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Racconti Erotici Etero

Vuoi?

By 25 Febbraio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

“… Allora &egrave proprio…” Sospiri. Neanche riesci a dirlo.
“…Sappiamo tutti e due.” Annuisco. L’imbarcadero del trasporto pubblico scricchiola e geme, ondeggiando sul canale. Mi alzo dal gradino della casa e faccio due passi sul bordo della fondamenta, guardando la laguna e il lungo ponte che ancora la città alla terraferma, la imbriglia, prima che come un sogno scappi via.
&egrave sempre piaciuto a tutti e due questo posto, questo panorama, non ricordo nemmeno quante ore abbiamo passato nella penombra a baciarci e sorriderci. Mi sistemo la giacchetta di pelle, mentre ti avvicini.
“… Freddo?” Chiedi, dall’alto, dal tuo essere un metabolico calorifero in maglietta a maniche corte. Un armadio di ragazzo. Non mi crede nessuno, a vederti in campo, quando spingi in mischia, se dico che sei incredibilmente delicato con me, sempre.
Sorrido nel risponderti, molto più minuta di te in ogni dimensione. “… Non fuori.”
Mi guardi senza capire. Sei una persona meravigliosa ma poco orientata ai voli di fantasia, perciò ti prendo una mano, portandomela al petto.
“Qui. Si.” Possibile che ancora ti faccia tremare, emozionarmi, il toccarmi? O forse, visto che ormai non siamo più una sola entità, &egrave tutto come la prima volta?

“…Non sei fredda.” Dici, rompendo il silenzio, o meglio il monotono sottofondo di rumori di laguna, onde, treni sul lungo ponte. Scuoto la testa con un sorriso amaro, proprio non capisci, penso.
Mi alzi il viso con la tua mano. Calda. Callosa. Delicatissima.
“so che era una metafora.” Sorridi. ” ma non sei fredda. Non lo sei mai stata, con me. Io ricordo la tua amica che mi trattava come se fossi un animale, al pub.”
Sorrido. “diceva che sembri un orso e mi avresti tirato nella tana…”.
Scoppi a ridere fragorosamente. “e tu?” Sorridi portando la mano sul mio petto. “ricordi cosa hai detto?”
Sospiro, socchiudendo gli occhi. “che almeno sarei stata al caldo.”
Mi stringi. “se fossi fredda non avresti bisogno di stare al caldo.”
“mi fai impazzire quando provi a usare la logica.” Sorrido. “portami a casa tua. Un’ultima volta.”

Come quando bevo troppo, come per scherzo, nel tuo metro e novanta di rugbista mi sollevi come una piuma, affondo il viso nel tuo petto e sento solo i sobbalzi dei tuoi movimenti. Fondamente, ponte, fondamente, calle, ponte, calle, ponte, non mi serve vedere, lo so a memoria. Venezia &egrave un libro di suoni e odori, proprio come te.

E cosi eccomi qui ad occhi chiusi nel tuo letto a tremare, mentre con la lingua fai qualcosa di straordinario e delizioso. Mi fai impazzire, come sempre, meravigliosamente delicato. Tu, orso.
“ti voglio.. Ti… Mmmh… Voglio…” Piagnucolo, non farmi venire ti prego.
Ti scosto quasi prendendoti a calci in faccia, sbuffi come se i miei piccoli piedini di ragazza possano qualcosa contro di te abituato a prenderti bufali in tacchetti dritto addosso.
Mi schiacci nel letto montandomi sopra, ti carezzo baciandoti.
“mi piace sentirmi cosi… Impotente e sicura che non succederà niente di male.” Sorrido.
“perché, Viktorie, lo stiamo facendo?” Mi chiedi, preoccupato.
Non farmi piangere. “… Prendimi.”
“non &egrave una rispo…” Ti bacio silenziandoti, stai zitto. Cerco di piazzare il tuo sesso sul mio con ancheggiamenti animaleschi, la punta del tuo cazzo perfettamente proporzionato al corpo mi solletica inguine e vulva facendomi impazzire.
“oh prendimi cazzo, ficcamelo!” Piagnucolo e sorrido sentendoti muovere e scivolare in me.

Sei sempre stato piuttosto… Impegnativo, per il mio corpo ancora giovane. Sono giovane, più di te, nessuna legge mi impedisce di essere qui, ma come sempre mi mordo un labbro sentendomi dilatata millimetro per millimetro da te.

Come descrivere la sensazione del tuo affondare in me? L’umidità calda dei nostri sessi? Uniti, fusi, complementari. Mi fai godere standomi dentro, e io minuscola rispetto a te mi aggrappo e stringo uggiolando come la piccola femmina in calore di un maschio più grande. Sei delicato e passionale e fottutamente enorme per me, un armadio di legno massiccio che scopa un piccolo vaso di cristallo di Boemia. Senza romperlo.
Anzi.

Le tue mani il tuo sesso il tuo odore il tuo sesso i tuoi muscoli il tuo sesso il tuo sudore il tuo sesso la tua voce il tuo sesso il tuo amore il tuo sesso il nostro amore che ci ha portato sempre in questo letto, stiamo facendo l’amore perché non ci amiamo più ed &egrave comunque meraviglioso.

Sai prendermi come nessun altro finora, sai portare questo vasetto di cristallo a risuonare in accordo con il tuo piacere, le onde si sommano quando scorri sul cristallo e questo comincia a risuonare, e cosi faccio io, mugolando in risposta a te, tremando, vibrando, finché le armoniche non portano alla risonanza suprema.

Cristallo e legno, vibrano suonando assieme la loro ultima canzone di coppia, fino al loro apice. Ti spezzi, mi frantumo, esplodiamo assieme e tutto sfuma nel piacere assieme.

“perché?” Sospiri al mio orecchio, fiato caldo. Sesso caldo. Seme che scivola fuori di me.

“odio gli addii tristi.” Rispondo, piangendo.

—– innumerevoli maree dopo ——-

Non so se sia più divertente averti spiegato via social il bar della stazione dove ti avrei aspettato, e vederti controllare nervosamente che sia l’unico con quel nome, o il fatto che ti stia fissando da due minuti buoni e ancora tu non mi abbia riconosciuto.

“ehi, fesso!” Ti apostrofo sorridendo, mentre il tuo sguardo si illumina sotto la barba e i capelli scarmigliati.
“… Viktorie??” Chiedi come se avessi visto un’apparizione.
Scoppio a ridere. “alleluja!! “Prima o poi il neurone arriva”, eh?”
Ci abbracciamo. Stringendoti capisco un po’ il tuo disagio. Sei gigantesco ancora adesso ma riesco a stringerti, a guardarti meglio in viso, tu sei rimasto uguale, io sono una donna diversa.

“sei…” Dici sorridendo e guardandomi. Mi sento arrossire. “… Puoi dire che sono carina. O cambiata.”
“cambiata E carina”
“sono un po’ stanca. Di solito sono strepitosa.”
“scema uguale.”
Ridiamo.

I gatti fanno l’amore per strada, mentre ti porto in una trattoria che so potrà soddisfare un armadio affamato come dosi e sostanza del cibo. Ti indico un paio di monumenti giusto perché ci passiamo davanti, ma il tuo stomaco ruggisce.

Mangi parlandomi del disastro di aerei e treni, dei ritardi, di non trovare un albergo e di me, ultima imbarazzante idea per non dormire su una panca in stazione.
“sono un po’ in imbarazzo.” Confessi al terzo e dico terzo piatto di pasta.
Ti sorrido come se non fosse passato un giorno da allora. “smettila. Non c’&egrave problema. ”

Stupidamente ti prendo la mano. Un gesto innocente. Devastante. Sentirò il calore del tuo tocco fino a casa, fino al prepararsi, fino alla buonanotte.
Fino a girarmi con il cuore a mille nel letto a pensarti di la sul divano.

Basta.

Esco dal letto, mi spoglio, arrivo in salotto. Vedo i tuoi occhi brillare nella lieve luce che penetra dalla finestra.
“grande e grosso e ancora non dormi al buio?”
“odio svegliarmi senza punti di riferimento.”

Alzo la mano in un muto invito. Sono io il tuo punto di riferimento. Prendimi la mano. Fatti portare nelle mie braccia, sul mio corpo nudo.

Vuoi?

—- Alle delicate, rocciose mani di Andrea. —-

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