigaretta mentre, nei giardinetti di via Garibaldi, teneva al guinzaglio Speed, il cane di famiglia. La gente passava veloce e solo alcuni passanti accennavano un gesto verso Speed. Portare fuori Speed era un lavoro che, di solito, toccava a suo marito, ma quel giorno era toccato a lei perché suo marito era andato per lavoro fuori città e i ragazzi erano andati a una festa e sarebbero tornati a notte fonda. Per evitare che Speed le pisciasse in casa, si era armata di pazienza ed era uscita così come si trovava, appena tornata da lavoro con una gonna a ginocchio e una camicetta rosa che, se non altro, metteva in risalto il grande seno. Da giovane era stata una bella ragazza, con un fisico perfetto, ma ora a quaranta anni passati, il tempo aveva lasciato le sue tracce sulla pelle, risparmiando solo un bel paio di gambe affusolate.

Marta aveva una bella famiglia, senza particolari problemi economici, con due figli ormai grandi, ormai indipendenti, un menage familiare e di coppia senza scossoni. Era ancora innamorata di suo marito e lui lo era di lei. Non c’erano stati sussulti nella loro vita sentimentale, né ne desideravano.

Fumava e pensava alle vacanze, ormai vicine, per le quali non aveva ancora prenotato nulla. Si avvicinò un ragazzo e cominciò a giocare con Speed, ma Marta non lo vide nemmeno. Avrebbe voluto andare in vacanza in Sardegna ma era ormai troppo tardi per prenotare.

A un tratto il ragazzo che giocava con il cane si rivolse a lei: “È simpatico! Come si chiama?”

“È un bastardino, un trovatello, si chiama Speed!” rispose Marta alzando la testa. La frase si bloccò a metà e rimase a bocca aperta vedendo la bellezza di quel ragazzo. Alto e muscoloso con un fisico perfetto che esplodeva sotto la maglietta, aveva un viso bellissimo con uno sguardo che bruciava la pelle e capelli biondi a boccoli. Mai visto in quel quartiere un ragazzo così! Marta si riprese in fretta dai suoi pensieri, per ascoltare quel che diceva il ragazzo: “Avrei detto che era un volpino, ma…sa….non sono uno che se ne intende. È molto simpatico!” disse il ragazzo mentre, senza guardarla, continuava a giocare con Speed.

“Ti piace? …….. questo vuol dire che anche tu piaci a lui!” rispose Marta, ma il ragazzo non stava a sentirla e lei continuò a fumare guardando i due che giocavano.

Era un ragazzo alla mano, semplice e Marta stabilì un rapporto molto cordiale. Si chiamava Angelo: Un caso di “nomen omen”. Il suo viso e i suoi modi ricordavano proprio un angelo. Lui le raccontò che era in città per un lavoro temporaneo e che abitava non lontano da lì, Era bello parlare con il ragazzo che si mostrava sempre molto interessato in quel che diceva Marta e faceva continuamente domande con un sorriso …… angelico, per l’appunto!

Faceva piacere a Marta discorrere con il ragazzo (non aveva più di vent’anni) e parlarono un po’ di tutto. Angelo era molto simpatico e Marta non trovò nulla di strano quando lui la invitò a bere qualcosa di fresco ai tavoli all’aperto del bar vicino. Si incamminarono verso il bar, ma il bar era chiuso  Con tutta la naturalezza del mondo, Angelo la invitò a salire a casa sua dove avrebbero potuto bere una birra ghiacciata in santa pace. Marta, per la sete che le era venuta e il bel viso di Angelo, accettò.

Una casa piccola e modesta con tutto quello che serve, senza fronzoli. Era pulita e ordinata. Si sedettero sul divano con una birra fresca da bere dalla bottiglia. Speed stava tranquillo accucciato in un angolo. Angelo si rivelò una specie di cabarettista e continuava a raccontare aneddoti esilaranti provocando a Marta le risate più sincere. Improvvisamente sentirono che qualcuno stava aprendo la porta d’ingresso.

“È un mio amico. È il mio coinquilino che condivide la casa con me” disse Angelo presentando Diabe.

Diabe era un ragazzo di colore che parlava un buon italiano. Anche lui prese una birra dal frigo, accese la tivù e sedette nell’unico posto libero del divano, accanto a Marta. Diabe entrò subito in sintonia con loro partecipando e facendo da spalla ai racconti di Angelo.

In tivù cominciò un film e Marta pensò che avrebbe dovuto andare via e tornare a casa. “Ma per far cosa? – le chiese Angelo – A casa non c’è nessuno. Almeno qui sei in compagnia.“ e la compagnia era buona e il film pure. Sembrava di stare al cinema. Marta accettò.

A Marta piaceva quel posto, le piaceva stare in compagnia di quei due ragazzoni e poi le piaceva, molto, Angelo. Era una sensazione nuova che non aveva mai provato prima e trovò quindi naturale e non oppose resistenza quando Angelo la baciò sulla bocca. Anzi, rispose al bacio con altrettanta naturalezza.

Rispose al bacio, ma non poté fare a meno di ripensare alla sua bella famiglia e a suo marito che, in quel momento, stava lavorando per il bene di tutti, mentre lei si stava comportando come una ragazzina. Fu, però, molto indulgente con se stessa e si assolse. In fondo era tollerabile che una donna quarantenne, pallido ricordo della bellezza che era stata vent’anni prima, baciasse un ragazzo così bello e giovane. Scacciò i suoi pensieri, un bacio è solo un bacio e poi……. nessuno l’avrebbe mai saputo. Ma quel bacio non finì rapidamente e Angelo aveva una cura particolare nel farle sentire una passione nuova. Marta, completamente presa da quel bacio, sentì, improvvisamente, una mano che le accarezzava le gambe. Dapprima pensò fosse la mano di Angelo, ma preto si accorse che era Diabe.

Si spaventò, si ritrasse da Angelo e tentò di girare la testa per osservare bene quel che stava succedendo. Ma Angelo le bloccò la testa e sorridendo le sussurrò: “Stai tranquilla, Marta. Diabe sta solo accarezzando la tua pelle vellutata. Non aver paura, non ti farà del male” Marta un po’ a malincuore si tranquillizzò e sorrise ad Angelo e riprese l’appassionato bacio.

Quel bacio divenne ancora più intenso, più appassionato e Marta si sentì sciogliere, sentì una dolcezza infinita che le pervadeva il corpo e non si accorse che Diabe, con gentilezza, le aveva fatto aprire le gambe e si era infilato nell’interno delle cosce guadagnando, centimetro dopo centimetro, la strada verso il bocciolo. Ben presto Diabe raggiunse la meta e prese a titillarle il clitoride fino a che un fiume di umori cominciò a colarle dalla figa. Marta cominciò a gemere di piacere per quella mano tra le gambe e non si oppose quando le dita di Diabe si fecero largo, sotto le mutandine, tra le grandi labbra, infilandosi nella passerina.

Diabe era molto abile e aveva cominciato a masturbarla con grande lena mentre Angelo le teneva ancora bloccata la testa con la mano e con baci mozzafiato. Marta si sentiva in paradiso, presa tra quei due ragazzoni che la desideravano e si prendevano cura di lei. Decise di lasciarsi andare e di lasciare liberi i due dolcissimi ragazzi.

Fu così che si sentì travolgere da un primo orgasmo clitorideo che cercò di dissimulare per timore che Diabe smettesse. Ma fu Angelo che, riconosciuto il momento, staccò le labbra e le sorrise. Marta, abbandonata alle cure di Diabe, chiuse gli occhi cercando di godere quanto più possibile di quella mano santa. Angelo le accarezzava la bella testa e, nel contempo, tirò fuori il suo arnese in tiro. Le prese una mano e la portò sull’uccello. Marta aprì gli occhi e le apparve il bel viso di Angelo che le sorrideva angelico, fu felice di stringergli, tra le mani, l’uccello e cominciò lentamente a segarlo mentre lo guardava rapita.

Nello stesso tempo anche Diabe, accortosi dell’avvenuto orgasmo e del diluvio di caldi umori di lei e, presa la mano libera di Marta, la posò sul suo uccello ormai fuori dai pantaloni e già bello in tiro. Marta volse lentamente la testa verso di lui e, accortasi delle dimensioni ragguardevoli del membro di Diabe, con un’aria sognante e piena di dolcezza gli sorrise e cominciò a segarlo. Se uno esiste il paradiso, pensò tra se Marta, deve essere qualcosa di molto somigliante alla situazione che stava vivendo. Aveva appena provato un orgasmo clitorideo mentre baciava un angelo e ora, seduta tra due bei ragazzoni, li stava segando lentamente mentre sentiva i loro gemiti aumentare e gli affanni crescere rapidamente.

Angelo continuava ad accarezzarle la bella testa fino a quando le carezze si trasformarono in un invito ad abbassare la testa verso l’uccello. Marta capì subito e senza nessuna remora, abbandonò l’uccello di Diabe per accogliere tra le sue labbra quello di Angelo. Assaggiò il glande con la lingua, lo scappellò completamente e leccò tutto intorno prima di introdurlo nella sua bocca. Suo marito diceva che con la bocca era molto brava ed ora voleva restituire ad Angelo le cortesie ricevute. Per far questo si era chinata verso l’uccello di Angelo e aveva ruotato il corpo dalla posizione seduta a quella appoggiata sulla coscia interna.

Ne approfittò Diabe che ora vedeva, sebbene coperta dalla gonna e dalle mutandine, il culo di Marta. Diabe cominciò tirando su la gonna verso la vita e scoprendo del tutto le cosce di Marta. Poi scostò le mutandine scoprendo, in un sol colpo il culo e la figa schiacciate dalle gambe chiuse.

Marta, impegnata com’era a succhiare il cazzo di Angelo, non si accorse di quanto stava succedendo nemmeno quando Diabe, raccolta un po’ di saliva nella mano le unse il buchino del culo.  Solo quando Diabe appoggiò il suo cazzo sul buchino, si rese conto che stava per perdere la verginità anale che aveva difeso con tanta grinta per oltre vent’anni dagli assalti di suo marito. Cercò, muovendo il culo, di far capire a Diabe che non avrebbe gradito quel genere di attenzioni e rafforzò il concetto con l’unica mano libera tenendo a distanza il ventre di Diabe. Ma, ancora una volta fu Angelo che risolse la questione. Senza diminuire la pressione che con una mano esercitava sulla testa di Marta affinché non abbandonasse il pompino, con l’altra mano afferrò il braccio di Marta che difendeva il culo e lo portò al suo petto.

“Lascialo stare. Diabe vuole solo farti del bene. Non ti farà male, vedrai!” le sussurrò Angelo.

Marta ebbe un momento di esitazione che fu fatale, perché Diabe ne approfittò e con un solo colpo le spinse l’enorme cazzo in fondo al culo. Marta sentì un dolore lancinante spalancò la bocca e gli occhi come se, in quel modo, potesse facilitare l’ingresso di Diabe e, nonostante il cazzo di Angelo le riempisse completamente bocca, emise un urlo di dolore che rimase strozzato nella gola.

“No, Noo, Nooooo” Marta si bloccò e rimase ferma, temendo che muovendosi avrebbe aumentato il dolore. “Se uno è un angelo, l’altro è il diavolo! – pensò – Un angelo e un diavolo mi stanno scopando alla grande.”

Furono attimi d’immobilità e di completo silenzio, nemmeno il divano cigolava più e solo Speed abbaiò due volte. Dopo qualche interminabile secondo Diabe cominciò lentamente a ritirare il cazzo e poi a spingerlo di nuovo dentro. Il dolore profondo dapprima lasciò il posto a un leggero fastidio, dopo spalancò le porte a un piacere estremo, un piacere che Marta non aveva mai provato prima. Diabe, per meglio spingere, le afferrò le tette e con quella presa cominciò a pompare, come un disperato, nel culo di Marta.

Marta sentiva montare il piacere come l’alta marea, silenziosa e inarrestabile. Scappellava il cazzo di Angelo per leccarlo, succhiarlo e restituire a lui il piacere che Diabe le infondeva. Nello stesso tempo inarcava la schiena e muoveva il bacino in modo da amplificare il piacere.

Quando fu chiaro che Marta stava godendo di Diabe, Angelo liberò il suo uccello dalla bocca di Marta e l’aiutò a sedersi su Diabe, senza che dal culo le uscisse il randello. Marta si lasciò spostare da Diabe in modo da ritrovarsi stesa sulla schiena. Angelo aiutò i due a trovare una posizione confortevole, prese le mutande di Marta e, non senza fatica, le sfilò dalle belle gambe. Poi divaricò le gambe di Marta ed entrò in lei.

Fu meraviglioso per Marta sentire entrare un Angelo dentro di se, vedere il suo volto bellissimo incorniciato da riccioli biondi mentre le dispensava un piacere profondo. Era il paradiso! Aveva entrambi i buchi pieni con due randelli che spingevano come ossessi nel profondo delle sue viscere. Si sentiva piena e si sentiva felice, mentre sentiva un’altra serie di orgasmi che si stavano preparando per investirla di un piacere immenso.

I due sincronizzarono le spinte e partirono per una lunga cavalcata. Marta, tra Angelo e Diabe, gemeva di piacere e non smetteva di gridare per reclamare tutto quel piacere che le era stato negato dalla sua vita casta e irreprensibile. Incitava i due a spingere sempre più forte mentre sentiva una sequenza di orgasmi a ripetizione che le facevano tremare le gambe e urlare di piacere. Finalmente l’operazione arrivò a compimento e prima Diabe e poi Angelo le riversarono litri di sperma nelle sue viscere. Piano piano i due smorzarono le spinte e scese la calma mentre Marta tremava ancor di piacere.

L’occhio di Marta cadde sull’orologio appeso alla parete. Era tardissimo, suo marito sarebbe tornato a casa di lì a poco. Fu presa dalla paura. Si liberò dei due giovani amanti, abbassò la gonna che era salita fino alla vita, sistemò la camicia, prese il guinzaglio di Speed e, quasi senza salutare, uscì di corsa per tornare a casa.

Lungo la strada, a passo veloce, pensò a quanto era successo e a cosa avrebbe dovuto dire a suo marito. Sperava che non fosse ancora tornato. Si ricordò che per la fretta era andata via senza indossare le mutande che Angelo le aveva sfilato con tanta emozione. Certo era stata una follia. Lei, donna sposata e irreprensibile, madre di due figli ormai grandi, era finita nell’alcova di due giovani stalloni. Non poteva, tuttavia, fare a meno di pensare che quel giorno erano accadute molte cose nuove. Per la prima volta aveva tradito suo marito; per la prima volta aveva fatto l’amore con un ragazzo così bello; per la prima volta aveva fatto l’amore con due uomini e per di più appena conosciuti; per la prima volta aveva provato il sesso anale e le era piaciuto, oh se le era piaciuto! Per la prima volta era stata scopata in entrambi i buchi contemporaneamente e per la prima volta aveva avuto formidabili orgasmi naturali a ripetizione. Tornava a casa un’altra donna, una donna diversa. E senza mutande.

Arrivò a casa di corsa. Suo marito era già lì. Un po’ seccato. Era affamato e chiese: “Ma non c’è nulla da mangiare? Non hai cucinato nulla?”

“Perdonami amore, credevo che tu arrivassi a casa avendo già cenato. I ragazzi sono fuori ed io non avevo fame. – rispose Marta mentre sentiva che lo sperma dei due ragazzi aveva cominciato a colarle lungo le gambe – Ho pensato di portare Speed a fare due passi prima che diventasse troppo buio.”

“Se hai fame anche tu – disse il marito – allora stasera andiamo a mangiare una pizza e poi, visto che stasera non ci sono i ragazzi, a casa rinverdiamo il nostro amore, ti farò godere tutta la notte!” rispose sorridendo suo marito.

“Ok per la pizza! Indosso qualcosa e usciamo” rispose Marta che non vedeva l’ora di asciugare lo sperma sulle gambe, liberarsi del resto e mangiare qualcosa. Ma a fare l’amore con suo marito non ci pensava proprio. Voleva conservare il ricordo dell’angelo e del diavolo dentro di se.

 

 

 

La signora Clara sedeva, nella quasi oscurità, nella verandina del suo bungalow. Suo marito ed i suoi figli l’avevano lasciata sola e erano tornati in città richiamati da pressanti quando improvvisi impegni. Ora godeva un po’ di aria fresca, che veniva dal mare, dopo una giornata  infuocata. Si godeva la sua solitudine e fumava la prima e forse l’ultima sigaretta della giornata.  Erano molti anni che andava con la famiglia  in quel villaggio ed il posto le era ormai familiare. Un villaggio non troppo lontano dalla città, con una graziosa spiaggia  privata ed un mare che non era quello dei caraibi, ma era pulito e gradevole. Fumava e seguiva le volute del fumo che saliva al cielo alla scarsa luce del vialetto. Nel silenzio assoluto, di tanto in tanto, passava qualche villeggiante, parlando sottovoce.  In lontananza si sentiva la musica del bar discoteca sugli scogli che attirava i più giovani e che, a quell’ora, era ancora in pena attività.

Clara ripensava alla sua famiglia felice, a come il tempo fosse passato veloce a trasformare lei, una ragazza che amava la vita sociale e disimpegnata, in una donna di quarant’anni che aveva tirato su due figli ormai grandi e autonomi.  Merito di suo marito che l’aveva saputa trasformare, l’aveva saputa educare  e trasformare da ragazza  che amava le serate con gli amici in madre amorevole e premurosa. Ma qual’era stato il prezzo che Clara aveva pagato? Oggi un donna di quarant’anni, che aveva saputo conservarsi bene, che aveva curato il suo aspetto quasi a congelare la sua bellezza acerba dei suoi diciassette anni del primo figlio ed ora ancora piacente  si sentiva svuotata dal suo ruolo per l’abbandono del nido familiare e custode di un marito troppo rigido, ingessato in un ruolo che si era costruito e che ora lo imprigionava.

Clara sentì un brivido percorrerle la schiena: era, dunque, una condanna senza appello?  Era diventata vecchia a quarant’anni? Avrebbe vissuto da spettatrice gli altri quarant’anni che l’attendevano?  I figli stavano per spiccare il volo, avrebbero mantenuto stretti contatti con lei, poi sarebbero arrivati le nuore ed i nipoti.

Mentre spegneva la sigaretta infilandola nella bottiglia di birra, uniche compagne della sua serata, sentì in lontananza delle voci avvicinarsi.  Erano i ragazzi del bungalow di fianco al suo, bravi ragazzi che si stavano affacciando alla vita ed al mondo e che lei aveva aiutato come una mamma. Erano tutti bravi ragazzi, sei aspiranti adulti che scoprivano un mondo diverso da quello al quale erano abituati, con luci colori, sapori e, soprattutto ragazze.

L’inesperienza, l’urgenza di ottenere risultati apprezzabili, l’ubriacatura di libertà avevano alimentato grandi speranze e aspettative, ma  limitato i risultati.

Intanto le voci si erano avvicinate ed ora lei poteva distinguere che erano solo due i ragazzi che tornavano alla base. Erano Michele ed Andrea che non mancarono di fermarsi da Clara. Due ragazzoni che dimostravano molto di più della loro età, dal sorriso intenso e dai sentimenti ancora puri. In particolare in una occasione a Michele che le aveva confessato di essere innamorato, non corrisposto, di una ragazze del villaggio e Clara gli aveva dispensato i suoi consigli di mamma per consolarlo.

Andrea, invece, sembrava immune all’innamoramento e si godeva il suo buon carattere sempre allegro e disponibile.

I due ragazzi arrivarono ridendo rumorosamente e portarono un po’ di allegria a Clara che li accolse con gioia: “Il ritorno dei guerrieri. Avete riportato vittorie superiori alle più rosee aspettative?  Avete preso gli scalpi delle povere fanciulle cadute nelle vostre trappole e vittime delle vostre fauci?”

“No, no, niente di tutto questo. Caccia infruttuosa anche stasera – rispose Andrea – ma poiché domani partiamo e torniamo a casa, abbiamo pensato di festeggiare l’ultima notte con un grande bagno notturno ed attesa dell’alba sul mare. “

“Siamo venuti per inviarti a venire con noi. Abbiamo qualche bottiglia di birra e tanta allegria. Ci farebbe molto piacere!”

“Grazie, siete molto gentili. Ma è già tardi e sono quasi pronta per andare a dormire! E poi cosa c’entra una vecchia bacucca con dei simpatici ragazzoni con la voglia di vivere? Piuttosto, se partite domattina presto, dobbiamo salutarci…….” rispose Clara

 “Ma stai scherzando? – si inserì Michele sinceramente – altro che vecchia bacucca .…. sei una della donne più belle di questo villaggio e non ci sono ragazze che possano stare alla tua altezza per bellezza e simpatia!”

“Grazie Michele, sei sempre molto premuroso e gentile! Forse è come tu dici ma rimane il fatto che potrei essere vostra madre. E i ragazzi come voi hanno bisogno di star lontani dalle mamme.”

“Voglio la mamma, voglio la mamma!” finse di piagnucolare Andrea

“Altro che mamma, sei la nostra migliore amica, la saggia consigliera. Io non potrei partecipare alla festa di addio sapendo che tu non ci sei.” incalzò Michele.

Clara resistette fino a che Michele non usò le parole magiche: “Siamo venuti fin qui solo per invitarti e non andremo via senza di te”

“Va bene! E sia il bagno in notturna! Metto il costume, prendo due teli e sono da voi. Nel frigo ci sono due birre, prendetele e calmate la sete!” disse Clara alzandosi per entrare dentro.

In spiaggia, non lontani dal bar discoteca, c’erano tutti e sei e lei unica donna. Ma non ne fu turbata. Altre volte era entrata nel bungalow dei ragazzi come una mamma e come una mamma si era comportata. Ed anche in quella occasione non rinunciò al suo ruolo. La musica che proveniva dalla discoteca accendeva gli animi e l’allegria era alimentata dalla birra. Il bagno in notturna è un rito giovanile associato alla bottiglia di birra. Rito al quale Clara si adeguò e la birra la rese più allegra e distesa.

I corpi dei suoi giovani amici riflettevano la luce della luna. Quando furono pronti per tuffarsi, uno di loro gridò: “Attenzione ragazzi, per un saluto beneaugurante il bagno lo si fa nudi!”. Seguirono urla ed applausi ed i ragazzi cominciarono a togliersi i costumi. La presenza di Clara aveva certamente suscitato una certa qual eccitazione nei ragazzi il cui effetto, senza costume, alla luce della luna, era ora evidente.

Clara osservava quei corpi che lentamente si denudavano e tra un pezzo e l’altro buttavano giù una generosa sorsata di birra e con la mente tornò indietro di ventitre anni, quando anche lei con i suoi amici avevano deciso di fare un bagno notturno senza costume. Bevve ancora birra. Vedeva quei ragazzi, quasi figli suoi, nudi e vagamente eccitati giocare fra di loro, i corpi illuminati dalla luna, bellissimi e flessuosi esattamente come quelli che avevano animato le sue fantasie ventitre anni prima.

I ragazzi ballavano con la musica che veniva dalla discoteca, e poi si rincorrevano e si spingevano. Michele, già completamente nudo, si avvicinò a Clara riportandola alla realtà e con la sua bottiglia di birra cercò quella di Clara per fare un brindisi: “Non ti spogli?”. Bevvero entrambi.

“No, no, Michele, ma scherzi? Non ho più l’età per spogliarmi.“ rispose Clara sorridendo, un po’ imbarazzata per la nudità di Michele, e mandò giù un generoso sorso di birra.

“Ma di quale età parli? Sei bellissima e l’età non si nota di certo.”

Passava di lì un altro ragazzo del gruppo che avendo sentito di cosa si parlava, senza fermarsi disse ai due: “Eh no! Non ci sono scuse, ci si spoglia e basta” e alzò la bottiglia per il brindisi.

Clara sorrise e rispose al brindisi. Tentò ancora di resistere, ma un altro ragazzo la incalzò: “Tutte storie, siamo tutti uguali, tutti creature di Dio. Se non ti spogli da sola, ti spoglieremo noi!”

Clara vedeva quei ragazzi così giovani, così entusiasti della vita e pensò tra se: “A chi potrei far del male spogliandomi e unendomi a questa esplosione di vivacità e giovinezza? ”

Forse furono questi pensieri, forse fu la birra….“Ok, Michele, mi spoglio anche io!” e, con un largo sorriso,  alzò la bottiglia di birra per brindare e bere ancora un sorso.

“Grande Clara! Siamo amici, no?” Michele estasiato la osservò mentre si spogliava e lei, che ne era cosciente, lo fece con studiata lentezza, quasi teatralmente, per il piacere di essere ammirata. Misurava il gradimento di Michele lanciando rapide occhiate al membro di lui che mostrava inequivocabilmente di gradire lo spettacolo.  Quando la discoteca passò dalla musica rock sfrenata ad un lento, Michele, sorprendendola, la prese tra le braccia per ballare e le sussurrò all’orecchio: “Sei stupenda, sei meravigliosamente bella, sei un sogno…..”

Clara si sentì una regina e si lasciò guidare tra le braccia da quello che avrebbe potuto essere suo figlio ma che sapeva dire le parole giuste al momento giusto. Mentre ballava si accorse che il membro di Michele, che era quasi in tiro, era appoggiato sul suo ventre. Clara guardò Michele e sorridendo gli disse: “Non credi che ci sia qualcosa di tuo che spinge un po’ troppo sul mio ventre?”

Michele arrossì, ma senza perdere la padronanza di se, rispose alludendo alle sue belle tette ancora molto piene: “E tu non credi che ci sia qualcosa di tuo che spinge un po’ troppo sul mio petto?”

Scoppiarono a ridere entrambi e senza mollare la presa rimasero allacciati nel ballo. Clara rise di gusto, le sembrava di avere diciassette anni e quando Michele avvicinò le labbra alle sue, rispose al bacio come rapita.

Qualcuno gridò: “Tutti in acqua” ed i ragazzi si lanciarono in una folle corsa verso il mare. Clara e Michele continuarono a ballare mentre si baciavano.  Clara si sentiva benissimo, tra le braccia di Michele che la cullava al suono di una musica da sogno. Sentiva il membro di Michel che diventava sempre più duro, ma non se ne meravigliava, anzi le confermava di essere ancora desiderata e si lasciava cullare. Clara si godeva quelle giovani braccia che la stringevano e la cullavano.

Sentiva il membro di Michele sempre più duro e fu tentata molte volte dalla voglia di prenderlo in mano per sentirne la consistenza e riprovare quel brivido che tanto le piaceva da ragazza.  Ma non ne ebbe il coraggio.

Fu in quel frangente che si sentì abbracciare da dietro e un altro membro in erezione che spingeva sul suo culo.  Senza scomporsi troppo, mentre continuava ad essere cullata al suono della musica, girò la testa verso il nuovo arrivato e gli afferrò il membro. Era Andrea, e la sorpresa per Clara furono le dimensioni del membro di Andrea: almeno doppie rispetto a quelle di suo marito. “Andrea, cosa fai? – sospirò con un fil di voce Clara – non vai a fare il bagno con gli altri?”

Andrea, riacquistato coraggio per la tenue reazione di Clara e ringalluzzito per il fatto che ella continuava a stringergli il membro tra le mani, portò le sue mani sui seni di Clara stringendoli con decisione, provocandole  un gemito di piacere misto a sorpresa, ed esclamò: “ C’è un tempo per il bagno e c’è un tempo per ….. ballare.”

La mano di Clara continua a tenere fermamente il suo membro: “Oh si, no, no ……. non così forte, Andrea – esclamò Clara – ……. non farmi male”

Clara si stupì per le parole che aveva appena pronunciato, un vero e proprio invito e, insieme al desiderio, provò anche un po’ di vergogna. Le venne in aiuto Michele che la baciò di nuovo. Clara languidamente si lasciava trasportare in quel ballo senza fine.

Clara, catturata dai quei due ragazzoni, sentiva che non le bastava più esser cullata dai giovani corpi. Sentiva quei membri duri che spingevano sul suo corpo, bruciavano la sua pelle e desiderava essere penetrata.  Sperò che Andrea o Michele la prendessero lì, sul bagnasciuga, alla vista di tutti.

Andrea, di gran lunga il più intraprendente dei due, cominciò ad esplorare la passerina di Clara e in lei crebbe la voglia di far l’amore di sentirsi penetrata e posseduta. Quei ragazzi, così giovani e così ingenui nei temi dell’amore, mostravano maggiore preparazione in fatto di sesso, ma non si decidevano a fare il passo decisivo e, allora, fu Clara che ruppe gli indugi.

Un desidero fortissimo si era impadronito di Clara, che aveva vinto le remore di donna sposata e irreprensibile per ventitre anni, insieme alla paura di aver perso importanti occasioni che non si sarebbero più ripresentate. Clara, senza mollare la presa dall’uccello di Andrea, si chinò a novanta gradi per prendere in bocca l’uccello di Michele. Poi, con la bocca piena, cercò di infilare il cazzo di Andrea nella sua passerina infiammata dal desiderio. La reazione dei due fu immediata. Michele le prese la testa fra le mani per accompagnala nei movimenti, mentre Andrea cominciò a spingere come ossesso. Clara ebbe un gemito di apprezzamento più forte del solito e chiuse gli occhi per meglio assaporare i due cazzi. “Oh Clara, sei bellissima – disse Andrea – sei un sogno, sei un sogno meraviglioso.”

“Si, un sogno, hai una bocca meravigliosa che mi avvolge il cazzo. – incalzò Michele – Succhia Clara, succhia”

Clara riaprì gli occhi e trovò la forza per rispondere:  “Fottimi, Andrea, fottimi con tutta la forza che hai, fammi sentire che son  davvero un sogno, afferra questo sogno. È tuo, e vostro, tuo e di Michele. Se questo è il vostro sogno fottetemi insieme, fatemi volare!” 

“Andrea stenditi per terra – disse Michele – e tu Clara siediti su di lui” Andrea estrasse la sua spada di fuoco dalla figa di Clara e si stese per terra. Clara cercò di farsi impalare dal suo cazzo enorme, ma Andrea le giocò un brutto tiro e la impalò nel culo. Clara lanciò un urlo di dolore, seguito da un suono gutturale: “Siiiii, si, così Andrea fottimi, fottimi, fottetemi”. Per Clara si trattava della prima volta e ora si godeva quel cazzo enorme dentro di se.

Michele, senza farle uscire il cazzo dal culo, la fece distendere con la schiena su Andrea, poi le divaricò le gambe, le aprì le grandi labbra e con movimenti rapidi e sicuri entrò vittorioso nella figa.

Quei due tori sembravano sincronizzati e spingevano con un ritmo impressionante. Clara si sentiva ora pressata dal cazzo di Andrea, ora riempita da quello di Michele. Sentiva montare un piacere intenso e pregustava l’orgasmo che ne sarebbe seguito.

“Sfondami il culo, Andrea. Per carità, sfondami il culo!!! E tu Michele non ti fermare, fottimi fino al mattino!!!” disse Clara che ammirava l’impegno e la foga dei due mandrilli. E, mentre i due soffiavano come tori infuriati, gemeva di piacere e di passione. Fu un crescendo di gemiti e di piacere. Clara sentiva il culo aprirsi come un melone e si sentì lanciata nel cielo infinito, proiettata verso la luna argentea. Fu travolta da un paio di orgasmi e tra tremori e urla di piacere atterrò sulla spiaggia mentre quasi all’unisono Michele ed Andrea la riempirono di sperma dolcissimo e caldissimo.

Quando riaprì gli occhi vide che intorno a se si erano raccolti gli altri ragazzi del gruppo che, eccitatissimi,  si stavano masturbando tutti insieme. Aveva appena capito dove si trovava che fu inondata da schizzi violenti di sperma lanciato con cura dai ragazzi.

 

 

 

La signora Micaela uscì soddisfatta dal ristorante e con un leggero sorriso sulle labbra. Aveva mangiato di gusto e soprattutto aveva trascorso, con Veronica, una serata come non le accadeva da molto tempo. Veronica era una sua amica del liceo con la quale aveva passato giorni felici e avevano fatto le prime scoperte della vita. Da allora erano passati più di dieci anni, Micaela aveva incontrato l’amore della sua vita che aveva sposato, in cinta di tre mesi, senza poter andare all’università. Veronica, invece aveva frequentato brillantemente l’università e aveva fatto molta carriera in un’azienda importante.

Micaela non era dispiaciuta della scelta fatta, né sentiva di dover recriminare qualcosa per non aver potuto studiare, ma era felice della propria scelta, dei figli e del marito che non le aveva mai fatto mancare nulla.

Veronica viveva in un paese lontano ed era in città per lavoro. Aveva un’importante riunione e aveva anticipato il suo arrivo per passare una serata con Micaela. Per la carriera aveva dovuto rinunciare a una sua famiglia, ma era felice così.

Micaela e Veronica erano, ormai, due signore molto diverse tra loro ma anche molto amiche nonostante le rare volte che riuscivano a stare insieme. Erano diverse ma con molte cose in comune a cominciare dall’ancora florida bellezza. Tra Micaela e Veronica c’era sempre stata una sana competizione, assopita con il matrimonio di Micaela, ma che rispuntava fuori quando le due donne erano insieme e sole. Per questa ragione, Micaela, ricordando che Veronica amava vestire in maniera provocante, si era adeguatamente preparata indossando una bella gonna blu marine che le arrivava a metà coscia con delle calze luminose e brillanti color carta da zucchero che le fasciavano le belle gambe e una camicetta di raso grigio sotto la quale risaltava una collana di corallo rosso acceso. Due orecchini di corallo segnalavano la presenza di orecchie piccole e ben fatte, sotto una cascata di capelli neri corvini.  Suo marito, nel vederla uscire aveva provato un brivido di gelosia che non aveva svelato per non ferire sua moglie.

Avevano trascorso una piacevole serata e ora tornavano a casa. Una volta fuori dal ristorante, Veronica disse: “Non vorrai mica rintanarti nel tuo nido! Non vorrai abbandonare una povera amica in questa città tentacolare! Andiamo! Accompagnami a bere un Irish coffee in un luogo adeguato.”.

Micaela, avrebbe preferito tornare a casa, in fondo il segreto di un buon matrimonio sta anche nella capacità di non suscitare sospetti, ma per accontentare la sua amica accettò di buon grado. La serata stava andando benissimo e occorreva festeggiare. Andarono in vecchio pub non molto distante dal ristorante mentre gustavano il primo Irish coffee, si avvicinarono due giovanotti, Pier e Stefano, e attaccarono bottone. Due ragazzoni alti, fisico asciutto e sorriso stampato sulle labbra. Erano molto simpatici e soprattutto molto spiritosi. Non fu spiacevole, finito il primo, accettare un secondo Irish coffee.

Il tempo era volato e quando il secondo Irish coffee era ormai alla fine. Micaela e Veronica cominciarono a prepararsi per tornare a casa. Pier disse: “Non vorrete mica terminare la serata così banalmente! Venite a casa mia, ho una sorpresa”

Micaela era decisa a tornare a casa, era già quasi mezzanotte ma Veronica insisteva: “Tu vai a casa da tuo marito, ma io cosa faccio sola in albergo?” Micaela si lasciò convincere anche questa volta.

Entrarono in casa e si accomodarono sul divano e sulle poltrone e, mentre Pier andò a “preparare la sorpresa”, Veronica, togliendo i decolleté tacco dodici, disse: “Ahia, che tortura queste scarpe. Vi dispiace se me le tolgo? – poi rivolta a Micaela – toglile anche tu, tesoro, altrimenti domani non riuscirai a camminare” Ma Micaela si sentiva in imbarazzo senza scarpe e si limitò a sorridere.

“Brava Veronica! Per solidarietà toglierò anche le mie scarpe” rispose Stefano.

Anche Pier si unì immediatamente al gruppo e tolse le scarpe, costringendo Micaela a toglierle anche lei che, per l’imbarazzo, raccolse le gambe sotto il sedere.

I ragazzi erano euforici e trasmettevano allegria anche alle due amiche. Ora, alla luce, apparivano davvero giovani e Veronica disse a Micaela: “Potrebbero essere i nostri figli! Non dobbiamo farci caso, prendiamo quel che ci va e poi ci dormiamo su”.

Stefano mise un po’ di musica mentre Pier, in cucina, predisponeva delle barrette di cioccolato fondente in piccoli bicchieri ricolmi di rhum ambrato e profumatissimo. Dopo poco, Pier tornò nella stanza con gli altri con quattro bicchieri di rhum e cioccolata su un piccolo vassoio. Appena entrato in camera, disse: “Ecco la sorpresa, ragazzi, c’è da perdere la testa per questa bontà. Stefano abbassa le luci, non siamo mica in spiaggia!”.

Veronica si alzò e si andò a sedere su una poltrona di fianco a Stefano, lasciando Micaela sola sul divano. Pier servì tutti e poi sedette affianco a Micaela offrendole il suo bicchiere. La musica di sottofondo, le luci basse, la cioccolata con il rhum, ora l’atmosfera era perfetta ed anche Micaela si lasciò andare. Mentre la conversazione riprese allegra, con frequenti scrosci di risate, Micaela succhiava la barretta di cioccolato bagnata nel rhum e nel bagnarla, intingeva le dita che poi era costretta voluttuosamente a leccare.  Pier, che le era seduto a fianco, si dimostrò un vero portento dell’affabulazione e continuava a inventare storie per farli ridere.  E Micaela rideva e più rideva più si lasciava andare e non trovò per nulla strano quando Stefano si alzò dichiarando che poiché Veronica aveva le gambe scoperte, le avrebbe scoperte anche lui e si cavò i pantaloni. Pier ridendo a crepapelle seguì l’amico. In mutande e calzini a metà polpaccio erano davvero buffi e fu quindi Veronica che, tra le risate, nell’illusione di convincerli a rimettere i pantaloni, disse: “Andiamo ragazzi, con quei calzini fate solo ridere, sembrate due deficienti”. Micaela, invece, non poté fare a meno di apprezzare quelle belle gambe maschie, con una peluria diffusa, muscolose che lasciavano immaginare che, finire nella morsa di quelle gambe, sarebbe stato come finire in una trappola mortale nella quale doveva essere dolcissimo finire. Una fine gloriosa e ambita. Si erano due begli esemplari di maschio e Micaela avrebbe desiderato far l’amore con uno dei due per terminare la serata in bellezza.

I due furbacchioni furono svelti a rigirare la frittata e, invece di rimettere i pantaloni, tolsero anche i calzini. Dopo di ché, chiesero alle due ragazze di togliere anche loro le calze per parità. E lo chiesero con tanta insistenza che prima Veronica e poi Micaela improvvisarono un delicato streap tease togliendo le calze. Oramai tutti erano un po’ brilli, avevano rilasciato i freni inibitori e si godevano la serata.

La disposizione delle poltrone e dei divani favorì la composizione delle coppie. Micaela non poté fare a meno di notare che sotto le mutande di Pier s’intravedeva una ragguardevole dotazione, ma mai ne avrebbe approfittato perché era tuttora innamorata di suo marito e tradire non era onesto. Stava bene, era serena e allegra e scherzava con Pier senza malizia e non trovò strano quando questi intinse la propria barretta di cioccolato nel bicchiere di Micaela e poi, a mo’ di rossetto, cominciò a stenderlo sulle labbra di Micaela. Rideva Micaela e, quando Pier le chiese di succhiare il bastoncino, tirò indietro la testa ridendo per nascondere la vergogna. Il suo sguardo finì sugli altri due e scoprì con grande sorpresa che la sua cara amica Veronica era piegata e riversa su Stefano e presumibilmente era impegnata a succhiare il sesso di Stefano. Il riso le si strozzò in gola e per nascondere il suo disappunto ed evitare che Pier vedesse anche lui quel che lei aveva visto, riabbassò la testa e riprese a succhiare il bastoncino di cioccolata. Succhiava e leccava con la precisa volontà di non alzare la testa per non vedere quel che stava succedendo sulle poltrone. Nello stesso tempo, si riaccese il fuoco della competizione con l’amica.

Micaela emozionata dalla presenza di Pier non si era accorta dei movimenti dell’amica e non riusciva a capire se Veronica avesse avuto già un piano ben preciso in mente, o se, più semplicemente, si era adattata alla situazione e colto la palla al balzo. Molto presto, nella completa indifferenza di Pier, Veronica e Stefano si alzarono e alla chetichella, mano nella mano, si diressero nella stanza da letto. Lei continuava a succhiare il bastoncino di cioccolato fondente e il sangue le ribolliva.

“Sei molto brava a succhiare, – disse Pier – ma ti sei tutta sporcata di cioccolata “ e, mentre lo diceva, si avvicinò a Micaela e con la lingua leccò le sue labbra, come a volerla ripulire. Micaela si lasciò fare e presto quella situazione divenne un bacio tenero e appassionato, durante il quale ebbe la sensazione di essere in paradiso, baciata da quel ragazzone così dolce e così muscoloso e non poté fare a meno di pensare che la situazione avrebbe solo potuto migliorare. Micaela fu colpita da una scarica di adrenalina che le fece sentire le campane suonare a festa.

In quel momento Micaela sentì suonare il suo cellulare rimasto nella borsa. Pensò che potesse essere suo marito preoccupato perché non la vedeva ritornare, ma pensò anche che non fosse il caso di rispondere per non interrompere quel bacio meraviglioso e inatteso. Dopo il bacio, tuttavia, fu colta da qualche rimorso. Non aveva mai tradito suo marito e ora non si stava comportando come una buona moglie, ma quel bacio, misto alla cioccolata e quel sapore di rhum era veramente troppo difficile da abbandonare.

Il gioco piacque a Pier che, terminato il bacio, intinse nuovamente il bastoncino di cioccolata nel rhum e lo ripassò sulle labbra di Micaela. Il telefono suonò di nuovo e Micaela fu tentata di rispondere ma Pier fu più svelto di lei e ripiombo sulle sue labbra. Questa volta, però, il bacio fu accompagnato da una mano che s’insinuò sotto la gonna. Era la fine, pensò Micaela. O meglio, era la fine delle sue difese, nonostante lo squillo del telefono somigliasse sempre più al grido disperato di un uomo che vedeva la propria donna scivolare tra le braccia del diavolo. Micaela resisteva al richiamo disperato di suo marito perché aveva scoperto che quella situazione, che aveva vissuto tante volte prima di sposarsi, era esattamente quello che desiderava in quel momento. Aveva bisogno di fare conquiste e portare a casa lo scalpo della preda. Aveva bisogno di scopare con un altro uomo che non fosse suo marito. Sentiva una vicinanza intima ossessiva, che metteva quel ragazzo al centro delle sue attenzioni. Sfilò le gambe da sotto il sedere per rendere più agevole l’esplorazione di Pier e quando questi s’intrufolò nell’interno coscia, proprio mentre per la terza volta squillava il telefono, Micaela si lasciò andare e aprì le definitivamente gambe per assaporare quella mano fino in fondo. Il ragazzo accarezzò l’interno coscia e poi, senza staccarsi dalle labbra di Micaela, si diresse deciso verso il perizoma.

Micaela fu assalita dai rimorsi, ma resistette e lasciò squillare il telefono perché si sentiva follemente attratta dal corpo di Pier, dal suo odore, dai suoi gesti e follemente desiderava che lui la prendesse. Questa era una novità per Micaela: non si era mai sentita così sessualmente attratta da qualcuno e si chiedeva se fosse solo la voglia di superare l’amica o una perversione verso quel ragazzo, così forte da farle lasciare il telefono squillare, o se non fosse la sua vera natura che assopita da anni di matrimonio, ora non reclamasse la sua parte. L’attrazione era troppo forte e Micaela mise da parte la ragione e il controllo di se. In quel momento la priorità era abbattere le barriere dell’estraneità e raggiungere una fusione con Pier.

Mentre Pier esplorava l’interno del perizoma, lei sbalordendo se stessa, per abbattere le barriere allungò una mano verso il pacco di Pier e, infilatasi sotto il suo boxer, gli afferrò decisa il pene già in grande erezione. Quando lo tirò fuori, ai suoi occhi si presentò un bel cazzo marmoreo completamente depilato. Si sentì subito attratta da quella vista, da quel pene così diverso da quello di suo marito, così giovane e rigido che prometteva l’estasi d’amore. Ebbe subito l’impulso di prenderlo dentro di se, ma l’ora tarda e suo marito che insisteva al telefono, la spinsero ad accelerare i tempi e accontentarsi di succhiarlo solo un po’ per abbeverarsi del nettare dolce e profumato.

Mentre con la mano lo spugnettava, si piegò su stessa per raggiungere con la bocca quel sogno. Lo scappellò e fu avvolta dall’odore acre del sesso.  Leccò l’asta e baciò il glande. Lo lambì con la lingua, lo accarezzò con la punta della lingua tutt’introno alla cappella, poi presa dal desiderio lo infilò tutto in bocca succhiando forte. Poi scese con la lingua fino ai coglioni e, presili tra le dita, li stimolò mentre con la lingua risaliva verso la cappella. Curava il glande, lo leccava, lo succhiava, lo mordicchiava e poi infilava tutto dentro giù fino alle corde vocali, fino al primo conato di vomito e rapidamente lo estraeva. Pier gemeva di piacere e la pregava: “Si, Micaela, siiiii, vai giù, più giù che puoi, voglio lambire le tue tonsille, le tue corde vocali, voglio riempirti i polmoni di crema caldissima”.

Micaela sentiva la passerina sempre più gonfia e un po’ dei suoi umori colavano lungo le gambe nude. Era eccitatissima, desiderava che Pier le riempisse la bocca di sperma, dolce, caldo, profumato. Proprio in quel momento, però, sentì provenire dalla stanza da letto i cigolii del letto e qualche colpo della rete che batteva contro il muro sotto le spinte possenti dei due amanti. Ci mise più attenzione e sentì distintamente i gemiti della sua amica e gli affanni di Stefano che spingeva con foga e la fotteva come un dannato. E fu allora che Micaela, per pura emulazione, decise che, in fondo un’oretta in più di ritardo non avrebbe peggiorato la sua situazione con suo marito. 

Micaela sussurrò: “Ora basta giocare, Pier. Facciamo sul serio! Ti voglio dentro, voglio tutta la tua potenza dentro. “

Si alzò in piedi, tolse la camicetta, la collana e gli orecchini. A Pier apparve il ventre piatto e morbido di Micaela che terminava con un triangolo di pelo rado e curato che appariva dietro il velo del perizoma. Micaela tirò giù anche quello e si voltò le spalle a Pier per sistemare la camicetta ordinatamente sul tavolino. E quando si piegò, a Pier apparve un culo rotondo e sferico, un miracolo della geometria, al centro del quale era incastonata la rosellina del buchino e a pochi centimetri più in giù, le labbra gonfie della figa. Una visione paradisiaca che colpì Pier, il quale non si fece attendere, né fece attendere Micaela, ma si alzò in piedi afferrò con le mani il bacino di Micaela e appoggiò il suo membro possente sulla figa gonfia. Micaela senza alzarsi, rivolta a Pier gli disse: “Entra dentro di me, presto, ho bisogno di vita. Entra nella mia passerina è lubrifica ben bene il tuo attrezzo, perché io stasera lo voglio tutto nel culo. Voglio che per entrare mi squarti il culo e che per fottermi me lo sfondi. Stasera o mai più”.

Pier non se lo fece ripetere. Appoggiò l’uccello sulla figa che scivolò dentro come risucchiato. Afferrò Micaela per le tette e la tirò a se mentre con il bacino sferrava un poderoso colpo. Micaela si sentì come trafitta da una spada di fuoco ed emise un gemito soffocato di piacere. Per effetto del colpo di bacino, libera dalla presa di Pier, Micaela portò avanti il bacino, ma dopo cuna decina di centimetri, Pier la riprese per le tette e la tirò a se ancora, procurandole ancora un profondo senso di possesso. Micaela si sentiva nelle mani di Pier non solo fisicamente ma con tutta se stessa e, con tutta se stessa, desiderava sentire ancora la potenza delle spinte taurine di Pier. Il suo respiro cominciò a diventare affannoso e improvviso senti un orgasmo montare e riempirle il ventre e la testa. Le gambe cominciarono a tremare e sentì se stesa gridare: “Siiiiiiiiiiiii siiiiii cosìiiii”

Fu travolta da un profondissimo orgasmo, ma non riuscì nemmeno per un attimo a rilassarsi, perché già Pier galvanizzato dal primo risultato parziale e ancora lontano dalla propria conclusione, estrasse la sua spada di fuoco dalla passerina di Micaela, l’appoggio sulla rosellina anale e cominciò a spingere. 

Un fremito scosse il corpo di Micaela, come una corrente a trentamila volt, le richiamò alla mente i suoi trascorsi di signorina, e tutti i suoi amanti che le avevano regalato momenti di pura felicità quando sentiva il suo corpo pervaso da mani ansiose e cazzi marmorei. E le venne in mente di suo marito che sin dall’inizio aveva bollato la pratica anale, che a lei piaceva così tanto, come immonda e immorale, lasciandola per quasi vent’anni priva di quelle profonde e intense soddisfazioni sessuali. Al punto che ora le sembrava di toccare il cielo con un dito, con il suo corpo leggero scosso da un terremoto di emozioni. E mentre pensava tutto questo, Pier entrò trionfalmente e completamente dentro, dilaniandole i muscoli rettali e strappandole un grido di dolore soffocato solo dalla vergogna. Ben presto il dolore per la lacerazione fu sostituito da un piacere profondo, lo stesso piacere che ella aveva assaporato tanto tempo prima e mai più riprovato.

“Fammi tua, fottimi fino in fondo. Riempimi, riempimi il culo di sperma, fammi esplodere, fammi volare…..” gridava Micaela mentre Pier agganciato alle sue tette spingeva come un locomotore a vapore.  Micaela, che fino a quel momento aveva tenuto le gambe un po’ divaricate, nella speranza di sentire maggiormente quel potente cazzo strisciare nel suo retto, strinse le chiappe accavallando le gambe attorcigliate. Pier le prese le mani con le mani, utilizzando le sue braccia come redini, ottenendo così che Micaela poteva allontanare maggiormente il bacino da Pier e questi, tirando le sue braccia come redini riusciva a infilare i suoi venti e passa centimetri nel profondo del suo retto, strappandole ogni volta un gemito sempre più forte.

Do parecchi minuti di questa ginnastica, Micaela sentì come uno tsunami sollevarla da terra e farla preda della sua forza. Tutti i suoi neuroni indicavano burrasca e come in un mare in tempesta in un guscio di noce senti rovesciarsi dentro di lei fiumi di sperma profumato, e fu colta, fra tremori e contrazioni muscolari dolcissime da uno dei più intensi orgasmi mai provati prima.

Pier si lasciò cadere sul divano in debito di ossigeno, il respiro affannoso e il viso rigato dal sudore. Micaela, riavute le facoltà motorie, si avvicinò a lui e si lasciò cadere tra le sue braccia. Erano distrutti con il respiro affannato in sincronia.

Micaela stette ancora qualche minuto tra le braccia di Pier per riprender fiato, nessuno dei due riusciva a parlare, ma si sorridevano l’un l’altro mentre cercavano di recuperare le forze e l’ossigeno necessario.  Micaela si alzò e con devozione avvicinò le labbra al cazzo ormai molle di Pier e prendendolo nella sua bocca e con la maestria della sua lingua lo ripulì ben bene. Poi si alzò e in silenzio, sotto lo sguardo interrogativo di Pier, indossò la camicetta, collana e orecchini e, in ultimo la gonna e le scarpe. Mise le calze e il perizoma nella borsa perché voleva sentire lo sperma che una volta in piedi avrebbe cominciato a uscire e a colarle lungo le gambe. Baciò Pier sulla bocca e gli disse: “Non so se ci vedremo ancora. È stata una pazzia, ma anche una splendida sorpresa. Torno da mio marito che mi aspetta, ma portò nel culo il tuo sperma e ne conserverò il profumo e il ricordo per l’eternità”.

Poi, prima che Pier potesse reagire in qualche modo, presa la borsa, uscì da casa di corsa. Lungo la strada che percorreva a passo veloce, sentiva le gocce di sperma che le rigavano le gambe nude. Suonò il telefono. Era suo marito. Micaela considerò che ancora per qualche minuto fino a quando sarebbe arrivata a casa, avrebbe potuto tener per se nei suoi pensieri solo e soltanto Pier.

 

 

 

Laura era una donna che aveva da poco superato la soglia dei quaranta. Era alta, ancora bella. Non come quando aveva vent’anni ma era ancora piacente. Indossava una canotta molto larga e lunga che le arrivava fino a metà coscia. Le tette, piuttosto grandi, le ballavano visibilmente sotto la canotta. Nonostante fossero le otto del mattino era già caldo. Le finestre erano aperte per sfruttare anche la minima corrente. Laura indossava la canotta quando era molto caldo e in casa non c’era nessuno, perché le tette che ballano sotto la canotta l’avrebbero messa in imbarazzo.  

Laura stava riordinando la stanza di suo figlio Giorgio che, come tutti i ragazzi della sua età era molto disordinato. Per andare a scuola, si svegliava all’ultimo momento e andava via di corsa senza quasi fare colazione. Laura riponeva libri e quaderni nella libreria, raccattava camicie, calzini e mutande da mettere a lavare, piegava i pantaloni per riporli nell’armadio. Poi passava a rifare il letto e, come accade spesso, quella mattina trovò il letto sporco di sperma. Lo sperma era ancora fresco. Anche quella mattina Giorgio si era masturbato nel letto. Era così che si spiegava perché facesse tardi a scuola.

Mentre rifaceva il letto di Giorgio, a Laura viene da pensare che Giorgio era uguale a suo marito: un porco! Alcuni giorni prima, Laura aveva scoperto che suo marito aveva avuto una storia di sesso con un’altra donna. Lo aveva scoperto per caso e, alla sua domanda inattesa e precisa, egli non aveva saputo trovare una scusa ed aveva ammesso il tradimento. Ma ciò che più l’aveva ferita erano state le scuse risibili, il cercare di arrampicarsi sugli specchi, minimizzando l’accaduto e senza nessun accenno di pentimento. “È stata una scappatella senza importanza, una sbandata” le aveva detto lui.

Era seguita, certo, una accesa discussione, avevano tirato fuori storie vecchie, lei aveva minacciato di andar via, ma il fatto era quello e lui l’aveva definita “una scappatella”. Poi, il senso di responsabilità di Laura verso la famiglia era prevalso e la sua naturale bonomia le aveva consigliato di dimenticare.  

Laura non era ancora riuscita a perdonarlo. La feriva che lui considerasse una scappatella un fatto minimo, quasi naturale, mentre lei non riusciva nemmeno ad immaginare come fosse una scappatella, nemmeno come affrontarla. Le sembrava come quando uno va al bar: faccio una scappatella al bar!

Lei, proprio lei che aveva conosciuto solo suo marito, che aveva mandato al diavolo tutti quelli che avevano fatto, e ancora facevano, i cascamorto con lei. Ora doveva ingoiare la “scappatella” del marito.

Mentre era assorta in questi pensieri, suonarono alla porta. Si ricordò che aspettava la signora del piano di sopra, ultraottantenne, alla quale doveva dare dei documenti condominiali. Ringraziò il cielo perché le consentiva di superare i pensieri sulla scappatella. La signora, oltre che un po’ rincretinita per l’età, era anche mezza cieca e Laura decise di andare ad aprire senza indossare una vestaglia a coprire la sua canotta casalinga. Andò ad aprire, quindi, come si trovava, a piedi nudi e canotta e capirete, quindi il suo stupore quando, aprendo la porta, si trovò di fronte ad un gigante di ebano.

“Buongiorno signora. Sono l’idraulico, ci ha chiamato ieri, ma abbiamo avuto dei problemi con un lavoro e ci siamo liberati molto tardi. Se lei ha ancora bisogno, io sono qui” disse il gigante.

Era una ragazzone di colore, pulito ed educato, alto almeno 1.90 e si poteva intuire che, sotto la maglietta, il cuore era protetto da un fascio di muscoli. Laura rimase come paralizzata, con la porta non completamente aperta e gli occhi sbarrati dimenticando la signora, la stanza di Giorgio, il suo abbigliamento succinto.

Poi riprese il controllo di se. “Si, si, mi scusi, avevo dimenticato. No, il problema non è risolto ……. entri, entri pure. Le faccio strada”.

Laura fece entrare il gigante, chiuse la porta e lo scortò fino in cucina. Il tubo di mandata dell’acqua calda del secchiaio, perdeva un po’, ma con il tempo le riempiva il pavimento di acqua.

“Si tratterà di una sciocchezza …….. un bullone da stringere …….. della canapa da inserire …….”. Disse il gigante mentre posava la borsa dei ferri sul pavimento.

Laura era ancora frastornata dalla visione del giovane e lo vide aprire lo sportello del mobile che sosteneva il secchiaio e stendersi sul pavimento con la testa sotto il mobile. L’uomo le chiese alcuni utensili contenuti nella sua borsa e lei, docilmente, li prese e avvicinandosi glieli passò. Non si rese conto che, per dargli gli attrezzi,  aveva dovuto avvicinarsi e, con le gambe divaricate per non pestarlo, offriva all’uomo lo spettacolo delle sue belle gambe e delle mutandine che fasciavano la sua figa. L’idraulico, però, non si scompose e se se ne accorse, non ebbe a farlo vedere.

Laura, tuttavia, non potè fare a meno di notare il rigonfiamento inguinale dell’idraulico e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, gli chiese: “È vero che voi uomini di colore lo avete più grosso e più lungo dei bianchi?”

Laura si morse la lingua. Non aveva nemmeno finito di formulare la domanda che se ne era già pentita e spaventata. Ma ormai era fatta. L’uomo smise di armeggiare con i tubi del secchiaio, la guardò e rispose “Non so! Vuole vedere il mio ?” e senza aspettare la risposta lo estrasse.

Laura portò le mani alla bocca per non gridare. Tra spavento e stupore era rimasta impietrita. Davanti a se aveva un pene nero carbone, visibilmente a riposo e tuttavia di dimensioni superiori a quelle di suo marito quando era in piena erezione. In altre circostanze, uno sconosciuto che le avesse mostrato il proprio pene, sebbene non in erezione, le avrebbe causato la fuga veloce. In quel caso, però, la curiosità vinse la sua paura e la trattenne e, anzi, come una scolaretta alle prime armi, chiese: “È enorme. Non è paragonabile a quello di mio marito. Ho conosciuto solo il suo che credo sia di dimensioni della media. Posso toccarlo?”

Di nuovo Laura si pentì immediatamente di quel che aveva detto ma il gigante rispose più veloce di lei a ritrarsi: “Ma certo signora, non fa del male a nessuno …..”

Laura tranquillizzata dal tono amichevole del gigante e spinta da una curiosità incontenibile, facendo ricorso  tutte le cautele possibili, avvicinò la mano al cazzo dell’idraulico e prima con due dita, poi con presa sicura, gli strinse la mano attorno. La prima cosa che notò fu che le dita non riuscivano a circondarlo tutto. Certo, era bello pesante e non flaccido, ma non era eretto.

“Una strana sensazione. È davvero enorme e non riesco a stringerlo tra le dita –  disse ridendo di quella risata imbarazzata che le donne fanno quando sono scoperte ad essere curiose per storie di sesso.  Senza nemmeno accorgersene lo scappellò – Ohh! mi scusi. Non l’ho fatto apposta”

Il sorriso dell’idraulico la tranquillizzò e non lasciò la presa. Anzi! Cominciò lentamente a stimolarlo. Sentiva crescere quel  salsicciotto di carne tra le sue dita e ne fu compiaciuta, quasi orgogliosa. Senza che se ne rendesse conto lo stava segando.  Poi, con naturalezza e senza alcun falso pudore, appoggiò la testa sul ventre di lui, tirò il pantalone per aprire un varco dal quale spiò e disse: “Voglio vederlo tutto intero, voglio vedere anche i gemelli” e mentre lo diceva, con la bocca semiaperta dal desiderio, cominciò delicatamente ad aprire la cintura e sbottonò il pantalone nel tentativo di abbassarli.

Lui collaborò obbediente e alzò il culo per permettere a Laura di abbassare i pantaloni. Poi, Laura ripeté l’operazione per le mutande. Le afferrò dai lati con entrambe le mani e tirò verso il basso. Le mutande scesero per un po’ arrotolandosi poi si fermarono all’altezza del culo appoggiato per terra. Laura, ormai partita per un viaggio quasi mistico, lo guardò con aria sognante e un po’ imbronciata. Lui aveva il cuore che aveva cominciato ad andare a mille e temendo di averla offesa alzò nuovamente il culo.

Le mutande ripresero lentamente a scendere, tirate dalle mani di Laura, scoprendo completamente l’intimità dell’uomo. Immediatamente Laura fu investita dall’afrore del sesso dell’idraulico e fu colta da una forte emozione. Appoggiò le labbra sul pene per sentirne il calore e l’accarezzò dolcemente con le stesse labbra per tutta la lunghezza fino a giungere all’apice. Il pene era ancora barzotto, ma Laura poteva sentire il sangue che affluiva e cominciava a dilatarlo.

Giunta all’altezza del glande, con gli occhi chiusi e sognanti, scappellò di nuovo il pene e lentamente avvicinò la lingua a quella meraviglia. Bastarono pochi colpi e quel salsicciotto divenne marmoreo.

“Ohhh! – Esclamò ammirata e sorridente Laura – sembra un obelisco”. Era attratta da quel mostro di durezza, sentiva che poteva e doveva provare a sentirlo in bocca, per percepirne il calore, la solidità, la consistenza. E così, senza nemmeno chiedere, aprì le labbra e inghiottì il glande.  Succhiò per un po’ poi lo estrasse dalla bocca e con la lingua riprese a leccarlo, a baciarlo e mordicchiarlo, spingendo la punta della lingua nei posti più impervi.

Lo tirò su in verticale e lo riprese tutto in bocca. Teneva i coglioni dell’idraulico nella mano sinistra e con la destra dirigeva i movimento del pene. Lo infilava tutto in bocca, tutto fin dove poteva e poi lo estraeva succhiando con tutta la sua forza.  Lo baciava e, con gli occhi chiuse, immaginava il piacere che l’aspettava. Lo leccava e pregustava la penetrazione.

Sorrideva  Laura. Sorrideva e letteralmente sbavava. Non avrebbe mai potuto immaginare l’emozione che le aveva procurato la vista di quell’obelisco e, dopo averlo leccato e succhiato, dopo essersi assicurata dalla consistenza marmorea, senza proferire parola, in pochi secondi si alzò, si sfilò le mutandine e si sedette sull’idraulico, avendo cura di infilare nella passerina, ormai lubrificata a dovere, il cazzo.

Lentamente cominciò a muoversi  facendo scivolare il pene dentro e fuori la passerina ed emettendo gemiti di piacere ad ogni cambio di pressione. Piano piano, sull’onda di un piacere che stava montando verso il cervello, scuotendole e percuotendole gli arti, stappandole grida sempre più urgenti di piacere, si lasciò andare in una folle cavalcata. Fu come un fuoco che le ardeva la figa, come una bomba a orologeria che era esplosa insieme ad un tremendo orgasmo. Mai, Laura, aveva provato un piacere così intenso e così profondo. E, sfinita, stava quasi per accasciarsi sul petto dell’idraulico, quando questi, afferratala per le tette e stringendole come cuscini le disse: “Non vorrai mica fermarti ora, sul più bello. Il tuo orgasmo è stato soddisfacente, ma io reclamo il mio e voglio riempirti del mio seme.”

“Sii, siiii, sii – gridò laura – scopami ancora, fammi godere”

“Certo, ti farò godere, ma sarà il tuo culo a soddisfarmi”

Laura si spaventò e spalancò bocca ed occhi terrorizzata. Non lo aveva mai preso nel culo per paura del dolore ed ora il gigante di ebano aveva deciso di squartarla. “Oh no!, amor mio, non posso, sono ancora vergine”

“È arrivato il momento di perdere la verginità, mia bella signora.”

Terrorizzata e convinta dell’ineluttabilità di ciò che l’aspettava, si stese sul corpo dell’idraulico con fare da gattina nel tentativo di scongiurare il pericolo. Ma l’idraulico fu più deciso di lei e si alzò dalla scomoda posizione tirando su anche lei. Poi, come se tra le mani avesse una bambola, la mise in piedi con il ventre appoggiato sullo spigolo del tavolo e quindi la fece piegare a novanta gradi.

“No, no, ti prego, non l’ho mai fatto…… ti faccio venire con la bocca, ma non mi sverginare il culo”

“Con la bocca, certo ti riempirò la bocca del mio seme, ma solo dopo averti fatto il culo.” E così dicendo le alzò la canotta, le divaricò le chiappe, portò la mano alla bocca e la riempì di saliva che spalmò sul buco del culo di Laura.

Il gigante appoggiò la cappella sul buco del culo di Laura,  afferrò i suoi fianchi come fossero maniglie e cominciò a spingere delicatamente. Quando Laura sentì la punta di quel cazzo enorme sul suo culo, si spaventò ma solo per un secondo, perché subito dopo si ritrovò a desiderare intensamente di essere inculata. “Si, va bene, sarò tua, ti dono il mio culo e la mia verginità, ma fa piano, ti prego, piano”

Laura sentiva la punta della cappella spingere e farsi pian piano strada, poi sentì il glande entrare di colpo ed una fitta di dolore provocarle un urlo istintivo “aaha!! Piano!! Piano!!”

Lui si spaventò, lo tirò fuori e le chiese se voleva che smettesse. Laura lo guadò negli occhi e lo pregò di continuare: “No, no, non ti fermare, fa piano ma rimettimelo dentro!” rispose Laura. Ora lo desiderava anche lei.

L’idraulico ricominciò l’operazione spalmando altra saliva e spinse il glande dentro e gradualmente tutto il cazzo fu dentro il culo. “Il tuo culo è molto bello, non capisco come mai sia rimasto vergine fino ad oggi, come mai nessun vero uomo sia mai riuscito a prenderti. È incredibile! Farò piano, ma vedrai che dopo un po’ sarai tu a chiedermi di fare più forte”

Il gigante sfilò con delicatezza il suo cazzo, mentre Laura si lamentava sommessamente. E, poi, l’appoggiò di nuovo e riprese a spingere, mentre Laura continuava a lamentarsi con piccole grida ogni volta che lo sfintere anale cedeva e si sfibrava. Un cazzo di quella misura può essere distruttivo e l’idraulico lo sapeva.  Quando Laura  sentì le palle dell’idraulico sbattere sulle gambe, capì che era entrato tutto e cominciava la marcia indietro. Ma ben presto il dolore e le fitte cominciarono a lasciare il posto al piacere, un piacere intenso, mai provato che la fecero gridare: “Forte, più forte…..spaccami il culo”

L’idraulico eseguì e cominciò a pomparla furiosamente strappandole grida gutturali di piacere. Spingeva come un ossesso e poi si ritirava, per poi spingere ancora. Le grida di piacer di lei lo eccitavano sempre più fino a che anche lui non cominciò a sentire l’orgasmo che montava. Allora estrasse il cazzo dal culo, fece girare ed inginocchiare Laura, che, aprendola bocca, fece appena in tempo ad essere inondata di litri di sperma caldo e cremoso.

Laura ne ingoiò un po’, altro sperma le colò dai lati della bocca lungo il mento e poi giù sulle tette. Era felice e si ritrovò a pensare: “Forse era di questo tipo “la scappatella” di cui parlava mio marito!”

 

Sonia nuotava nella piscina coperta di quartiere con determinazione per un’ora piena, due volte a settimana. Non le piaceva particolarmente, ma si combinava bene con i suoi impegni di casalinga che deve fare la spesa e cucinare per una famiglia di cinque persone. Era sposata ormai da quindici anni. Quindici anni di felicità benedetti da tre figli. Figli che ora bisognava far crescere in bellezza e santità. Aveva conosciuto suo marito poco più che ventenne con un breve ma burrascoso passato durante il quale si era concesso tutto quello che si era presentato senza rifiutare nulla e senza ambire a nulla. Quando aveva conosciuto suo marito, non era certo stato un colpo di fulmine o amore travolgente, ma era un rapporto che la appagava e poi era giunta l’ora di metter su famiglia e lui prometteva di essere un buon padre. Il sesso con suo marito non era nulla di speciale, ma a lei bastava ed era felice. Una volta a settimana, sebbene non attratta, non si sottraeva ai suoi doveri coniugali. Non aveva mai tradito suo marito ed era sicura che nemmeno lui lo avesse fatto.

Sonia era una donna ben fatta, dalle forme morbide, ancora capace di attirare l’attenzione degli uomini che le passavano vicino e le occasioni non le erano mancate. Non si era mai, però, lasciata andare. Le bastava il ricordo delle esperienze fatte da giovane.

Le piaceva andare in quella piscina perché il mattino c’era pochissima gente e poteva nuotare senza problemi. Inoltre, nuotare le permetteva di pensare ai casi suoi senza problemi. Quelle nuotate le erano necessarie, erano il suo momento privato per guardarsi dentro, al quale non avrebbe per nulla rinunciato.

Quella mattina, mentre nuotava, si accorse che molti altri nuotatori erano andati via ed era rimasta l’unica in acqua. “Tanto meglio” si disse.

Nuotò ancora fino a completare l’ora canonica e poi ancora un po’ finché si avvicinò alla scaletta e si fermò a riprender fiato. Era proprio sola. Il grande androne rimandava il rimbombo di qualcuno che stava montando o smontando qualcosa, mentre vide che l’allenatore stava controllando le attrezzature per i corsi di sub che si tenevano al pomeriggio. Tuttavia non ci fece molto caso perché era assorta nei suoi pensieri e, in particolare, per tutto il tempo della nuotata aveva pensato alla sua amica che qualche giorno prima le aveva confessato candidamente che aveva tradito suo marito, con un ragazzo sconosciuto, più giovane di lei, che l’era piaciuto molto, che non era pentita e, nelle stesse circostanze, l’avrebbe rifatto.

“Meglio i rimorsi che i rimpianti” le aveva detto l’amica per giustificarsi.

Era scioccata! Non riusciva a credere che una donna, sposata, con figli, della sua età potesse pensare ancora al sesso.

Era assorta in questi pensieri e indossò l’accappatoio e si avviò verso lo spogliatoio. Infilò il corridoio che dalla piscina portava agli spogliatoi attraverso i locali docce. Era assorta nei suoi pensieri ed entrò nei locali docce quasi come un automa.

Nei locali delle docce non c’era nessuno. Sei becchi docce spuntavano dal muro e si affacciavano su un pavimento un po’ in pendenza con uno scolo sotto ogni becco. Non vi erano paratie tra una doccia e un’altra. Era tutto aperto. Una doccia sgocciolava lenta, ma il rumore produceva un’eco che rimbombava. Sonia si tolse l’accappatoio, si tolse il costume intero da nuotatrice professionista e s’infilò sotto la doccia.

Immediatamente, l’acqua calda cominciò a scorrere lungo il corpo regalandole un piacere sottile. Incrociò le braccia sulla pancia e chiuse gli occhi e rimase immobile sotto il potente getto di acqua.

Quando riaprì gli occhi, si accorse che, a tre becchi dal suo, c’era un ragazzone che faceva la doccia. Anche il ragazzo, come lei, era completamente nudo e con gli occhi chiusi. Alto, abbronzato, il petto glabro, un fisico perfetto e con invidiabili muscoli addominali a tartaruga al posto della pancia, il ragazzo si stava godendo la doccia calda. Il primo impulso di Sonia fu di gridare, ma riuscì a frenarsi. Continuò a rimanere sotto il getto caldo. Così nuda si sentiva un po’ in imbarazzo e non aveva il coraggio di guardare il ragazzo negli occhi. Non poté fare a meno di ripensare ai bei tempi quando andava a caccia di ragazzi così belli, quando riusciva a rimorchiarli facendo credere loro di essere una preda in fuga e infine scoparli senza risparmio di energie, succhiando loro tutto anche l’anima. Li mungeva, li spompava li spronava perche a Sonia piaceva il sesso di qualità e di potenza voleva essere chiavata.

Per darsi un tono, Sonia cominciò a insaponarsi, ma quando arrivò alle tette, provò un leggero senso di pudore che la costrinse a girarsi verso il muro per terminare di insaponarsi. Terminata l’operazione di insaponarsi, per posare il tubetto di bagno schiuma, avrebbe dovuto girarsi verso il ragazzo, ma per la vergogna tentò di posarlo sulla mensola allungando il braccio e girandosi il meno possibile.  Quell’operazione, che in altre circostanze avrebbe richiesto uno sforzo minimo in assoluta sicurezza, le fece perdere l’equilibrio e sul pavimento scivoloso per la presenza di acqua e sapone, cadde come un rumore sordo.

Il ragazzo, a sentire quel rumore, riaprì gli occhi e vista la situazione si avvicinò per prestar soccorso a Sonia, allungandole una mano perché potesse afferrarsi a qualcosa di stabile. Sonia, da parte sua, si sentì davvero una cretina per la figura fatta. Era caduta senza nemmeno sapere perché. Ora accettò l’aiuto del ragazzo afferrando la sua mano, ma portando l’altro braccio a coprirsi le tette.

Ora la vergogna superava il pudore violato. Si sentiva davvero una cretina per essere scivolata così stupidamente, ma il ragazzo si dimostrò un vero cavaliere, intuendo il disagio di Sonia e tenendosi alla dovuta distanza per lenire la vergogna.

“Mi scusi, mi scusi, sono scivolata come una cretina. Sarebbe bastato esser più attenta ……”

“Sono cose che capitano! Non deve scusarsi con me. Spero che non si sia fatta male …..”

“No, no, grazie! Non mi sono fatta nulla. – rispose Sonia mentre tentava di rialzarsi appoggiandosi al braccio che il giovane le aveva cavallerescamente offerto – sa come succede? …. il pavimento scivoloso …. i piedi bagnati …. E sono scivolata come una cretina”

Proprio mentre cercava di rialzarsi, lo sguardo di Sonia cadde sul membro del ragazzo che, fino a quel momento, non aveva attirato la sua attenzione. Fu un nuovo shock! No, non era in erezione, penzolava a riposo tra le gambe forti e muscolose del ragazzo e tuttavia era evidente che le dimensioni erano ragguardevoli. Sonia ne fu quasi spaventata da quella vista, dall’effetto che ne aveva avuto e dal naturale confronto con il membro del marito. Ebbe, tuttavia, un sussulto che divenne un vero e proprio colpo di reni per scostarsi da quel pendente quando invece lo paragonò con i membri che aveva collezionato nella sua giovinezza. Fu proprio l’attrezzo di un immigrato di colore che le riportò alla mente un pomeriggio di tanti anni prima, facendole riassaporare il gusto di scopare con giovani energici e molto dotati. In meno di un secondo le passò davanti tutta la sua vita sessuale, così brillante inizialmente, così deludente da troppi anni. Ripensò alle scopate settimanali con il marito, che lei definiva un dovere coniugale a sottolineare che non era più un piacere, che non le suscitava desiderio, che non le faceva mancare il respiro. Ripensò a come, con il tempo, si era abituata a ricacciare il desiderio di sesso, in fondo ai suoi pensieri fino a che quel desiderio non sparì del tutto, per ricomparire, potentemente e inatteso, quella mattina.

Tutto questo pensava e, senza rendersene conto, avendo bisogno di un nuovo appiglio, distolse il braccio a protezione delle tette e, senza accorgersene, si aggrappò al membro del ragazzo. Quando se ne accorse una scarica di adrenalina le percorse tutto il corpo lungo la spina dorsale. Durò solo un attimo che le sembrò un secolo e che, in seguito, le fece aprir la bocca per lo stupore. Non avrebbe mai creduto di poter esser così spudorata e abbrancare l’oggetto del resuscitato desiderio. Era confusa.

“Mi scusi “ disse supplichevole a quel ragazzo.

Nel mollare repentinamente la presa, nuovamente si spostò il baricentro di Sonia che si trovò di nuovo sbilanciata e, avendo lasciato il secondo appoggio, scivolò con il sedere a terra. Questa volta, però, il colpo fu forte e Sonia si fece male e si lasciò sfuggire un urletto di dolore. Il ragazzo, in quel pasticcio, tra la mano di Sonia sul suo cazzo e la seconda caduta rovinosa, si precipitò disordinatamente ad afferrarla con entrambe le braccia dalle ascelle. Si piegò ad arco verso Sonia e il suo cazzo pendulo oscillò pericolosamente verso la donna.

Sonia, affidandosi alle amorevoli braccia del giovane, cercò di recuperare un po’ di forze e, alzando il bel volto verso il suo salvatore si trovò a dieci centimetri da quel formidabile cazzo che, sollecitato, stava cominciando a sollevarsi.

Sonia guardò il cazzo, poi guardò il ragazzo negli occhi, occhi dolcissimi, e fingendo il più completo disinteresse sfiorò il cazzo con le labbra.

Al ragazzo non sfuggì quella manifestazione di “affetto” ma la sua timidezza gli impedì di reagire come avrebbe potuto. E fu ancora Sonia che, mentre cercava di rialzarsi, si aggrappò con le mani sulle sue natiche stringendo i muscoli quanto più poteva. Per effetto di quest’abbraccio, il bacino del ragazzo si avvicinò ancor di più e finì sul viso di Sonia che, a questo punto, aveva quel meraviglioso cazzo a pochi centimetri dalle sue labbra.

“Oh, mio Dio! Ti ho ferito! Ti ho fatto male? – disse Sonia assumendo il ruolo dell’infermiera premurosa – fammi vedere. ……. guarda …. guarda qua cosa ho combinato….. oh, come mi dispiace … “.

Sonia, in quel momento, sentì come un richiamo che la riportava indietro nel tempo, quando ancora signorina, amava la compagnia dei ragazzi e amava cambiarli frequentemente. Da giovane non si era fatta mancare niente e ora quel ragazzo le ricordava i cento episodi durante i quali aveva sperimentato le voglie più nascoste dei suoi amici. Dopo sposata, più nulla.

Così dicendo, ormai in equilibrio sulle ginocchia, Sonia mollò le chiappe del ragazzo, afferrò il suo cazzo, amorevolmente lo scappellò per esaminarlo e prima che il ragazzo potesse reagire, continuò “….. ora lo rimettiamo in forma …. poverino ……… ti fa male?” disse ancora e gli passò la lingua dolcemente.

Sonia sentiva che si erano ridestati i sensi e un desiderio imperioso si era impossessato di lei. L’occasione fa la donna puttana, si sa e quell’occasione, la prima dopo tanti anni, Sonia non voleva farsela sfuggire.

“No, non è niente …….. non si preoccupi ..… – rispose il ragazzo, ma fu interrotto da Sonia che senza chiedere il permesso se lo infilò in bocca – Oh, no, non si preoccupi …… non mi fa male ……”

Sonia lo inghiottì e cominciò a succhiare voluttuosamente. Il ragazzo si lasciò risucchiare nel burrone della lussuria, interrompendo il discorso a metà e, afferrata tra le mani la testa di lei cercò di imprimere il ritmo che più gli aggradava.  Poi, quasi improvvisamente, con le mani le prese il mento e la fece alzare e appoggiare con le mani sulla parete, le fece divaricare le gambe e con la mano cercò la via per infilarle in cazzo nella passerina. Sonia lo lasciò fare, rapita dal desiderio e in attesa di essere posseduta da quell’angelo della morte. Lo desiderava, sentiva la passerina infuocata che cercava pace, cercava soddisfazione e quando il ragazzo entrò, Sonia sentì un brivido percorrerle la schiena ed emise un gemito profondo di piacere. Ora il ragazzo guidava le operazioni e, afferratala per le tette, le strizzava i capezzoli e sincronizzava i colpi di bacino con forti pressioni.

“Oh, ma è magnifico, ……. meraviglioso, ……. scopami …….. scopami” continuava a incitarlo Sonia. Il ragazzo pompava forte come la passerina di Sonia non era più abituata. Sonia era all’apice del piacere, le sue dita palpavano l’asta che entrava e usciva dalle labbra della sua vagina … poi si ritiravano sulla clitoride per titillarla con decisione.

In pochissimo tempo un orgasmo intensissimo travolse il corpo di Sonia che cominciò a vibrare tutto mentre la sua bocca emetteva un canto celestiale sebbene sommesso.

Poi, Sonia sentendo il respiro sempre più affannoso del ragazzo e intuendo che stesse anche lui per raggiungere l’apice del piacere, disse: “Vieni amore, ……. vieni dentro … riempimi della tua crema calda, riempimi ……..”

Il ragazzo non se lo fece ripetere e, tra urla gutturali, riversò nel ventre di Sonia tutto il suo piacere, e, invece di staccarsi da lei, le disse: “Sì …. sì, …….. è stato magnifico, ….. ma ora voglio il tuo culo, voglio sfondarti il culo …..”

Sonia addebitò alla giovane età del ragazzo il desiderio di sesso anale, convinta che il giovane non avrebbe avuto l’energia e il turgore necessario per entrare laddove nessuno più entrava da molti anni. Sonia avrebbe voluto girarsi, accarezzargli il volto e tenerlo tra le braccia per rendere meno bruciante la delusione, ma il ragazzo si mostrò risoluto, la bloccò nella stessa posizione, schiacciata sul muro, e la tenne quasi immobilizzata. Poi, mentre Sonia, con gli occhi chiusi, assaporava quei movimenti sicuri, rapidi e potenti, il ragazzo cominciò con le mani ad aprirle le natiche. Sonia non poté fare a meno di ricordare tutte le volte che aveva sentito mani maschie prepararsi il terreno per un ingresso trionfale dentro di lei. E questo le suscitò un turbamento sottile, quasi ansioso, e il desiderio di sentire un cazzo poderoso entrare nella sua massima intimità.

Fu grande il suo stupore quando, prevedendo una dolorosa débâcle, si accorse che il ragazzo aveva superato il periodo refrattario e stava già spingendo sul suo buco. Con entusiasmo si accorse dio quanto stava avvenendo e immediatamente si svegliò dal torpore¨”Sì …. sì …. Sfondami, ….. sfondami il culo – disse lascivamente Sonia – sono tua ….. sono completamente tua …. sfondami il culo ……”

E il ragazzo ci mise tutto l’impegno del mondo per sfondarglielo. Il ragazzo, tenendola per i fianchi le assestava potenti bordate che s’infrangevano nel ventre. Da lì partivano onde di piacere che si propagavano per tutto il corpo, strappandole gemiti e urla di piacere. Schiaccia contro la parete, Sonia sentiva tutta la forza e la passione del ragazzo e, dopo molti anni, sperimentò nuovamente un orgasmo multiplo che le fece piegare più volte le ginocchia.

Quando anche il ragazzo giunse sul punto di rendere il suo sperma, egli estrasse con violenza il cazzo dal culo di Sonia lacerandole lo sfintere, e mentre la faceva inginocchiare di faccia verso di lui, disse: “Voglio che tu beva il mio seme, voglio che lo lasci scivolare lungo la gola per riscaldarti il cuore”.

Mentre gli schizzi le raggiungevano la bocca e il viso, Sonia si accorse che attorno a lei non c’era un solo ragazzo, ma erano due e che l’avevano scopata entrambi.  Era sinceramente ammirata per l’abilità dei due ragazzi ed ebbe solo la forza di dire: “Bravi …… davvero bravi …… mi avete ingannata …. mi avete scopato uno per volta …. finito il primo ha lasciato il campo libero al secondo …… ed io ho accontentato anche il secondo …. Bravi … da dove è uscito l’altro? …… avete l’abitudine di frequentare le docce femminili per le vostre attività?”.

“Che sciocca ! – disse il primo – noi non andiamo nelle docce femminili! Sei tu che sei entrata nelle docce maschili per sceglierti il maschio da scopare. Noi abbiamo solo preso ciò che tu ci hai offerto”.

In un lampo, Sonia ricostruì l’errore. Era stata così assorta nei suoi pensieri e invece di imboccare il secondo corridoio aveva imboccato il primo finendo nelle docce uomini.

 

“Non tutti i mali vengono per nuocere” pensò Sonia mentre sorrise ai ragazzi e baciò i suoi eroi.

La signora Elena era giunta alla soglia dei quarant’anni, sposata da dodici con Mario e con due splendidi bambini. Entrò nel portone di casa e si diresse verso l’ascensore. All’ascensore, in attesa dell’arrivo della cabina, c’era il signor Rossi del quinto piano che la salutò educatamente. Scambiarono due parole di convenienza mentre aspettavano la cabina, ma la signora Elena rispondeva a monosillabi perché non riusciva a distogliere il pensiero da quanto aveva saputo poco prima e che, in qualche modo, riguardava il signor Rossi. La fruttivendola, dove Elena si riforniva, con la quale spesso si fermava a chiacchierare, le aveva raccontato che in giro si vociferava che la moglie del signor Rossi fosse molto disponibile verso avventure extramatrimoniali tra le quali c’era anche quella con suo marito Mario.

“Sono solo voci, niente di certo, ma siamo amiche e mi sembra giusto metterti in guardia, perché tu possa controllare con maggior attenzione tuo marito”.

Inizialmente Elena non aveva preso la cosa sul serio, era solo un indizio non una prova del tradimento. Rimasta sola, però, ripensò ad alcuni particolari che inizialmente le erano sembrati insignificanti.

Da qualche anno, infatti, il loro sesso sembrava logorato dalla ripetitività ed era sopraggiunta la noia e il sesso era andato calando di intensità e di qualità. Elena, prima di conoscere Mario, non era stata una santa, aveva avuto una vita molto disinibita e disinvolta. Aveva soddisfatto tutte le sue curiosità e le richieste che i vari fidanzati e amanti le avevano fatto. Si era ritrovata in letti con molti soggetti, aveva conosciuto il sesso lesbico, aveva fatto l’amore contemporaneamente con molti uomini, lei unica donna. Un paio di volte si era trovata davanti a sei o sette uomini nudi che offrivano a lei ed una sua amica i loro cazzi inalberati e loro due che saltavano da un cazzo all’altro cercando di spompinarli tutti.

Poi si era stancata di quella vita e, conosciuto Mario, aveva messo la testa a posto, era diventata una brava ragazza da marito e Mario si presentava come un buon marito.

Mario, da allora, aveva cominciato a richiederle prestazioni sempre più spinte di menage a tre, cui lei non aveva mai dato seguito. Ad Elena non l’eccitava né l’attraeva pensare di succhiare la figa di una ragazza solo per far contento Mario ed aveva opposto un netto rifiuto. Anche quando Mario proponeva la presenza di un altro uomo, Elena aveva pensato che se proprio avesse accettato un estraneo nel letto nuziale, lo avrebbe scelto lei. Ma questo non lo disse mai.

Insomma, Mario dopo aver fatto proposte sempre più esotiche, per rendere più piccanti le loro sessioni, alla fine aveva smesso e si era messo tranquillo, divenendo anche meno assiduo. Dunque sembrava plausibile che avesse trovato un’altra mangiatoia. Secondo indizio.

Il terzo indizio riguardava Mario divenuto, da un po’ di tempo molto premuroso nei suoi confronti. Spesso le portava dei fiori, l’aiutava nei lavori di casa, andava con lei a vedere dei film che piacevano a lei e che prima non avrebbe mai visto. Insomma le sembrava che volesse accontentarla per non farle venire sospetti.

Si rendeva conto che ognuno dei tre indizi era piuttosto debole, ma, come diceva Sherlok Holm, tre indizi valgono una prova ed una prova è segno di colpevolezza.

Queste cose pensava Elena mentre aspettava l’ascensore, ed ora lei si trovava davanti il marito della sgualdrina rovina famiglie.

Arrivò l’ascensore.

“A che piano va, signora?”

“Al secondo, grazie”

Se Mario aveva scopato la signora Rossi, allora andava punito, pensò Elena. Ma come? L’ascensore stava per fermarsi al secondo piano, quando le si accese una lampadina. La punizione sarà rendergli pan per focaccia con il consorte della sgualdrina. Lo guardò bene, non era certo un uomo da buttare, anzi aveva un’aria interessante e, prima che si aprissero le porte dell’ascensore, Elena rivolta a Rossi, disse: “Mi scusi, ho girato tutta la mattina qui intorno alla ricerca di una presa tripla, senza trovarla. Ne avrebbe una da prestarmi per qualche giorno?”

Preso alla sprovvista, il signor Rossi farfugliò: “Ma certo, Signora. Vado su e gliela porto subito”

“Dal momento che è così gentile ……. non posso che accettare! L’aspetto da me.”

“Bene! A più tardi, allora”

Elena si infilò di corsa in casa. Doveva mettere in atto tutte le sue tecniche di seduzione ed aveva solo pochi minuti per prepararsi prima dell’arrivo del sig. Rossi e tre o quattro ore di tempo prima del rientro di Mario.

Scelse, di conseguenza, piccoli aggiustamenti agli abiti che aveva già indosso. Tolse il reggiseno e sbottonò un solo bottone della camicia color perla, lasciando che i suoi capezzoli disegnassero, trascinati dalle tette, linee e volute sulla camicia. Madre natura l’aveva fornita di un bel seno, pieno e sodo, e decise di mostrarlo senza scoprirlo eccessivamente.

Cambiò la gonna con un’altra dello stesso colore ma decisamente più corta. Si sentiva più sexy il che le avrebbe permesso di parlare e camminare in modo diverso, più sensuale.

Cambiò le calze color carne con calze velate autoreggenti di colore nero. Infilò una paio di scarpe con un tacco di un paio di centimetri in più.

Un paio di gocce di Chanel n° 5, un’ombra di fard per dare più luce ed un aspetto più giovane al viso, un filino di eye liner nero sulle palpebre ed un po’ di mascara blu sulle ciglia completarono l’opera. Fece appena in tempo a sistemare i capelli, lasciandoli ad arte un po’ arruffati, quando suonarono alla porta.

Elena andò ad aprire all’uomo che doveva sedurre. “Ecco la sua presa tripla, signora” esordì Rossi appena lei ebbe aperto la porta.

“Ohh, com’è gentile! – rispose Elena prendendogli la mano che recava la presa fra le sue – Mi spiace, mi sento in colpa! Averla costretta a scendere, mentre magari aveva voglia di mettersi in pantofole. Venga dentro le offro un aperitivo, così ci conosceremo meglio. Questo condominio è così anonimo ….”

“Ma no, signora, non si disturbi! È stato un piacere …..”

Ma Elena gli aveva preso la mano ed ora lo tirava dentro con fermezza. Ed il Signor Rossi entrò.

“Venga, venga …… si sieda qui – disse Elena nel tentativo di cercare il contatto con Rossi e rendere caloroso il rapporto – mentre vado a prenderle un aperitivo fresco, così avrà modo di raccontarmi qualcosa di lei, del suo lavoro …. Lo beve volentieri uno spritz? ” Elena accompagnò la richiesta con il sorriso, un tono di voce calmo e suadente. Primo passo per il tentativo di seduzione.

Rossi si accomodò, un po’ impacciato, sul divano in soggiorno. Elena andò in cucina a preparare gli spritz avendo cura di abbondare con il campari. Poi tornò da lui con due bicchieri di spritz e una ciotola di noccioline. Posò il vassoio sul tavolinetto e, preso un bicchiere di spritz, si piegò in avanti per porgerlo a Rossi. In questo modo le tette cominciarono ad oscillare muovendo la camicetta come se dovesse cedere e lasciar traboccare quel ben di dio. Sedette nella poltroncina, un po’ più alta del divano, di fronte a Rossi.

Elena si accorse che lo sguardo di Rossi era stato calamitato dal movimento del suo seno al punto da apparire totalmente concentrato su esso. Se ne compiacque. Aveva segnato il primo gol a suo favore, ora le sarebbero bastati pochi minuti ancora per sedurlo.

“Di cosa si occupa, Signor Rossi” chiese Elena.

“Sono nel commercio. Sono direttore di un grande magazzino!”

“Ah! Che fortunato! Sempre in mezzo a tutte quelle belle e giovani commesse così charmant!”

“Bhè, veramente io sto in amministrazione e le commesse le vedo solo quando passo.”

“È sempre meglio che non vederle affatto…..”

Finito il bicchiere di spritz, Rossi soddisfatto stava per posare il bicchiere vuoto sul tavolino e disse: “Ahh! Buono! E fresco….”

Ma Elena, prima che il bicchiere toccasse il tavolino, si alzò e chiese: “Le è piaciuto? Sono contenta. Gliene verso ancora…”

“Ma no, lasci stare….. non si disturbi”

Ma Elena era già in cucina, allungò con altro campari e ghiaccio lo spritz e tornò con la caraffa per versarne ancora a Rossi. Rossi bevve un lungo sorso. Ora la testa gli girò un po’. Elena si accorse che la sua lingua non era mobile, si mangiava una qualche lettera. Sedette di nuovo sulla poltroncina di fronte a Rossi e, questa volta, accavallò le gambe. Lo sguardo di Rossi cadde sulle gambe e si accorse delle autoreggenti. Lui cominciò a fantasticare e, complice lo spritz, diventò più rilassato. Elena si accorse dello sguardo che cadeva lì e cambiò gamba accavallata per legare il suo sguardo. Non appena Lui si distraeva lei cambiava gamba.

Nel frattempo continuavano a parlare dei grandi magazzini e dei suoi prodotti. Quando Elena lo vide ormai ammaliato dagli accavallamenti delle gambe gli chiese: “Avete anche una sezione dell’amore”

“In che senso ?” rispose Rossi incredulo.

“Intendevo oggetti che ….. insomma …… aiutano il rapporto….”

“Qualcosina. Non siamo specializzati, ma alcune donne trovano qualcosa da usare …… Come mai questa domanda, Signora? Ha bisogno di qualcosa? Posso favorirla!“.

Intanto Elena aveva continuato a cambiar gamba e la sua gonna, ad ogni accavallamento si alzava sempre di più scoprendo centimetri di gambe. Era giunto il momento dell’attacco finale.

Si alzò e prese sigarette e accendino, ne offrì una a Rossi e si chinò per accendergli la sigaretta. La sua posizione, mantenuta per alcuni minuti, divenne una bomba. La gonna si era alzata ancora un po’ le cosce tra le calze e il perizoma erano visibili.

Elena aspirò il primo tiro della sigaretta, con l’aria illanguidita dall’alcool, guardandolo negli occhi, disse: “Ho visto che sbirci sotto la mia gonna. Anche il mio petto è passato sotto i tuoi sguardi a raggi X. Ti piaccio – Elena alzò la gamba e posò il piede sul tavolino basso. Ora aveva le gambe aperte. E continuò – Il caldo, le  scale, lo spritz e i prodotti del grande magazzino mi hanno fatto un certo effetto…… Anche tu hai subito un certo effetto dalle mie tette ?”

Rossi era illanguidito anche lui, dal fumo dallo spritz e dallo spettacolo delle cosce non coperte dalle calze e dal triangolo di peli cornice della passerina gonfia. “Ha delle bellissime caviglie, signora. Questa gonna le rende giustizia e la slancia molto”

“Non trova che i miei polpacci siano un po’ troppo grossi?” disse Elena con voce civettuola.

Rossi ne approfittò per cingere i polpacci ed accarezzarli. Fece salire le mani prima fino al ginocchio e poi sulle cosce. “No, direi di no! Sono della dimensione giusta, proporzionata alle cosce.”

“Oggi sono così stanca. Mi sembra che con la stanchezza i polpacci si ingrossino….”

“Ah, certo! Ha ragione, ma …… è sufficiente un bel massaggio. Se vuole io sono un professionista ….. Si metta seduta ed io le massaggio i polpacci”

Elena si sedette, si appoggiò allo schienale, tolse le scarpe e allungò le gambe fino ad appoggiare i piedi sulle gambe di lui.

Rossi cominciò a massaggiarle le gambe, sempre più su, fino alle coscia.

Elena si lasciò sfuggire qualche gemito di piacere ed intanto allargava impercettibilmente le gambe in modo che lui avesse una maggiore visuale del paradiso e lei, pian piano, giunse con un piede sul sesso di lui. E cominciò a premere.

Elena disse: “La prego, mi tolga le calze, qui fa un caldo allucinante”

Lui si piegò e si protese in avanti per arrivare fino ai bordi delle calze.  Ma non arrivò a prenderle. Un brivido gli percorse la schiena.

“Purtroppo non ci riesco. Non ho abbastanza spazio”

Lei si alzò in piedi, sollevò la gonna fin sopra il sedere mettendo in mostro il bel culo sotto il perizoma e le cosce nel loro splendore. Tolse una calza, che passò a Rossi “Me la regge?”

Nel togliere l’altra calza si chinò più del necessario, si spostò all’indietro, perse l’equilibrio e si appoggiò con il culetto addosso a Rossi.

Lui si alzò in piedi e fu pronto a sorreggerla da dietro, infilando le sue braccia sotto quelle di lei e finendo con le mani sulle tette. Elena sentì le manio di Rossi che le premevano le tette, la prepotente erezione di lui e capì che era ormai pronto. Dimenò il culetto sfregandoglielo sulla patta, poi con voce maliziosa disse:

“Uh, grazie, ho rischiato di rompermi l’osso del collo! Se non ci fosse stato lei sarei finita a terra!”

“Ha un profumo molto sensuale, signora” disse Rossi. Lei sentiva il fiato di lui sul collo, portò una mano dietro e gli prese il sesso, lo strinse e attraverso il pantalone lo segò un po’.“Lei ha un sesso durissimo. È un peccato tenerlo lì chiuso, come fosse in prigione. Glielo libero? – Chiese maliziosamente mentre sfilava la gonna e toglieva le mutandine – Molto meglio, vero?”

Saltarono tutti i preliminari. Elena si appoggiò con le braccia tese sul tavolo e divaricò un po’ le gambe. Il signor Rossi, senza nemmeno togliere i pantaloni,  estrasse il suo cazzo, scostò il perizoma di Elena e la penetrò da dietro. Cominciò una cavalcata fantastica. Rossi pompò per dieci minuti buoni strappando a Elena grida di piacere. Sembrava di essere in un rodeo cow boy.

Elena prese in mano la situazione, scegliendo il ritmo giusto. Muoveva il bacino in senso opposto alle spinte del signor Rossi, allo scopo di dare maggiore potenza ai suoi colpi. “Spaccami, spaccami la figa, stallone!” gridava Elena ed intanto ansimava ed il respiro andava su, e godeva e sentiva i suoi umori colarle lungo le gambe. Lo portò fino alla eiaculazione che le riempì di sborra la figa e di profumi la stanza e, in quel momento, anche lei raggiunse l’agognato orgasmo per aver vendicato il suo orgoglio.

Ambra ed Enzo erano sposati da poco più di cinque anni. Lei trentadue anni e trentacinque lui. Ambra era minuta, con seni piccoli su un ventre piatto e un sedere rotondo e sodo che attirava gli sguardi libidinosi degli uomini di tutte le età. Aveva un viso da diavoletto imbronciato, una bellezza che scatenava il desiderio. Lui era alto e biondo, timido e introverso, molto religioso, senza alcuna libidine o fantasia. Lei si era adeguata al suo stile. Una coppia con pochi amici, che non risaltava nella monotonia della vita di periferia. Nessuno dei due aveva avuto grandi esperienze prima del matrimonio e avevano sperimentato il sesso insieme, senza tanto entusiasmo, senza voli. Per loro non era nemmeno un bisogno fisiologico da espletare con cadenza settimanale o mensile. Enzo si era uniformato ai dettami della religione, relegando il sesso tra le attività unicamente finalizzate alla procreazione. Ambra, quando lui era dentro, aveva delle strane sensazioni, belle, piacevoli, ma l’orgasmo non era mai arrivato. Ad Ambra mancavano le sensazioni ed il piacere di base e, quindi, non chiedeva prestazioni particolari e quelle poche volte che lei aveva chiesto variazioni, lui si era rifiutato sdegnato. Poi, erano subentrate la noia e l’eiaculazione precoce di Enzo che avevano definitivamente messo una pietra sopra il capitolo sesso.

Ambra era preparatrice atletica per una palestra in centro città ed Enzo, quando poteva, passava a prenderla in palestra per tornare a casa insieme. Anche Ornella, una collega di Ambra, talvolta le dava un passaggio facendo risparmiare a Enzo un bel po’ di strada. Ornella era una gran bella figa, con un paio di anni meno di Ambra. Entrambe erano in gran forma grazie al continuo lavoro in palestra. Ornella era sposata con Jean, un ragazzo di colore che esibiva un bel fisico. Formavano una bella coppia, molto carnali e un gran affiatamento erotico. Quando Ornella accompagnava Ambra a casa, spesso le raccontava della sua vita familiare e, di tanto in tanto, le scappava qualche particolare sulle loro performance sessuali. Ambra si era persuasa che i due erano amanti fantasiosi e un po’ li invidiava, ma tutto finiva insieme al viaggio fino a casa.

Pur non essendo lesbica, Ornella apprezzava l’amore lesbico in rapporti bisessuali e aveva imparato ad apprezzare il corpo femminile, a sollecitarlo, eccitarlo e goderne degli effluvi. Immaginava che la vita di coppia di Ambra fosse piuttosto povera e si chiedeva come facesse ad accontentarsi delle prestazioni di Enzo. Ornella non aveva nessuna remora a raccontarle le sue storie più intime.

Una sera Ornella seppe che Enzo era andato fuori città per lavoro e sarebbe tornato molto tardi e chiese ad Ambra se dovesse accompagnarla a casa.

“Allora sei sola in casa! Non mi dirai che ceni da sola!” chiese Ornella sicura della risposta.

“Ma sì, figurati! Mangio una mozzarella e vado a dormire.”

“Nemmeno per sogno, verrai a mangiare da me e poi ti riaccompagno a casa”.

Ambra provò a resistere ma Ornella fu irremovibile. Arrivarono a casa che Jean non era ancora rientrato e Ornella propose all’amica di fare una doccia e indossare abiti puliti e adeguati a una serata estiva tra amici. Fecero la doccia, Ambra indossò una t-shirt lunga che le arrivava fino a metà coscia e Ornella, invece, indossò una canotta della stessa lunghezza e un po’ più larga.

Ambra, rinfrescata, si dedicò a preparare la tavola sul terrazzo mentre Ornella preparava la cena. Era una serata calda con un po’ d’aria. Arrivò Jean e fu piacevolmente sorpreso dalla presenza di Ambra. Salutò le due ragazze e anche lui andò a fare una doccia e cambiarsi. In pochi minuti tornò anche Jean, indossando una bella canotta blu, che lasciava intravedere i muscoli pettorali, e pantaloncini da basket dello stesso colore. Jean aprì una bottiglia di prosecco per l’aperitivo e cominciarono a spiluccare un po’ di noccioline e qualche crostino guarnito. Tutti erano a proprio agio e la compagnia era certamente delle migliori.

Ornella servì un piccolo antipasto a base di crostini guarniti con salsa piccante messicana e guacamole che richiamarono il vino fresco e piacevole. Il vino, si sa, mette allegria e libera dalle inibizioni. Ambra non poté fare a meno di notare le belle tette di Ornella che, libere dal reggiseno, si muovevano sotto la canotta, suscitando sensazioni sopite. Né poté ignorare che anche nei pantaloni di Jean c’era qualcosa che si muoveva libero. Fu tutto un gioco d’immaginazione e così come una ciliegia tira l’altra, così per Ambra una visione sessuale tirava l’altra e immaginò chissà quali orgiastiche notti i due trascorressero insieme, lui attratto dalle belle e piene tette di lei e lei attratta da un cazzo che si intuiva fosse di proporzioni gigantesche.

Mentre pensava a tutto questo senza fare partecipi gli amici, Ambra discorreva, spiluccava e beveva. Si sentiva un po’ in imbarazzo e fece di tutto per scacciare quei pensieri, ma quelli tornavano non appena Ornella o Jean si muovevano, mettendo in scena immagini vivide di giochi erotici. Finita la cena, terminate le chiacchiere da salotto, a una certa ora Ambra decise che era ora di tornare a casa e chiese a Ornella di accompagnarla.

Ambra non riusciva a liberarsi dal pensiero di quelle tette che si muovevano sotto la canotta e del cazzo enorme nei pantaloncini e ne era molto turbata ed eccitata. Il giorno dopo, a sera, nel lettone matrimoniale cercò il corpo di suo marito, cercò di tentarlo e di suscitare una qualche reazione erotica. Tutto ciò che ottenne, fu un rifiuto netto.

Passarono molte settimane e Ambra, tuttora turbata da Ornella e Jean, sognava, seppur con la sua limitata esperienza, amplessi formidabili, scopate con la stessa energia di un terremoto, orgasmi violenti e travolgenti. Aveva bisogno di un cazzo, di un vero cazzo che le facesse tremare i polsi, che la facesse godere profondamente. Di questo suo bisogno, non fece trasparire nulla né a suo marito, né alla sua amica.

Una sera, all’ora di chiusura, la palestra era ormai vuota di allievi e di preparatori atletici. Ornella e Ambra stavano rimettendo in ordine gli ultimi attrezzi ginnici, quando Fabrizio, un loro collega, le salutò prima di andar via. Ora, le due amiche, erano sole in palestra. Nel salutare, Ambra guardò il collega e colse in lui uno sguardo che non aveva mai notato, uno sguardo profondo. Le sembrò di cogliere un intimo desiderio sessuale. Ambra era certa di aver ben interpretato quello sguardo mai notato prima e ne fu turbata. Un brivido le percorse tutta la schiena. Quello sguardo aveva riacceso le fantasie di Ambra su Ornella e suo marito. Terminato di riassettare, le due amiche si avviarono alle docce.

Si spogliarono e s’infilarono sotto le docce openspace.

“Per cortesia, Ambra m’insaponeresti la schiena?”

“Ma certo”

Ornella si girò per favorire l’insaponatura. Ambra insaponava e accarezzava quel corpo splendido dalla pelle vellutata e la fantasia s’incendiò. Insaponò le spalle, insaponò la schiena, scese giù fino ai glutei sodi e morbidi allo stesso tempo. Indugiò sui glutei aprendo leggermente le chiappe per insaponare anche lì. Poi tornò sulle spalle, insaponò sotto le ascelle e, infilate le mani sotto le braccia, raggiunse le tette e insaponò anche quelle. Ritrasse le mani in fretta, pentendosi di aver osato tanto, temendo di aver offeso l’amica e tornò a insaponare i glutei con una dannata voglia di insaponare anche la bella figa. Ambra si stupì di se stessa per quei pensieri audaci e …… omosessuali. Ornella sicura delle sue qualità seduttive, si girò verso Ambra e guardandola negli occhi le disse: “Ti piacciono le mie tette, vero? Vuoi sentirle?”

Ambra si sentì come una bimba sorpresa con le mani nella marmellata e non rispose, ma allungò le mani sul petto di Ornella e cominciò a stringerle a schiacciarle. Stringeva i capezzoli e poi cercava di prendere una tetta intera nella mano. Poi si fermò e guardò l’amica che le sorrise che, sospirando, le disse: “Ti prego …… succhiamele …….”

Ambra si sentiva attratta e non si fece pregare. Con la bocca aperta si lanciò su una delle due gemelline e succhiò avidamente l’una mentre stringeva l’altra. Poi scambiò. Ornella le mise un braccio attorno alle spalle come per proteggerla e con la mano le accarezzò i capelli. Poi, improvvisamente, portò la mano libera tra le gambe di Ambra e cominciò ad accarezzarle con dolcezza le grandi labbra in corrispondenza del clitoride.

Passarono così alcuni minuti, poi entrambe alzarono la testa e si sorrisero con dolcezza e si staccarono. Ambra aveva sfiorato il suo primo orgasmo.

Indossarono l’accappatoio e si avviarono verso gli spogliatoi. Nessuna delle due parlava, prese da una strana inibizione adolescenziale. Giunte in prossimità di un lettino per massaggi, Ornella disse: “Oh …… il lettino dei massaggi. Mi ci vorrebbe proprio un bel massaggio. Me lo faresti ….. ?”.

“Sì, certo, stenditi pure ….”

Le due amiche si liberarono degli accappatoi e Ornella si stese supina lasciando parte delle gambe fuori dal lettino. Ambra prese una boccetta di olio e cominciò a stenderlo sulla schiena di Ornella. Poi con perizia cominciò il massaggio. Anche questa volta, Ambra indugiò sui glutei e nell’aprirli poté osservare lo sfintere dell’amica bello e pulito. Ambra non riuscì a evitare di pensare a quante volte Jean era entrato in quella meravigliosa caverna. Poi, Ornella si girò e le gambe si piegarono penzoloni. Ambra ricominciò a massaggiare le cosce fino a quando Ornella le prese le mani e se le portò sulle tette: “Riprendiamo il discorso interrotto …..” disse con un fil di voce.

Ambra, ne fu affascinata e cominciò a schiacciare e strizzare le tette. Avrebbe voluto di nuovo succhiare quei bei capezzoli ma a malapena arrivava con la testa a lambire le tette. Ornella divaricò leggermente le gambe e con due dita aprì le grandi labbra della sua figa scoprendo un piccolo clitoride rosa: “Non hai dimenticato un massaggio qui?”

Ambra non aveva mai visto nulla di più eccitante e lentamente riprese a leccare la figa di Ornella. Era la prima volta che desiderava un rapporto omosessuale. Ambra provò piacevolissimi brividi, leccò la figa succosa di Ornella con desiderio e cercò di penetrarla. Ornella, mentre accarezzava la testa dell’amica, si lasciò scappare due o tre forti gemiti di piacere. Quella lingua, per Ornella, fu rilassante, naturale, strabiliante. Poi, con un fil di voce disse: “Ti piace? A me tanto e se vuoi, qui alle tue spalle c’è un mio amico che sarà felice di farti felice. No …… non girarti …… non vuole essere riconosciuto ……. Se lo lascerai fare ti farà felice, ma se non vuoi, è sufficiente che tu dica NO”.

Ambra era eccitatissima. Ripensava alla sua vita, alle sue poche e deludenti esperienze sessuali, pensava a quanto aveva desiderato un uomo, un uomo vero dentro di se. Ma suo marito non era un vero uomo, non quanto avrebbe avuto bisogno lei. Avrebbe voluto dire di sì, ma temeva il giudizio degli altri.  Sentiva che avrebbe dovuto dire no e scacciare quel demonio dietro di lei e invece, inspiegabilmente, senti se stessa dire: “Sì, voglio esser presa. Voglio sentirlo dentro di me”. Non lo saprà nessuno, si disse, è solo un momento di debolezza.

Ambra sentì una mano toccarle le chiappe. Istintivamente lanciò un urletto e Ornella le spinse la testa tra le sue gambe e la tennero immobilizzata. “Non preoccuparti ! Lasciati andare! È un amico. Ti farà volare.” Ambra, a occhi chiusi, si lasciò fare e godeva molto nel sentire quella mano che le esplorava le sue intimità. Sudava e sentiva i muscoli delle gambe cedere mentre la figa pulsava freneticamente.

L’uomo le distaccò lentamente le chiappe e divaricare le gambe e con le dita scese oltre il perineo ad accarezzarle il clitoride. Non appena cominciarono le secrezioni vaginali, l’uomo ritrasse la mano e infilò il cazzo. Ambra sentì il fuoco divampare nel suo ventre, sentì un calore che saliva dalla sua passerina fino alla testa e, soprattutto, sentiva un cazzo che si muoveva dentro di se con sapienza e potenza. Sentiva il bisogno di essere posseduta e spinse indietro il sedere perché il cazzo entrasse più in profondità. L’uomo pompava e lei, in perfetta sincronia, spingeva in senso inverso. Sentiva aumentare i battiti del suo cuore e il respiro divenire più difficoltoso, affannato, rotto dall’emozione e dal piacere intenso che quell’uomo le stava regalando.  Non riusciva più a trattenere i gemiti di piacere e si sentiva in una folle corsa come quella di uno sciatore che dalla cima di una montagna a tutta velocità scende verso la valle. Il cuore sembrava un tamburo e un piacere intenso mai provato le stava consumando le emozioni. Le tremavano le gambe, si sentiva fremere, ritrarsi e contrarsi come se fosse preda di una crisi epilettica. Avrebbe voluto girarsi, guardare negli occhi quell’uomo generoso, prendergli il cazzo tra le labbra.

 

Improvviso, come uno tsunami, sentì montare un orgasmo gigantesco, come non lo aveva mai sentito prima. Le sembrava di volare, le sembrava di essere tornata bambina tra le braccia del padre, si sentiva desiderata e desiderava essere chiavata con forza. Riuscì, tuttavia, a mascherarlo per evitare che l’uomo, sentendo di avere raggiunto il risultato, si fermasse e lei, invece, voleva godere ancora. Provò un nuovo orgasmo e poi un altro con scariche elettriche che le percorrevano il corpo e le incendiavano i capezzoli. Un lungo e ininterrotto orgasmo multiplo. Nel corpo devastato da quell’orgasmo, sentiva i muscoli contrarsi e rilasciarsi come in una cavalcata rabbiosa al ritmo del suo cuore impazzito. L’orgasmo fu furioso e lunghissimo, mai provato prima e quando finalmente dopo una decina di minuti il cuore tornò a battere normalmente e, senza accorgersene, dalla bocca le uscì un fil di voce: “Nel sedere, voglio che me lo metti nel culo, voglio, voglio che me lo sfondi, voglio un orgasmo anale……”.

Antonio guardava fuori dalla finestra, al buio, in pigiama, in attesa di vedere rientrare sua moglie. Erano già le due del mattino, quando un’auto di media cilindrata si fermò sul marciapiede di fronte. Il buio gli impediva di distinguere chi fosse. Dopo qualche minuto, ne uscì Erica, sua moglie, che prima di richiudere lo sportello, si piegò verso l’interno e accennò un saluto con le mani. Erica si aggiustò la camicetta, la giacca, raddrizzò la gonna ed entrò nel portone. Dopo qualche minuto, Antonio sentì aprire la porta di ingresso, si accese la luce del corridoio e della sala.

“Amore, sei ancora sveglio? Prenderai freddo”.

“Dove sei stata?”.

“Lo sai! Sono andata a Milano per il congresso aziendale ……”.

“Da Milano fin qui ci sono due ore di viaggio, il congresso sarà finito alle sei al massimo ed ora sono le due di notte …… dove sei stata nel frattempo?”.

“Ehhh , ma come sei sospettoso, amore! Dopo il congresso ci siamo fermati a chiacchierare con alcuni colleghi ….. poi siamo andati a cena insieme. C’era gente che non vedevo da una vita ….”.

“Chi ti ha riaccompagnato a casa?”.

 “Oh, era Gianni, un collega che non vedevo almeno da dieci anni. Per rimanere a cena con gli altri ho perso il pulmino aziendale e così ….. mi ha accompagnata lui e abbiamo potuto chiacchierare un po’.” Si contraddisse Erica.

Antonio intuì che c’era dell’altro, qualcosa che Erica voleva nascondere e giocò d’anticipo. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. “È per questo che ti ha baciata?”.

Erica fu sorpresa. Non ricordava di averlo baciato, ma avrebbe potuto anche essere. Era ancora frastornata da una serata di sesso. Rapidamente recuperò la sua sicurezza e rispose all’interrogatorio di suo marito. “Baciata ? Ma quale bacio? Il classico bacio tra colleghi, tra amici di vecchia data  …. Non me ne sono nemmeno accorta!”.

“Ti ha delusa! Desideravi qualcosa di più …. come dire, ….. eccitante?”.

“Amore, non essere sciocco ….. tra colleghi che non si frequentano tutti i giorni, si usa così”.

Antonio si convinse che non era tutta la verità ma, in mancanza di fatti, non poteva spingere troppo. “Non mi sembrava  un bacio tra colleghi. È il tuo amante?”.

“Ma cosa dici, amore? Tu solo sei il mio amante. Lui è solo un vecchio collega con il quale sono sfuggita alla noia del congresso. Abbiamo fatto solo due chiacchiere e poi tutti a casa: io qui e lui a Torino”.

“Un bel tipo questo tuo collega! Per tornare a casa fa cento chilometri in più per un sorriso ed una pacca sulla spalla.”

Erica si accorse di aver parlato troppo. Decise di ammettere qualcosa. “Va bene, amore! Hai ragione. Il convegno era davvero noioso e siamo usciti fuori a fare una passeggiata, abbiamo perso il pulmino e siamo andati in trattoria noi soli. Nulla di cui preoccuparsi.”.

“Una passeggiata, dici. Tu e lui da soli a cena. E gli altri? Vi hanno raggiunto in trattoria?”.

“Aspetta amore, non precipitare le cose. È vero, eravamo solo lui ed io ed abbiamo parlato di lavoro”. Erica si morse la lingua. La frittata era fatta.

“Fino all’una di notte. Vuoi farmi credere che con queste tue belle gambe in bella mostra che anche le gemelle Kessler avrebbero invidiato, avete solo palato di lavoro?”.

Erica si sentì in trappola. Decise di aprire ancora un po’ il sacco. “Ok, ok, Antonio. Non voglio nasconderti nulla. Gli ho sorriso quando mi ha detto che avevo delle belle gambe e ci ha provato! Mi ha messo una mano sulle gambe, ma io l’ho scacciato con risolutezza.”.

“Accidenti! Sei stata proprio crudele! Chissà come si è spaventato. – disse Antonio sarcatico – Sarebbe meglio che tu mi dicessi la verità”.

“Antonio, ti dico che non è successo nulla ……. – replicò ancora Erica, ma poi fu presa da un groppo alla gola. Si sentì scoperta, scoppiò a piangere e cominciò la confessione -……. chiacchierando mi ha  appoggiato una mano sulla gamba, dapprima piccole toccate e fughe e poi si è deciso a lasciare la mano appoggiata sulla gamba. Una mano sulle cosce, non è nulla. Ci ha provato, si! ci ha provato!”.

“E ci è riuscito? Se piangi c’è stato qualcosa di più concreto. Dimmi, ti ha toccato la figa? Ti ha penetrata?”

Erica capì che ormai sarebbe stato difficile raccontare altre scuse. Decise di vuotare il sacco. “Antonio …….. sei sempre tu che, mentre facciamo l’amore, mi proponi di fare sesso con un altro uomo! Sei tu che vorresti vedermi  posseduta da un altro. Io ho sempre rifiutato. Perché ora mi guardi con aria minacciosa”.

“Questa volta pare che tu ci sia riuscita a lasciare entrare il cazzo di un altro. Si, è vero. Te l’ho proposto molte volte, ma solo per rendere più piccante il nostro rapporto. Solo per gioco”

Erica crollò fra i singhiozzi. “Ma cosa dici? ……..  Va bene! Si, ti dirò tutto ….. L’ho fatto solo per gioco eravamo in auto seduti ho accavallato le gambe e lui, mentre cercava un bacio, me le ha fatte riaprire. Mi sentivo indifesa. Mi ha sfiorato il clitoride, ma gli ho allontanato la mano con fermezza!”.

“Bastava chiudere le gambe, mia bella puttanella! Hai allargato le gambe, per gioco, ma le hai allargate. Spero che, dopo, il tuo amante abbia cominciato a far sul serio …….”

Tra le lacrime, Erica cercò di rifugiarsi tra le braccia di suo marito, per avere se non il suo perdono, almeno la sua solidarietà. Lo abbracciò forte e sentì che Antonio era molto eccitato e aveva il cazzo in piena erezione …. di  durezza  insolita. “Porco. Ti sei già eccitato! Hai già il cazzo in tiro. Sei un porco! Godi nel sapere che un altro uomo ha provato a scoparmi…..”

“Non fare la stronza, Erica. Raccontami cosa è successo. Senza veli. Ha solo provato …… o ti ha scopata?”

“Va bene, lo ammetto. Sarò molto sincera ed anche esplicita ……. per il tuo massimo godimento. Al mattino, ho accettato il suo invito a fare una passeggiata nel parco, sperando di non esser vista dai colleghi. Dopo un po’ mi ha chiesto di fare un giro in macchina. Ho accettato per non rischiare di dare nell’occhio. Gli dissi che temevo di esser vista e mi rispose che conosceva un posto incantevole dove non poteva vederci nessuno. Parlava senza sosta, con entusiasmo, mi incantava con le parole. Mi faceva ridere e ridevo di gusto. Ha cercato di baciarmi, l’ho lasciato fare. I suoi baci mi hanno drogata e ho perso ogni senso di colpa e ho ricambiato il suo bacio. Mentre mi baciava sentivo le sue mani che mi accarezzavano tutto il corpo, scendendo dalle spalle ai fianchi, sotto la camicetta, sotto la gonna. Ero scossa da brividi di eccitazione e …….. la figa bagnata Ho fatto finta di niente, ma devo essere diventata rossa in viso. Mi ha spogliato con padronanza lasciandomi con il solo reggiseno e mutandine per palparmi ovunque, passandomi la mano sui seni, stringendoli e tirandoli, sfregandomi la figa, facendomi impazzire dal desiderio. Raggiunte le mutandine, senza scostarle, ha cominciato a masturbarmi ….. ed io mi son lasciata fare …… pensando a te.”.

“Che pensiero gentile, amore. – disse sarcastico Antonio – E dimmi, sei venuta?”

 “Si. Lo confesso sono venuta. Cosa potevo fare ….. ?”

“E tu non hai ricambiato?”

“No, io non ho fatto nulla. Mi ha preso la mano e me l’ha portata sul suo inguine, facendomi sentire tutta la sua eccitazione . Io avevo la testa riversa all’indietro, stavo godendo, …… non ho capito molto di cosa stava succedendo …… e lui ne ha approfittato! Il porco l’aveva già tirato fuori e la mia mano ha afferrato il suo ….. cazzo”

“Ah, bene finalmente ci siamo. Dunque, lo hai preso in mano.”.

“Cosa potevo fare? Sarei stata davvero scortese. Avevo gli occhi serrati, baciavo e toccavo mentre lui mi apriva il sesso passando le dita sotto le mutandine ormai fradice. Continuò a masturbarmi …. non potevo ritrarmi! Gli ho detto si, senza aspettare troppo tempo, mi sono fatta toccare ovunque senza particolari impedimenti, lo tenevo in mano.”.

“Dunque, lo hai afferrato e lo hai segato”.

“S …. sì!”

“È più grande del mio? “.

“Sss … sì”

“È più duro ?”

“Si, si, amore, ma non devi credere che io sia stata lì a misurare …. ero confusa ….. ero eccitata ….”

“Non misuravi! E cosa facevi, allora?”.

“Stavo godendo …. stavo venendo …. Ero scossa da tremori per il tutto il corpo …… e quando mi ha tirato la testa verso il suo cazzo misi la cappella tra le labbra e lentamente lo risucchiai in bocca e fino in gola per quanto potevo …… in quel momento mi sono resa conto che era più grande del tuo: mi faceva male la mandibola! Nonostante il dolore, gli stavo facendo un pompino da favola e lui era in estasi. Ti prego, perdonami. Io non volevo …. È successo tutto in un solo attimo ….. e mi sono trovata a non riuscire più a gestire la mia volontà.”.

“Oh, poverina …. hai dovuto faticare ……”

“È stato terribile ….. mi toccava da per tutto ….. e io non riuscivo a difendermi ….. ho pensato che se ci fossi stato tu, mi avresti difeso ….. mi ha tolto il reggiseno ….. mi stringeva i seni e mi torturava i capezzoli. Era davvero difficile resistere. Ti prego, dimmi che mi perdoni. “.

“Vuoi il perdono? Vuota il sacco, prima di perdonare devo sapere …… tutto ….”

Tra le lacrime, Erica cominciò a raccontare. Aveva appoggiato la testa sul petto di suo marito, per non guardarlo negli occhi, e infilato la mano nei pantaloni del pigiama e quando gli prese il cazzo in mano ebbe un sussulto. Muoveva la mano lentamente. Antonio aveva il cazzo durissimo e lei lo segava lentamente, stringendo il cazzo ed accarezzandogli le palle. Lui infilò la mano nelle mutandine: era bagnata, iniziò a sditalinarla lentamente e ad entrare con le dita nella figa e lei gli stringeva ancora più forte il cazzo.

 “Mi ha strappato le mutandine e così, completamente nuda, mi ha fatto uscire dalla macchina e mi ha fatto stendere sul cofano dell’auto. Lui era dietro di me. Io tremavo dal desiderio e dalla paura di essere scoperti. Si è abbassato i pantaloni …… mi ha fatto leggermente divaricare le gambe e me lo ha infilato …… A tratti vedevo la tua immagine scacciata da quei colpi poderosi nel mio ventre. Mi sentivo sporca, ma godevo!”

 “Non sei solo sporca, sei una vera troia, una zoccola, ecco cosa sei. Ti sei fatta scopare da un collega. Diventerai la favola dell’azienda“.

“Amore, ero fuori di me. Tremavo e fremevo dal desiderio.  Ho chiuso gli occhi per assaporare l’istante in cui il suo membro invadeva con prepotenza la mia figa fradicia di umori. Ha cominciato immediatamente a martellarmi con una foga rabbiosa che mi ha tolto il fiato e mi ha fatto impazzire di piacere .….. – resasi conto dell’eccitazione del marito, Erica pensò che, a quel punto, conveniva esagerare almeno un po’ – mi accorgo, ora, che anche il tuo è davvero grande, anche più del suo. Mentre mi stava scopando, si sono avvicinati due tizi. Io mi sono spaventata, ma lui mi ha detto di non aver paura. I due, prima si sono limitati ad osservare, poi, se lo son tirato fuori e hanno cominciato a segarsi. Avrei voluto tornare in auto. Ma lui spingeva come un forsennato, io godevo troppo e sentivo la mia figa che sputava convulsivamente i miei umori che colavano lungo le gambe. L’acme arrivò col primo orgasmo e altri susseguirono. “

Antonio era silenzioso, cercava di ricostruire la scena nella sua mente. Sua moglie, una vera troia. E un sottile piacere si era impossessato di lui. Non avrebbe saputo dire se fosse conseguenza della scopata di sua moglie o della sega che lei gli stava ….. regalando.

Erica riprese il racconto: “Godevo come una matta ed ero scossa da forti convulsioni. Ho afferrato il cazzo di uno dei due che mi era a tiro, come se avessi bisogno di tenermi per non cadere. Dopo circa dieci minuti di stantuffamento lui mi disse che voleva provare se avevo il culetto stretto o se vi era già entrato qualcuno. Non volevo, ……. lo sai, nessuno è mai entrato e poi …. ce l’aveva troppo grosso. Ma lui insisteva. Ha iniziato a leccarmi il buchino posteriore, già solo con la lingua mi stava facendo godere. Poi ha sputato molta saliva sul buco e infilato un dito. Mi è sfuggito un grido di piacere. Gli dissi di fare piano ma i miei gemiti tradivano il piacere. Mi disse di rilassare i muscoli, tolse il dito ….. e senza darmi un attimo di fiato mi penetrò con il suo randello.”

“Ti sei fatta fare anche il culo che a me hai sempre negato. Sei una stronza ….sei una vera zoccola”

“Non sono stata io a volerlo. Mi bruciava da morire e mi faceva godere come una vacca. Lo incitavo a spingere sempre più forte mentre, inconsapevole, masturbavo lo spettatore.”

“Che fortuna quell’uomo. Avrei voluto essere al suo posto, Avrei voluto vederti inculata”

“Sentivo dentro di me quell’ossesso. Mi stava distruggendo il ventre. Fino a quando finalmente venne copiosamente nel mio intestino. A quella scena, venne anche lo spettatore spruzzandomi la faccia.”.

Erica, tra le lacrime, rispettò il silenzio di suo marito. Antonio le chiese di prenderglielo in bocca. Allora lei iniziò un pompino meraviglioso. Lo succhiava con avidità, lo masturbava e lo leccava di nuovo. Sentiva i gemiti di piacere di suo marito che da tanto tempo non sentiva così forti. Si fermò un attimo e riprese il discorso “Amore stasera hai proprio un cazzo favoloso. È arrivato il momento che io ti lasci entrare nella mia intimità più recondita, nel mio scrigno.” Erica si sedette su di lui, lasciandosi impalare.

“Dai, tesoro, sfondami – ansimava Erica, mentre Antonio pompava con rabbia quel culo ancora piena dello sperma del suo rivale – Ancora… ancora… non fermarti…. Sì. Tu sei meglio di lui, sei meglio… continua ti prego”.

Antonio riprese a martellarla con maggior energia, come uno toro infuriato, mentre il volto di Erica si trasformava in preda a un piacere mai provato. Erica si vergognò per averlo eccitarlo, ma aveva raggiunto il suo scopo e, di lì a poco, lo sentì venire dentro di se.

Erica ora sentiva lo sperma di suo marito misto con quello del suo collega scenderle lungo le cosce e fu presa da una crisi di coscienza. Non era bello che lui sapesse che si era fatta scopare. “Sei stato straordinario, amor mio. Ma devi sapere che …… ti ho mentito! Non è vero che ho scopato con il collega. Te l’ho detto solo per fartelo venir duro, solo per farmi scopare da te ……”

“Oh, amore! Sei stata splendida! Ero veramente geloso e …. furioso”

Erica avrebbe voluto che Antonio sapesse la verità ma le era mancato il coraggio. L’effetto del racconto era stato grandioso. Si sentì una stronza …… oltre che vera zoccola.

Paola era sposata con Franco ormai da sette anni, ai quali bisognava aggiungere un paio d’anni di fidanzamento. Nove anni, sei dei quali erano stati, dal punto di vista sessuale, un vero paradiso. Avevano fatto sesso nei modi più stani, nei luoghi più insoliti, nelle condizioni più precarie, nei letti più confortevoli. Lui, suo marito, era uno che a letto non si risparmiava e per questo Paola che apprezzava questa sua irruenza, lo chiamava il mio piccolo torello. Più di recente, però, il piccolo torello si era via via reso più mansueto e delle scopate tempestose ne era rimasto solo il ricordo. Ora il piccolo torello era divenuto un piccolo panda che non muggiva, non caricava più e al massimo, il sabato sera, non tutti, amava strofinarsi sulle seducenti forme di Paola per un veloce climax e un casto bacio della buona notte. A Paola non bastava, ma non ne faceva un dramma e, spesso, completava l’opera del piccolo panda con le sue dita, in solitaria, mentre lui era già nel mondo di Morfeo.

Paola è una ragazza tranquilla, dolce e sensibile. Una ragazza che lavora come cassiera in un supermercato. Una ragazza tutta casa e lavoro, e anche se amava il sesso, aveva accettato di buon grado il calo del desiderio del marito come se si trattasse di cosa naturale.

Amici di Paola e Franco erano Massimo e Patrizia che abitavano a meno di cento metri da loro.  Franco e Massimo erano amici dai tempi della scuola e le rispettive mogli si erano semplicemente unite. Anche se entrambe erano ragazze molto belle, Patrizia, diversamente da Paola, amava mettersi in mostra, vestiva e si muoveva perché la si notasse e per questo era sempre al centro delle attenzioni degli uomini. A Patrizia piaceva il sesso che non doveva mai mancarle, altrimenti, diversamente da Paola, diventava irascibile e nevrotica. Patrizia era una ragazza con delle perversioni che non nascondeva a Paola, ma che aveva dovuto nascondere a suo marito. Patrizia aveva sempre avuto il desiderio di fare sesso con più uomini, di sentirsi al centro, ma non ne aveva mai avuto occasione, non aveva mai incontrato le persone giuste. Soprattutto era incuriosita e attratta dalla doppia penetrazione, sia uno dietro e uno davanti, sia entrambi davanti.

Patrizia non aveva problemi a parlare di queste cose con Paola e confidarle i desideri più nascosti, più perversi. Le raccontava di fare ripetutamente lo stesso sogno, di essere posseduta da tanti uomini. Quello era il suo chiodo fisso e, anche se credeva che non avrebbe mai fatto niente del genere, era convinta che perché smettesse di essere un sogno doveva trasformarsi prima in realtà. 

Un giorno Franco e Massimo decisero di seguire la loro squadra del cuore in una trasferta internazionale. Avevano trovato dei biglietti insieme con due posti in un pullman di tifosi che li avrebbe portati indietro nel giro di ventiquattrore. 

Arrivò il giorno della partenza, giorno di festa a lavoro, e i due amici all’alba si avviarono vero il punto di raccolta dei tifosi per salire sul pullman. Più tardi a metà mattinata, Patrizia chiamò Paola al telefono e si misero d’accordo per fare, nel pomeriggio, un salto città, vedere le vetrine e poi magari una pizza e un cinema. Non necessariamente in quest’ordine. 

Giunte in città, parcheggiata l’auto, cominciarono a girare tutti i negozi più alla moda e, in alcuni di essi, entrarono a provare abiti e scarpe il cui costo era proibitivo che mai avrebbero potuto permettersi. All’ora di chiusura dei negozi erano stanche morte, con le gambe e i piedi doloranti e s’infilarono nel primo pub che trovarono per potersi sedere e riposare un po’. 

“Quanta bella roba in quei negozi. Avrei comprato tutto. “ disse Paola

“Con quel che guadagnano i nostri mariti, non potremo permetterceli mai. Dovremmo farci un amante ricco. La qual cosa avrebbe due effetti positivi: potremmo comprare tutto quel che ci pare e ci faremmo delle belle scopate. Ricordati, Paola, che, se tuo marito ti tratta come una principessa, per fortuna gli amanti ti trattano come una zoccola”.

Paola sorrise e pensò che Patrizia non cambiava mai. Pensava sempre al sesso e lo infilava in tutte le salse e in tutti gli argomenti. Tuttavia era una cara ragazza e a lei non dava fastidio se, tra di loro, toccavano quegli argomenti.  

In quel momento si avvicinò al loro tavolo un signore distinto e ben vestito che con molto garbo le invitò a sedersi al loro tavolo. Paola riconobbe subito il commesso o forse il proprietario di un negozio nel quale erano entrate poco prima. Le ragazze accettarono l’invito e si sedettero al tavolo con altri cinque uomini, tutti sui quarant’anni, ben vestiti e allegri tra i quali almeno altri due commessi di negozi che avevano visitato in precedenza. Dopo un paio di giri di bevute, uno del gruppo invitò tutti nella sua casa di campagna, dove avrebbero potuto continuare la serata e preparare due spaghetti per placare la fame. 

Le ragazze, con il miraggio di divenire amiche con chi avrebbe potuto poi praticarle forti sconti sugli abiti che avevano visto, accettarono l’invito. La casa era a pochi chilometri dalla città, una classica casa di campagna con il sapore delle case chiuse e riaperte solo per l’estate. Paola pensò che quella sera Patrizia avrebbe potuto realizzare il suo desiderio e, per lasciarle campo libero, andò in cucina a preparare gli spaghetti. 

Mentre Paola cucinava, le si avvicinò uno degli uomini, uno che le piaceva abbastanza, e da dietro la strinse a se. Lei non disse nulla, ma le faceva piacere. Poi lui le baciò il collo e Paola cercò di liberarsi. Lui insisté a stringerla da dietro e ripeté il bacio mentre le accarezzava i fianchi. Le faceva sentire sul fondo schiena qualcosa di duro e dalle dimensioni ragguardevoli. Paola ebbe qualche brivido, avrebbe voluto girare la testa e intercettare le sue labbra e baciarlo con passione ma, pensò, meglio non correre toppo. Continuò a cucinare e, dopo un po’, si girò su se stessa e annunciò che gli spaghetti erano pronti.

Mangiarono tutti con gusto perché avevano fame e perché erano appetitosi. Stapparono qualche bottiglia di vino e lo bevvero tutto. La serata trascorreva in allegria, faceva molto caldo e qualcuno cominciò a liberarsi di qualche indumento. Dopo un po’ Patrizia si estraniò dal gruppo per parlare con uno che, evidentemente, le piaceva e, poi, insieme si ritirarono sulla terrazza, al buio. 

“Che strano – pensò Paola – mi sembra un’ottima occasione per fare quell’esperienza di cui parla tanto e, invece, si dilegua con uno solo”.

Intanto il vino cominciava a dare i suoi frutti. Gli uomini, che erano già tutti in camicia, cominciarono a slacciare le cravatte e sbottonare le camicie. Il tizio che aveva baciato Paola continuava a stuzzicarla e, con disinvoltura, mise le mani sotto la gonna, tra le sue cosce. Paola di nuovo lo lasciò fare pensando che fossero preliminari per un rapporto a due. In quel mentre, Patrizia rientrò dalla terrazza e si rifugiò in un’altra stanza. Così Paola rimase sola con quattro quarantenni già molto eccitati e la guardavano famelici. Paola cercò di distogliere la loro attenzione ma, ben presto, si rese conto che aveva solo due possibilità: o stava al gioco o avrebbe dovuto alzarsi e andar via. 

Era piuttosto combattuta. Il suo corpo reclamava sesso a volontà ma la testa le consigliava di andar via. Paola resistette ancora un po’ mentre il suo spasimante continuò a stuzzicarla e lei a rispondere, fino a che si rese conto che Patrizia non sarebbe venuta in suo soccorso e doveva sbrogliarla da sola. 

Più passava il tempo e più gli uomini cominciavano a sentirsi sicuri che avrebbero scopato Paola e si preparavano alla bisogna. Paola si rese conto che difficilmente sarebbe sfuggita. Decise di prendere il toro per le corna.

“Ragazzi, non ci prendiamo in giro! La vostra eccitazione è palpabile. E anch’io lo sono, ve lo assicuro. Ma voi siete in quattro ed io da sola. Non è una situazione facile. I casi sono tre: io mi alzo e vado via e rimaniamo tutti a bocca asciutta; oppure io vado in stanza ed uno alla volta  mi scopate come una puttana di un postribolo di Calcutta; oppure, ultima possibilità, ognuno di voi si libera delle proprie paure e del proprio pudore, ci spogliamo tutti e giochiamo tutti insieme, senza forzature e sentendoci tutti liberi di fare quel che ci piace senza costrizioni per nessuno, per realizzare più fantasie contemporaneamente: omosessuale, bisessuale, voyerismo, esibizionismo. La prima possibilità sarebbe spiacevole per tutti ed io non la desidero. La seconda è esclusa, non sono una puttana e non voglio diventarlo. Rimane possibile solo la terza possibilità. So che qualcuno potrebbe sentirsi a disagio per la presenza di altri maschi nudi in totale promiscuità. Ma è l’unico gioco da giocare insieme. “. 

Gli uomini accettarono e tutti si spostarono nella camera con il letto matrimoniale.  Paola pensò che stesse per avverarsi il sogno fatto tanti anni prima, quando ancora ragazza, s’immaginava al centro delle attenzioni di tanti uomini che la circondavano di carezze. E ora…..

Si spogliarono tutti e, mentre si spogliavano, gli uomini accarezzavano il bellissimo corpo di Paola per accenderle e stimolarle tutti i sensi, senza violenza, con dolcezza, senza nessuna forzatura. Uno la accarezzava, un altro le baciava i seni, uno si toccava lentamente e l’ultimo rimase per un po’ in disparte per godersi la scena. 

Così, eccitati, gli uomini provarono a stringere un po’ di più Paola, a toccarle i seni, le zone erogene e inavvertitamente uno toccò l’altro.  I due si sorrisero e si baciarono, appassionatamente. Ben presto Paola si ricordò di quell’uomo che, in disparte, si godeva lo spettacolo. Si voltò verso di lui e lo vide masturbarsi furiosamente e gli disse ”Ricordati di farmi sentire i tuoi schizzi su di me.” 

Sentì le mani su di se, poi un braccio, una coscia, una lingua. Prese tra le sue belle e grandi tette un cazzo durissimo che stava davanti a se per praticargli una spagnola. Quando la cappella spuntava dalle tette, lei provava a lambirla con la lingua, finché uno si avvicinò per baciarla sulla bocca e dopo il bacio, lei lo prese per il collo e lo accompagnò a prendere quel favoloso cazzo nella bocca. Era la prima volta che quell’uomo prendeva un cazzo in bocca, ma gli piacque. Il cazzo ha un fascino che non risparmia nessuno. Gli piaceva salire con la punta della lingua lungo l’asta fino alla cappella per girarci intorno e poi strofinarlo sul viso e sulle labbra e riprendere a succhiare senza smettere di guardare Paola. 

Paola lo incitava: “Vedi che sei una troia? Succhialo tutto, ingoialo fino in fondo, succhiagli il nettare. Ti piace! Vedi che ti piace?….succhialo dai..”..e quello succhiava sempre più eccitato…. facendosi scopare la bocca come se fosse una figa, e morendo di eccitazione e di piacere, mentre si masturbava. E non appena fu riempito dello sperma copioso dell’amico, anche lui venne schizzando le gambe di Paola. Lui ingoiò tutto e passò la lingua sulle labbra per raccogliere tutto.

Nel frattempo l’uomo che si era dedicato alle sue gambe, al suo culo, alla sua passerina ormai piena di succhi profumati, la fece piegare e appoggiò la punta del suo cazzo sul buchetto. Reclamava prepotentemente di entrare nel suo culo. 

Paola non avrebbe voluto, ma cedette e si lasciò penetrare. Tremava, non riusciva a stare ferma, urlava di dolore e di piacere. Trovò la forza per sussurrare: “mi piace… continua ……. non ti fermare”. Lui la prese con le braccia introno alla vita, la sollevò e cadde sdraiandosi sulle spalle tenendola attaccata a se così che al termine dell’operazione, lei era seduta su di lui con il suo cazzo nel culo.  Un altro, vedendo quella scena, si avvicinò a Paola, le allargò le gambe e, avvicinatosi, le infilò il suo cazzo nella figa piena dei suoi umori caldi. Paola realizzò solo allora che quei due erano entrambi dentro di lei e si muovevano in sincrono, senza freni. 

Era bellissimo stare tra due uomini che la possedevano insieme, con i cazzi duri in figa e in culo. Lei non riusciva a trattenersi, mugolava di piacere. La pompavano con affondi sempre più violenti mentre lei allargava sempre più le gambe. Pompavano in sincronia e lei muoveva ritmicamente il bacino per farsi penetrare a fondo ora da uno, ora dall’altro. 

Non c’erano inibizioni, tutti godevano senza remore, Paola era passata da un respiro affannato a gemiti sempre più forti che accompagnavano i suoi orgasmi multipli, fino a quando sentì che un fiume di sperma bollente le riempì il culo mentre lei spasimava di piacere. Poi anche la figa fu riempita di sperma, strappandole grida orgasmiche di piacere intenso. Anche l’uomo che aveva scoperto il piacere di succhiare, tra grida di furore e spasmi di piacere,  si ritrovò la bocca riempita dal suo amico. Poi, vedendo la fica di Paola grondante di sborra, con il cazzo duro duro dall’orgasmo dei suoi amici, si volse verso Paola e la penetrò.

Sentì la figa morbida e caldissima, ancora piena di un mix di sperma e umori femminili. Paola ancora stravolta dai continui orgasmi, riprese a gemere ancora più forte in un crescendo di piacere intenso che sublimò in un nuovo e più profondo orgasmo. 

Anche l’ultimo, si fece investire da uno tsunami orgasmico mentre pompava la figa di Paola, ma tiratolo fuori liberò schizzi di sperma caldo innaffiando quei corpi aggrovigliati. Restarono tutti a lungo, senza fiato, stesi sul letto  a pancia in su, aggrovigliati tra cosce e braccia, tra tette e cazzi a riprender fiato, spalmando sul corpo la pioggia di sperma. 

Era il momento. Uno di loro si alzò e recuperò l’occorrente per una canna che, preparata, cominciò a girare. L’atmosfera si sciolse e presero a scherzare e ridere come avevano fatto prima di quell’amplesso. In quel momento Patrizia bussò alla porta ed entrò dicendo che il suo uomo non le piaceva e si era addormentato. Voleva andar via. Era rimasta a origliare i loro sospiri, gemiti e orgasmi e aveva aspettato che avessero finito. 

Sulla via del ritorno, Patrizia era piuttosto scontrosa. Non solo non aveva potuto provare la sua fantasia, mentre l’aveva sperimentata la sua amica, ma ora rischiavano di arrivare a casa così tardi da trovare i mariti già in casa. 

“Mi hanno detto che ci aspettano nei loro negozi e mi hanno promesso un trattamento di favore” disse Paola nel tentativo di tirarla in po’ su.

“Ah, bene! – rispose scorbuticamente Patrizia – ma quest’altra volta tu te ne rimani con quel brocco ed io mi scopo gli altri quattro !”

 

Quella domenica mattina, la Signora Gianna aprì la porta di casa e si trovò davanti Antonio, detto Tony, il marito di sua cognata Pina, cioè marito della sorella di suo marito Michele. Tony era il classico furbetto, pronto e con pochi scrupoli, sempre a caccia di avventure. Gianna ammetteva che talvolta Tony fosse troppo svelto con le mani, ma era anche molto simpatico con le sue battute e motti di spirito e lei ne aveva simpatia. Sebbene Gianna lo avesse scoperto più volte a fissare le sue tette o le gambe, non credeva che potesse facre il cretino con lei perché si sentiva protetta da suo marito Michele e troppo visibile dalla moglie di lui Pina. Gianna sapeva che Tony aveva avuto qualche avventura con ragazze giovani o meno giovani, tutte durate lo spazio di un mattino. In sostanza non lo reputava un tipo pericoloso. Anche per questo, ella tollerava e non temeva le sue battutine un po’ spinte quando si trovavano soli.

Gianna stava riordinando casa con indosso un vestitino estivo a fiori, di quelli tipici delle casalinghe accaldate, che coprono le gambe fino a metà coscia e lasciano libere le tette senza reggiseno. Tony, entrato in casa, intravedeva il profilo del seno e i capezzoli insolenti che, spinti dalle tette gonfie, disegnavano sul vestito il movimento ondulatorio delle due magnifiche tette. In controluce, Tony ammirava il contorno delle lunghe gambe tornite che finivano in un maestoso culo. Gianna è un gran pezzo di figa e faceva un grande effetto sul povero Tony che, eccitato, cominciò a fantasticare su quello che avrebbe potuto farle anche lì sull’uscio di casa.

“Ciao Tony, qual buon vento?”

“Cerco tuo marito. È in casa?”

“Vieni, che ti preparo un caffè! Michele, però, non è in casa, è andato a pesca con gli amici.”.

“Bhè, allora entro a prendere il caffè e poi scappo via”.

“Mi spiace …… magari posso esserti utile io”.

Tony ebbe come un lampo e, in pochi secondi, immaginò un film completo nel quale Gianna che, con le labbra turgide e vogliose, gli afferrava il cazzo e lo risucchiava; immaginò di sbattere la cognatina su un tavolo e fotterla come mai nessuno aveva fatto; la vedeva dimenarsi per il piacere di farsi scopare avidamente.

Come un prolungamento di quel sogno e quel desiderio, Tony le andò vicino, la prese per la vita tirandola a se e con un sorriso a trentadue denti le disse: “Sì. Una cosa ci sarebbe che potresti fare per me – e poi, infilando una mano sotto il vestito e toccandole il culo – potresti deciderti una buona volta a darmela.”.

Ridendo e spingendo con le braccia, Gianna lo allontanò: “Che scemo che sei! Quasi quasi, non meriteresti nemmeno il caffè”.

Tony si arrese immediatamente e, parlando del più e del meno, in un’atmosfera sempre torbida e surriscaldata dai pensieri indecenti che aveva appena fatto, prese il caffè e andò via. Rimasta sola, Gianna ripensò alla mano calda di Tony sul suo culo, sentì il profumo del suo dopobarba e provò un brivido lungo la schiena. Un brivido di piacere che si trasformò in un brivido di paura.

Tony era ammaliato da Gianna. Gli sembrava che lei giocasse come il gatto con il topo. Per un attimo gli appariva disponibile per poi freddare i bollenti spiriti, lasciandolo a bocca asciutta e sempre più turbato. Tony aveva paura a scoprirsi troppo e, rassegnato, soffriva per la rinuncia.

Passarono alcuni mesi senza che accadesse nient’altro e la vita procedette tranquilla come il solito. Un giorno la madre di Michele e Pina si sentì male e fu ricoverata in ospedale. Fu immediatamente sedata e portata in terapia intensiva. Gianna e Michele, Pina e Tony si ritrovarono al capezzale della vecchia donna. I medici dissero che se avesse superato la notte, avrebbe avuto buone probabilità di farcela. Michele e Pina, i due figli, decisero di passare la notte in ospedale per assistere la madre. Tony s’incaricò di riaccompagnare Gianna a casa.

Gianna era davvero una bella donna che sapeva come truccarsi e vestirsi. Coloro che la conoscevano erano equamente divisi tra chi apprezzava le gambe, lunghe e tornite, chi apprezzava il culo, perfettamente sferico e sodo e chi apprezzava il petto sormontato da due seni grandi, ma assolutamente sodi e burrosi nonostante avesse allattato due marmocchi. Chi l’aveva vista incedere sulla spiaggia in bikini ridotti, aveva giurato di aver avuto, dopo, visioni mistiche.

Il malore di sua suocera era avvenuto mentre Gianna era in giro per negozi a far compere. Indossava calze autoreggenti velate sotto una gonna nera che le arrivava un po’ più su del ginocchio e una camicetta color grigio perla, larga per coprire la vista di quelle magnifiche tette che s’intuivano perfettamente.

Tony e Gianna salirono in macchina per tornare a casa e la gonna di Gianna salì quanto necessario per sedersi, lasciando scoperta mezza coscia. Con i movimenti dell’auto, la gonna salì ancora e si sollevò leggermente lasciando intravedere le cosce fino al merletto .

Tony guidava verso casa e guardava la strada. Lo aspettava tre quarti d’ora di viaggio attraverso la città addormentata e piccoli agglomerati urbani. L’occhio di Tony, tuttavia, spesso e volentieri cadeva su quelle magnifiche cosce che racchiudevano un vero scrigno e sulle tette che spingevano sulla camicetta e, grazie a un bottone sbottonato di troppo, facevano capolino. Il candore di quelle tette sode e piene era reso quasi magico dalla luce della luna che le illuminava. E fu così che, all’ennesimo semaforo rosso, Tony sorridendo a sua cognata, infilò una mano tra le gambe. Gianna, sorpresa, s’irrigidì. Avrebbe dovuto rifilargli uno schiaffone, ma non disse nulla. Tony, forte del silenzio, prese coraggio e proseguì verso lo scrigno proibito. Quando Tony arrivò a lambire gli slip, Gianna non poté più fare finta di nulla e mentre con la sinistra bloccò la risalita della mano, con la destra gli mollò un ceffone sonoro.

Intontito, incredulo ma carico come una molla Tony non reagì e non profferì parola. La guardò apprezzandone una volta di più tutta la sua bellezza, continuò a guidare fino a un ampio parcheggio quasi deserto e vi entrò. Scese dall’auto, vi girò attorno raggiungendo il lato passeggero, aprì lo sportello e, senza dire una parola, la prese per mano e la fece scendere dall’auto.

Gianna spaventatissima non oppose resistenza; temeva che volesse abbandonarla in quel parcheggio. Tony, invece, alzò il braccio e la colpì con un forte manrovescio.

“Adesso basta! Mi hai rotto i coglioni! Non fai altro che provocarmi per poi tirarti indietro. – e le mollò un altro ceffone – Giacché non me la dai tu, me la prendo io.”.

“Cosa fai? Sei impazzito? Lasciami stare o lo dirò a Michele.” Tentò di spaventarlo, con scarsi risultati e rimediando un altro ceffone.

Gianna era terrorizzata. In piedi davanti a lui, incrociò le braccia sul petto pensando di proteggere quella che riteneva la parte più esposta. Tony, invece, infilò di nuovo una mano, la stessa mano che l’aveva colpita, tra le gambe e rapidissimo salì su, scostò le mutandine e infilò un dito tra le labbra, ancora secche e chiuse, che in un istante si bagnarono dischiudendosi all’inaspettato visitatore. Immediatamente Gianna con le mani cercò di bloccare l’ispezione di Tony, il quale portò indietro il braccio e assestò un nuovo poderoso ceffone a Gianna.

“Puttana, sei una gran puttana. ….. Fai la santerellina e mi provochi continuamente ….. – gridò Tony mentre le assestò un nuovo ceffone – ……. e quando ti metto le mani addosso, ti ribelli come se fossi santa maria goretti …….. e invece hai la figa che trasuda umori e hai solo voglia di essere scopata ……. come qualsiasi altra troia”.

Quelle parole scatenarono un incendio nella mente di Gianna. Il suo sesso pulsava, fremeva, colando lungo le belle gambe. La sola cosa che desiderasse in quel momento era trovare pace per la sua figa.

Tony la prese per le spalle e senza trovare resistenza da parte di lei la fece girare su se stessa, la spinse contro l’auto e poi la fece piegare con il petto sul cofano. Prima che Gianna potesse capire cosa stesse accadendo, ancora intontita dalle sberle ricevute, Tony infilò entrambe le mani sotto la gonna afferrò gli slip e li sfilò fino a terra. La resistenza di Gianna cominciava a scemare per il desiderio di quel che la aspettava.

In rapida successione, Tony le alzò la gonna, le fece divaricare le gambe, le assestò uno schiaffone sui glutei che si riverberò lungo tutta la schiena della povera Gianna e, come un fulmine, si butto a leccare gli umori sempre più abbondanti di sua cognata.

Gianna trovò la forza di opporsi ai propri desideri e cercò ancora di distogliere suo cognato dall’orrendo piano: “Sei un maiale Tony, …. un porco che non ha rispetto …… un porco di merda. Spero che …… tu ……. incontri qualcuno che ti ……. che ti inculi a sangue …… contro la tua volontà!” disse ansimando per l’eccitazione.

Subito dopo aver proferito quelle parole, Gianna sentì la lingua di Tony che le sollecitava la figa e cominciò a gemere. Ben presto fu lei stessa a divaricare sempre più le gambe per favorire le leccate; e fu lei ad afferrare la testa di Tony e tirarla a se per paura che potesse smettere.

“Ahh, Tony, sei un diavolo! ………. Un diavolo! …….. Non ti fermare. Michele non mi ha mai leccato la figa …… continua, ti prego …. non ti fermare!”

Tony ricominciò a leccare, entrò con la lingua all’interno e stuzzicò il clitoride mentre non smetteva di succhiare. Gianna gemeva come una cagna, era tutta sudata ed emanava un profumo animalesco di sesso; andò in estasi ed ebbe il primo orgasmo a fiotti. Tony sapeva il fatto suo e proprio quando Gianna mugolava come un montone, si alzò in piedi, liberò dalla gabbia la sua bestia ancora imbrigliata e lo appoggiò sulla figa gonfia di desiderio. Gianna era un lago di umori e Tony nel silenzio spinse. Gianna sentì il sesso aprirsi lentamente e il cazzo di Tony farsi largo dentro di lei. Le piaceva sentirsi aprire, sentire le pareti della vagina tirare fino al limite. Tony spinse ancora, affondando il suo scettro e cominciò una lunga cavalcata.

Gianna si sentiva donna come mai prima, si sentiva porca come non lo era mai stata e godeva di ogni spinta di ogni colpo, di ogni sensazione di quel fantastico momento che Tony le stava regalando.

Dopo che Gianna ebbe un primo orgasmo Tony le fece cambiare posizione, voleva penetrarla con forza. La fece girare con la schiena sul cofano della macchina e le tirò su le gambe fino a squadra, entrò di nuovo in quella figa aperta e con violenza cominciò di nuovo a scoparla. A Gianna piaceva avere tutto il pene dentro di se, lo sentiva tutto mentre le straziava la figa, abbassò le gambe per abbracciare Tony e accompagnare le sue spinte violente.

Tony richiamò tutte le sue forze per somministrarle violenti ed energici colpi e lei, in preda ad orgasmi multipli che le salivano dal profondo della figa fino al cervello. Come una droga, come una anfetamina che amplificava ogni sensazione. Dopo qualche minuto, Gianna fu scossa da tremori fortissimi. Il suo respiro sempre più affannato denunciava l’arrivo del grande orgasmo, simile ad uno tsunami. Tony, la sentì tremare e respirare affannosamente, si accorse del momento magico e aumentò i colpi con maggior vigore. Gianna emise ululati di piacere, soffocati dal timore di essere scoperta, che aumentarono fino all’orgasmo finale. Tony, non ancora sazio, si sfilò con decisione, provocandole una delusione profonda.

“No, no, noooo …. Tony, no, rimettimelo! “

Tony, non si lasciò convincere, si liberò dalle gambe di lei, riportandole in alto, a squadra e sfilato il cazzo dalla figa, senza esitare glielo infilò nel culo lubrificato dagli abbondanti umori che scesi sul buco sublime. Gianna emise un urlo di dolore sovraumano e Tony le tappò la bocca.

“Toglilo, Tony, toglilo! Mi fa un male cane …. Toglilo …. Ti prego…… sono vergine. Non voglio”

Tony non ebbe a preoccuparsene e non rispose. Era in debito di ossigeno per rispondere, continuò a spingere. Sentire le sue palle sbattere sul culo di lei, gli rendeva il piacere anche maggiore. Un piacere intenso, sempre più forte fino a quando cominciò a sentire anche i gemiti di piacere di Gianna che invocava spinte sempre più forti.

Tony continuò a pomparla così fino a quando le strappò un nuovo orgasmo, più profondo dei precedenti, accompagnato da convulsioni e spasmi di piacere intensissimi. Distrutto dalla fatica, Tony sfilò il cazzo dal culo di Gianna, la fece scendere dal cofano e inginocchiarsi.

“Ora succhia lo scettro che ti ha regalato tanti orgasmi. Lecca e succhia. Voglio riempirti del mio seme caldo.”

Gianna provò a sottrarsi, non la attirava mettere in bocca qualcosa che era uscito dal suo culo, ma Tony non era uno al quale ci si poteva opporre e con dedizione aprì la bocca. Tony lo infilò dentro. Lei lo leccò un po’ e poi lui cominciò a scoparle la bocca. In pochi minuti le inondò la bocca di nettare.

 

Gianna felice e soddisfatta bevve tutto, senza lasciarne cadere una goccia. Fu una scopata indimenticabile e, quando Gianna era sola, per molto tempo ancora Tony andava a farle visita. 

 “Basta! Ne ho piene la scatole. Non solo è indecoroso il modo in cui ti comporti, ma è offensivo della mia persona, di tua moglie, non di una persona qualsiasi. Non riesci a trattenerti, come quei cani che spinti da un impulso primitivo, simulano il coito sulle gambe della gente. Sono stanca, ci provi con tutte…..”

“Ma, amore, …. si tratta di uno scherzo …… è un riflesso condizionato. Non crederai che io ci provi davvero?”

“Io non so se ci provi o non ci provi, ma la cassiera della Coop, l’inverno scorso, l’hai portata a letto. Una grassona schifosa che non rimorchiava da anni! Credi di essere furbo a lanciare il laccio con noncuranza nella speranza che qualcuna ci caschi ma è stata lei a prendere al laccio te. Ad ogni modo te l’avevo promesso e manterrò la promessa. Lancio il laccio come te e magari qualcuno rimedio. Così mi diverto anche io …..”

“Andiamo, Ambra ….. per così poco ne stai facendo una tragedia……”

“No, Gianni, non sono io che faccio la tragedia, ma la tragedia la farai tu dopo avermi vista in azione”

“Ambra, ti prego, godiamoci la vacanza al mare. Dopo un anno di lavoro, siamo stanchi, abbiamo bisogno di riposo entrambi.”

“Il mio riposo sarà più piacevole dopo che ti avrò reso la pariglia”

“Ma no, Ambra, smettila! Sei solo un po’ stressata, hai bisogno di una bella scopata. Ora andiamo in albergo e mettiamo le cose a posto”

“Hai ragione, mio caro Gianni. Ho bisogno di una scopata come non me ne capitano da molto tempo. Tu, invece, anche stamattina non ne avevi voglia. Non sarai tu che risolverai il mio problema. Ti avevo avvertito e ora non si torna indietro”

Ambra e Gianni erano seduti ad un tavolo del più bel bar della riviera dal quale potevano osservare il mare ed il passeggio sul lungomare. Viaggiavano oltre i trentacinque anni e avevano superato indenni anche la crisi matrimoniale del settimo anno. Mentre Ambra si era ormai abituata al ruolo di moglie e madre, Gianni aveva ancora impulsi giovanili ogni volta che vedeva una gonna. Gianni non si preoccupò delle minacce di Ambra che gli sembravano esagerate. Tuttavia conosceva bene Ambra e sapeva che era meglio lasciarle sbollire la rabbia e si sarebbe calmata da sola. Doveva solo resistere alle sue provocazioni senza reagire e rimanere in silenzio.

Ambra continuava a parlare, a rivangare, a minacciare e Gianni se ne stava seduto ed in silenzio, reagendo ai discorsi di sua moglie con smorfie adeguate. Gianni dovette riconoscere che era molto bella e, nonostante l’età, era molto più seducente di quella sciacquetta della cameriera con la quale aveva fatto lo stupido.

Ambra gli ricordò di quando faceva lo scemo con altre donne, di quanto era tirchio e di quanto inutile fosse la sua presenza in casa. Non tralasciò nemmeno la sua scarsa attitudine con il sesso, la sua scarsa resistenza nel fare l’amore e gli rinfacciò pure che, per anni, l’aveva assillata con la richiesta di fare l’amore in tre. Ambra era un vulcano che si quietò solo quando un giovanotto, dal tavolo vicino, le chiese il menù dei gelati.

Ambra si girò verso il ragazzo porgendogli il menù e vide due bei giovanotti sui ventanni, sorridenti e carini. Immediatamente mutò il suo cipiglio messo su per la ramanzina a Gianni in un sorriso socievolissimo di circostanza.

“Ecco ragazzi. Qui hanno gelati molto buoni e, se posso consigliarvi, vi suggerirei questa coppa gigante dove al gusto delicato della frutta fresca si contrappone un gusto deciso della cioccolata al rhum!”

“Sarà di certo una delizia, signora, ma …… è un po’ troppo caro per le nostre finanze!”

“State scherzando? Non è mica un problema! Mio marito ed io saremmo lieti di offrirvi quella o un’altra coppa se vi accomodate al nostro tavolo…”

“Lei è molto gentile, signora, ma non vorremmo disturbare …..”

“Ma che disturbo – replicò Ambra – mio marito ed io siamo una coppia libera e aperta a nuove amicizie. Venire, accomodatevi ci farà molto piacere cambiare due chiacchiere …..”

Gianni ebbe come un pugno nello stomaco ma decise di non reagire e fece buon viso a cattivo gioco.

I due ragazzi si accomodarono e ordinarono le coppe gelato più costose. Erano molto simpatici e disinvolti e intrecciarono una fitta conversazione con Ambra. Gianni rimase in silenzio osservando la scena.

Quando le enormi coppe furono svuotate, Ambra, nel timore di perdere i due cavalieri, li invitò a fare una passeggiata con loro per godere dell’aria di mare. I due accettarono e mentre Gianni pagava il conto i tre si avviarono verso il lungomare.

Si era stretta una bella amicizia e i tre discorrevano piacevolmente del più e del meno. Gianni li seguiva ora di fianco, ora indietro, ma non partecipava. Silenzioso aspettava che Ambra si sentisse soddisfatta.

Arrivarono alla fine del paese, dove bar ed i ristoranti avevano lasciato il posto a casette unifamiliari, spesso misere, e la spiaggia, libera da stabilimenti balneari, permetteva una bella vista sul mare calmo e la luna, quasi piena, che si rispecchiava. Inevitabile un tonfo in un cuore sensibile come quello di Ambra.

“Ohhh che meraviglia. Una serata fantastica con quella luna che sembra il faro abbagliante di una Harley. Scendiamo a fare due passi sulla sabbia, potremo sentire il profumo del mare.” Propose Ambra

Gianni l’avvicinò e parlandole un po’ a voce bassa: “Adesso basta Ambra! Ti sei vendicata a sufficienza. Torniamo in albergo ci facciamo una bella dormita e non ci pensiamo più”

“Non mi sto vendicando, Gianni, non è una vendetta, sto solo facendo ciò che mi piace e che non ho fatto prima per rispetto del mio matrimonio. Poiché tu non hai lo stesso rispetto, anche io mi prendo qualche libertà.”

“Non fare la stupida, rischi di rovinare il nostro matrimonio”

“Non credo! Sto solo prendendomi delle libertà che tu hai già preso e delle quali ho diritto anche io. E ora lasciami andare. Vieni con noi sulla spiaggia, se vuoi. Non pongo freni”

Per un attimo, Ambra pensò che forse stava esagerando, che, forse, farlo ingelosire  era una punizione troppo dura. Ma poi si convinse che un po’ di sana gelosia non gli avrebbe fatto male e forse le avrebbe chiesto scusa per il suo comportamento.

Tolsero le scarpe che lasciarono al margine della spiaggia e scesero. Scese anche Gianni un po’ controvoglia. Arrivarono fin sulla riva e bagnarono i piedi. Erano allegri e scherzavano fra di loro. Gianni partecipava poco, ma li teneva d’occhio. Ormai la ripicca di Ambra era andata molto oltre le sue previsioni, ma si convinse che doveva aspettare ancora.

“Che nottata meravigliosa, ragazzi! Questa luna è fantastica, l’aria è calda e secca, il mare è una tavola…… cosa c’è di meglio?” disse Ambra ai due ragazzi.

“È vero e mi sembra di sentire il profumo del rosmarino e della rosa canina …..” rispose uno dei due ragazzi.

“Facciamo una pazzia, ragazzi, facciamo il bagno in notturna …….!”

La proposta fu accolta con entusiasmo dai ragazzi, ma Gianni obiettò: “Senza costume ?”

“Ma sì! Lo faremo nudi, chi vuoi che ci veda?” rispose Ambra

Cominciarono a spogliarsi. Gianni rimase fermo a guardare quei tre che si spogliavano perché non sapeva nuotare ed aveva paura di fare il bagno di notte. Vide soprattutto sua moglie mentre si spogliava, notò, come se fosse la prima volta, il suo fisico sensuale, quel petto pieno e sodo che l’aveva fatto innamorare e fu preso dall’angoscia e dalla paura di perdere quel prezioso dono. È bella, cazzo, è veramente bella.

“Ambra, stai per andare a fare il bagno completamente nuda con due perfetti sconosciuti, lasciando tuo marito qui sulla spiaggia. Non credi che stia un po’ esagerando?”

“No, non credo. Forse tu hai esagerato! Hai fatto il cretino con quella sciacquetta della gelateria e non mi hai nemmeno chiesto scusa. Hai portato a letto la cassiera grassa della coop e non ti è nemmeno venuto in mente di chiedermi perdono. No, io non sto esagerando”

“Scusami, ma tu sei nuda, loro sono nudi, potrebbe succedere qualsiasi cosa.”

“Un po’ tardi per chiedere scusa. Tu sei solo geloso e non vuoi lasciare a me la libertà che per te hai già preso. No, non preoccuparti: non succederà nulla, oppure può succedere che li scopo entrambi. Non ci sono altre cose che possono succedere.”

“Ma Ambra, ragiona, due perfetti sconosciuti……”

“Avresti preferito qualcuno che conosciamo già? Io preferisco questi due baldi giovani, almeno non rischio defaillance. Ora basta! Mettiti seduto e goditi lo spettacolo. Non ho ancora deciso se mi concederò loro. Dipende da quanto saranno bravi a tentarmi e, soprattutto, dipende da te: più protesti e più aumentano le probabilità che ci sarà uno spettacolo. Se sei di stomaco debole, puoi tornartene in albergo o da quella sciacquetta della gelateria. Ricordati, però, che più insisterai perché io mi limiti e più andrò avanti e potrei vedere questi ragazzi anche nei prossimi giorni.” rispose Ambra e, nuda e affascinante, si avviò verso i due ragazzi.

Uno dei due, rivolto a Ambra, chiese: “Gianni non viene con noi?”

“No, non viene. A Gianni piace guardare quando io mi diverto”

I tre si presero per mano ed insieme corsero verso l’acqua alta, tra schizzi e grida di gioia.

Quando l’acqua diventò troppo alta per poter correre ancora, caddero tutti in acqua e presero a saltare, rincorrersi, far capriole e tuffarsi. Ambra sentì le mani dei ragazzi che correvano dappertutto, la toccavano e la palpavano, mentre lei più di una volta si aggrappò al cazzo di uno dei due, rendendosi conto che erano ormai pronti per scopare e questo le procurò numerosi brividi e le fecero crescere la voglia di sesso. Non c’era da meravigliarsi. La sua avvenenza, messa in luce dalla luna, in un ambiente così eccitante, la metteva al riparo da possibili rifiuti. Ambra si fece audace e afferrando il cazzo di uno dei due, disse: ”Cavolo, questo è acciaio! Mio marito ed io siamo una coppia aperta e ci concediamo delle libertà. Gianni è felice di sapere che io ho trovato un buon partner. Andiamo più vicini a lui e facciamolo felice“

“Vuoi dire che non è geloso? Che sopporterebbe vedere sua moglie con un altro uomo?”

“Bè, un po’ geloso lo è, ma capisce che io ho le mie esigenze che lui non può soddisfare al cento per cento. E poi ……. in serate come questa è importante trovare le persone giuste e quando si trovano …… non ci si può mica fermare a metà strada”

Tornarono a riva. I tre ragazzi erano pienamente illuminati dalla luna e Gianni era a pochi metri da loro, come in prima fila a teatro. Ambra si avvicinò ad uno dei due e gli butto le braccia al collo e cercò le sue labbra. L’altro si avvicinò a lei alle spalle. Le appoggiò il cazzo sul culo, l’abbracciò e le prese i bei seni tra le mani, per strizzarle e schiacciarle. Ambra trasalì, si fece toccare ovunque senza particolari impedimenti, traendone un piacere nuovo e antico, fu percorsa da un nuovo brivido lungo la spina dorsale, e le si fermò il respiro. Ora era sicura che li avrebbe scopati entrambi.

Ambra baciava con passione e con la mano afferrò il cazzo di quello che gli stava davanti e cominciò a segarlo. Lui godeva e godeva anche Ambra a quel contatto carnale. L’altro, dietro di lei, la stringeva le strizzava i capezzoli, le mordeva e le baciava il collo e le spalle. A Gianni sembrava di vedere un film, tanto erano perfetti e sincronizzati i movimenti dei tre. Poi, il ragazzo che stava dietro, si scostò da Ambra e con le mani le divaricò le gambe. Ambra, obbediente, allargò le gambe. Il ragazzo sputò sulla mano e portò la mano tra le chiappe di Ambra per lubrificare il suo sfintere.

Gianni era a pochi metri e osservava la scena che si stava svolgendo sotto i suoi occhi. Si sentì morire. Sentiva una fitta allo stomaco effetto della gelosia, ma sapeva che se avesse ancora cercato di fermare Ambra, sarebbe stato peggio. Ambra si piegò leggermente per offrire meglio il culo al ragazzo. Il cazzo trovò il buco lubrificato e pronto a riceverlo. Ci vollero pochi secondi e scivolò dentro, strappando a Ambra un piccolo grido. Il ragazzo si fermò. Poi, inesorabilmente, cominciò il dolce su e giù al quale Ambra rispose in perfetta sincronia.

Ambra baciava il ragazzo davanti a lei mentre quello alle sue spalle le stava facendo il culo. Gemeva un po’ per il bruciore ed un po’ di piacere. Il ragazzo la teneva per i fianchi mentre con forza spingeva nelle viscere di Ambra. L’altro, portò due dita sulla figa si Ambra e la trovò immersa nei suoi umori. Infilò le dita dentro e quando furono intrise di umori, portò le dita alla bocca di Ambra che le succhiò e le ripulì. Così, Ambra si staccò dalla bocca del primo ragazzo e si piegò per spompinarlo. Il ragazzo che l’inculava continuò a spingere come una furia e Ambra gemeva al ritmo delle sue spinte.

Gianni poteva ammirare la sua bella moglie che si prodigava in un sesso selvaggio. Improvvisamente Ambra si alzò e, senza far uscire il cazzo che le spingeva nel retto, disse al ragazzo che aveva di fronte: “Hai un cazzo meraviglioso. Ora è pronto e voglio anche il tuo dentro. Vi voglio insieme, voglio che mi sfondate il culo e la figa insieme”

Il ragazzo dietro si fermò e senza perder tempo si distese sulla sabbia. Ambra, volgendogli le spalle, sedette su di lui, mentre lui curava l’ingresso del cazzo nel culo. Ambra si distese su di lui. L’altro ragazzo trovò posto, in ginocchio, tra le gambe divaricate dei due.

Ambra gli disse: “Succhiamela, ce l’ho dolcissima! Almeno così dicono e dopo sarà più piacevole entrare dentro” Lui le leccò la passerina in un lago di umori mentre l’altro aveva ricominciato a pompare.

Fu ancora Ambra a parlare rivolta al ragazzo di fronte: “Sapete quanti uomini ci vogliono per soddisfare una donna? Almeno due! Il tuo lo voglio nella figa. Vieni ” Gianni cominciò a piangere sommessamente e  non potè nascondere qualche singhiozzo di pianto.

Il ragazzo puntò il cazzo sulla figa e scivolò dentro come fosse sull’olio tra i gemiti e gli aneliti di Ambra. Il ragazzo cominciò a muoversi prima lentamente, poi sempre più veloce, in sincronia con l’amico, sempre più veloce. Ansimavano i due ragazzi, per o sforzo e per il piacere, ansimavano e si eccitavano mutuamente. Tra loro due, penetrata e posseduta da due giovani stalloni, Ambra non si stancava di incitarli, con il respiro rotto dal piacere e dalla emozione.

Gianni scoprì che quello spettacolo lo stava  eccitando, estrasse il cazzo e cominciò lentamente a segarsi.  I tre si muovevano con sempre maggior foga e gemevano e ansimavano  e gridavano il loro piacere estremo fin a che un terremoto scosse profondamente Ambra con un orgasmo anale che si propagò a tutto il corpo. Ma i ragazzi non si fermarono e continuarono a spingere con sempre maggior foga. Ambra, tra di loro, fu sconvolta da una serie di orgasmi multipli.

Il ragazzo che le stava scopando il culo, con un urlo sovraumano, le riversò  una copiosa quantità di sperma calda nel retto. Immediatamente dopo, l’altro uscì dalla figa e innaffiò il petto, il ventre e il bel viso di Ambra regalandole un supplemento di piacere. Ambra fu scossa da forti brividi di piacere, mentre stringeva tra le braccia la testa di uno dei due.

I ragazzi esausti si abbandonarono sulla spiaggia completamente distrutti, cercando di recuperare le forze. Ne approfittò Gianni che portò a compimento la sua sega con una sborrata gigantesca che non sfuggì allo sguardo, stanco ma attento, di Ambra.

Non appena ebbero recuperato le energie, i tre amanti tornarono in acqua per sciacquarsi e pulirsi dal sudore della fatica, ma quando tornarono a riva, Gianni non c’era più e Ambra lo rivide solo il giorno dopo quando, affamata, tornò in albergo per pranzo.

 

Come spesso accade dopo aver bevuto un po’, Dario si svegliò con un gran dolore di testa. Per evitare che il mal di testa aumentasse, non si mosse, ma si limitò ad alzare le palpebre. Potete, quindi, immaginare il suo stupore, quando si rese conto che era all’aria aperta, sotto un magnifico pino mediterraneo. Pian piano cominciò a riconoscere i luoghi e dopo solo una manciata di secondi capì e ricollegò tutto. Si era svegliato sulla poltrona di vimini nel giardino di casa sua, laddove si era addormentato nel corso delle festa che lui e sua moglie Sofia davano ogni anno per festeggiare il suo compleanno. Dario aveva esagerato con l’alcool e mischiato vari alcolici che lo avevano fiaccato e procurato il mal di testa che l’affliggeva. Senza muovere un solo muscolo girò lo sguardo intorno. Non c’era più nessuno, la festa era finita e gli invitati erano andati via.

Passato lo stupore inizale, Dario si accorse che sul divano di fronte a lui, a non più di tre metri, erano seduti Ottavio, il suo amico sin dai tempi delle elementari, e Sofia, sua moglie. Il divano era abbastanza grande da ospitare tre persone, avrebbero potuto star larghi, ma loro attaccati l’uno all’altra e occupavano solo lo spazio più a destra. I due parlavano con un fil di voce. La qualcosa destò in Dario qualche sospetto e per questo decise di non muoversi almeno fino a quando non avesse capito cosa stava succedendo tra i due.

Dario era piuttosto geloso perché Sofia era il tipo di donna che suscitava l’interesse di tutti gli uomini che l’incrociavano, grazie al corpo slanciato e non privo di curve ….. pericolose ed una grazia innata nel portamento e nell’incedere. Gli uomini, generalmente, si limitavano ad osservarla, ma coloro che si erano trovati a colloquio, erano poi rimasti affascinati da quegli occhioni scuri da cerbiatto braccato e bisognoso di aiuto. E questo era esattamente il caso che Dario stava osservando: lei preda inerme, lui cacciatore impavido. Sembravano molto intimi e Dario si chiedeva cosa si stessero dicendo. Nonostante il mal di testa, provò un forte impulso ad andar lì a fare un gran casino. Si accorse, però, che mancava il “reato” e Sofia gli avrebbe fatto fare certamente una figura da idiota di fronte all’amico. Decise, così di continuare a far finta di dormire per non insospettirli e intervenire al momento opportuno.

Improvvisamente Dario vide Ottavio portare la mano all’altezza del seno di Sofia, senza riuscire a capire se la mano fosse effettivamente a contatto del petto. Sofia e Ottavio, entrambi, vestivano con abiti scuri e, nella penombra del giardino, non era facilissimo capire esattamente cosa stesse succedendo. Era evidente, invece, che qualcosa stava per succedere tra i due, ma irrompere in quel momento avrebbe impedito che succedesse qualcosa di grave, ma non avrebbe generato in Sofia il senso di colpa dell’essere stata scoperta. Decise che non era ancora il momento di irrompere sulla scena. I due continuavano a parlare a voce molto bassa e, probabilmente, Ottavio stava giocando con le tette di Sofia. Lei, di tanto in tanto, si illuminava di un sorriso intenso, un sorriso quasi da donna innamorata, come li aveva dispensati a lui medesimo durante la loro lunga fase del corteggiamento.

Sembrava che i due non si spingessero molto più in là e, pian piano, Dario si tranquillizzò un po’. Stravaccato su quella poltrona, proprio di fronte ai due fedifraghi, gli sembrava di assistere ad un film, un film un po’ particolare perché gli attori erano sua moglie ed il suo amico. Come succede al cinema, si accorse di parteggiare, in quella sorta di contesa tra uomo e donna, desiderando in cuor suo che quell’amore così delicato potesse, infine, sbocciare. E fu per questa ragione che, quando si accorse che Ottavio aveva infilato la mano nella camicetta semiaperta di Sofia, si sentì come quando la squadra del cuore segna un gol. Poté distinguere chiaramente il sospiro ed il gemito di piacere sfuggito dalla bocca di Sofia, interpretandolo come il disappunto di chi subisce un gol. Cominciava ad essere il momento di intervenire con la voce grossa dell’offeso e pretendere immediata soddisfazione. Ma, ancora una volta, decise di attendere. “si spingeranno più avanti – disse a se stesso – e sarà ancora più giustificata la mia collera!”

Dopo il gemito di piacere, Sofia portò la mano sul collo di lui per accarezzarlo e, avvicinandolo, prese a baciargli la fronte. Dario era incantato! Conosceva bene quel modo dolcissimo di Sofia di trasmettere, attraverso le labbra, una sorta di fremito all’amato. Le cose cambiarono quando Ottavio, senza tanti sforzi, tirò fuori dalla camicetta il seno sinistro di Sofia. Il biancore del seno di Sofia risaltò come accade alla luna nelle notti senza stelle. Fu un bagliore, un fulmine e la vista del seno fu coperta dalla testa di Ottavio che, la stessa Sofia, aveva tirato a se. Ora, a Dario, parve di vedere il balenare della lingua di Ottavio che titillava il capezzolo nudo. Per Dario, fu una visione forte e intensa. Egli sapeva quanto fossero sensibili i capezzoli di Sofia. Sapeva che titillare i suoi capezzoli avrebbe provocato una eccitazione incontrollabile, sapeva che era l’anticamera della passione più estrema. Sopratutto, Dario si accorse di essere preda egli stesso di un desiderio violento e di una altrettanto violenta erezione. Evitando movimenti bruschi, per non allarmare i due amanti, portò la mano sul pacco e cominciò ad accarezzarlo.

Era ormai chiaro: i due stavano limonando. Era ora di intervenire! Proprio in quel momento, però, accadde qualcosa che sconvolse le già precarie certezze di Dario. Due fatti che gli gelarono la schiena e lo inchiodarono sulla poltrona di vimini. Ottavio infilò la mano libera sotto la gonna di Sofia che immediatamente divaricò le gambe, dimostrando qualcosa in più di una formale accettazione delle attenzioni di Ottavio, ma un vero e proprio invito a proseguire su quel cammino e farsi più audace. Tra i baci, i toccamenti ed i mugolii anche Sofia allungò il braccio e con la mano aprì i pantaloni e tirò fuori il randello di Ottavio in piena erezione. La scena che si presentava a Dario era questa. Ottavio leccava il capezzolo del seno sinistro di Sofia, mentre con la mano destra ravanava sotto la gonna e, presumibilmente, dentro le mutandine di sua moglie. Nello stesso tempo la fedifraga, baciava la testa di Ottavio, mentre con la mano destra brandiva e segava amorevolmente il bastone del maiale.

Dario sentì un brivido percorrergli tutta la schiena. Stava assistendo ad una scena dall’elevato contenuto erotico, mentre si schiacciava e strofinava un cazzo di dimensioni gigantesche che non chiedeva nient’altro che di sborrare abbondantemente. A quel punto, era chiaro, non poteva alzarsi e cazziare inferocito moglie e amico, perché ai due non sarebbe sfuggita la gigantesca erezione. Dunque doveva prima sfogare la sua eccitazione. Stava già quasi per infilare la mano sotto i pantaloni, quando la scena cambiò di nuovo. Anzi la scena si arricchì di un altro soggetto, di Guglielmo sbucato chissà da dove che andò a sedersi proprio in quel posto libero sul divano, di fianco a Sofia che, per nulla sorpresa, per nulla timorosa, volse la testa verso di lui e, senza tanti complimenti, infilò la mano sinistra libera nei suoi pantaloni estraendone il randello.

Ora la scena vedeva i tre amanti, seduti sul divano di vimini nella semioscurità. Sofia, al centro segava contemporaneamente Ottavio e Guglielmo e mentre il primo succhiava e titillava il suo seno sinistro, ella baciava avidamente il nuovo venuto. A Dario si interruppe il respiro in gola ed il cuore cominciò a battere forte. Ricordava molto bene i tempi, da fidanzati, che incontrava Sofia al parco e le splendide seghe che ella, dopo aver messo la giacca a coprire la scena, gli regalava nei pomeriggi passati invece di studiare. Mentre si segava strofinando il durissimo cazzo sotto i pantaloni, Dario aspettava con ansia la prossima mossa che non tardò ad arrivare. Fu proprio Ottavio, il cui desiderio era forse arrivato alle stelle, a prendere Sofia delicatamente per il collo e portare la testa verso il suo cazzo che svettava come un obelisco. Sofia non fece resistenza e si piegò verso l’inguine di Ottavio e con precisione millimetrica riempì la bocca per soddisfare la richiesta. Sofia era una vera maestra del pompino e Dario lo sapeva bene. Ricordava i pomeriggi a casa di lei, ai tempi del liceo, quando, invece di studiare, vittime degli ormoni impazziti finivano sempre a sfidare la sorte e, tra una fetta di torta e un gelato, lei si infilava sotto il tavolo da studio e senza nessuna fretta lo scappellava e lo infilava in bocca, lo leccava circolarmente, dal basso verso la punta, per poi racchiuderlo in bocca. Sofia sapeva come portarlo in paradiso per poi succhiargli anche l’anima insieme al suo sperma giovanile.

Ricordi indelebili, ricordi che da soli valevano una erezione e che, in quel caso, a Dario non era permessa dai pantaloni. Nello stesso tempo, Guglielmo approfittò della nuova posizione di Sofia, e sollevando la gonna, le scoprì le belle cosce affusolate. Le accarezzò languidamente, scostò la mutandine, si fece strada per raggiungere la passerina di Sofia e cominciò a sditalinarla piano. Poi, quando fu soddisfatto della preparazione, mentre Sofia leccava e succhiava la cappella di Ottavio, infilò veloce l’uccello marmoreo nella passerina morbida e profumata di umori.

Sofia ne fu sorpresa o forse fu sorpresa dalle dimensioni o dalla rigidità di Guglielmo, il respiro si bloccò ed un profondo sospiro, che non sfuggì a Dario, accompagnò l’ingresso di Guglielmo. Guglielmo cominciò a spingere e a fottere sua moglie come una furia, strappandole gemiti inequivocabili di piacere intenso. Gemiti che non interruppero il lavoretto che lei stava praticando a Ottavio che, incontentabile, di tanto in tanto spingeva la testa di Sofia perché il cazzo le entrasse sempre più in profondità. A Dario tornarono in mente i racconti di Ottavio e delle sue scopate e di quanto amasse penetrare le sue amanti giù fino all’esofago per procurarsi il massimo piacere. Di tanto in tanto, infatti, Ottavio spingeva verso il basso la testa di Sofia che perdeva il respiro, tossiva e cercava di liberare la bocca e bloccare i naturali conati di vomito fino a che Ottavio lasciava la presa e lei tirava indietro la testa lasciando cadere fiumi di bava e muco per poi buttarsi immediatamente sulla preda e succhiarlo con maggior foga.

Dario, sollecitato da quella scena eroticissima, per nulla attenuata, anzi amplificata dalla presenza di sua moglie protagonista, approfittò della confusione, aprì i pantaloni e sfilò il cazzo che ormai stava per scoppiare e, dimenticando di esser diventato cornuto, cominciò a segarsi con furore.

Due minuti? Dieci minuti? Quindici minuti? Dario non li contò, ma, improvvisamente Ottavio riempì di sperma caldo e profumato la bocca e l’esofago di Sofia che ne fu travolta da fremiti inguinali ed un tremore che le percorse tutto il corpo. Sofia, dal piacere, strinse i muscoli del ventre e dei genitali provocando l’eiaculazione immediata di Guglielmo. Questi si lasciò cadere sul corpo di Sofia e, per evitare di cadere, si aggrappò alle sue tette grandi e sode che, con quest’ultima sollecitazione, si lasciò andare anche lei in profluvio di umori e fu scossa da un orgasmo gigantesco. Lo sperma di Guglielmo, bianco come il latte, cominciò a colare lungo le gambe di Sofia e questa immagine di fuoco favorì l’eiaculazione di Dario.

I tre amanti rimasero alcuni minuti immobili per recuperare le forze. Dario ne approfittò per riporre il randello ancora gocciolante nei pantaloni ed assumere la posizione iniziale di dormiente. Poco dopo, i tre si ricomposero anche loro e Sofia accompagnò gli amici all’uscita. Rimasta sola, tornò dal marito e baciandolo teneramente gli disse “È stata una festa magnifica, amore. Anche gli ultimi ospiti sono andati via. Sono a pezzi, vieni. Andiamo a dormire. Metteremo tutto a posto domattina.“

Marisa si alzò da tavola per sparecchiare. La cena tra i tre amici era finita e si volevano spostare sul divano. Tommaso, dongiovanni impenitente, la guardò, le guardò le gambe, lunghe e affusolate, che s’infilavano in una gonna leggera che ondeggiava con l’incedere della ragazza. Tommaso era ammaliato dalla danza della gonna di Marisa che non riusciva a nasconderle il sedere, tondo e pieno, che sembrava voler esplodere. Gianni, marito di Marisa, rivolto verso Tommaso, gli allungò un bicchiere con del cognac, dicendo: “Assaggia questo cognac, Tommaso. È di prima qualità! – poi, avviatosi verso la zona del divano, continuò – accomodiamoci qui e scoliamoci la bottiglia”

“Sai che non sono un gran bevitore – rispose Tommaso – ti propongo, invece, un po’ di erba. Sono appena tornato dal Marocco e ne ho portato un po’ con me. Anche la mia è di prima qualità! Ho preparato una decina di cannoni …… come ai bei vecchi tempi.”.

Tommaso, Gianni e Marisa erano amici dai tempi del liceo e avevano condiviso molta strada.  Gianni e Marisa si erano messi insieme già da quell’epoca e ora, da qualche anno erano sposati. Gianni aveva conosciuto solo Marisa e lei aveva conosciuto solo lui. Una di quelle storie tutta miele e pan di spagna. Si completavano a vicenda e si sostenevano a vicenda. In sette anni di fidanzamento e tre di matrimonio, avevano superato insieme tutti i problemi dell’adolescenza.  Tommaso, invece, era più irrequieto, aveva avuto molte ragazze, tutte di primo piano e tutte lasciate per un nuovo grande amore. Si accomodarono in sala, dove li aspettava un divano bello comodo e due poltrone altrettanto comode. Tra il divano e le poltrone, campeggiava un bel tappeto moderno color sabbia, con disegni in tinta. Il balcone dell’appartamento all’ottavo piano era spalancato sull’aria fresca delle notti estive.

“Non vorrai mica fumare un cannone sul divano! Amico mio, come ai vecchi tempi! Sediamoci sul tappeto, uno di fronte all’altro – disse Tommaso – e facciamoci sto cannone…..”. I due si sistemarono sul tappeto, con le spalle appoggiate al divano e alla poltrona, e, soddisfatti, accesero il primo cannone.

Le volute di fumo salivano al soffitto, mentre i due si stavano rilassando. Parlavano poco e nello scambiarsi il cannone si sorridevano felici come solo due vecchi amici riescono. Arrivò Marisa. Si era tolta le scarpe per stare più comoda, spense la luce e si sistemò anche lei sul tappeto, appoggiata al divano, di fianco al marito e prese tra le dita il cannone. Lo portò alle labbra e aspirò un deciso tocco di fumo, lasciando che scendesse giù fino allo stomaco. Un po’ di fumo le andò in un occhio, ma non rinunciò al secondo tiro.

“Ahhhh, buonissimo. Ci voleva proprio!”

I due uomini le sorrisero. Tommaso prese dalle mani di Marisa il cannone per aspirare anche lui.  Finì il primo cannone, bevvero un sorso di cognac e ne accesero un altro. Parlavano poco, per lo più a gesti con ammiccamenti, il marocco stava facendo il suo lavoro e i tre si stavano abbandonando del tutto. Marisa si sentì illanguidire come non le capitava da tempo e si stiracchiava e sorrideva al marito. Tommaso era silenzioso ma piacevolmente avvolto dal fumo e dalla debole brezza che proveniva dal balcone spalancato. Gianni non aveva perso la sua loquacità e più inspirava e più diveniva gioviale e parlava, parlava, parlava del più e del meno, seguendo un filo logico che di logico non aveva più nulla. Quasi sena senso. Tommaso gli sorrideva, dandogli l’impressione di seguirlo nei suoi ragionamenti, ma guardava i piedi nudi di Marisa, piedi dalla pianta bianca e poi, abbronzati, che si raccordavano a quelle gambe, gambe stupende dello stesso colore del miele.

La poca luce, la brezza e il fumo stava avvolgendo i tre amici in una melassa dolcissima.

Marisa si accorse dello sguardo di Tommaso sui suoi piedi e, quasi per scusarsi di essersi tolta le scarpe, disse: “Che fatica, tutto il giorno in piedi, …….. con i tacchi. Ho i piedi a pezzi. Finalmente un po’ di riposo.”

“Vuoi che te li massaggi ? Sono bravissimo” disse Tommaso mentre le afferrò un piede. E senza perder tempo cominciò a massaggiarle un piede nella più completa indifferenza di Gianni.

“No, grazie Tommaso, lascia stare, sto già meglio…..” 

Tommaso non si lasciò distogliere e continuò con il suo massaggio, con grande soddisfazione di Marisa che, per nessuna ragione al mondo, si sarebbe fatta massaggiare un piede da chiunque, se non dopo aver abbondantemente lavato i piedi. Tommaso, però, era un’altra cosa.

Gianni continuava a parlare solitario. Tommaso finì con il primo piede e passò al secondo. Marisa se la stava godendo e si lasciò andare. Accesero un altro cannone, questa volta più carico e tutti apprezzarono. Gianni continuava a parlare e Marisa si accomodò meglio per godere di quel massaggio. Tommaso tornò al primo piede e poi di nuovo al secondo e, piano piano, cominciò a massaggiare le caviglie.

Marisa trovò la cosa un po’ strana, ma poiché le faceva molto piacere, lo lasciò fare. L’atmosfera era sempre più languida e ora Marisa teneva le gambe piegate con la pianta dei piedi sul tappeto e le ginocchia in su. Tommaso ne approfittò ancora per salire lungo i polpacci. Fumavano e bevevano piccoli sorsi di cognac ma, quando Tommaso arrivò a massaggiare le cosce, Marisa, facendo violenza a se stessa, decise che era il momento di fermare l’avanzata dell’amico perché stava per entrare in zona off limits, riservata al suo maritino.

Diede una leggera gomitata a Gianni per attirare la sua attenzione e disse ad alta voce: “Grazie Tommaso, basta così …. ora sono a posto”. Disse questo senza muovere nemmeno un muscolo perché quel massaggio le piaceva ed era solo la paura di esser giudicata scorretta da suo marito che l’aveva fatta parlare.

Gianni che aveva fumato e bevuto più degli altri, piuttosto infastidito dall’interruzione del suo monologo, rispose seccato: “Ma smettila, Marisa! Sei troppo pudica. Tommaso è un amico. In fondo lo sta facendo per il tuo benessere.”.

Tommaso, che aveva rallentato il massaggio per paura di quel che Gianni potesse dire, riprese il massaggio, sollevato dalle parole dell’amico. Marisa, se mai avesse avuto voglia di rinunciare al massaggio, fu contenta della risposta di Gianni e chiuse gli occhi per meglio assaporare quelle carezze. Nella loro lunga relazione di coppia, più volte per aumentare l’eccitazione, mentre facevano l’amore, Gianni fantasticava sulla presenza di tizio o di sempronio nel loro rapporto, di penetrazioni multiple, di organi sessuali giganteschi. E qualche volta Gianni le aveva proposto di invitare un terzo nel loro letto ma Marisa si era sempre opposta, quasi ferita dalla proposta. Solo una volta, in campeggio al mare, ci andarono molto vicino quando invitarono nella loro tenda un ragazzo austriaco, biondo e dal petto villoso. Avevano bevuto insieme qualche birra e Gianni aveva già cominciato timidi approcci per far l’amore tutti insieme. Anche quella volta, fu Marisa a bloccare tutto, quando le mani dell’austriaco erano troppo vicine al sancta sanctorum. Di quella rinuncia, Marisa si era pentita più volte, pur senza farne alcun accenno a Gianni. Per questa ragione, quella sera, invece, Marisa immaginò che Tommaso stava osando con il permesso di Gianni e decise di lasciarsi andare.

Tommaso, da parte sua, era sempre stato attratto da Marisa ed era a conoscenza dei sogni erotici di Gianni, ma non aveva mai avuto nessun approccio per la paura di inimicarsi Marisa. Quella sera, però, gli sembrava che c’erano le condizioni giuste perché nessuno se ne avesse a male e la risposta di Gianni le suonò come una conferma ai suoi desideri.

Tommaso, quindi, continuò a massaggiare le zone erogene di Marisa, l’interno coscia e poi sempre più vicino al centro del piacere. Marisa, da parte sua, si mise più comoda, appoggiando la testa all’indietro sul divano. 

Tommaso si mise a lavorare di buona lena e aprì dolcemente le gambe di Marisa per guadagnare l’accesso alla passerina e quando Tommaso si trovò a lambirla, la trovò bagnatissima. Riuscì a dominare la sua foga e, approfittando di Gianni che si era alzato per prendere la bottiglia di cognac, afferrò le mutandine di Marisa per sfilargliele. Temeva di dover forzare un po’ la situazione, ma con sua grande meraviglia, Marisa collaborò, alzò il sedere puntando i talloni per terra e liberò le mutande che scivolarono come sul ghiaccio.

Gianni tornò e offrì un bicchiere di cognac a Tommaso. Poi accese un altro cannone e si rimise a sedere mentre Tommaso con una mano bevve il cognac e con l’altra titillava il clitoride di Marisa. Tommaso la masturbava con perizia e lei sentiva il piacere esploderle tra le gambe e irradiarsi in tutto il corpo. Con gli occhi chiusi e le gambe larghe lasciava che Tommaso le regalasse un momento di pieno godimento. Sentiva fremiti di piacere che le attraversavano tutto il corpo, mentre le gambe cominciarono a tremare. Marisa faceva sempre più fatica a strozzare i gemiti di piacere fino a quando un brivido le percorse tutta la schiena, le fece vibrare il petto e un gemito di piacere violento le uscì dalla bocca interrompendole il respiro.

Fu solo allora che Gianni si accorse di cosa stava succedendo e proruppe in un’esclamazione di terrore: “Che cosa sta succedendo? Marisa, ti senti bene? ……. – poi accortosi della mano di Tommaso infilata sotto la gonna di Marisa che continuava a lavorare la passera di sua moglie, chiese: – ….. Tommaso cosa fai con le mani tra le gambe di Marisa?”.

Marisa, presa dall’intenso orgasmo, non rispose e Tommaso, pescato con le dita nella marmellata, tacque lui. Seguì qualche attimo di silenzio, durante il quale lo sgomento di Gianni divenne tombale.

Poi, Marisa, recuperato un po’ di sangue freddo, rispose balbettando a suo marito: “Oh, Gianni ….. mi sta accarezzando le gambe ……  non puoi crederci, quello che è stato il tuo sogno di fare l’amore a tre, oggi mi vede d’accordo……”.

E Tommaso, di rincalzo: “Gianni, la sto aiutando a tirar fuori un malloppo che aveva qui …… sul basso ventre e la bloccava ……”.

Gianni rimase basito. Gli sembrava che una lastra di ghiaccio gli fosse crollata addosso. Era congelato. Non sapeva cosa fare e ne approfittò Tommaso che, come un fulmine, tirò fuori il suo arnese che stava per esplodere e, senza nemmeno chiedere permesso, si mise tra le gambe di Marisa. Sotto lo sguardo esterrefatto di Gianni, Marisa allargò ancora le gambe, sollevò la gonna e accolse Tommaso ….. tra le sue gambe.

Tommaso entrò lentamente nelle viscere di Marisa e, grazie all’abbondante secrezione di umori di Marisa, scivolò fino al fondo della corsa, strappandole un profondo soddisfatto gemito di godimento. Immediatamente, Tommaso cominciò a pompare come un ossesso mentre Marisa, che sentiva montare un piacere dalle sue viscere, col timore che Gianni potesse sentirsi escluso e incazzarsi, allungò il braccio sul pacco ancora al riparo dai vestiti e gli afferrò il membro con decisione. Con suo grande stupore si accorse che era in tiro.

“Ahhh, Giannino il mio maialino è tutto eccitato. Non te l’ho mai sentito così duro!  Allora è vero che vedermi scopata da un altro ti eccita. Bravo! Bravo Gianni, non ti ho mai ascoltato prima, ma stasera riparerò.”.

Gianni strabuzzò gli occhi. Ancora non riusciva a profferire una parola. Nel frattempo Tommaso spingeva come se fosse alla carica, in una battuta di caccia alla volpe. E galoppava e spingeva con dei colpi formidabili nella passera di Marisa che non si limitava nella furia a gridare tutto il suo piacere. In pochi minuti, Marisa fu travolta da un primo orgasmo, un terremoto di fremiti che terminavano tutti nella testa di Marisa che risuonava. A quel punto Tommaso raccolse le gambe di Marisa, le sollevò, appoggiandole sulle sue spalle, e riprese a fottere. Al primo orgasmo ne seguirono altri, sempre più ravvicinati, sempre più intensi, perché Tommaso era veramente una furia e spingeva come un ossesso.

Stanco per la grande galoppata, Tommaso si fermò e si stese supino sul tappeto. Il suo cazzo svettava come un obelisco nel deserto: “Vieni Marisa, accomodati ….. voglio sfondarti la passera”.

Marisa non si fece certo pregare. Si alzò in piedi, sollevò la gonna e si sedette su Tommaso, badando che il suo cazzo entrasse dentro di lei. E, pensando a suo marito, tra i gemiti di desiderio disse: “Gianni, amor mio, se sei eccitato, masturbati pure …. “ e cominciò la grande cavalcata. Gianni guardava la scena e gli sembrava di vedere non sua moglie, non il suo amico, ma la scena di un film porno. Vedeva sua moglie e non la riconosceva, tanto era stravolto dal piacere e dal desiderio il volto. La sentiva incitare il suo amante come non l’aveva mai sentita parlare. Sembrava un uomo sperduto nel deserto che giunge a un’oasi dopo giorni di cammino. Un’altra donna. D’altra parte Marisa e Tommaso, ormai non si occupavano più di lui e quando raggiunse l’orgasmo ed eiaculò silenziosamente sul tappeto. 

Marisa aveva perso il conto dei suoi orgasmi e finalmente arrivò il turno di Tommaso che chiese: “Posso ….. posso venirti dentro? ….. Posso riempirti di sperma caldo e profumato il ventre?”.

Marisa, allora, decise di chiudere in bellezza e, raccolte le sue forze, disse: “No, no. …. Tommaso, voglio che tu mi riempia la bocca”.

A Gianni sembrò che gli crollasse il mondo. A lui non era mai stato concesso di venirle in bocca. Tommaso, invece, generosamente si alzò e si avvicinò alla sua bocca e la riempì.

Più tardi, rimasti soli Gianni e Marisa, a letto, prima di spegnere la luce, Marisa disse a suo marito: “Sei stato meraviglioso stasera, amor mio. Che sciocca sono stata a non accogliere le tue richieste. Abbiamo perso tanti anni! È davvero stupendo scopare in tre. Ora recupereremo il tempo perduto. Potremmo invitare a cena Tommaso tutti i mercoledì e poi, dopo cena, ci lasciamo andare come stasera. Che ne dici?”

Gianni non rispose.

Stefania tirò fuori le chiavi dalla borsa e aprì la porta del sig. Borsetti figlio del Cavaliere. Il titolo di cavaliere non si eredita per linea diretta, ma in provincia le cose vanno in questo modo e il figlio del Cavalier Borsetti era chiamato e salutato con l’epiteto di Cavalier Borsetti anch’egli. Era quasi un anno che Stefania arrotondava il magro stipendio del marito con l’assistenza al figlio del cavaliere. Pur non essendo una badante nel senso classico del termine, aveva accettato la proposta della figlia del cavaliere per occuparsi di suo fratello, cucinare e aiutarlo a mangiare, dopo che questi aveva avuto un serio incidente con la sua moto. Stefania scendeva da casa sua con il pranzo pronto, lo aiutava a mangiare e, al termine, lavava le stoviglie utilizzate e, se il cavaliere si era sbrodolato, lo puliva e talvolta lo aiutava a cambiarsi. Il cavaliere andava per i trenta e, dopo l’incidente aveva perso l’uso pieno di mani e braccia, che forse non avrebbe più recuperato, e tendeva a lasciarsi andare. Quel giorno, però, era un giorno particolare. Il giorno prima, infatti, il Cavaliere aveva con un colpo del braccio versato tutto il minestrone su di se ed era stato necessario lavarlo e cambiarlo di abiti. Stefania l’aveva accompagnato in bagno e lo avrebbe lasciato lì, se non si fosse resa conto che il giovane rischiava di perdere l’equilibrio e cadere rovinosamente. Con molta pazienza lo aiutò a svestirsi fino a lasciarlo in mutande, poi, con una spugna inumidita, gli aveva lavato il petto e le gambe. Stava per rivestirlo, quando il Cavaliere le disse:

“Signora, mi è scappata la pipì. Era poca, ma ora sono tutto bagnato. La prego, mi aiuti a ripulirmi”

Stefania guardò il cavaliere. A lei non era proprio sembrato che si fosse pisciato addosso, ma, considerando la situazione, escluse che si trattasse di un trucco del maiale di turno e, con pazienza tirò giù le mutande del giovanotto. Si accorse immediatamente che la badante del mattino, non lo lavava da qualche tempo e decise di fare una buona azione. Lo aiutò a entrare nella vasca e, lasciandolo nudo e in piedi, cominciò a lavarlo energicamente. Lentamente, ma vistosamente, il cavaliere sfoderò un’erezione degna di maggior gloria, al punto che Stefania, un po’ in imbarazzo, gli disse:

“Cavaliere, lei però non faccia così! Mi aiuti, invece di mettermi in imbarazzo”.

“Mi scusi, signora Stefania, ma lei è una così bella donna che non riesco a trattenermi”.

Stefania era davvero una bella donna. Non bellissima ma attraente nonostante i quasi quarant’anni. Guardò il cavaliere negli occhi con l’aria di quella che non si può prendere in giro. Cionondimeno l’erezione era notevole e, tutto sommato, ne fu compiaciuta dell’effetto che riusciva a fare.

“Cavaliere, si calmi, potrebbe farle mare al cuore”.

“Ah, Stefania, cosa vuole, alla mia età, basta poco per eccitarsi. Me lo lavi pure, non le darà nessun fastidio”.

Stefania esitò un po’, poi con decisione afferrò il pisello in tiro con decisione cominciò a insaponare. Lo scappellò e lavò anche la cappella. Senza dubbio era un bell’uccello e Stefania lo insaponava con cura e anche un po’ eccitata per avere quel gioiellino tra le mani. Lo insaponava e poi lo sciacquava e poi lo insaponava ancora, badando bene di premere con il pollice sul glande. Se non fosse stata così timida, l’avrebbe preso volentieri tra le labbra. Il Cavaliere si lasciò sfuggire un gemito di piacere.

 “Cavaliere! La smetta, altrimenti la lascio qui nudo e insaponato”.

“Ascolti Stefania, questi sono regali del signore! Potrebbe essere l’ultima della mia vita. Sia gentile, non ascolti, si tappi le orecchie e mi lasci questi scampoli di vita”.

“Ma è matto? Per chi mi ha preso?”

“Lei è una pia donna, gentile e generosa. Rispettosa della malattia altrui. Facciamo così. Se lei mi porta a conclusione, le regalo cinquanta euro!”.

“La smetta. Non sono una prostituta” protestò Stefania.

“Sia comprensiva. Non lo saprà nessuno, rimarrà un segreto tra di noi. Io avrò avuto un rigurgito di vita e lei avrà aiutato un povero storpio.”.

Stefania, pensò che i cinquanta euro le facessero comodo e, senza dire nemmeno una parola, annuì con la testa e cominciò a segare il ragazzo. Lo segava lentamente, mentre lo guardava negli occhi e aggiustava il ritmo per adattarlo ai gemiti dell’uomo. E mentre segava il cavaliere, Stefania pensava che, in fondo, per essere miracolosamente vivo, aveva ancora un gran bel pezzo di uccello e, tutto sommato, non era certo affetto da eiaculazione precoce. Il contrario di suo marito che, in aggiunta ad un cazzetto minuscolo, eiaculava velocemente liberando la povera Stefania dalla noia di rapporti sessuali sempre uguali, più noiosi e dolorosi che piacevoli. Ora il giovane si era seduto sul bordo della vasca e, con gli occhi chiusi si godeva quel servizio manuale con gemiti lenti e profondi. Stefania, senza darlo a vedere, era anche lei molto eccitata da quella scena e le piaceva vedere che i gemiti aumentavano o diminuivano d’intensità all’aumentare del suo ritmo. Quando il cavaliere sborrò, uno schizzo finì sul collo di Stefania, mentre egli, appoggiando la testa sulla fronte della ragazza, le baciò le tempie. Fu un gesto semplice e quasi familiare, di dolcezza infinita. Quando il Cavaliere riaprì gli occhi, vide la ragazza che gli sorrideva soddisfatta. E vide anche, sul suo viso, poche gocce di sperma e, lentamente, con un dito le raccolse e le portò sulle labbra della donna.

Questo era successo il giorno prima e ora Stefania, entrando in casa del giovane, si chiedeva che situazione avrebbe ritrovato. Durante tutta la notte non aveva chiuso occhio nel ripensare alla potenza virile dell’uomo e alla figura barbina che faceva suo marito in confronto al cavaliere.

Stefania aprì la porta ed entrò in casa.

“Cavaliere! Cavaliere! Sono io. Oggi pasta e fagioli e una bella pera dolcissima.”

Entrò in cucina. Il cavaliere era lì, seduto sulla solita sedia con i braccioli.

“La aspettavo – disse alludendo all’avventura sessuale del giorno prima – ieri ho mancato di ringraziarla. E non voglio mancarle di rispetto, mi creda. Lei è stata superba, ha superato la naturale ritrosia, i problemi di falsa morale e ha aiutato un povero storpio in uno dei suoi aneliti di vita.”.

Stefania schivò l’affondo. “Ah, bene, oggi ha un po’ di fame! Ora non ci pensi più, cavaliere. Non sia così pessimista, con una po’ di riabilitazione ritroverà il vigore perduto. Ieri, ho solo fatto il mio dovere nell’accudirla nei suoi bisogni, per i quali lei mi paga. Non sono un’eroina.”

“Lei è troppo modesta e la ringrazio anche per questo.”

Stefania preferì non replicare. In fondo, era convinta che l’episodio avrebbe dovuto essere dimenticato da entrambi. Eppure anche lei ritornava con il pensiero a quanto era avvenuto il giorno prima. Non riusciva a dimenticare il vigore del cavaliere. Ripensò a quando, tornata in casa, aveva scoperto di essere ancora bagnata tra le gambe, segno di una profonda eccitazione non soddisfatta.

Quando Stefania si avvicinò per mettergli una bavetta protettiva, il cavaliere ne approfittò e le pose le mani sulle gambe. Gambe lunghe e affusolate, gambe per amare e, come tali, gambe seducenti.

“Suuuuu……. , cavaliere, non faccia così! Ora mangiamo una bella minestrina calda e vedrà che dopo starà molto meglio” lo esortò Stefania che, a sua volta, aveva sentito un piccolo e piacevole brivido percorrerle la schiena.

Il cavaliere, però, non aveva nessuna intenzione di rinunciare e con le mani s’infilò sotto la gonna di Stefania, risalendo su, fino al culo delicato e morbido.

“Suuu…….. andiamo …. Stia fermo con le mani! Cosa le è preso? Sembra un polipo…..” disse Stefania senza troppa convinzione e senza spostarsi di un millimetro perché troppo piacevole era sentire quella mano che s’intrufolava. Era presa dal piacere di quella mano e dal ricordo di quel cazzo duro e resistente e, allo stesso tempo, non voleva dare l’impressione di aver paura del cavaliere. Era bloccata dalla curiosità di sapere fin dove si sarebbe spinto il cavaliere. Si sporse in avanti per legare la bavetta al collo del cavaliere e smise di scacciare quelle mani che, da quel momento, si mossero libere sulle cosce e sul culo. Arrivarono perfino ad afferrare l’elastico delle mutandine e goffamente cominciare a tirarle giù.

“Stia buono – sussurrò Stefania nelle orecchie del vecchio – così si ecciterà ancora di più e sarà peggio!”

“No, questa volta, io voglio far eccitare lei – rispose veloce il giovane, mentre, senza alcuna resistenza, aveva tirato le mutande della donna già a metà coscia – si lasci andare! Potrò restituirle la sua cortesia di ieri……”.

Stefania era già eccitata, era eccitata dal giorno prima, era eccitata nella testa e ora l’eccitazione si stava trasferendo tra le gambe che le tremavano un po’. Si domandò quante donne si erano lasciate andare con il giovane e quante mutande quelle mani avevano tirato giù. “Dove vuole arrivare? – gli domandò. – Vuole eccitarsi, vuole masturbarmi, vuole provare a se stesso di essere un uomo?”

Il cavaliere, ormai, aveva fatto scivolare le mutande lungo le gambe fino a terra e Stefania, senza nemmeno accorgersene, divaricò un p0’ le gambe per permettere alla mano del cavaliere di arrivare alla meta. Non appena sentì le dita del cavaliere premere sulla figa, le sfuggì un piccolo gemito accompagnato da un fremito. Fremito che non provava da anni.

“Brava, brava, così, si lasci andare”

“Cavaliere, la prego, ……………… mi lasci andare.”.

“No, no! Perché dovrei? Farei un torto a lei che è così gentile e a me che sono all’ultima spiaggia”.

“Cavaliere, sono sposata, ricorda? Mi lasci andare, la prego – continuava a piagnucolare la ragazza mentre non faceva nulla per sottrarsi, mentre nella testa scorrevano le immagini del giorno prima, quel membro duro e resistente – sarò costretta a chiamare mio marito che è molto violento e non avrà rispetto della sua invalidità”.

“Suo marito se ne farà una ragione! Non si lascia una donna giovane e bella come lei a digiuno fino a questo punto”

Stefania si stupì: l’uomo aveva capito il suo desiderio e chissà quante altre cose ancora.

Il cavaliere continuava a titillare il clitoride della ragazza con il pollice, mentre con l’indice e il medio sfregava le pareti della figa. Stefania faceva sempre più fatica a trattenere i suoi gemiti. “La prego, signora, lei che ha le mani libere, me lo tiri fuori dai pantaloni, ……. sta per esplodere”.

La parola esplodere, provocò in Stefania il ricordo del giorno prima, e dell’effluvio di sperma che quel magnifico cazzo aveva eruttato. Non tentò di opporsi. In fondo, era quello che desiderava anche lei. Piegata in avanti con la bocca appoggiata sulla fronte del cavaliere, allungò le mani e piano piano, tirando giù la zip e superando le mutande, raggiunse l’uccello dell’uomo, che ora le sembrava anche più grande e più duro di quanto fosse il giorno prima.  Desiderò assaggiarlo, sentirlo tra le sue labbra, riempirle il palato e si piegò in avanti ancora di più.

La vista di quella cappella grossa e rossa la eccitò ancor di più.  Aprì la bocca e si tuffò ingorda come se fosse stata presa da una crisi di astinenza. Lo succhiò, lo carezzò, lo strinse tra le labbra. Poi lo tirò fuori e con la lingua raggiunse i punti più sensibili. Le sembrava fosse passato un secolo dall’ultimo cazzo degno di questo nome e aprì, di nuovo, la bocca. In quel momento, il cavaliere, tirando fuori tutta la sua natura di vero maiale, spinse la testa della donna verso il basso fino a che il cazzo non le tocco le tonsille.  

“Brava Stefania, così, ……. devi obbedire così. – disse il giovine, passando repentinamente al tu – Cibati di questa meravigliosa salsiccia e diverrai sempre più bella”.

Stefania ebbe quasi un conato di vomito, ma si sentì felice di sentire tanta potenza, tanta volontà prevaricatrice. Si sentiva completamente nelle mani di quel giovane e nella sua disponibilità. Non avrebbe mai creduto che il cavaliere, che a volte faceva fatica a muoversi, ora possedeva il suo corpo e ne faceva quel che voleva perché sapeva cosa farne.

Stefania era fiera di riuscire a inghiottire un cazzo intero. Una questione di orgoglio, una sensazione di potere ad avere l’organo più importante di lui, tutto in bocca. La sensazione di essere soffocata, per niente divertente, era ampiamente superata dalla sensazione di essere una dea, la Dea del sesso, sentiva che lui, in quel momento, era nelle sue mani e avrebbe potuto fargli fare qualsiasi cosa.

Andava giù e scopriva completamente la cappella e con un ritmo deciso, ma non troppo veloce, né lento, gli estorceva fremiti intensi e gemiti di piacere.

“Tutto, …….. tutto dentro – sussurrava il Cavaliere – anche le palle. Devi prendere in bocca anche le palle. Solo così la cappella arriverà a titillarti le corde vocali e il tuo orgasmo sarà intenso come non è mai stato.”.

Così dicendo, ponendo una mano dietro la testa di Stefania, fu lui a gestire ritmo e profondità. E mentre spingeva il bacino verso Stefania, con la mano le bloccava la testa, con l’effetto che il cazzo entrava sempre più in fondo, come se stesse facendo sesso con la bocca invece che con la vagina. Il Cavaliere provava il piacere del sesso orale con il senso di dominazione e possesso.

Stefania, invece, mentre si sditalinava, oscillava tra sentimenti di potenza assoluta e di schiavizzazione profonda. Ora, insieme con le lacrime abbondanti che le sgorgavano per lo sforzo, sentiva di perdere muco dalla bocca e dal naso che finivano su quel magnifico cazzo a lubrificarlo a fondo. Sentiva i suoi umori vaginali scivolarle lungo le gambe in una sensazione di attesa e cominciò a sentire, prepotente, il bisogno di riempire la figa.

Come se ci fosse un’antica intesa tra i due, il cavaliere si rese conto dell’esigenza della donna e, in un lampo, la prese per i fianchi, la fece alzare, la fece girare su stessa, le alzò la gonna e la fece sedere su di lui. Il cazzo in tiro, perfettamente lubrificato, entrò come un siluro nella calda e ormai bagnatissima figa della donna, come una nave ammiraglia entra in un porto amico: lenta e maestosa.

Stefania sentì le pareti della figa dilatarsi e stirarsi per far posto al nuovo venuto, un fremito le percorse il corpo fino al cervello e un urlo di piacere le sfuggì dalla bocca. Cominciò la sua lunga cavalcata al termine della quale, il Cavaliere le riversò tutto il suo piacere nella vagina e lei fu presa da un orgasmo gigantesco che le fece tremare le gambe e annebbiare la vista.

Da quel giorno, Stefania prese l’abitudine di scendere dal Cavaliere un po’ prima del solito, s’infilava nel letto con il cavaliere che felice dopo tanto digiuno la cavalcava con furore, avendo l’accortezza di uscire all’ultimo momento utile per riversare tutta la sua voluttà nella sua bocca.

Al termine della cavalcata, insieme, mangiavano un pasto caldo ristoratore, mentre il marito di Silvana, ingurgitava gli avanzi del giorno prima lasciati dai due amanti.

 

 

 

“Io, francamente, non ti capisco! Non è mai il momento giusto per farlo. Ed intanto non lo facciamo da mesi” lamentò Silvio.

“Che c’entra è un caso! A me non sembra giusto mettersi a far l’amore, per due ore, ritardando la partenza.  Lo sai che partendo più tardi avremmo trovato traffico e invece di un viaggio di un’ora ce ne avremmo impiegate quattro” rispose Elsa, sua moglie.

“Ma quali due ore? In mezzora scarsa avremmo fatto tutto!”

“Ecco, – pensò Elsa, – se lo dice da solo! e non si rende conto del mio problema.” Il problema era che lei non si divertiva più a far l’amore con suo marito a causa della sua scarsa fantasia e di una velocità di esecuzione che la lasciava sempre a metà strada. Era stanca di rimanere con la voglia, insoddisfatta e preferiva non cominciare nemmeno, piuttosto che rimanere  bocca asciutta. Erano sposati da una decina d’anni, ma il problema tendeva a peggiorare. E lei, per amor della quiete in famiglia, non voleva mettere suo marito davanti alle sue responsabilità coniugali, avrebbe preferito che fosse lui stesso ad accorgersene.

Silvio insistette. “La verità, mia cara, è che tu hai perso la voglia di farlo, non ti interessa più, pensi solo a te stessa e ti sei chiusa in un mondo isolato.”

“Non è vero che io non ne abbia voglia. – rispose Elsa che continuava a non voler dire la verità al marito – è che ci sono delle priorità.”

“Mettile da parte le tue priorità e, se non è vero che sei diventata frigida, fermiamoci al primo spazio a lato della strada e facciamolo. È buio, non c’è nessuno, siamo in aperta campagna, in mezz’ora siamo di nuovo in viaggio”

Elsa stava quasi per sbottare, per mandare a affanculo quello stronzo egoista, ma ancora una volta si trattenne e acconsentì alla idea bislacca del marito.

Dopo qualche chilometro, Silvio prese una strada laterale che si infilava in un boschetto e si fermarono in una radura circondata da alberi alti e frondosi a un centinaio di metri dalla strada e a molto chilometri dalle abitazioni più vicine. Silvio, spense il motore e tirò il freno a mano. Si fece il silenzio assoluto!

Elsa ne fu contrariata, le sembrava poco sicuro ma, pensò tra se, “se dobbiamo farlo, meglio fare in fretta. Accorciamo questo inferno e torniamocene a casa”

Trovare la posizione giusta in auto fu una impresa. Elsa sbottonò la sua camicia liberando i bei seni burrosi, sperando di eccitare il marito e lasciò su i pantaloncini da spiaggia. Silvio tirò giù i pantaloni e le mutande. Alcune luci lontane illuminavano a malapena le cose più chiare e i seni di Elsa, bianchi come il latte in contrasto alla pelle già colorita dal sole, risaltavano, diffondendo un fascino quasi animalesco. Come al solito, il pene di Silvio era lontano dall’essere pronto ed Elsa lo prese in mano per farlo rinvenire. Era una vera e proprio impresa.

Silvio allungò le mani per afferrare e stringere le tette che ondeggiavano seguendo il ritmo dei movimenti della mano di Elsa. Le manipolazioni di Elsa sortirono qualche modesto effetto, ma del tutto insufficiente. Elsa continuò per un po’, poi perse la pazienza e si chinò in avanti per prenderglielo in bocca. Era abituata. Sapeva già come sarebbe finita: senza diventare duro abbastanza, Silvio avrebbe eiaculato nella sua bocca, lei avrebbe sputato il frutto del pompino, si sarebbe pulita la bocca e rivestita più insoddisfatta che mai.

Ma quella sera avvenne qualcosa di diverso.

Infatti, non appena Elsa si fu piegata sul pene coniugale, liberando la visuale del finestrino del passeggero, a Silvio parve di vedere prima un ombra e poi, mettendo a fuoco, un uomo di mezza età che, con i pantaloni calati fino ai piedi, si stava masturbando mentre osservava i due coniugi. Silvio non disse nulla per non spaventare Elsa che di certo gli avrebbe imposto di andar via. Silvio sapeva che erano guardoni, un po’ malati, ma non erano violenti e, poi, lo eccitava essere l’attore principale di film porno.

Mentre Elsa combatteva quella guerra impossibile per tirar su quel pezzo di carne molle, Silvio pensava a come amplificare la splendida opportunità del guardone. Decise di abbassare i finestrini quel tanto che bastava per far sentire allo spettatore i suoi gemiti di piacere. L’idea che l’uomo eiaculasse insieme a lui lo eccitava.

Elsa si accorse degli ingiustificati gemiti del marito e alzò la testa per guardare suo marito in faccia, che, avendo gli occhi chiusi non si accorse di essere osservato e continuava a gemere.

“Ma cosa hai da godere tanto? Il tuo cazzo è ancora una poltiglia informe, cos’è che ti procura tanto piacere?”

Silvio, colto di sorpresa, non trovò una scusa pronta. “Sta calma! Non ti girare, alle tue spalle c’è un guardone che si sta segando eccitato dalla scena che gli offriamo”

Ovviamente, invitata a non girarsi, Elsa si girò e, invece di spaventarsi, fu colpita dal pene in tiro del guardone. In una frazione di secondo, Elsa decise cosa fare, una magnifica opportunità per dimostrare a suo marito che di voglia di sesso ne aveva ancora e non era affatto frigida. Aprì del tutto il finestrino e, senza sapere esattamente dove andare a parare, disse all’uomo: “Vuole riscaldarsi al fuoco della passione? Vuole sentire se queste tette sono di suo gradimento?”

Nello sconcerto più profondo di Silvio, l’uomo si avvicinò all’auto, cambiò mano con la quale si stava masturbano ed infilò l’altra per afferrare le tette di Elsa. Ci sapeva fare. Palpeggiò un po’ e poi si dedicò ai capezzoli che divennero immediatamente duri.

“Ma sei matta? – chiese Silvio con un fil di voce a sua moglie –  e se apre la portiera e ti violenta?”

Elsa avrebbe voluto rispondere: “magari!”. Ma Elsa non rispose, impegnata a sentire quella mano che le regalava qualche fremito. Anzi, chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire qualche gemito di piacere. Senza nemmeno parlare, allungò il braccio fuori dal finestrino e, afferrando il pene dell’uomo, disse: “Posso aiutarla? Sono molto brava”

L’uomo lasciò il campo libero alla mano di Elsa che cominciò lentamente  a segarlo.

Silvio era impietrito e non riusciva nemmeno a parlare.

Un altro uomo si avvicinò all’auto e tirati giù i pantaloni cominciò a segarsi guardando la scena tra Elsa ed il primo guardone.

“Ah, c’è anche il tuo amico – disse Elsa con voce pacata – vieni, vieni che ho una mano libera”. Elsa si sporse dal finestrino e segava i due uomini mentre loro le stringevano e tiravano le tette. Silvio esclamò con un fil di voce: “Amore, smettila, basta. Vieni dentro e chiudi il finestrino. Può essere molto pericoloso.”

Elsa non ci pensò nemmeno ed invece, per cambiare posizione, decise di uscire dalla macchina. “Se vi accontentate di toccare e di farvi toccare, io mi occuperò dei vostri cazzi in tiro. Voglio vedervi sborrare. Ma niente di più, altrimenti torno dentro e vi lascio così.” E veloce come il vento aprì la portiera e, im piedi di fronte ai due uomini, riprese a segarli.

Silvio, allarmato e ancora nudo a metà, uscì dalla macchina e raggiunse Elsa. “Amore, ma cosa stai facendo? Non li conosci nemmeno! …..Ti prego andiamocene…….è pericoloso!”

“Fatti gli affari tuoi, Silvio. Avevo voglia di cazzo ed ora li farò sborrare. Non ci disturbare”

Silvio era atterrito e non aveva il coraggio di fermare sua moglie. E quando Elsa si tolse la camicia gli sembro che fosse una dea e avrebbe voluto partecipare alla festa, ma lo stato flaccido del pene lo indusse a limitarsi a fare da spettatore. In quel preciso momento, si rese conto che le sue insufficienti erezioni erano il vero nodo della questione.

Lei sembrava impazzita, teneva i due membri nelle mani e dopo qualche minuto, si accovacciò sui talloni, e prese in bocca il pene che le sembrava più bello. Dopo un po’, Elsa volava da un pene all’altro e con la bocca cercava di trarne il massimo piacere. Succhiava rumorosamente mentre i due le infilavano le mani sulle tette e le palpeggiavano, le stringevano, le pizzicavano. Uno dei due, di tanto in tanto, le schiaffeggiave le tette procurandole un sottile piacere.

Si avvicinò un terzo uomo, anche lui con il cazzo in mano ed i pantaloni un po’ calati. Si fermò un attimo per valutare i componenti del trio e il ruolo di Silvio in disparte. Cercò di guadagnarsi un po’ di spazio a spese di uno dei due guardoni, ma fu respinto. Si portò, allora, alle spalle di Elsa e, con la mano libera, cominciò a palparle il seno. Questo aumentò l’eccitazione di Elsa, scossa ormai da potenti fremiti, che cominciò a gemere ancor più forte. L’uomo, allora, afferrò Elsa per i fianchi e la fece alzare sulle gambe tese e piegata a novanta gradi per non abbandonare il lavoro di bocca. Si accorse delle belle gambe lunghe ed affusolate e le accarezzò dall’interno, poi le cinse la vita, le sbottonò i pantaloncini e li fece scivolare verso terra. Elsa non oppose nessuna resistenza, anzi, quando i pantaloni furono ai piedi, sollevo prima una gamba e poi l’altra in modo che l’uomo poté sfilare i pantaloni. Ora le cosce di Elsa erano in piena evidenza e risaltavano, illuminate dalla poca luce, come una visione onirica.

Quando, però, l’uomo tentò di toglierle le mutandine, lei gli si rivolse e disse: “Il patto è che lavoro solo di mano e di bocca, quindi mettiti in fila e aspetta”. Silvio si sentì morire a sentire che sua moglie negoziava le prestazioni con gli sconosciuti!

Elsa teneva il cazzo di uno dei due stringendo le dita attorno alla base del cazzo, tra i coglioni ed il ventre, e voluttuosamente lo spingeva giù nella gola quanto più possibile. Con la lingua leccava le palle del fortunato. Poi rialzava la testa, per prender fiato, e ripeteva l’operazione. Silvio era stupefatto dalla abilità di sua moglie, l’uomo godeva come un vero maiale e Elsa si applicava con determinazione. Improvvisamente, l’uomo, che voleva sempre di più, le afferrò la testa e la tirò verso di se, costringendo Elsa ad ingoiare parecchi centimetri del suo cazzo e la tenne ferma per alcuni interminabili secondi. Elsa cercò di divincolarsi. Non riusciva a respirare. Poi l’uomo le lasciò la testa e istintivamente Elsa la tirò indietro senza poter controllare una cascata di saliva impastata a muco che dalla bocca cadde a terra. Ma non protestò anzi sorrise e dopo aver preso un po’ di aria, tornò alla carica a succhiare. Silvio ne fu sconvolto. Non aveva mai visto sua moglie in quello stato, con quella voglia incontrollabile che la rendeva succube di uno sconosciuto. L’uomo ripeté l’operazione ancora due o tre volte prima di cominciare a sborrarle in bocca. Elsa succhiò ed ingoiò avidamente.

Il nuovo arrivato prese il posto del compare. Elsa si accorse immediatamente che questi aveva un cazzo grosso e nodoso, ma soprattutto rigido, e lo prese con la sua mano sinistra e si dedicò all’uomo sulla sua destra.

Leccò l’asta, lo scappellò, leccò tutto intorno alla cappella e infine lo infilò in bocca succhiandolo e segandolo. Lo teneva con la bocca e con la mano destra gli stimolava lo scroto. Arrivò, con il dito indice, a lambire il buco del culo. E, infatti, in pochi minuti, l’uomo ansimando e gemendo, le riversò il suo sperma sul petto, sulle tette. Elsa si illuminò con uno splendido sorriso a 32 denti e con la mano libera spalmò tutto il seme sulle tette e sui capezzoli. Quando l’uomo si riebbe e tirò su i pantaloni per andarsene, Elsa guardò il marito, bianco come un cencio, e gli ordinò di prendere la scatola dei preservativi.

“Sei una pazza, una irresponsabile, è pericoloso. Se si rompe il preservativo puoi prendere l’aids, …… puoi rimanere in cinta…….”

Ma Elsa non lo stette a sentire e tenendo il cazzo dell’uomo ben stretto, andò verso il cofano dell’auto portando l’uomo come un cane al guinzaglio, si sedette sul cofano e quando il marito le diede i preservativi ne infilò uno al nuovo amante. Poi, con i talloni appoggiati sul cofano e le gambe aperte, fece avvicinare l’amante. Questi, si precipitò tra le gambe di Elsa a leccarle la passsera, già ampiamente umida, con una tale foga che ben presto Elsa cominciò a gemere di piacere ed in pochi minuti raggiunse l’apice con un orgasmo profondo.

Elsa ne fu travolta, erano anni che non provava qualcosa di simile. L’uomo si alzò e prese a far strisciare il cazzo tra le grandi labbra di Elsa, provocandole brividi di piacere, le gambe cominciarono a tremare e lei presa dall’urgenza di sentirsi piena gridò: “È fantastico ….. fantastico….. ma ora riempimi la figa….. voglio sentirti dentro, voglio sentire che mi sconquassi la figa….. “

L’uomo, infine, infilò il cazzo nella figa e cominciò la grande cavalcata. Silvio era sempre più incredulo e soffriva le pene dell’inferno nel vedere sua mogli così trasformata. Ciononostante si accorse quanto stva accadendo lo eccitava e, sebbene non fosse ancora rigido, cominciò a segarsi mentre guardava la moglie godere di un amante sconosciuto. Elsa era pervasa da fremiti che partivano dalla passera e si irraggiavano in tutto il corpo. Mentre gridava la sua esultanza e il suo piacere, fu scossa da tremori intensi. Il respiro diventava sempre più affannato e di tanto in tanto veniva interrotto per prender fiato. I suoi gemiti si levarono riempiendo la radura e dopo la lunga cavalcata, finalmente, fu travolta da un orgasmo gigantesco. Quando riprese coscienza e la capacità di controllare i muscoli delle gambe, scese dal cofano, e si accorse che l’uomo era già andato via. Avrebbe voluto ringraziarlo, pulirgli con la bocca il cazzo, avrebbe voluto chiedergli almeno il suo numero di telefono, ma era sparito nel nulla. E allora si rivolse a suo marito che, mesto, si guardava le punte delle scarpe: “Avevi ragione! Abbiamo perso una mezzoretta ma ora possiamo riprendere soddisfatti il cammino”

 

Giulia ed Lorena se ne stavano sedute comode sul divanetto nella camera di Lorena. Erano in crociera nel mediterraneo da più di undici giorni, ognuna con il proprio marito ed avevano stretto amicizia. Erano simili non solo fisicamente, ma anche per i gusti ed il modo di fare. Cosa che non era avvenuta per i loro mariti, molto diversi tra di loro. Quel pomeriggio, Giulia e Lorena se ne stavano rintanate in cabina a causa di una giornata di pioggia quasi autunnale e perché avevano voglia di chiacchierare. Bevevano una tisana alla melissa, con molto zucchero e, come spesso accade quando ci si sente particolarmente empatiche, erano entrate in argomenti più intimi.

“E con il sesso, come va?” chiese Lorena

“Come tutti, credo. Dopo un po’, il desiderio va scemando, fino a che ……diventa sempre meno importante. Manca la passione!”

“Ah, si, ti capisco. Anche per noi è stato così. E, dimmi, non ti manca il sesso?”

“Ci sono dei momenti che mi sento quasi una marziana ….. ma poi passa!”

“A me mancava molto …… e così, qualche anno fa, ne abbiamo parlato apertamente ed abbiamo cercato delle soluzioni….”

“Che dire? Si possono cercare le soluzioni, ma di fatto il problema è uno solo: l’abitudine e la noia che ne deriva. Forse fanno bene alcuni popoli nordici che, anche da sposati, dormono in letti separati e spesso in camere separate”

“Hai ragione. Noi però abbiamo cercato delle risposte all’italiana. Abbiamo lavorato su di noi e siamo diventati una coppia aperta”

“Cosa significa, coppia aperta?”

“Significa che pratichiamo tutte quelle attività della sfera sessuale che normalmente sono estranee al rapporto di coppia. Pratichiamo scambio di coppia, trio, amanti occasionali…… Entrambi abbiamo scoperto la potenza dell’esibizionismo e del voyeurismo. ”

“Guardate film porno o altre coppie far l’amore?”

“Non solo. Abbiamo scoperto che guardare l’altro che fa l’amore con un terzo …. . è straordinariamente eccitante, al punto che quando l’altro va via, diventiamo amanti formidabili”

“Vuoi dire che lui ti guarda mentre tu fai l’amore con un altro uomo e non lo uccide di botte?”

“Si, si, proprio così. Anche io lo guardo mentre fa l’amore con una altra donna. Mi piace guardarlo. Spesso mi masturbo mentre guardo, oppure, se me lo chiedono, partecipo anche io”

Giulia era completamente disorientata. Anche lei, prima di sposarsi, aveva avuto esperienze multiple molto forti, ma una volta sposata aveva, per così dire, appeso il perizoma al chiodo. Da giovane, aveva scopato con gli amici del suo ragazzo, con i suoi due coinquilini quando era fuori sede all’università e al liceo aveva addirittura partecipato ad una gangbang facendosi riempire di sperma il volto da quattro giovanotti che si masturbavano. Ma dopo il matrimonio ……. più niente. Cominciò a pensare che Lorena fosse, se non lesbica, almeno bisex.

“So cosa stai pensando – riprese Lorena – ma ti assicuro che non sono lesbica e non ci trovo niente di male a guardare il proprio marito far l’amore con un’altra donna. Ogni volta che si accoppia con una altra io sono sempre disponibile ad entrare in gioco, ma non tutte lo desiderano e così mi limito a guardare”

“Bè, lo capisco. Anche io che ho avuto una certa esperienza prematrimoniale, avrei dei problemi se nel letto ci fosse un’altra donna con la quale interagire”

“Ah, allora non mi era del tutto sbagliata. Immaginavo che la tua vita non fosse stata proprio monastica …. d’altra una bella ragazza come te deve aver avuto il suo daffare per tenere lontani gli uomini….”

“Si, ho avuto qualche spasimante.” Mentì Giulia che, in effetti, ripensava alle sue avventure che avrebbero fatto sfigurare il migliore degli attori porno. Le ritornarono alla mente gli episodi più forti di quel periodo dai sedici ai ventisei anni. Dieci anni di libertinaggio allo stato puro, senza limiti, senza freni, libera di godere di quel che la vita le offriva. Ricordava perfettamente Mario e Alessandro i suoi coinquilini. Aveva cominciato a scopare prima Mario più bello e poi anche Alessandro, all’insaputa l’uno dell’altro. E quando i due se ne accorsero, semplicemente facevano l’amore tutti e tre insieme. E ancora tanti altri, sul lavoro, in vacanza, liberi e sposati. Che maiali! Giulia aveva sempre avuto un appetito sessuale molto spinto che si era affievolito e scomparso con il matrimonio.

Sentiva tra le gambe che qualcosa si era risvegliato. Se non era bagnata, di certo sentiva quel pizzicorino intorno al clitoride che le segnalava, inequivocabilmente, che da quelle parti c’era stato un certo risveglio.

Lorena continuava a parlare interrompendo i pensieri lussuriosi di Giulia. “Non ti nascondo che quando vi abbiamo conosciuti abbiamo pensato di coinvolgervi in uno scambio di coppia”

“Avete fatto bene e rinunciare. Armando non avrebbe accettato mai!”

“L’abbiamo immaginato. Questo vuol dire che tu, invece, avresti accettato”

Giulia capì che non era il caso di mentire con l’amica. “Non ti nascondo che la cosa avrebbe potuto solleticarmi”

“Bè, se è così ….. potrei proporti di far l’amore con Diego mentre io vi osservo senza disturbarvi! Oppure potrei lasciarvi qui soli a soddisfare le voglie. Diego è un amante delizioso”

“Ma tu cosa ci guadagni?”

“Te l’ho detto. Nel primo caso, è uno spettacolo eccitante e, dopo, ci permette di far l’amore alla grande. Nel secondo caso, poi mi farei raccontare da Diego e finiremmo con il fare l’amore alla grande.”

“Mha! Non so se sia il caso ….. non so se sarei capace di tradire Armando. Sono sincera, Diego è un bell’uomo, attraente. Se fossi libera accetterei la sua corte.”

“Ma quale tradimento, mia cara. Il tradimento ha senso se il tradito viene a saperlo. Diego ed io non siamo delle spie e, poi, fra qualche giorno la crociera finisce e se voi non ci date il vostro indirizzo, non ci vedremo mai più. È assolutamente sicuro!”

Giulia rimase in silenzio. Avrebbe voluto accettare. Ma aveva paura. Il sesso con Armando era così noioso che un diversivo le avrebbe fatto bene.

In quel momento Diego entrò nella stanza, inatteso. Lorena reagì stupita: “Cosa ci fai qui a quest’ora?”

“Niente …… il film non era un granché, fuori c’è un vento e piove e …. Sono rientrato. Disturbo? -rispose Diego mentre salutava Giulia – Se disturbo, esco di nuovo! Cosa facevate di bello?”

“No, non disturbi! Anche noi ci siamo rintanate dal vento qui in camera e stavamo facendo due chiacchiere.” rispose Giulia.

“Parlavamo di noi, …… anzi, di cose nostre!” disse Lorena

“Uh! Mi farai morire di curiosità!” insistette Diego

“Le ho raccontato delle nostre pratiche extra coppia. Le ho detto che se lei volesse approfittare io non sarei affatto gelosa”

Giulia deglutì nervosamente. Era combattuta e Lorena, mentre la guardava sorridente, lo capì. “Vuoi vedere cosa ti perdi?” disse. Poi, di soppiatto abbassò i pantaloncini di Diego, scoprendo il suo membro. Sebbene fosse solo barzotto, a Giulia apparve subito molto invitante.

Era grosso e lungo. Completamente depilato, era bellissimo.

“Puoi toccarlo, se vuoi.” Aggiunse Lorena.

Giulia era un po’ eccitata. Pensò ad Armando, ma anche a tutte le avventure giovanili che aveva avuto. Lorena si era seduta su una poltrona a seguire la scena come un osservatore neutrale, con le gambe aperte.

Giulia pensò di nuovo a suo marito mentre la sua mano, quasi inconsciamente si allungava per afferrarlo. Lo prese in mano, gli diede due colpi e lo scappellò. Ma poi fu vinta dai rimorsi e lo lasciò cadere. “Devo andare!” disse mentre si alzava.

“E no, Giulia. Non puoi far così. Non si gioca con l’eccitazione – disse Diego mentre, fulmineo, le infilò una mano sotto la gonna e poi tra le gambe, sotto il costume, estraendo la mano con le dita umide dei suoi umori. – Guarda, guarda come sei eccitata anche tu.”

Pochi istanti dopo Giulia era inginocchiata tra le sue gambe e gli teneva in mano l’uccello che si stava indurendo. Lo segava lentamente mentre deglutiva sempre più eccitata. Quando fu bene in tiro e la cappella all’altezza della sua bocca, lo baciò sulla punta con devozione e cominciò un lento pompino.

“Guarda come gode a succhiare, la puttanella” disse Diego rivolto a Lorena. Era vero. Giulia stava godendo a leccare quel bellissimo uccello, per la situazione clandestina, intrigante e adultera. Come ai vecchi tempi!

Quando l’uccello fu ben in tiro, Diego la fece alzare, le sfilò le mutandine, si stese sul letto e la fece sedere su di lui senza nemmeno togliere gonna e maglietta. Giulia obbedì e dopo aver strofinato la figa sull’uccello di Diego, lo infilò nella passerina umida e scivolosa. Lentamente. Il respiro le si bloccò di nuovo, ma riuscì a dire: “Meraviglioso! È tutto dentro di me!”

“Appoggia le braccia all’indietro vicino alle mie ginocchia ……. così….. così, …….”

Giulia eseguì. Un gemito lungo e profondo le sfuggì dalle labbra. L’aveva tutto dentro fino in fondo. E cominciò la cavalcata. Giulia ci sapeva fare e se la stava godendo con un ritmico su e giù.

“È meraviglioso. ……… si, si …. così … continua così ……. non fermarti, fallo entrare tutto, fino in fondo. Ahhh che meraviglia!” disse Diego.

Giulia non parlava, ma i gemiti di lei diventavano sempre più forti. Il respiro dei due sempre più affannoso.

Diego non perdeva occasione per incitarla, per spronarla a lasciarsi andare.

“Su e giù, dentro e fuori, continua così, su e giù, fallo scivolare dentro e fuori …….. proprio così, brava, sollevati un po’ di più e poi scendi piano”

Giulia si muoveva sempre più lenta, su e giù, accompagnando il movimento del bacino con gemiti sempre più intensi . Lui le avvicinò la mano alla passerina e con il pollice cominciò a stimolare il clitoride. I sospiri di lei diventarono sempre più profondi e il volto le si contraeva dal piacere che le saliva dall’inguine lungo le cosce, lungo la spina dorsale fino al cervello.

“Così …. così …. su e giù ….. brava, sei meravigliosa, …… cavalca il mio uccello” le gridava Diego e lei …. cavalcava, cavalcava ancora.

Fu un crescendo di piacere. Lorena, seduta sulla poltrona, con le gambe aperte si masturbava furiosamente. Giulia sentiva l’acciaio che le sconquassava la figa e …… si lasciò andare ad un orgasmo gigantesco.

Diego, temendo di venire lui stesso, le disse affannosamente : “Ora, …… si cambia …….. si cambia buco. Hai un culo da sogno, una meraviglia della natura ed è lì che voglio entrare!”

Giulia non ricordava da quanto tempo non ne prendeva uno e accettò, ingorda. Lorena, servizievole, si avvicinò a loro e con la sua saliva, lubrificò abbondantemente il buchino. Giulia si sollevò sulle ginocchia quel tanto che era necessario per estrarre quel meraviglioso randello dalla figa e puntarlo sul buco del culo. L’uccello entrò lento e senza intoppi. Silenzioso come un sottomarino nell’oceano. Giulia si lasciò scappare un  profondo sospiro di aspettative recondite.

“Fai scivolare l’uccello dentro e fuori il culo, Giulia …… piano, …… stringi, …… stringi forte il culo …. cavalca …. vai al passo ……… e poi al trotto …. e poi al galoppo. Sei la mia puledra”

Giulia cominciò a muoversi lentamente, il culo le doleva un po’, ma già il piacere cominciava a farsi sentire. Rapidamente prese un bel ritmo …. E ricominciò la cavalcata. Ora era lui che godeva e gemeva. Il respiro sempre più affannato. “Non ti fermare, continua a cavalcare con il mio uccello nelle tue viscere.” Le disse.

A Giulia, ora, le mancava l’aria e tra gli spasmi di piacere stringeva il culo, come a voler stritolare quel fantastico uccello, per farlo godere di più.

Presa dall’intenso piacere, il viso di Giulia si fece serio, senza sorriso, in attesa di essere travolta da un orgasmo anale. Le cosce cominciarono a tremare, come le succedeva prima di profondo orgasmo.

 “ Si … sssii… fottimi …., fottimi la figa, ho bisogno di essere sfondata nel culo…..”

I gemiti di Giulia erano grida di piacere sempre più intense, il respiro era rotto solo da scariche di adrenalina che le pervadevano il corpo.

 “Non ti fermare puttanella …… fottimi l’uccello, con il culo stretto…..” disse Diego con un fil di voce.

Lei riprese a stringere il culo. E l’orgasmo arrivò come un terremoto, improvviso e potentissimo, le sconquassò il retto e le incendiò la figa. Giulia lanciò un urlo di piacere e abbandonò la testa all’indietro per assaporarlo fino in fondo. Riuscì solo a dire: “non ti fermare, ti prego ….. non ti fermare …. Fottimi, fottimi fino alla morte”

Diego non era ancora venuto ed aveva l’uccello ancora duro come l’acciaio. Lei gli sorrise mentre cercava di recuperare un respiro normale. Sentì quel grosso uccello piantato nelle sue viscere, nel culo trascurato per così tanto tempo. Ma ora toccava a Diego sborrare, sborrare nelle sue viscere. Giulia voleva far venire il suo amante. Si mosse piano, con movimenti circolari del bacino ed anche lui cominciò a gemere.

“È fantastico. Il tuo culo è così stretto…… sto per venire ….. sto per venire. Vuoi che ti riempia la bocca? che ti copra le tette? “

“Riempimi il culo …. Stallone”

Dopo che Diego ebbe scaricato tutto il suo seme e ripreso un respiro regolare, Lorena gli si avvicinò ed estrasse l’uccello dal culo di Giulia, lo portò alla bocca e lo leccò e lo succhiò come un buon cornetto alla crema.

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