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Racconti Erotici Etero

Verso il tramonto

By 9 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Non voglio che questo giorno finisca e mi sorprenda da sola, non voglio che questo sole al tramonto s’immerga nel mare senza nemmeno vederlo, senza nemmeno che scaldi queste ossa che umide chiedono solo calore. Ma non posso fermare qualcuno di passaggio e pregarlo di andare insieme incontro alla luce, magari prendendo quel treno che ora si ferma e con quattro fermate arrivare fino al mare, fino ad Ostia che in ogni inverno al tramonto si rifà il trucco e pare mignotta. Come me che seduta in stazione accavallo le gambe per un fortunato che passa, per gli occhi avidi di quell’operaio che mi scruta e mi fissa al di là dei binari. Ma cosa potrà mai vedere? Così distante di spazio e di sogno, di cultura e religione, non potrà mai apprezzare la trama lucente delle mie calze o la sfumatura affusolata delle mie unghie laccate d’acqua marina. Cosa potrà mai sperare, vestito di lavoro e sudore, se non di starmi lontano e guardarmi perché altro alle sue mani unte e grasse non sarebbe mai concesso. E ridisegno le labbra e sfumo l’ombretto dello stesso colore degli occhi e mi sorprendo a guardarmi dentro questo specchio impolverato di cipria, come se fosse la prima volta, come se non sapessi quanto benevole siano state natura e mia madre. Che m’hanno scolpita d’armonia e leggerezza, di linee sensuali che solo a guardarmi vien voglia di stringerle in un pugno come fascine di grano prima del raccolto. E m’ammiro la faccia e le rifaccio i contorni senza per questo sentirmi più oggetto, sentirmi più preda in balia di sguardi maschili che al prossimo treno s’insinueranno lungo pieghe di carne e spacchi di stoffa che la luce ancora consente. Perché solo allora mi sentirò più viva e come un fremito dentro mi salirà la convinzione che le notti a venire non mi troveranno da sola. Mi scoprirò unica e possibile per il meno distratto che m’appoggerà casualmente lo sguardo, tanto da fargli cambiare pensiero, percorso e certezza che la meta prescelta non è poi tanto lontana. Ma il giorno scompare ed io mi ritrovo da sola, con l’ansia che sale che forse nessuno stasera potrà spartire la pena che sento. Quando l’imbrunire t’avvolge le cosce e riduce ragione a non comprendere quanto la sera t’inquieta di dentro e ti faccia sentire spaiata. Nulla e nessuno finora ha deciso d’arrivare fino al mare e passare le ore che mancano alla sera insieme a questa donna che indomita ancora ci prova a non essere anonima in questo volatile posto. L’operaio ancora mi guarda, si è avvicinato quel poco per gonfiare la propria impotenza che mai pelle così liscia potrà mai toccare, che mai le sue mani indurite da calli potranno mai sentire. E dilata la sua incredulità di come una donna così bella, seduta alla stazione, possa stare ancora da sola senza che nessun odore di

uomo si sia ancora accostato, senza che nessun viaggiatore voglia stasera spartire la sua stanza d’albergo. Ma io voglio andare al mare! Voglio che quella palla rossa di fuoco s’immerga nell’acqua e si spenga nei miei occhi, sbarrati alla meraviglia che nulla di più bello sarebbe consentito accogliere. E non posso stasera finire sotto coperte che sanno di polvere e muffa, e guardare soltanto cuscino e soffitto quando l’avida forza di maschio s’affoga e riemerge, ti colma e ti svuota perché altrimenti non potrebbe di nuovo riempirti nel posto che senza tanta ragione stasera ha deciso. Io voglio il mare! Voglio vedere quel sole che scende e sentirmi di dietro calore e tramonto, amore e compagnia che m’aiuti a passare la notte, ancora una notte con la speranza che qualche domani non mi sbatta su questa panchina. Un altro treno s’è fermato e scende gente che già sa dove andare, senza prestare attenzione a queste gambe fasciate di nero che divarico appena, appena quel poco che da dovuta distanza s’intraveda, nell’ombra, uno spicchio di femmina miseramente nudo e vuoto ancora per poco. “Signora, mi scusi, io sto prendendo quel treno e vado fino al mare.” Mi giro, lo guardo, non mi sembra d’averlo mai conosciuto, non mi ricordo d’aver pettinato i suoi capelli castani. E’ giovane, è bello di dentro più di quanto il suo aspetto non dica. Ma stringo le cosce e mi rimetto in piedi senza domandargli in quale posto abbia incontrato i miei desideri, lungo quale fluido chimico abbia incrociato la mia richiesta d’aiuto. Ma è giovane e non capirebbe perché faccio scorta ed incetta d’amore davanti al tramonto, perché soltanto i vecchi possono sapere quanto nero è il buio o quanto possa essere deserta una strada alle prime luci dell’alba. Quando nessuno ti segue e ti precede tranne la tua ombra che silenziosa s’allunga, s’accorcia e si sdoppia sotto i lampioni. Ma è giovane e non avrei potuto chiedere di meglio, non avrei mai potuto sperare che due occhi profondi indovinassero il mio unico sogno, senza nulla rendere conto per come e per chi mi sto facendo più bella e perché la mia scollatura profonda copra a malapena i miei seni cresciuti a dismisura unicamente per accalappiare merli che in caldo trovano ricovero. “Signora il treno sta partendo.” E senza sapere dove i miei tacchi infilzeranno la prossima ghiaia m’avvio trasportata di peso da questa mano che stringe la mia, da questo uomo che non può non aver capito che il mare, il sole, il tramonto sono patine di pretesto che danno luce ai miei giorni e si susseguono imprecisi per pura poesia. Faccio per parlare, ma mi stringe più forte e m’interrompe i pensieri dentro uno scompartimento vuoto. Ci mettiamo seduti di fronte ed accanto ad un finestrino dove dentro scivolano veloci case e pali in contro tendenza. Mi guarda, lo guardo. “Per fortuna il sole non è ancora tramontato!” Ma mentre mi fissa m’accorgo che è vestito tutto di nero ed un colletto bianco fa contrasto con la sua figura e le mie intenzioni remote. “Proprio un prete mi doveva capitare!” Dico tra me mentre mi ricompongo confusa. “E per giunta giovane!” Che non ha proprio capito che la compagnia che vado cercando mi soddisfa anima e corpo e mi dà sostentamento per il prossimo giorno. Vorrei dirgli che la realtà è diversa, proprio diversa da come mi vede, che la spiaggia d’inverno è un luogo perfetto per farci l’amore quando la notte che incombe vorrebbe farti sentire più sola. E ti scava di dentro lasciandoti una voragine profonda, e ti predispone corpo e cervello, come paziente in chirurgia, ad accogliere colui che accanto vuole solo colmarla. Vorrebbe parlarmi, ma forse qualcosa ha intuito, la mia faccia, del resto, parla da sola, così carica di richiami sfumati ed accesi che qualsiasi maschio saprebbe captare, che qualsiasi uomo vorrebbe sgualcire insieme a quello che sento di dentro compresa la carne che l’avvolge perfetta. Ma i suoi occhi mi cercano l’anima, mi penetrano oltre il vestito e scavano la carne imbarazzata e trasparente che nessun sesso più duro di maschio finora ha fatto altrettanto. Ed impietrita come statua di marmo, trattengo il respiro per non concedere altro di quello che i suoi occhi non possono non vedere, per fermare questo seno pagano che si gonfia e tracima abbondante oltre il pudore che ora m’assale. Ma il suo sguardo non mi dà tregua, s’incunea laddove non mi sento difese e certezze, e quasi m’istiga a spianargli la strada, allungando il percorso dove la trama di nylon si fa pelle e bisogno di carezze che contro corrente arrivino dove un prete finora non s’è mai inoltrato. E le sue parole decise e taglienti si fanno certezza e m’invadono l’anima e mi soddisfano il corpo. Ed entrano ed escono a loro piacimento, come in una stanza d’albergo, allontanando il bisogno concreto di mare e tramonto, di scorte e provviste per la notte che incombe. E mi parla dritto negli occhi, più dritto di un sesso di maschio in controluce sul muro, che ti soddisfa e te ne fa chiedere ancora, ed affoga nel mare dei sensi dove ragione non può respirare. E mi infila senza sbafarmi il contorno di labbra, senza chiedermi di calare mutande che comunque non porto, senza spiegazzare la camicetta di seta, come mai era successo finora quando di dentro trattenevo calore come provvista di legna con l’inverno alle porte. La fermata di Ostia oramai è passata da tempo, come la mia voglia che sotto la gonna s’è esaurita strada facendo, l’ascolto soltanto e soltanto vorrei che continuasse a parlare. A riempire di benessere e d’affetto, di trascendenza ed assoluto, quel vuoto che altri finora m’avevano soltanto cercato in mezzo alle cosce.

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