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Lirica erotica

alla principessa che ha rifiutato il mio amore

By 21 Settembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Quelle che seguono sono una serie di liriche in prosa, dedicate ad una donna che ho amato tantissimo e che, nonostante tutto, amo ancora.
Una donna che mi ha rifiutato e che comunque continuo a vedere, perché siamo colleghi di lavoro.
Sono state scritte in diversi momenti, ma sempre dopo il mio, probabilmente maldestro, tentativo di confessarle quello che provavo per lei.
Le ho scritte tempo fa, di getto, ed ho deciso di pubblicarle senza modifiche, alla rinfusa, perché non c’è un ordine temporale tra di loro.
Sono molto diverse dai miei racconti abituali che invece svelano quel lato oscuro della personalità che sicuramente tutti noi abbiamo.
Forse non piaceranno ai lettori che finora hanno apprezzato i miei scritti, ma ho deciso comunque di sottoporle al giudizio di chi frequenta questo spazio.

John Babbacombe Lee
Da un anno a questa parte sto imparando, con fatica, ad accontentarmi.
Mi accontento di scambiare qualche parola con te, parlando del più e del meno, quando invece vorrei gridarti tutto il mio amore.
Mi accontento di guardare la tua bella bocca, grande e morbida, invece di baciarla.
Mi accontento di stare un po’ seduto vicino a te, mentre vorrei tanto stringerti, abbracciarti, carezzarti.
Mi accontento di sbirciare un attimo nella tua scollatura, per ammirare quello che riesco ad intravedere del tuo seno, quelle splendide tettine che mi fanno letteralmente impazzire e che vorrei tanto tenere dolcemente tra le mie mani.
Mi accontento di guardare i tuoi piedi delicati, le unghie perfettamente dipinte con lo smalto colorato, mentre penso che vorrei stringerli tra le mie mani, baciandone le dita una ad una, mettendoci tutta la cura possibile, dettata della passione e dalla devozione che ho per te.
Mi accontento di vederti giocherellare con i tuoi lunghi capelli, quando invece vorrei essere io a farlo, per avere così la scusa di carezzarti il collo e le spalle.
Mi accontento di osservare i tuoi vestiti, sognando però di spogliarti piano piano, mentre ammiro il tuo bel corpo snello.
Mi accontento di catturare il tuo sorriso, che ogni tanto mi rivolgi, pensando che vorrei avere anche tutto il resto.
Non è facile accontentarsi. Certe volte penso di non farcela, sento che la mia passione è troppo forte e vorrei gridare, fare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di reagire a questa immobilità a cui sono costretto.
Mi sembra stupido ed ingiusto rimanere lì, buono buono in un angolo, aspettando la possibilità di qualche piccola gioia: uno sguardo, un sorriso, o magari un attimo in cui le nostre mani si sfiorano casualmente.
Poi mi costringo a riflettere e mi calmo, pensando che questo è il prezzo che devo pagare per conservare almeno la nostra amicizia, che è comunque una cosa importante, e così ‘ mi accontento.

Pazzo.
A volte penso che devo essere pazzo.
Continuo a scrivere queste cose per te e su di te, pur sapendo che non avrò mai il coraggio di fartele leggere.
Sono pazzo e imprudente, perché se una sola di queste pagine finisse nelle mani di mia moglie succederebbe un finimondo, senza alcun vantaggio per me.
Penso che forse potrebbe perdonarmi un tradimento: se gli dicessi che sono andato a letto con un’altra si arrabbierebbe, faremmo una litigata furibonda, ma magari alla fine le cose si potrebbero aggiustare.
Ma se scoprisse che, pur non avendola mai tradita, sono innamorato di un’altra da un sacco di tempo, che farebbe?
Se scoprisse l’intensità dei sentimenti e della passione che provo per te come reagirebbe?
Se realizzasse che io, che sono sempre stato una persona tranquilla e prudente, ero pronto a fare le valigie, ad andarmene senza il minimo scrupolo o ripensamento?
Come si sentirebbe se capisse che sarebbe bastato solo un tuo cenno per farmi gettare all’aria vent’anni della mia vita, un matrimonio, una famiglia?
Dovrei buttarle, cancellarle, queste maledette lettere, invece continuo a scriverne sempre di nuove, lasciando nel mio computer queste tracce pericolose, che potrebbero rovinare la mia vita e quella della mia famiglia.
Sì, certo, ho preso delle precauzioni, le tengo nel computer dell’ufficio, in una cartella nascosta e protette da una password. Ma so benissimo che una stupida dimenticanza potrebbe causare un disastro.
Eppure continuo a tenere questa bomba, che potrebbe scoppiarmi tra le mani in qualsiasi momento. Continuo a collezionare queste pagine, rileggendole, qualche volta cambiando una parola qua e là, mai contento del risultato finale.
Forse le scrivo perché sotto sotto, mi eccito a pensare di fare, ogni tanto, qualcosa di rischioso.
O magari continuo in questo esercizio nella speranza che, a forza di insistere, riesca a liberare la mente da questo pensiero fisso che non mi abbandona mai.
Oppure, molto più semplicemente, le scrivo per tenere vivi i miei sentimenti per te, per ricordare, per non disperdere tutto questo patrimonio di passione e di amore che porto dentro di me, senza farmi accorgere, per non disturbarti.
Le tue ‘tettine’ deliziose ed un po’ sbarazzine.
Piccole e perfette, fatte apposta per una principessa.
A volte ne intuisco appena la forma sotto una maglietta attillata.
In altri casi si affacciano da una camicetta appena sbottonata, forse con un pizzico di malizia, mostrandosi insieme ad un pezzetto di reggiseno.
Ed io rimango lì, stordito e senza fiato, e penso che vorrei toccarle, carezzandole con il palmo della mano, ma dolcemente, molto dolcemente, per non rischiare di rovinare qualcosa di prezioso e delicato.
Oppure le immagino ricoperte dai tuoi lunghi capelli, con i capezzoli ‘appuntiti’ che spuntano fuori. Mi basterà scansare le ciocche più vicine, piano piano, con la punta delle dita, per potere arrivare a baciare questi due deliziosi ‘bottoncini rosa’.
Ancora, continuando a fantasticare, vorrei sentirle aderire al mio petto nudo, mentre avverto il tuo respiro, leggero e rapido, emozionato, turbato.
Infine, abbracciandoti da dietro, vorrei sentirle nelle mie mani, stringendole appena, come se avessi paura che potessero fuggire da me.
Ma penso anche che potrei passare ore soltanto a guardarle, osservandone controluce la sagoma perfetta, oppure esaminando scrupolosamente la superficie morbida della loro pelle delicata.
Se tu me lo permettessi, potrei starmene tranquillo, in un angolo, ad ammirare questi due piccoli capolavori che porti sempre con te, senza stancarmi mai. Sei brutta.
Qualche volta lo hai detto anche tu.
Mi è passata per la mente questa strana idea, perché penso che, forse, i miei occhi annebbiati dall’amore non riescono a giudicarti obiettivamente.
Così immagino che un giorno, passata la ‘sbornia d’amore’, potrei trovarmi davanti una specie di befana.
Allora, preoccupato, comincio a passare in rassegna il tuo corpo.
Le gambe.
Beh, quelle non sono affatto male, tutto si può dire tranne che tu abbia delle brutte gambe, anzi, raramente ne ho viste di così perfette.
La sagoma, la figura.
Troppo magra? No, direi piuttosto snella, ma, in ogni caso non hai l’aspetto di quelle modelle ossute ed anoressiche che si vedono sulle riviste. Le tue ‘curve’, anche se non accentuate, ci sono tutte ed al posto giusto.
Poco seno?
Sicuramente non sei una ‘tettona’. Ma su un corpo così snello ed elegante due ‘cose’ troppo grandi sarebbero, eccessive e volgari. Meglio così, piccole ma carine.
I capelli.
Troppo lunghi forse? Passata una certa età, si dice che le donne non dovrebbero più portare i capelli lunghi e sciolti. Ci ho pensato bene ed ho concluso che ti stanno magnificamente così.
Le mani.
Così eleganti, con le dita lunghe e sottili, nessuno potrebbe trovarle brutte.
Quei ‘piccoli segni del tempo’, che fanno intuire la tua età, non fanno che accrescerne la grazia, rendendole anche più vere.
Il viso.
Forse tante ragazze che si vedono in tv o sulle riviste, tutte uguali, con quella faccia da Barbie, come se fossero state create con uno stampino, sembrano più belle, a prima vista.
Poi comincio ad osservare i tuoi lineamenti: gli occhi, il naso, la bocca, la curva delle sopracciglia, le orecchie, il collo …
Non c’è proprio nulla che non vada bene. Il tuo viso è attraente, armonioso ed espressivo, Stai benissimo così, non c’è da fare nessun miglioramento e non ti cambierei con nessuna altra.
Forse la pelle, non è quella di una ventenne, c’è qualche ruga.
D’altra parte tu, pur curando molto il tuo corpo, eviti di truccarti in maniera vistosa.
Diciamo che sei una favolosa ‘ragazza cinquantenne acqua e sapone’.
Se fossi stata una ‘finta trentenne con due dita di cerone e svariati lifting’, sicuramente non mi saresti piaciuta.
Potrei continuare ad esaminarti all’infinito, ma sono sicuro che non riuscirei a trovare nulla di brutto in te.
Così ora mi sento più tranquillo, perché sono sicuro che ogni giorno che verrà, incontrandoti, vedrò la bella principessa di sempre e non una strega orribile.
Non sono mai stato una persona coraggiosa, e quindi so benissimo che brutta bestia possa essere le paura, quando ti avvolge, ti blocca e ti impedisce ogni azione.
Sono riuscito alcune volte a sconfiggerla, agendo d’impeto, come quando si beve tutto di un fiato una medicina disgustosa. Passato l’attimo di stupore, per essere riuscito a fare qualcosa di cui non mi credevo capace, poi diventava tutto facile.
Così, quando ho capito di essermi innamorato di te, sono stato preso immediatamente da una paura enorme, anzi da diverse paure.
Paura di dover confessare tutto alla mia famiglia. Con che coraggio potevo pensare di presentarmi da mia moglie, dopo venti anni di matrimonio, e dirle ‘ti lascio perché mi sono innamorato di un’altra’. E mio figlio? Sì è abbastanza grande, ha quasi diciotto anni, ma cosa avrebbe pensato di suo padre?
Paura del salto nel buio. Due persone adulte, con le loro abitudini ormai radicate, si sarebbero adattate? Avrebbero sopportato il logorio e la banalità della vita di tutti i giorni?
Paura di doverti dire quello che provavo per te. Anche se sembro una persona vivace ed estroversa, sono in realtà molto timido, e quando si tratta di argomenti così delicati, la mia sicurezza svanisce completamente.
Nei giorni precedenti al ‘disastro’ avevo pensato mille volte alle parole da dirti, mi preparavo tanti bei ‘discorsi’, che subito scartavo perché mi sembravano inadeguati, ma sapevo benissimo che erano scuse, perché il vero problema era che avevo una paura folle di affrontare l’argomento con te.
E poi, anche se avessi trovato le più belle parole del mondo, ero sicuro che, in tua presenza, mi sarei confuso, impappinato, riuscendo al massimo a farfugliare qualcosa di vagamente intelligibile, facendo la figura dell’adolescente imbranato.
Avevo anche pensato, non le dico niente, aspetto un momento che siamo soli e, di sorpresa, la bacio. Capirà sicuramente.
Questa però mi sembrava la soluzione peggiore, da filmetto sentimentale. Mi immaginavo già la tua reazione sorpresa e sdegnata che avrebbe posto fine ad ogni nostro rapporto.
Infatti tra le tante paure c’era quella del fallimento, perché, finché non ti dicevo nulla, restava spazio per il mio sogno e potevo sperare che in futuro avresti accettato il mio amore.
Avevo esitato a lungo, per parecchi giorni, arrabbiandomi con me stesso, tutte le volte che, dopo esserci incontrati, ci lasciavamo senza che fosse accaduto nulla. Pochi giorni prima avevamo mangiato insieme fuori dell’ufficio, poi eravamo passati a casa tua.
Ricordo che siamo rimasti a lungo in casa, molto più a lungo del tempo necessario a prendere una cosa che tu avevi dimenticato.
Il prolungarsi di quella che doveva essere una visita di cinque minuti, poteva considerarsi un segno del destino, oppure la volontà di entrambi di rimanere piacevolmente insieme. Allo stesso tempo mi forniva nuove opportunità per agire, ma ero come paralizzato.
Eppure non mi ero mai sentito così attratto da te, prima di quel momento. C’era mancato un niente, almeno dieci volte ero stato veramente sul punto di stringerti tra le braccia, riempirti di baci e gridarti tutto il mio amore, trattenuto solo dalla paura (ancora questa maledetta paura) che tu potessi non apprezzare il mio gesto, che trovassi indiscreta, eccessiva, questa mia iniziativa.
Così ero tornato a casa, sconvolto per quello che mi stava accadendo, emozionato, senza fiato, ma anche furioso con me stesso, per avere nuovamente fallito, per non essere riuscito a dirti quello che sentivo.
Mi ero quindi imposto che, alla prima occasione, anche se non mi fosse sembrata la più propizia, mi sarei dovuto fare avanti e dirti tutto, perché, in fondo, non importava il come lo avrei detto, ma soltanto cosa ne pensavi tu.
E così è andata.
Sicuramente, infatti, ho scelto il momento meno adatto, mi sono espresso, credo, come peggio non potevo, o forse mi forzo di pensare questo, solo perché mi ostino ad immaginare che ci sarebbe potuto essere un epilogo diverso e migliore, se fossi stato più bravo.
E la paura? Sparita in un attimo. Il tuo sguardo severo ed imbarazzato, non lasciava alcuna possibilità: non dovevo più aver paura di niente.
Alla paura, infatti, era subentrata la sensazione che fosse tutto finito prima ancora di cominciare.
Il gelo e la disperazione avevano preso il posto della paura, in un attimo.
Era come quando si costruisce un castello di carte: sei arrivato alla fine, al piano più alto e, per colpa di un piccolo gesto sbagliato, crolla tutto rovinosamente. Tu rimani lì, impietrito, mentre le carte si ammucchiano disordinatamente, una sull’altra, e sai che non c’è rimedio, perché non è possibile tornare indietro, neanche di un attimo, per correggere quel piccolo errore. Com’è lunga la tua schiena.
Sembra non finire mai, così snella, ricoperta dai tuoi bei capelli, lunghi e scuri, per poi terminare quasi improvvisamente, raccordandosi, in una curva perfetta, con quel culetto delizioso, da cui iniziano le più belle gambe che io abbia mai visto.
La tua schiena sarebbe una ‘pista’ perfetta.
Sono un po’ pazzo, lo so, ma mi viene da pensare che vorrei giocarci con le biglie di vetro, quelle che usavamo al mare da ragazzini, utilizzando le sue morbide curve per farle rotolare avanti e indietro.
Ti immagino sdraiata, che ridi divertita per il gioco e per il solletico che ti fanno le biglie rotolando sulla pelle abbronzata.
Quando ci saremmo stancati sposterei, con attenzione, i capelli che ti nascondono il collo e le spalle, per poi iniziare a passare dolcemente un dito sulle tue vertebre, per sentire il tuo brivido leggero, mentre il mio dito scende, lungo la schiena, piano piano, massaggiandole dolcemente una ad una, fino all’altra estremità, dove, l’accentuarsi della curva, ne indica la fine.
Poi ricomincerei di nuovo dal collo, questa volta con dei baci appena accennati, per provare a sentire se il tuo brivido, da leggero, si è fatto più intenso, e rifarei lo stesso percorso di prima, con la stessa lentezza, per assaporare insieme ogni istante di questa dolce esperienza. Sono molti giorni che non sono in grado di trovare il coraggio di vederti.
Non riesco a capire cosa mi sta succedendo.
Dal giorno del ‘disastro’ è passato un mucchio di tempo, abbiamo ripreso a parlarci in maniera normale, quando ci incontriamo tu hai un’espressione tranquilla, cordiale, non dai affatto l’impressione che la mia presenza ti dia fastidio, eppure ‘
‘ non riesco a trovare il coraggio per bussare alla porta della tua stanza.
Avrei cento buone scuse per farlo. Ti potrei chiedere se hai visto il DVD con il film che ti ho lasciato prima di partire, ti potrei proporre di vedere insieme le mie foto delle vacanze, potrei semplicemente passare per scambiare quattro chiacchiere.
Invece niente. Rimango bloccato, paralizzato, come mi succedeva mesi fa. Certo, allora avevo degli ottimi motivi per girare alla larga, era sufficiente incrociare il tuo sguardo severo ed imbronciato per capire che non eri ben disposta nei miei confronti.
Ma adesso no. Non c’è nessun motivo per cui io possa sentirmi intimidito da te.
Evidentemente il problema sta tutto dentro di me. Nonostante sia passato quasi un anno, nonostante abbia ‘metabolizzato’ il rifiuto e la delusione, e dopo tutti gli sforzi fatti per costringermi a ragionare, mi rendo conto che sono soltanto riuscito a ‘normalizzare’ il mio comportamento, in modo da apparire agli altri come una persona normale.
Dentro di me però non è cambiato nulla: ero innamorato pazzo di te allora, lo sono anche oggi, esattamente nella stessa misura, e non vedo all’orizzonte alcuna possibilità di cambiamento.
Ho paura di non riuscire ad ingannarti, perché tu sei l’unica a potere intuire quello che provo per te.
Ho paura che tu riesca a leggere nel mio sguardo tutta la mia passione, insieme al dolore ed all’angoscia che, in questi ultimi tempi, non mi hanno mai abbandonato.
Ho paura che tu riesca a percepire la mia emozione ed il mio desiderio quando ci troviamo vicini e non so se posso o meno posare lo sguardo su di te.
Ho paura, infine, che tutto questo ti possa imbarazzare, infastidire.
Così rimango chiuso nella mia stanza, incapace di prendere l’iniziativa, senza più un briciolo di coraggio.

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